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Pio XII tra realtà e spy story

Ultimo Aggiornamento: 17/05/2010 19:13
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Pio XII tra realtà e spy story

Il sogno di padre Blet


di Raffaele Alessandrini

Su Pio XII "oggi sono affiorate nuove verità e ringraziando Dio anche molti ebrei americani sono a favore della beatificazione. Il mio sogno? Poter scrivere un libro su Pio XII che racconti tutto il suo pontificato e mostri che fu il vero precursore del Vaticano ii". A parlare, in una puntuale intervista rilasciata a Filippo Rizzi e pubblicata su "Avvenire" il 12 novembre 2009, è lo storico gesuita Pierre Blet, il superstite del quartetto ignaziano - con il francese Blet lavorarono altri tre confratelli e colleghi ora scomparsi:  l'italiano Angelo Martini, il tedesco Burkhart Schneider e lo statunitense Robert Graham, in ideale rappresentanza delle nazioni coinvolte nel tremendo conflitto - che compì l'impresa storiografica, voluta da Paolo VI, di redigere l'opera monumentale in dodici volumi degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale.

Manco a dirlo, l'occasione dell'intervista a padre Blet è data dall'ennesima fantasiosa ricostruzione sull'operato della Santa Sede e di Papa Pacelli negli anni della guerra fredda:  prima Maurizio Molinari, su "La Stampa" del 19 settembre, e poi soprattutto Ignazio Ingrao, sul settimanale "Panorama" del 29 ottobre, hanno presentato padre Graham come spia del controspionaggio anti-Kgb. La propensione al genere romanzesco non è di per sé un male - anzi può essere uno svago molto più sano e onesto di tanti altri - ma andrebbe sempre tenuta ben distinta dalla storia. In caso contrario la fantasia trapassa nel falso e la pretesa di costruzioni giocose applicate a vicende serie, e per lo più tragiche, denuncia se non altro leggerezza irresponsabile.

Graham lo sapeva bene. Lo storico gesuita - minuto, aveva un viso magro e affilato ove sotto le spesse lenti brillavano due occhi vivacissimi e attenti - era infatti uomo dotato di humour. Amava le spy-stories e quanti lo conoscevano, anche superficialmente, sapevano quanto egli fosse solito scherzarci sopra. Senza mai venir meno al rigore scientifico. Come testimonia l'edizione degli Actes et documents, opera - osserva padre Blet - di cui probabilmente si coglierà appieno la portata quando l'Archivio Segreto Vaticano aprirà tutti i fondi sul periodo 1939-1945. "Troveranno - ha ripetuto lo storico gesuita ad "Avvenire" - quello che abbiamo pubblicato nei nostri dodici volumi e scopriranno che non abbiamo nascosto niente. Mi sembra difficile che si potrà contraddire quanto è ampiamente mostrato nei documenti già pubblicati".

A conferma dell'intervista a Blet, Adriano Ossicini su "Europa" dell'11 novembre 2009 è intervenuto su un libro recente di Michael Hesemann (Pio XII, il papa che si oppose a Hitler, Milano, Paoline, 2009, pagine 334, euro 24), che ancora una volta smentisce le accuse di antiebraismo mosse a Papa Pacelli per i suoi presunti "silenzi" e passività di fronte alla Shoah. Fin dagli anni della nunziatura a Berlino Pacelli aveva preso posizione contro il nazismo. Risulta inoltre come già nel corso di un suo viaggio in America egli avesse tentato "di sollecitare un'azione polemica contro Hitler, avendo scarsi aiuti in questo senso". Ma un fatto - sottolinea Ossicini - ""taglia la testa al toro" ed è la documentazione che la famosa enciclica di Pio xi Mit brennender Sorge fu in sostanza redatta da Eugenio Pacelli, il quale oltre tutto suggerì che, a differenza di tutte le altre encicliche, non fosse redatta in latino, ma in tedesco, per poterla far leggere in tutte le chiese in Austria e in Germania".

Ma soprattutto, in relazione all'atteggiamento assunto da Papa Pacelli di fronte alla Shoah, Ossicini scrive:  "Io non posso dimenticare che il nostro impegno nel periodo della Resistenza in difesa degli ebrei ebbe un appoggio massiccio e diretto di Pio XII. Ho documentato in un mio volume, Un'isola sul Tevere, come l'azione da noi svolta, ad esempio al Fatebenefratelli per nascondere ebrei come falsi malati, fu direttamente appoggiata dal Papa che tramite il cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani, mi fece fornire luoghi e modi per nascondere un notevole numero di ebrei".

Esiste però un episodio illuminante che riguarda direttamente lo stesso Ossicini. La vicenda del futuro psicologo e politico italiano, allora giovane antifascista, è nota:  imprigionato per ordine del Tribunale speciale - protagonista attivo della Resistenza, era infatti stato tra gli iniziatori del movimento dei cattolici comunisti, divenuto poi Partito della sinistra cristiana - una volta uscito dal carcere si recò da Pio XII per ringraziarlo dei suoi appoggi. Manifestando tra l'altro al Papa il suo rammarico per il sequestro, da parte della polizia, di una lettera dalla quale emergeva notizia di un colloquio avuto con monsignor Tardini da cui risaltava il radicato atteggiamento polemico del Pontefice per il fatto che i fascisti seguissero i nazisti nella persecuzione degli ebrei. Ossicini temeva infatti che questo avesse potuto recare difficoltà alla Santa Sede. Ma Pio XII replicò con nettezza:  "Se fosse stato questo a portare a voi difficoltà sarebbe stato Nostro dovere difendervi".


(©L'Osservatore Romano - 13 novembre 2009)
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Grave errore di due ricercatori rilancia false accuse contro Pio XII
Sbagliano la data di un documento e accusano il Papa di una cosa non accaduta

di Jesús Colina

ROMA, martedì, 2 febbraio 2010 (ZENIT.org).-
 
Un documento presentato come prova dell'indifferenza di Pio XII di fronte alla “razzia” degli ebrei di Roma contiene un gravissimo errore di datazione da parte dei ricercatori che lo hanno presentato: il testo era stato scritto prima di quei terribili fatti.

Contrariamente a quanto hanno affermato i due ricercatori che hanno diffuso le “rivelazioni”, non si tratta inoltre di un documento inedito: era già stato pubblicato nel 1964 ed era ampiamente noto agli storici.

Domenica scorsa, l'agenzia ANSA ha pubblicato una nota per presentare le rivelazioni di Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino, che hanno ritrovato negli archivi britannici un documento che secondo loro era datato 19 ottobre 1943, cioè tre giorni dopo la razzia degli ebrei di Roma da parte dei nazisti.

Nel documento, l’incaricato di affari americano Harold Tittman riferiva al Governo USA del suo incontro con Papa Eugenio Pacelli, che “invece di indignarsi per la deportazione di oltre mille ebrei romani si mostra in forte ansia per ‘le bande comuniste che stazionano nei dintorni di Roma’”, secondo l'interpretazione del documento offerta dall'ANSA.

Come ha spiegato in un messaggio inviato a ZENIT il professor Ronald Rychlak, della University of Mississippi, autore di alcune ricerche su Pio XII, i ricercatori hanno commesso un gravissimo errore nella lettura della data.

“Il messaggio trascritto a Washington da Harold Tittmann è datato 19 ottobre, ma c'è un errore. I resoconti vaticani mostrano che l'incontro tra Tittmann e il Papa ebbe luogo il 14 ottobre”, afferma.

“'L'Osservatore Romano' del 15 ottobre 1943 riportava infatti in prima pagina che Tittmann era stato ricevuto dal Papa in un'udienza privata il 14 ottobre 1943”, mentre la razzia contro la Comunità ebraica avvenne il 16 ottobre.

“A quanto pare, un '14' è stato letto erroneamente come un '19'”, osserva Rychlak. “Il Papa non menzionava la retata degli ebrei perché non era ancora avvenuta!”.

“La sua preoccupazione era che un gruppo di comunisti commettesse un atto violento, e questo avrebbe portato a serie ripercussioni. Ovviamente, dimostrò di essere nel giusto la primavera seguente”, conclude il professore.

Un “inedito” pubblicato 46 anni fa

In queste rivelazioni figura un altro grave errore, dato che gli storici le hanno presentate come inedite all'ANSA. Il documento in realtà era già stato pubblicato nel 1964 ed è ampiamente conosciuto dagli storici. Si trova nella serie “Foreign Relations of United States” (FRUS), ed è inserito nel secondo dei volumi relativi al 1943, a p. 950.

Nel suo blog Andrea Tornielli, vaticanista de “Il Giornale”, ricorda che Casarrubea e Cereghino non sono nuovi a questo tipo di “rivelazioni”.

“Nell’ottobre 2008 – scrive Tornielli – spacciarono per inedito un documento per usarlo contro Pio XII (sempre rilanciato dall’ANSA) e furono costretti a scusarsi, come si può leggere sul sito vaticanfiles.splinder.com”.

Sulla questione si è espresso anche il prof. Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle relazioni tra Stato e Chiesa e di Storia dei trattati e politiche internazionali dell’Università di Urbino, che sulla pagina I segni dei tempi ha affermato che il documento citato da Casarrubea e Cereghino è noto anche in traduzione italiana, essendo stato pubblicato da Ennio Di Nolfo nel suo libro “Vaticano e Stati Uniti: dalle carte di Myron Taylor” (Milano 1978, ripubblicato nel 2003).

Il documento che i due ricercatori dicono “inedito”, ricorda, è stato presentato e discusso nelle biografie e in molti saggi su Pio XII, “libri che evidentemente Casarrubea e Cereghino non si sono dati la pena di leggere, continuando a spacciare come ‘nuove’ e ‘inedite’ cose che gli storici, quelli seri, conoscono e discutono da anni”.

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05/02/2010 19:02

Documenti confermano che la resistenza tedesca antinazista chiese a Pio XII di non intervenire direttamente contro Hitler

Se la storiografia ignora le testimonianze


di Roberto Pertici

Nel dibattito in corso sull'operato di Pio XII e in particolare sul problema dei "silenzi" del Pontefice sulla tragedia della Shoah è utile riconsiderare una testimonianza riguardante più in generale la politica vaticana verso Hitler e i suoi rapporti con l'opposizione anti-nazista in Germania. Mi pare una testimonianza non trascurabile, sia per l'autore, sia per la precocità:  è, come vedremo subito, del giugno 1945, a ridosso quindi della fine della guerra. È compresa in un documento (n. 242) pubblicato nella straordinaria raccolta curata da Ennio Di Nolfo nel 1978 e dedicata a Vaticano e Stati Uniti 1939-1952 (Milano, Franco Angeli, 1978):  non è ignota - fra gli altri ne fece cenno, qualche anno fa, Piero Melograni - ma non è sembrata sempre presente a quanti in questi ultimi tempi hanno ripercorso queste complesse vicende.

L'autore della testimonianza:  si tratta dell'avvocato bavarese Josef Müller (1898-1979), esponente del cattolicesimo politico tedesco durante la repubblica di Weimar e dopo la seconda guerra mondiale tra i fondatori della Csu. Durante il regime nazista, fu tra gli esponenti più attivi dell'opposizione ed è noto soprattutto per i contatti assidui che ebbe col Vaticano tra il 1939 e il 1940. Müller faceva parte dei servizi segreti tedeschi (Abwehr) dell'ammiraglio Canaris, uno dei centri occulti dell'opposizione anti-hitleriana. Fu inviato a Roma con una scusa, in realtà per prendere contatto con l'entourage del Pontefice (in cui erano presenti molti prelati tedeschi) e mettere a conoscenza lo stesso Pio XII dei progetti dell'opposizione tedesca e dei suoi piani per rovesciare Hitler e costruire una Germania democratica. Soprattutto chiese che il Papa se ne facesse tramite e garante con il governo inglese, ruolo che Pio XII, con notevolissimi rischi, accettò di svolgere per mezzo dell'ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Osborne.

Si trattò, come ha scritto Renato Moro, di un "fatto assolutamente sbalorditivo nella storia del papato", ma le vittorie di Hitler in Norvegia e poi in Francia fecero abortire l'operazione. Müller venne arrestato nel 1943 e tradotto nel campo di concentramento di Flossenbürg, ma - a differenza di altri detenuti illustri di quel campo (e suoi compagni di cospirazione) come Canaris e il pastore Dietrich Bonhoeffer, che furono uccisi nell'aprile del 1945 - egli fu trasferito in Alto Adige, nel paese di Niederdorf (Villabassa) con altri 138 prigionieri "speciali" (fra cui Léon Blum  e la moglie), per essere usati dalle SS come eventuali pedine di scambio.

I prigionieri furono liberati il 5 maggio 1945 dalla v armata americana e, neanche un mese dopo, ritroviamo Müller in Vaticano. Il 2 giugno, nel tradizionale incontro col Sacro Collegio che gli faceva gli auguri per la ricorrenza onomastica di sant'Eugenio, Pio XII affrontò per la prima volta in pubblico il problema dei rapporti fra la Chiesa e il nazismo:  "Voi vedete - affermò tra l'altro - ciò che lascia dietro di sé una concezione e un'attività dello Stato, che non tiene in nessun conto i sentimenti più sacri dell'umanità, che calpesta gli inviolabili principi della fede cristiana. Il mondo intero, stupito, contempla oggi la rovina che ne è derivata". "Questa rovina - aggiungeva - Noi l'avevamo veduta venir di lontano, e ben pochi, crediamo, hanno seguito con maggior tensione dell'animo l'evolversi  e  il precipitarsi della inevitabile caduta".

 Pio XII ricordava gli anni della sua nunziatura in Germania, il sorgere del nazismo, le vicende che avevano condotto al Concordato del 1933, la condanna di Pio xi nel 1937 con l'enciclica Mit brennender Sorge, che "svelò agli sguardi del mondo quel che il nazionalsocialismo era in realtà:  l'apostasia orgogliosa da Gesù Cristo, la negazione della sua dottrina e della sua opera redentrice, il culto della forza, l'idolatria della razza e del sangue, l'oppressione della libertà e della dignità umana". Poi ricordava i suoi messaggi durante la guerra (specialmente il radiomessaggio del Natale 1942) e le persecuzioni che preti e laici avevano subite in quegli anni terribili:  "Con una insistenza sempre crescente il nazionalsocialismo ha voluto denunziare la Chiesa come nemica del popolo germanico. L'ingiustizia manifesta dell'accusa avrebbe ferito nel più vivo i sentimenti dei cattolici tedeschi e i Nostri propri, se fosse uscita da altre labbra; ma su quelle di tali accusatori, lungi dall'essere un aggravio, è la testimonianza più fulgida e più onorevole dell'opposizione ferma, costante sostenuta dalla Chiesa contro dottrine e metodi così deleteri, per il bene della vera civiltà e dello stesso popolo tedesco, cui auguriamo che, liberato dall'errore che l'ha precipitato nell'abisso, possa ritrovare la sua salvezza alle pure sorgenti della vera pace e  della  vera  felicità, alle sorgenti della verità, della umiltà, della carità, sgorgate con la Chiesa dal Cuore di Cristo".

Ad alcuni questo discorso dispiacque:  si rilevò che una così schietta franchezza si udiva solo allora, quando il nazismo era ormai stato vinto, ma che negli anni precedenti il parlare del Pontefice era risultato spesso meno diretto e più diplomatico. Molti poi lo collegarono alla presenza in Vaticano proprio di Müller, che - si diceva - avrebbe avuto un ruolo nella sua stesura. Di tutto questo l'avvocato bavarese parlò, la sera del 3 giugno, con Harold H. Tittmann, il giovane incaricato d'affari statunitense presso la Santa Sede, che dal 1940 viveva a Roma e, dopo Pearl Harbor, in Vaticano. Del colloquio Tittmann inviò, il giorno dopo, un preciso resoconto al suo superiore Myron Taylor, il rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti presso il Pontefice.

Müller innanzitutto smentiva di avere avuto parte "nella preparazione di alcun passaggio del discorso del Papa", ma ammetteva di avergli fornito "le informazioni sulle quali alcuni passaggi erano basati". Al diplomatico americano che gli riferiva di "aver udito critiche piuttosto diffuse verso il Papa (...), poiché egli aveva aspettato finché la Germania era stata sconfitta prima di attaccare i nazisti in pubblico", Müller rispose a lungo, rievocando le precise richieste che proprio la resistenza tedesca di orientamento aristocratico-militare (che fu poi quella che avrebbe organizzato l'attentato del 20 luglio 1944) aveva fatto ripetutamente al Pontefice:  "Il dottor Müller - scriveva Tittmann - ha detto che durante la guerra la sua organizzazione anti nazista in Germania aveva sempre molto insistito che il Papa si trattenesse dal fare qualsiasi dichiarazione pubblica specificamente diretta come condanna contro i nazisti, e aveva raccomandato che le osservazioni del Papa si mantenessero entro i limiti delle sole considerazioni generali. Il dottor Müller ha detto di essere stato obbligato a dare questo consiglio, poiché se il Papa fosse stato specifico, i tedeschi lo avrebbero accusato di cedere alle pressioni di potenze straniere e ciò avrebbe reso ancor più sospetti di quanto non fossero i cattolici tedeschi e avrebbe grandemente ristretto la loro libertà d'azione nella loro opera di resistenza al nazismo. Il dottor Müller ha detto che la politica della resistenza cattolica in Germania era che il Papa dovesse tenersi in disparte, mentre la gerarchia tedesca portava avanti la lotta contro il nazismo all'interno della Germania, senza che influenze esterne si manifestassero. Il dottor Müller ha detto che il Papa ha seguito questo consiglio per tutta la durata della guerra. (...) Egli immagina che il Papa abbia deciso di scendere ora in campo aperto contro i nazisti poiché le implicazioni delle sue denunce sono attualmente assai importanti e sembrano al Papa soverchiare altre considerazioni".

Anche la testimonianza di Müller conferma, dunque, che sarebbero state una serie di specifiche richieste provenienti dalla Germania ad avere svolto un ruolo non secondario nel più generale atteggiamento di Pio XII di quei tragici anni. Si potrà discutere - come scriveva nel 1969 Maritain - se abbia avuto torto o ragione a seguire questi pareri ed eventualmente allargare il discorso anche ai limiti politico-culturali che segnarono l'opposizione aristocratico-militare (che tuttavia pagò spesso con una morte eroica la sua scelta anti-nazista), ma nel quadro complesso di cui prima si ragionava, bisogna far posto anche a quei suggerimenti. Di particolare rilievo pare, come detto, la precocità della testimonianza, proprio a ridosso dei fatti, quando le critiche a Pio XII non andavano oltre qualche mormorio diplomatico e, invece, era generalmente riconosciuto e lodato il ruolo umanitario svolto dal Vaticano durante la guerra. Lo storico ipercritico potrebbe liquidare tutto, sostenendo che il cattolico Müller altro non voleva che "coprire" il Papa di fronte a quelle prime riserve. Ma l'ipercritica rischia troppo spesso di fare piazza pulita di ogni testimonianza, se non di quelle che le convengono.


(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2010)
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06/03/2010 07:22

Intervista a "Le Point"

Il cacciatore di nazisti e Pio XII


"È anacronistico" il processo a Papa Pacelli per l'atteggiamento da lui tenuto sulla Shoah. "Ci si dimentica che il Vaticano, accerchiato e censurato, aveva di fronte un nemico determinatissimo come il nazismo". La dichiarazione è dell'avvocato, storico e scrittore romeno Serge Klarsfeld, il cacciatore di nazisti, e rientra in un lungo servizio curato da François-Guillaume Lorrain apparso sul settimanale francese "Le Point" dello scorso 25 febbraio con il titolo L'affaire Pie xii. Klarsfeld tiene a sottolineare le circostanze contingenti per cui la stessa questione ebraica non fosse ragionevolmente il primo dei problemi per la Santa Sede. In realtà l'"affare Pio XII" sarebbe rivelatore di un più ampio e complesso movimento al quale si riconducono anche le accuse attuali a Roosevelt, a Churchill o alla Croce Rossa. Dice Klarsfeld:  "Si vorrebbe che la Shoah non ci fosse mai stata, e allora si prova risentimento contro tutti quelli che avrebbero potuto fare qualcosa. C'è una volontà incosciente di rifare la storia". Dopo che Bernard-Henri Lévy il 20 febbraio scorso ha deplorato sul "Corriere della Sera" (in un articolo ripubblicato sul nostro giornale del 21 febbraio) gli accanimenti e gli infondati luoghi comuni - motivati non di rado da cattiva coscienza - su Papa Pacelli per i silenzi sulla Shoah tendenti a fare del Pontefice un "capro espiatorio", parla anche Klarsfeld, cioè colui che, con l'aiuto della moglie Beate Auguste Künzel, riuscì a trascinare in tribunale il criminale di guerra Klaus Barbie, noto come il "boia di Lione", e a portare testimonianze determinanti al processo al filonazista francese Maurice Papon. Su "Le Point" Lorrain intervista anche lo storico ebreo Saul Friedländer, che ritorna sui silenzi di Pio XII affermando che se la Chiesa avesse levato la voce, oggi la sua "grandezza" sarebbe stata ricordata. Ciò in risposta a una domanda in cui si ricorda la denuncia pubblica della gerarchia cattolica olandese del 26 luglio 1942 sulla deportazione degli ebrei. L'intervento causò immediatamente un'intensa ondata di rappresaglie anche contro i cattolici di origine ebraica. Nuovi e più autorevoli interventi non avrebbero peggiorato la situazione? Friedländer ribatte di non volere trasformare, come altri hanno fatto, Pio XII nel "Papa di Hitler". Ricorda, al contrario, l'avversione di Papa Pacelli per il nazismo e la sua decisiva collaborazione alla stesura della Mit brennender Sorge; ma ritiene di avere trovato il motivo del silenzio nel fatto che la Santa Sede e il nazismo avevano un nemico comune:  il bolscevismo. Dimenticando però che la guerra mondiale, tanto temuta e condannata dal Papa, era scoppiata proprio in seguito al patto Molotov-Ribbentrop e che, dopo l'aggressione nazista all'Unione Sovietica, Pio XII intervenne per convincere i cattolici americani a non opporsi all'alleanza contro Hitler dell'amministrazione statunitense con i sovietici. (raffaele alessandrini)


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08/03/2010 22:03

Su "la Repubblica"

Pio XII difeso dagli archivi


 All'opportuna iniziativa della fondazione americana Pave The Way di mettere in rete le oltre ottomila pagine dei dodici volumi degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale pubblicati tra il 1965 e il 1981, "la Repubblica" del 7 marzo ha dedicato un ampio e puntuale servizio di Marco Ansaldo intitolato Pio XII, la parola alla difesa. La grande raccolta documentaria voluta da Paolo VI e curata da quattro storici gesuiti (il francese Pierre Blet, lo statunitense Robert Graham, l'italiano Angelo Martini e il tedesco Burkhart Schneider) venne edita, per quanto riguarda il pontificato di Papa Pacelli in largo anticipo sull'apertura degli archivi vaticani, alla quale da tempo si sta lavorando. Nota agli specialisti, l'opera è tuttavia "quasi irreperibile se non in rare biblioteche", tanto da risultare - osserva con ragione il vaticanista del quotidiano romano - un insieme di "carte sconosciute" dal contenuto "pressoché ignoto". Proprio per questo motivo, Gary Krupp, l'ebreo americano che presiede la Pave The Way Foundation con l'intento di "rimuovere gli ostacoli fra le religioni", ha deciso di rendere accessibili in rete i documenti vaticani nel testo originale e in traduzione inglese. In particolare, è evidente la volontà di sgombrare il campo dalle infondate e strumentali polemiche su Pio XII che periodicamente rischiano di turbare i rapporti tra ebrei e cattolici. Oltre a riprodurre documenti che confermano l'imponente e silenziosa opera di aiuto disposta da Papa Pacelli verso gli ebrei perseguitati, Ansaldo attira l'attenzione sul resoconto vaticano del colloquio avvenuto il 16 ottobre 1943 tra il cardinale segretario di Stato, Luigi Maglione, e l'ambasciatore del Reich presso la Santa Sede, Ernst $\von Weizsäcker, subito dopo l'orrenda razzia consumatasi nel ghetto di Roma. E rileva il "silenzio" tenuto in proposito dal diplomatico tedesco nei suoi rapporti a Berlino, che non di rado viene addotto come prova di una supposta acquiescenza vaticana. Oltre i documenti vaticani, l'articolo comprende un tratto del diario inedito di padre Graham sul nono volume degli Actes et documents, quello relativo al 1943, che mostra la completezza della raccolta voluta da Paolo vi:  "Schneider dice che devo preparare l'introduzione e che essa dovrà essere assai buona, a causa della natura della documentazione, naturalmente sulla questione ebraica e dei soccorsi a Roma. Ho detto che c'è l'intera documentazione delle lettere inviate al Papa dopo il 16 ottobre (nessuna delle quali indicava la conoscenza di quanto si stava preparando). E poi l'intera lista di appelli per i fratelli arrestati nell'autunno del 1943". Scrivendo di archivi, lo stesso Ansaldo, inviato a Berlino, aveva anticipato - in un importante reportage uscito su "la Repubblica" del 29 marzo 2007 e intitolato in prima pagina I dossier segreti di Hitler che riabilitano Pio XII - che documenti inediti del Terzo Reich descrivono un Pio XII filotedesco ma certo non amico dei nazisti, anzi molto attivo nell'aiuto e nel soccorso a polacchi ed ebrei, e in attesa di "un cambiamento della situazione in Germania". Un Papa, insomma, al quale il regime hitleriano guardava "con diffidenza e perfino con preoccupazione" e la cui figura esce dai documenti nazisti allora resi pubblici come "nettamente diversa" rispetto a diffusi stereotipi:  quella cioè di "un avversario abile e temuto" del nazismo, "tutto il contrario del ritratto di un Pacelli timoroso e indeciso". E non a caso quei documenti, finiti in mano alla Stasi, il servizio segreto della Germania orientale, non vennero resi noti perché contrastavano con l'immagine del Papa complice del nazismo costruita dalla propaganda sovietica già durante la guerra e poi ripresa con forza a partire dalla metà degli anni Sessanta.


(©L'Osservatore Romano - 8-9 marzo 2010)
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 L'articolo di Marco Ansaldo intitolato Pio XII, la parola alla difesa
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Sempre su questo tema anche il giornalista Andrea Tornielli aveva scritto un articolo molto interessate, lo potete leggere qui: GIORNALE del 7/3/2010 QUELLA DATA SBAGLIATA CHE FA APPARIRE PIO XII COLPEVOLE (TORNIELLI ANDREA) a pag. 22

Trovo strano che l'Osservatore Romano elogi Repubblica e non include a tali elogi Andrea Tornielli, anche perchè sappiamo tutti come Repubblica sia palesemente anti-Ratzinger.
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Una testimonianza del 1943

Bombe sul Vaticano


di Lina Vagni Sansone

 Come testimone oculare - nella mia infanzia vissuta nel trascorso periodo bellico - ricordo un gravissimo episodio avvenuto il 5 novembre 1943 alle ore 23.30 in una notte di plenilunio che - nonostante l'oscuramento vigente su Roma "città aperta" - illuminava a giorno la cupola della basilica di San Pietro. Cupola ben visibile dalle finestre della nostra abitazione di Largo Trionfale, situata a circa cinquecento metri dalle Mura Leonine e che è rimasta ben impressa nella mia memoria insieme ai drammatici avvenimenti che seguirono.
Proprio in quell'ora notturna, con la mia famiglia eravamo lì radunati, al buio per via dell'oscuramento, a guardare dalle finestre della sala da pranzo lo spettacolo della bella cupola illuminata dalla luna, in quel triste scenario di una città spenta per via del coprifuoco. A un tratto, sopra le nostre teste, sentimmo il rombo di un aereo che volava a bassa quota sulla nostra abitazione. Abituati, in quell'epoca, a improvvisi bombardamenti aerei, lì per lì non ci preoccupammo perché la sirena che dava l'allarme per le incursioni aeree non aveva suonato, perciò, evidentemente, era un aereo "amico", cioè tedesco.
Questo aereo, però, non era di passaggio ma, curiosamente, iniziò a girare diverse volte sopra di noi a quota sempre più bassa. Mio padre che aveva fatto la prima guerra mondiale sulla Marna, in Francia, e in Italia sul glorioso monte San Michele teatro di eroiche gesta (nelle quali fu anche gravemente ferito), subodorò qualcosa di anomalo in questo comportamento del pilota e intimò a tutta la famiglia di gettarsi subito a terra coprendoci con le mani la testa a mo' di riparo da eventuali cadute di calcinacci e rifugiandoci sotto un grande tavolo.
Ci eravamo appena riparati in gran fretta che, fulmineamente, l'aereo si gettò in picchiata e sentimmo sganciare una bomba nelle immediate vicinanze. L'operazione fu ripetuta, in picchiata, altre due volte:  in totale tre bombe furono sganciate dall'aereo tedesco e senza che nessun allarme suonasse, né che la contraerea intervenisse. Nel  nostro  quartiere  non  vi  furono  danni, né  tracce  di  questo  breve bombardamento:   cosa molto strana. Ma il mattino dopo sapemmo che erano state sganciate ben tre bombe sulla piccola Città del Vaticano.
Unica testimonianza di questo inaudito atto di intimidazione verso Papa Pio XII - in un inspiegabile silenzio generale che dura ancor oggi - sono gli evidenti segni lasciati dalle schegge delle bombe tedesche sganciate anche sulla vecchia stazione ferroviaria del Vaticano. Fortunatamente ancora visibili, come rilevò - in un'intervista televisiva dello scorso anno - un anziano capostazione, in servizio all'epoca. Mio padre era nel Partito d'Azione, come moltissimi democristiani dell'epoca - sempre in "silenzio" e con molta discrezione pur rischiando la vita e con l'appoggio e la simpatia di Papa Pio XII - per la liberazione di Roma dalle truppe tedesche:  le stesse che avevano rastrellato gli ebrei di Roma. Che dire? Il "connivente" Pontefice rischiò di vedere bombardata la sacra basilica, la tomba del Principe degli Apostoli, per il suo "complice silenzio"!



(©L'Osservatore Romano - 15-16 marzo 2010)
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17/05/2010 19:13

La seconda guerra mondiale e la Santa Sede

Pio XII e le amnesie degli storici


La letteratura storica sulla seconda guerra mondiale è amplissima e ormai tratta in termini esaurienti la quasi totalità degli aspetti dell'evento bellico che stravolse non solo l'Europa, ma l'intero pianeta. Se poi esistono ormai numerosi lavori di buona divulgazione lo si deve anche al lavoro degli specialisti che hanno messo a disposizione una grande abbondanza di fonti scritte e orali, sia diplomatiche, sia private o memorialistiche. Tanto più forte quindi è la perplessità quando si toccano con mano indubbie negligenze e trascuratezze scientificamente ingiustificabili. È quanto osserva sul numero in uscita de "La Civiltà Cattolica" (15 maggio 2010) il gesuita Giovanni Sale leggendo il volume di Richard Overy - uno dei maggiori storici inglesi della seconda guerra mondiale - Sull'orlo del precipizio. 1939. I dieci giorni che trascinarono il mondo in guerra  (Milano,  Feltrinelli, 2009, pagine  158,  euro 14).  Il  volume che,  come  tiene  a  dire  Sale, coniuga  al  rigore  anche le ragioni della buona divulgazione, essendo scritto  in  modo  lineare  e comunicativo, sorprende spiacevolmente quando nella ricostruzione degli avvenimenti  che  condussero alla guerra  non  fa  mai  riferimento,  "neppure incidentalmente, all'attività svolta dalla Santa Sede in relazione ai fatti così meticolosamente ricostruiti".

Lo storico gesuita allude alla documentazione vaticana sulla materia raccolta nel primo degli undici volumi degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1965) che riporta l'attività svolta dalla Santa Sede e dal Papa durante il periodo del conflitto a partire dai primi mesi del pontificato pacelliano.
I fatti ricostruiti da Overy sono ben noti tanto per ciò che riguarda la questione polacca, la città di Danzica e le evidenti mire espansionistiche del Terzo Reich verso Est - il famigerato "spazio vitale" di Hitler - quanto per le reiterate profferte (solo verbali) di garanzie delle altre potenze europee nei confronti della Polonia. Già nella primavera del 1939 dopo l'occupazione di Praga e l'annessione dei Sudeti la prospettiva della guerra tra le potenze europee stava prendendo sempre più forma. Quanti avevano maggiormente a cuore le sorti della pace - dice Sale - come Pio XII e il presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt, cercavano con tutti i mezzi a disposizione d'incoraggiare le parti a trovare soluzioni di compromesso che consentissero di evitare una guerra.
Nel discorso di Pasqua del 9 aprile il Papa - eletto da un mese - spiegò "come le turbolenze dell'ora presente sembrassero foriere di mali ancora più gravi", le cui radici andavano cercate nella miseria di molti "nella mancanza di mutua compassione tra le nazioni, nella violazione dei patti sanciti e della parola data". L'intervento di Pio XII colpì moltissimo il presidente statunitense e nelle fonti vaticane pubblicate negli Actes et documents vi sono ampi riscontri di una serie di colloqui tra Stati Uniti e Santa Sede. Roosevelt peraltro sopravvalutava l'influenza della Santa Sede nello scenario europeo che invece, dopo la prima guerra mondiale non era nemmeno stata invitata - su richiesta del Governo italiano - a partecipare al tavolo dei negoziati di Versailles. La diplomazia vaticana aveva progressivamente perso terreno sul piano politico nella nuova Europa e si era concentrata soprattutto su questioni di natura ecclesiastica o religiosa quali a esempio la stipulazione di concordati. Proprio su questo campo i rapporti con la Germania nazionalsocialista si erano deteriorati a motivo delle forti denunce di Pio xi contro la politica anticattolica, anticristiana e antisemita adottata dal Terzo Reich. Dal 1935 - ricorda Sale - le note di protesta della Santa Sede inoltrate dal nunzio Cesare Orsenigo al Governo del Reich non erano neppure prese in considerazione.
E tuttavia Papa Pacelli non lasciò cadere nel vuoto la richiesta di Roosevelt  e  "di  altre  persone  di  buona volontà"  che  chiedevano al Papa di fare il possibile per scongiurare una guerra. In questo contesto si situa l'iniziativa di Pio XII di convocare una Conferenza "a cinque" tra le potenze europee. Il tentativo, caldeggiato dagli Stati Uniti, fu articolato, ma rimase senza esito. Gli sforzi del Papa furono giudicati dal sottosegretario agli Esteri americano Summer Welles "del più alto valore" non solo per la sua influenza morale, ma perché esercitati "nel momento in cui la tensione internazionale era tanto grave".
Padre Sale ricorda altre questioni, che pure dovrebbero essere ben note agli storici, quali la laboriosa preparazione del famoso appello del 24 agosto del 1939, all'indomani del patto Molotov-Ribbentrop, e soprattutto gli effetti immediati di quell'intervento che tanto colpì l'opinione pubblica mondiale da costringere lo stesso Hitler a rinviare di un settimana l'aggressione alla Polonia. Se l'attacco fosse scattato il 26, come doveva essere, il dittatore senza neppure dare l'impressione di voler evitare il conflitto, dopo il duro monito papale, si sarebbe addossato davanti al mondo l'intera responsabilità di una guerra disastrosa. "Ma di questo lo storico inglese non fa minimamente cenno", né tantomeno fa riferimento al grande sforzo posto in essere per mesi dalla diplomazia vaticana, per evitare che il mondo civile precipitasse nel baratro. Ancora oggi - epiloga padre Sale - parte della letteratura storica, "per partito preso o per motivazioni di ordine ideologico - trascurando anche il dato documentale", tende a svalutare o a disconoscere il ruolo etico-politico della Santa Sede in quei difficili anni. (raffaele alessandrini)


(©L'Osservatore Romano - 17-18 maggio 2010)
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