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Il Mancuso debole piace a tutti

Ultimo Aggiornamento: 12/07/2010 16:16
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Il Mancuso debole piace a tutti

Francesco Agnoli

Si intitola La vita autentica il nuovo saggio di Vito Mancuso, il teologo di maggior successo del mondo editoriale italiano. Mancuso torna alle origini, cioè pubblica con Raffaello Cortina, prestigiosa casa editrice che nel 2007 regalò il successo al suo L’anima e il suo destino.
Sembra quasi un tentativo di rifarsi una verginità intellettuale, dopo il volume “di cassetta” realizzato con Corrado Augias, Disputa su Dio (Mondadori), che lo trascinò, suo malgrado, in
un’imbarazzante polemica
.
Si trattava infatti di un testo scontato, in cui il credente Mancuso e l’ateo Augias, dopo aver identificato un nemico comune (la Chiesa cattolica), duellavano stando attenti, soprattutto, a non ferirsi. Poi scoppiò, grazie a Libero e al Foglio,
lo scandalo
: si scoprì che Augias, oltre alle numerosissime imprecisioni, alle forzature storiografiche e al procedere traballante, aveva prelevato di peso dalla rete, senza citare la fonte, un brano del sociobiologo E. O. Wilson. Augias si difese in modo impacciato, e Mancuso si dichiarò offeso e sminuito dal procedere poco “scientifico” del collega.
Eppure Mancuso, prima di Disputa su Dio e prima di divenire, sulle pagine di Repubblica, il teologo “cattolico” funzionale alla crociata antiberlusconiana, aveva esordito con un testo filosofico- teologico di un certo spessore e con articoli profondi sul Foglio.

Al bando l’oscurità

Dopo essere divenuto col tempo, e la fama, il giornalista qualunquista di Repubblica che spara un giorno sul papa e un giorno sul premier, mescolando sovente i due obiettivi con furore ideologico, deve aver pensato che tutto sommato non è male per un teologo tornare a parlare di “anima” e di questioni spirituali. È nato così il saggio La vita autentica. Anche questa volta il testo è potenzialmente appetibile al grande pubblico. Anche perché è scritto con eleganza e chiarezza. Bisogna riconoscere che l’autore sa essere accattivante e, soprattutto, sa schivare l’oscurità tipica di molti filosofi e teologi. In verità, però, nelle poche pagine del saggio, Mancuso esprime concetti piuttosto banali. Sostiene, a esempio, che l’uomo “autentico” è quello che «ama sopra ogni cosa la verità», e che per questo deve essere incline da una parte a «essere fedele a se stesso», dall’altra a «diffidare di sé», «a trascendersi», a riconoscere la propria miseria.
Un simile pensiero mi appare certamente condivisibile, anche se non è chiaro cosa alla fine Mancuso intenda per “verità”, e non vi sono mai esempi concreti, tratti a esempio dalla riflessione bioetica un tempo a lui cara, che lo rendano comprensibile. Si tratta di un modo di procedere tipico, questo, di un certo mondo cattolico progressista, che non rinuncia alle belle proposizioni di principio, ma omette poi di calarle nella realtà per non urtare nessuno. Insomma un pensiero debole, seppure non debolissimo, che può piacere a tutti, e che, se non piace, quantomeno non urta.
Un altro concetto trascinato per svariate pagine, anch’esso di massima condivisibile, è quello secondo cui la vita non è univocamente interpretabile in ogni momento allo stesso modo: essa ci mette talora dinanzi alla contemplazione di un ordine, di un’armonia, di un Mistero buono e provvidenziale, mentre in altri momenti sembra rivelarsi come assurda, insensata, piena di dolori e interrogativi inevasi. Proseguendo, Mancuso prende le distanze da molti campioni dello scientismo contemporaneo per i quali la casualità dell’esistenza umana e dell’universo, il fatto che «moriamo quindi per caso come per caso siamo nati» (Boncinelli), sarebbe dimostrabile scientificamente: non mancano illustrissimi scienziati contemporanei, nota, da Dyson a De Duve, che la pensano all’opposto e che riconoscono anche nell’universo fisico una finalità e un senso. Il centro di tutto, conclude allora Mancuso, «la dimensione peculiare in cui l’Io ultimamente consiste», «è la libertà», ed essa non può essere negata né dalle neuroscienze, che non la sanno né possono spiegare, perché «non possono pensare a prescindere dalla materia», né dalle svariate forme di determinismo che tendono a ridurre l’uomo alle sue componenti materiali («Non siamo riducibili ai neuroni, o alle ossa e ai nervi»).
La libertà, infatti, è per definizione «autonomia dalla materia», capacità dell’uomo di elevarsi sopra le sue determinazioni biologiche e istintive, a differenza delle pietre, delle piante e degli animali. Così, per una volta, il teologo torna a parlare quantomeno di anima, di verità, di bene, di libertà, le parole che forse, anche perché sempre più desuete, avevano affascinato i suoi primi lettori. Ma lo fa con quella leggerezza, si diceva, che sterilizza anche le idee più nobili e le rende sostanzialmente inerti. Come si declina, concretamente, la libertà? Quali sono, se ne ha, i suoi limiti? Esiste una Verità alla luce della quale giudicarla, cioè a essa superiore? Queste e altre domande fondamentali rimangono inevase, mentre al lettore, alla fine del libro, ne sorgono delle altre.

Un duplice volto

Qual è il Mancuso “autentico”? Quello che fu sacerdote di Santa Romana Chiesa, o quello che non perde occasione per gettare ogni sorta di veleno su di essa, criticando non l’infedeltà, inevitabile, di alcuni suoi membri, ma l’istituzione stessa? Quello vero è il Mancuso che
una volta scoperti i copia e incolla del suo amico Corrado Augias
, ne prende pubblicamente le distanze, o quello che continua a presentare con lui, in giro per il Paese, il fortunato (economicamente) libro scritto insieme?
L’autentico, ancora, è quello che si scandalizza per le avventure dongiovannesche del premier, e lancia pesanti anatemi contro chiunque semplicemente lo saluti, o quello che scrive su un quotidiano da sempre molto libertino, il cui fondatore Eugenio Scalfari, nell’autobiografia, racconta tranquillamente di aver fatto le sue prime esperienze col gentil sesso, per vincere la «timidezza», in un bordello? Quello vero è il teologo che ha rivendicato l’umanità dell’embrione e del feto, nei suoi scritti passati, o quello che dinanzi alla legalizzazione della Ru 486 finisce come sempre per prendersela col Papa e col governo?

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