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Alla Gregoriana un colloquio nel centenario della nascita del cardinale Johannes Willebrands (1909-2006)

Ultimo Aggiornamento: 19/11/2009 18:41
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Nella sua azione raccolse e sviluppò l'eredità spirituale del cardinale Agostino Bea

Architetto del dialogo tra ebrei e cristiani


di Pier Francesco Fumagalli

Esattamente il 19 novembre di 46 anni fa il cardinale Agostino Bea, del quale il cardinale Johannes Willebrands avrebbe raccolto e sviluppato l'eredità spirituale, presentava al concilio Vaticano II lo schema sull'ecumenismo che allora, nella sua prima stesura, includeva ancora i temi dell'ebraismo e della libertà religiosa. In quel primo testo le ampie tematiche dell'unità cristiana, dell'ebraismo e dell'antisemitismo, della libertà religiosa e dei diritti umani, comparivano solidamente intrecciate, secondo un criterio che guidò il concilio e lo rese capace di parlare all'uomo contemporaneo con un messaggio di particolare efficacia, dialogando con ogni cultura, etnia, religione o convinzione filosofica o civile.

È stato per me un dono prezioso poter collaborare direttamente, come segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo e poi come consultore, con il "cardinale del dialogo ebraico-cristiano" specialmente lungo sette anni - dal 1986 al 1993 - anni che furono particolarmente intensi perché seguivano immediatamente la storica visita compiuta da Papa Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986 al Tempio Maggiore degli ebrei romani. Furono anche anni di singolare importanza, perché nel 1989 videro la successione alla presidenza del Pontificio Consiglio per l'Unità del cardinale Edward I. Cassidy che prendeva il posto di Willebrands, mentre quest'ultimo continuava, come Presidente Emerito, a lavorare quotidianamente con grande impegno nell'ufficio a lui riservato nella sede del Palazzo della Congregazione Orientale che si affaccia su via della Conciliazione. Si poteva allora respirare nei corridoi e nelle piccole stanze di lavoro l'atmosfera originaria del concilio, e pareva ancora quasi di rivivere e risentire la voce del cardinale Bea intento a esporre ai Padri conciliari le grandi linee delle relazioni ebraico-cristiane, che Willebrands avrebbe magistralmente interpretato e applicato nei decenni seguenti.

L'azione di Willebrands risultò particolarmente efficace nell'istituire organismi e forme di azione comune. Fin dal 1970 istituì, insieme alle principali organizzazione ebraiche mondiali, l'International Catholic Jewish Liaison Committee. Questo Comitato misto internazionale continua a essere il principale strumento di dialogo tra Chiesa cattolica ed ebraismo, e ha prodotto in un quarantennio una serie di dichiarazioni e importanti documenti congiunti. Pochi anni dopo, nel 1974, Willebrands fu l'ispiratore dell'istituzione, da parte di Paolo VI, della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l'ebraismo, organo di fondamentale importanza per la promozione del dialogo e della collaborazione, in attuazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate.

Dei tre documenti finora pubblicati dalla Commissione della Santa Sede, i primi due recano la sua firma, e anche il terzo deve al cardinale l'intuizione programmatica. Da questi documenti sono derivate grandi conseguenze. La stessa continuità si può egualmente notare oggi, se riflettiamo sui "nuovi punti fermi per il dialogo ebraico-cristiano" nel pontificato di Benedetto XVI, come illustrati dal cardinale Kasper, punti che costituiscono altri passi in avanti maturati nella direzione indicata già da Willebrands.

Negli ultimi anni di attività il cardinale volle, infine, sottolineare in modo più esplicito alcuni valori, dimensioni e aspetti del dialogo ebraico-cristiano, che  lo  rendono  particolarmente  attuale oggi. Il fatto che tale dialogo si sia sviluppato nello scorso cinquantennio principalmente in Europa ne conferma la primaria dimensione europea, ma questo non lo limita bensì lo sospinge a responsabilità più ampie. Scrive il cardinale:  "Quando ci riferiamo all'Europa come "casa comune" e parliamo di "nuova evangelizzazione", non è possibile omettere il tema delle relazioni con il popolo ebraico, siano esse relazioni storiche, culturali o religiose. Motivazioni teologiche e storiche ma, in definitiva, convergenti, ci muovono a trattare l'argomento:  l'affinità spirituale che ci unisce e i duemila anni durante i quali la lunga vicenda delle nostre relazioni non è stata sempre facile.
Tutte queste ragioni rendono  urgente,  per  i  cristiani  e  gli ebrei, condividere le responsabilità, le sfide e le necessità del mondo contemporaneo".

Vorrei concludere con un pensiero alla notte, preludio della redenzione messianica. Pensando alla notte oscura della Shoah, da lui definita "una piaga che ancora sanguina", il cardinale soleva ricordare tra coloro che ne ispiravano la sua meditazione, Etty Hillesum, l'ebrea olandese che visse lungamente nel campo di Westerbork prima di essere vittima con l'intera famiglia dello sterminio ad Auschwitz. La lucidità intellettuale e spirituale, e la carità sofferta con la quale Etty visse in particolare l'ultima tremenda prova del campo di concentramento e poi del viaggio senza ritorno, la rendono prossima di altre simili esperienze come furono quelle di Edith Stein o di Janusz Korczak. La notte oscura non era però vissuta nella disperazione, ma alla luce dell'amore e della compassione, illuminata dalla speranza. Una fiammella tenue, ma tenace, come il grato ricordo che oggi ci unisce mentre ripensiamo alla fede che ha sostenuto il cardinale Johannes Willebrands nell'impegno di amore verso i "fratelli prediletti" del popolo d'Israele, il popolo fedele all'Alleanza divina rivelata al Sinai, dopo la notte e dopo il mare oscuro, da Mosè. Insieme a loro, a fianco di tutti gli uomini e donne di buona volontà, ci sentiamo in cammino sulle strade del Messia.


(©L'Osservatore Romano - 20 novembre 2009)
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