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La relazione tra Dio e la beata Angela da Foligno

Ultimo Aggiornamento: 12/11/2009 15:13
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12/11/2009 15:13

La relazione tra Dio e la beata Angela da Foligno


ROMA, mercoledì, 11 novembre 2009 (ZENIT.org).-

In vista del convegno internazionale che si terrà venerdì e sabato prossimo a Foligno, nel settimo centenario della morte della beata Angela da Foligno (1309-2009), pubblichiamo un contributo di padre Massimo Vedova, OfmConv, professore presso l'Istituto Teologico di Assisi e la Pontificia Università Antonianum e coordinarore del convegno, che ha appena pubblicato il volume “Esperienza e dottrina. Il Memoriale di Angela da Foligno” (Istituto Storico dei Cappuccini, Roma 2009), con prefazione di J. Dalarun.

 * * *

Affrontare lo studio di Angela da Foligno (1248-1309) all’inizio non è mai semplice, però procedendo nel lavoro si scopre, non senza stupore, la sconcertante ricchezza dei testi in esame. Dopo diversi convegni e studi che hanno affrontato soprattutto l’aspetto storico e il problema del Liber di Angela, attualmente si pone attenzione all’analisi lessicale, concentrando soprattutto l’attenzione sulla relazione Dio-anima. Tale aspetto in ultima istanza deriva dal prologus dello stesso testo angelano che recita così:

L’esperienza di coloro che sono veramente fedeli prova, attiene e ha per oggetto il Verbo della vita, che si è incarnato e nel vangelo dice: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui», e: «Chi mi ama… io mi manifesterò a lui».Dio fa conoscere sempre in modo perfetto ai suoi fedeli tale esperienza e la dottrina che ne deriva. Anche recentemente, da queste parti, ciò è avvenuto, per la devozione dei suoi, attraverso una fedele, la cui esperienza e dottrina saranno descritte, secondo verità, anche se in modo incompleto e in forma molto ridotta e abbreviata, nelle pagine che seguono.Il redattore del testo in esame non è intenzionato a fornire un’opera agiografica ma, come egli chiaramente si esprime nel prologus, a mostrare e descrivere un’esperienza di Dio vissuta e una dottrina, che ad essa si riferisce, cioè fare teologia. Quindi ci troviamo davanti ad un testo che descrivendo tale esperienza di Dio, lascia abbastanza in ombra elementi storico-narrativi e assume la pretesa di parlare di Dio in maniera da esporre una dottrina. Da questo punto di vista il testo è innovativo e in un certo qual modo unico nel suo genere. Unico non perché le esperienze narrate sono vissute da una donna in un momento storico in cui le donne non avevano se non un ruolo del tutto marginale sia dal punto di vista sociale che ecclesiale - ci sono infatti vari esempi del genere sia in un periodo storico precedente sia successivo - ma unico nelle sue vicende redazionali, nella relazione vissuta tra lo scriba, fantomatico frate A., e Angela da Foligno durante la stesura del testo, nelle sue pretese di fare teologia in maniera del tutto diversa da quella ufficiale delle universitas.

Il Memoriale, che costituisce la parte principale del Liber della Beata, è diviso in una prima sezione in cui sono narrate le vicende interiori ed esteriori vissute da Angela prima del pellegrinaggio ad Assisi ed è divisa in diciannove passi, in attesa del ventesimo chiave di volta del cammino spirituale della Folignate, il viaggio ad Assisi appunto. Successivamente c’è una sezione del Memoriale strettamente redazionale in cui frate A. espone le modalità concrete con cui ha iniziato a scrivere le esperienze di Angela e le sue difficoltà a dividere il materiale raccolto in passi ben definiti e anche una sintesi dettagliata dei sette passus supplentes nei quali alla fine ha diviso il materiale a sua disposizione. Frate A. in qualche maniera si è piegato alla narrazione stessa e nello stesso tempo ha contribuito a renderla organica e per quanto possibile consequenziale.

La relazione fra frate A. e Angela da Foligno durante la stesura del testo è ricca ed articolata. Per cercare di comprendere tale relazione è stato compiuto un lungo e attento lavoro per cogliere dal testo del Memoriale le strutture redazionali confrontarle esaminarle traendo da esse le possibili informazioni intrecciando valutazioni linguistiche e lessicali. Per rendere ragione delle affermazioni successive è necessario la lettura della tesi. La relazione in esame non è sicuramente limitata ad una semplice trascrizione da parte del frate del “dettato” angelano né ad una riorganizzazione di quest’ultimo di un materiale più o meno informe secondo le proprie impostazioni teologiche. Egli infatti fa obiezioni alle sue affermazioni, chiede spiegazioni, non comprende, scrive lo stesso. Qualche volta assume quasi il ruolo di “inquisitore”, altre volte di fedele amico, altre volte di devoto ascoltatore e promotore del testo che redige. In realtà nel Memoriale si incontrano due personalità ognuna della quale ha i suoi obiettivi e desideri nella stesura del testo.

La donna intende alcune volte raccontare la sua esperienza in modo tale che si possa, a partire dallo scritto, continuare ad approfondire e chiarire gli episodi vissuti – si può parlare di auto-rivelazione progressiva della propria stessa esperienza – mentre il frater scriptor cerca, nella veste redazionale definitiva, di mostrare un cammino spirituale agli eventuali lettori (probabilmente da cercare in ambito “spirituale”) per diventare veri figli legittimi di Dio. La prima ha finalità interne autoreferenziali il secondo esterne didattico-dottrinali. Altre volte invece sembra la donna a rivestire il ruolo di maestra spirituale e il frate di ascoltatore stupito. È impossibile trovare una chiave di lettura che renda ragione di tutte le ambivalenti sfumature del testo. Certamente il testo rivela uno sviluppo nel tempo della relazione Angela-frate A., senza che nessuno dei due sia assorbito totalmente dall’altro e dalle sue istanze interiori, e un tentativo finale di redazione da parte del frater scriptor parzialmente riuscito.

Nel suo stile di scrittura egli segue l’immediatezza del parlato angelano a cui pare fornire vocaboli adatti per la descrizione del suo vissuto. D’altro canto la Folignate sceglie, assimila e fa proprio solo una parte del vocabolario usato del frate minore, in modo tale che si può con ragionevole certezza affermare che le parole a lei attribuite per la maggior parte sono frutto di un lavoro di appropriazione. Anzi compare con chiarezza il fatto che è lei stessa in alcuni casi a “imboccare” le parole da scrivere a frate A. è opportuno sottolineare come alla scrittura si sussegue l’evento di rilettura, aggiunta e valutazione degli eventi già narrati, in parte dovuto alla memoria della donna che ricorda nuovi particolari, in parte alla rivisitazione del testo fatta da frate A. prima di presentarlo alla lettura di alcuni teologi. Alla tensione fra i due “attori” della scrittura del Memoriale si deve aggiungere l’imprevisto intervento che viene definito divino che in qualche maniera suggerisce alcune cose da dire pressoché in diretta, in cui è difficile cogliere un’opera artefatta.

In conclusione si può immaginare l’atto dello scrivere come un evento spirituale cioè un evento in cui è impossibile prevedere prima quale sia il testo che risulterà effettivamente scritto. In ciò sta il fascino del Memoriale che diventa una specie di cantiere aperto, una continuo banco di prova dell’intelligenza di chi lo studia, una fonte di molte sorprese, una finestra spalancata o meglio una serie di feritoie dischiuse sul mistero di un’esperienza vissuta veramente eccezionale.

Il Memoriale come già accennato non è, e non vuole essere, solo un libro di narrazione di un’esperienza, sia pur ricca e profonda, ma in esso è contenuta una volontà di elaborare anche una dottrina, cioè un modo oggettivo di descrivere l’esperienza di Dio, in altri parole “fare teologia”, in un tempo in cui fra teologia spirituale e teologia dogmatica, per usare termini contemporanei, non esisteva ancora una distinzione netta.

In generale gli autori e studiosi che si sono interessati di Angela da Foligno hanno molto spesso desiderato elaborare una teologia angelana a partire dai testi, cercando di costruire una struttura più o meno elaborata e complessa in cui inserire le esperienze narrate senza però domandarsi quale teologia quegli scritti stessi veicolassero nel narrare. La complessa relazione fra l’esperienza descritta e la dottrina in essa contenuta lungo lo scorrere del Memoriale subisce rilevanti trasformazioni. All’inizio nei passus priores è frate A. che prende la parola e descrive il vissuto angelano in maniera oggettiva e dottrinale senza quasi nessun riferimento alle concrete esperienze fatte. É lui che ha il ruolo di voce “teologica”. Successivamente e progressivamente sono i fatti raccontati ad avere un’importanza rilevante fino al viaggio in Assisi che senza dubbio è la sezione più narrativa del Memoriale: le elaborazioni dottrinali sono ridotte al minimo. Il primo e secondo passus supplentes mostrano, l’insorgere di elementi dottrinali all’interno delle esperienze stesse e anche attraverso la voce di Angela che valuta e qualifica alcune di esse. Inizia così quel processo di oggettivazione del vissuto che sarà sempre più preponderante. Angela mostra sempre più la sua capacità di elaborazione del proprie esperienze e di valorizzazione di esse.

Nei passus successivi invece è la voce divina che, attraverso eventi locatori, assume il ruolo di fonte dottrinale. Nel quintus passus supplens invece è attribuita ad Angela una profonda analisi della relazione Dio-anima che assume il ruolo di maestra spirituale. Nell’ultimo passus supplens il settimo traspare con chiarezza la perfetta sintesi ottenuta fra le esperienze narrate e la dottrina che da essa ne promana. Sono, infatti, le narrazioni della relazione Dio-anima loro stesse, sia pur piene di elementi soggettivi, a esporre e mostrare l’elemento oggettivo dottrinale. L’esperienza nel suo narrarsi è divenuta dottrina su Dio e sulla sue relazioni con l’anima, in modo tale che la “teologia” che viene elaborata viene pensata come un’esperienza. La teologia in conclusione è un’esperienza.

Appare evidente che chi scrive il septimus passus ha raggiunto una tale capacità linguistica nel descrivere le situazioni e gli eventi interiori, da poter rendere in maniera oggettivante il vissuto soggettivo. In questo passus si comprende bene che le due voci, quella di frate A. e quella della Folignate, restano separate. Quindi è impossibile pensare che l’elaborazione dottrinale sia il semplice frutto di frate A. che di propria mano compone o riscrive ogni cosa. Sembra invece più evidente che, attraverso la particolare relazione che sussiste fra Angela e il frater scriptor nel redigere il testo, essi sono giunti ad una tale chiarezza di strumentazione linguistica capace di pervenire ad una profonda unificazione tra dottrina esposta e descrizione esistenziale. Angela assume il ruolo di testimone vivente di una teologia. La felice espressione – la “verità mostrata in un’esperienza” – qualora si voglia intendere questa verità come verità su Dio e sull’uomo e sulla loro relazione è veramente indicativa di un’impostazione di fondo.

Si tratta di un’impossibilità culturale di esprimere in maniera concettuale legata alla pochezza di strumentazione che hanno Angela e il frater scriptor oppure di qualcosa di diverso? In realtà sembra che ci sia più una volontà esplicita di non utilizzare le forme razionali argomentative all’infuori di un vissuto narrato che una reale incapacità a farlo. Anche nel passo del Peregrinus dove appare più evidente la volontà di proporre un testo dottrinale è costante il riferimento al vissuto come fonte, sia di esplicazione della dottrina esposta, sia della veridicità di essa.
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