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Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra alla revisione del concordato (1914-1984)

Ultimo Aggiornamento: 24/02/2010 19:20
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Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra alla revisione del concordato (1914-1984) in un volume di Roberto Pertici

La lezione del dialogo


Presentato il 3 dicembre presso il Senato della Repubblica italiana il volume di Roberto Pertici Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984), (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 896, euro 55). Pubblichiamo stralci del discorso del cardinale segretario di Stato e uno degli interventi.

di Tarcisio Bertone

Due sovranità - quella della Repubblica italiana e quella del Sommo Pontefice, Capo visibile della Chiesa cattolica - convivono oggi in maniera pacifica e, anzi, hanno fra loro intensi rapporti di collaborazione. Tutto ciò è stato però raggiunto dopo un cammino non facile, partendo da posizioni che sembravano antitetiche e perciò irriconciliabili, che il Santo Padre così sintetizzava:  "Da una parte, l'Italia anelava a comporsi in uno Stato unitario e, dall'altra, la Santa Sede era preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale" (Discorso per la visita ufficiale al Quirinale, 4 ottobre 2008).

Per alcuni decenni si è protratto questo contrasto, che non è stato solo fra due parti distinte, ma che ha costituito motivo di interiore lacerazione, soprattutto per tanti cattolici italiani, come tali amanti sinceri della loro Patria, ma non meno fedeli al vicario di Cristo. È di qui, da quello che in questo volume si definisce il "prologo risorgimentale", che prende le mosse il volume, per accompagnarci a ripercorrere quel cammino che parte dalla soluzione della Questione romana con i Patti lateranensi del 1929.

Essi furono un punto d'arrivo, ma allo stesso tempo affermarono quel principio regolatore delle relazioni Chiesa-Stato che ha poi trovato nuova e più completa formulazione nell'articolo 7 della Costituzione italiana e, a livello bilaterale, nell'Accordo del 1984 di modifica del Concordato lateranense. E non si può qui dimenticare anche l'altro apporto decisivo, che è venuto dall'insegnamento del concilio Vaticano ii sui rapporti fra la Chiesa e la comunità civile, soprattutto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo e nella Dichiarazione Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Non a caso il citato Accordo del 1984 fa esplicito riferimento, nelle sue premesse, alla Costituzione italiana e al concilio Vaticano ii.

Ma la peculiarità del volume che viene presentato sta nel fatto che esso affronta il tema del rapporto Chiesa-Stato, nei settant'anni che vanno dalla prima guerra mondiale all'Accordo di Villa Madama, da una prospettiva particolare e di grande rilevanza. Vengono infatti ripercorsi i grandi dibattiti del Parlamento e dell'Assemblea Costituente in occasione della ratifica dei Patti lateranensi e dell'Accordo del 1984 e dell'approvazione dell'articolo 7 della Carta Costituzionale. Il volume in sé, dopo l'ampia analisi del professor Pertici, riporta solo alcuni documenti; tuttavia, grazie agli sviluppi della tecnica, l'allegato cd-rom mette a disposizione una mole ingente e di grande interesse di riferimenti, che altrimenti avrebbe richiesto vari volumi.

Dunque, grazie a quest'opera ci accostiamo anche al Parlamento e alle sue funzioni. A me interessa rilevare, non tanto l'essenziale funzione legislativa che questo organo svolge, ma mettere in luce, soprattutto, come ogni Parlamento, e in questo caso il Parlamento italiano, sia luogo di incontro e di dibattito fra persone e posizioni filosofico-culturali diverse. Infatti, se esaminiamo gli interventi dei parlamentari a proposito di queste tre grandi tappe del rapporto fra la Chiesa e lo Stato in Italia, cogliamo come in essi si esprima - per dirlo con le espressioni usate dal presidente Schifani - "la pluralità di orientamenti politici, culturali e religiosi" della società italiana. Mi riferisco, in particolare, ai tre grandi filoni di pensiero che hanno dato e ancora danno l'impronta alla vita politica dell'Italia:  quello liberale, quello socialista e quello cattolico. A loro volta, queste posizioni vengono esposte e difese nei dibattiti parlamentari da uomini e donne, che sono stati in molti casi i grandi protagonisti della vita della società e, talvolta, anche della Chiesa in Italia nei passati decenni. Senza volerli ricordare tutti, non posso però tacere il fatto che per alcuni di essi - è il caso di Alcide De Gasperi e di Giorgio La Pira - sono state avviate le cause di canonizzazione, a riprova che l'impegno politico è anche per un cristiano, come disse Paolo VI, un modo arduo e complesso di vivere la carità (cfr. Esortazione Apostolica Octogesima adveniens, n. 46).

Attraverso gli atti parlamentari relativi al dibattito che precedette l'approvazione della nuova Costituzione repubblicana o la ratifica dell'Accordo di modifica del Concordato lateranense, sapientemente commentati e inquadrati da quest'opera, si assiste al confronto fra uomini e posizioni di pensiero fra loro diverse e, in alcuni punti, antitetiche. Ciò che colpisce è come si sia trovato un consenso, che non è un compromesso al ribasso, ma che, in ultima analisi, esprime "il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso" (Discorso del presidente Giorgio Napolitano al Santo Padre, 4 ottobre 2008) e, quindi, della profonda identità del popolo italiano. E questo non necessariamente a partire da una condivisione di fede, ma in forza di un corretto apprezzamento del ruolo del cattolicesimo nella plurisecolare vicenda storica della nostra penisola e dell'Europa.

Ma questo non può essere soltanto un motivo di compiacimento per la saggezza umana e politica dei protagonisti di quelle vicende parlamentari, bensì deve diventare un'indicazione di metodo, tuttora valida. Anche oggi, nella società e in Parlamento sono presenti posizioni di pensiero fra loro diverse e, non di rado, configgenti; anche oggi si pongono grandi sfide, che il Santo Padre Benedetto XVI vede "rappresentate dalle guerre e dal terrorismo, dalla fame e dalla sete, dalla estrema povertà di tanti esseri umani, da alcune terribili epidemie, ma anche dalla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e dalla promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e prima responsabile dell'educazione" (Discorso di Benedetto XVI al presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, 20 novembre 2006). E allora mi chiedo:  quando si tratta di affrontare questioni legate alla presenza pubblica della religione e della Chiesa e, più ancora, quando si discutono delicati temi di carattere etico, che toccano la persona, la sua dignità, il suo legame essenziale alla famiglia, la sua fragilità, all'alba e al tramonto dell'esistenza terrena o davanti alle insidie della violenza e della povertà, non può giovare il ritornare alla lezione che ci viene dalle vicende riproposte nelle pagine di questo volume? Si tratta, cioè, di percorrere quella che il presidente Schifani, con felice espressione, denomina "la via del patriottismo costituzionale". Si potrebbe dire che bisogna operare guidati dalla ragione umana, che accomuna tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, secondo le regole della convivenza democratica.


(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)
[Modificato da S_Daniele 04/12/2009 06:34]
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Nuovi studi su un problema vecchio


di Gianpaolo Romanato

Una felice iniziativa dell'Archivio storico del Senato e un'intelligente, amplissima ricerca di Roberto Pertici sono riusciti a conseguire il non facile risultato di fornirci un libro nuovo su un problema vecchio. Vecchio addirittura più dell'Italia unita, se è vero che la Questione romana iniziò con l'allocuzione di Pio IX del 29 aprile 1848, quella del non possumus alla guerra federale all'Austria.

Su questo tema, sul quale si sono cimentati nell'arco di un secolo e mezzo i migliori uomini di cultura italiani, si sono svolti in Parlamento dibattiti memorabili per respiro storico, acume giuridico, tensione morale, sicuramente tra i più alti di tutta la nostra storia parlamentare.

Il filo conduttore dello studio di Pertici sono appunto questi interventi, sintetizzati nel volume e riportati per intero nel cd allegato al libro:  dal discorso al Senato di Croce del 1929, l'unico discorso di opposizione ai Patti del Laterano, con il celebre inciso sul primato della coscienza rispetto al potere, a quello di Mussolini, con la ben nota invettiva sugli "imboscati della storia", riferita appunto al filosofo napoletano.

E il dibattito che si svolse alla Costituente, quando si arrivò a discutere quello che sarebbe diventato l'articolo 7, non fu da meno. Vanno ricordati almeno gli interventi di Calamandrei e Orlando, che smontarono con logica stringente tutta la costruzione giuridica che aveva presieduto alla formulazione dell'articolo; quello di Giuseppe Dossetti, che rimontò quella formulazione con argomentazioni non meno severe e conseguenti; e poi i due grandi discorsi di De Gasperi e Togliatti, che scavalcarono il livello del diritto, posero il problema dei rapporti Stato-Chiesa sul piano loro proprio, quello politico, e dimostrarono che la politica, su un tema tanto arduo, era assolutamente sovrana, portatrice di diritti che venivano prima del diritto.

Ciò che in fondo era già avvenuto nel 1871, quando furono varate le Guarentigie, un'acrobazia dal punto di vista strettamente formale, ma anche un monumento di saggezza, secondo la ben nota definizione crociana.

Questa meticolosa ricerca di Pertici è molto chiara nell'indicazione del problema che rese sempre ardua la Questione romana, prima e dopo i Patti lateranensi. Lo scoglio non era la rivendicazione del potere temporale, una rivendicazione che perdette ogni importanza con il tramonto del pontificato di Leone XIII, scomparso nel 1903. Lo scoglio era dato dall'autocomprensione che la Santa Sede ebbe sempre di se stessa come "ordinamento giuridico originario", per usare il linguaggio tecnico di Dossetti, o come soggetto internazionale sovrano, per dirla più chiaramente, oppure, per usare un'espressione più immediata e più direttamente percepibile, di essere uno Stato fra Stati. L'autore ci ricorda che Pio xi accettò di ridurre al minimo la pretesa territoriale, accontentandosi di un territorio in miniatura, simbolico, soltanto quando ebbe la garanzia del riconoscimento della statualità.

Questa autocomprensione della Chiesa romana non era basata, quindi, sull'idea del potere temporale ma sulla storia e la funzione dell'istituzione ecclesiastica, sulla natura del diritto canonico, sul consenso internazionale che l'aveva sempre accompagnata. Un consenso che - lo dimostrò a suo tempo un giurista insospettabile come Federico Cammeo, un israelita che poi sarà vittima delle leggi razziali - non venne meno neppure dopo il 20 settembre, dal momento che numerosi Stati mantennero la loro rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede anche nel periodo compreso fra il 1870 e il 1929, cioè nel sessantennio in cui la sede pontificia aveva perduto il requisito principale della statualità, cioè il territorio. Non a caso Pio X, cioè il Pontefice che lasciò cadere ogni nostalgia per il potere temporale, eletto nel 1903, varò il progetto del Codex Iuris Canonici, entrato poi in vigore nel 1917. Solo un'istituzione pienamente cosciente della propria personalità sovrana, della propria autonomia giuridica, starei per dire della propria forza politica e morale, poteva dotarsi di un codice di leggi del tutto analogo a quello degli Stati postrivoluzionari proprio negli anni in cui la sua statualità, dal punto di vista formale, era diventata incerta e problematica.

Ciò che importava era dunque la statualità come forma politica, non come dimensione territoriale di potere. Tale esigenza divenne urgente e indilazionabile quando fu eletto al papato Achille Ratti, nel 1922, che prenderà il nome di Pio XI. Erano passati tre anni dalla fine della guerra e si stava rivelando tutta la fragilità dei trattati di pace sottoscritti a Parigi, soprattutto nell'est europeo dove il crollo dei tre imperi - asburgico, tedesco e zarista - aveva scavato un baratro territoriale e politico di cui per molte ragioni stiamo ancora scontando le conseguenze. Nell'area immensa che andava dal Mar Baltico al Mar Nero si tentò di far nascere l'embrione di una nuova Europa, con la costituzione di molti nuovi Paesi (Finlandia, Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Austria, Jugoslavia), nessuno dei quali era mai esistito prima con i confini stabiliti allora, e con il rifacimento territoriale della Romania, che raddoppiò il proprio territorio.

Ma il dopoguerra stava dimostrando che gli equilibri geopolitici non si costruiscono a tavolino, creando, componendo o scomponendo entità statuali ipotetiche. E infatti la Santa Sede guardò con particolare attenzione a questa nuova Europa, dalle fondamenta incerte e precarie, nella quale si intrecciavano il cattolicesimo (di rito latino e orientale), l'ortodossia e le Chiese riformate, preoccupata dalla nascita di due problemi nuovi e imprevisti:  il nazionalismo politico fondato su basi confessionali e la tendenza emergente nei nuovi regimi a impadronirsi della tradizione asburgica della Chiesa di Stato.
Perché ricordo tutto questo? Perché Achille Ratti trascorse tre anni nella polveriera orientale, proprio alla vigilia dell'elezione papale, e li trascorse in quello che era verosimilmente l'occhio del ciclone della nuova Europa postbellica, cioè in Polonia, un Paese stretto fra l'aggressione della Russia bolscevica, la precarietà dei nuovi confini e i plebisciti per le regioni contese. In Polonia Ratti fu visitatore e poi nunzio apostolico dal 1918 al 1921. Tre anni drammatici, durante i quali rischiò addirittura l'espulsione dal Paese, perché accusato dai tedeschi di essere filopolacco e dai polacchi di essere filotedesco.

Quando fu eletto Papa, pochi mesi dopo il suo rientro in Italia, era perciò fermamente convinto che proprio la condizione di fragilità diplomatica e politica in cui si trovava la Santa Sede, già ampiamente emersa negli anni tragici della guerra, rendesse problematico il rapporto della Chiesa con il nuovo ordinamento politico del continente, che oltre tutto stava dovunque scivolando verso regimi autoritari. La politica concordataria, che ritenne l'unica idonea a fronteggiare la situazione, avrebbe avuto successo - tanto nei confronti dei Governi quanto nei confronti degli episcopati nazionali, tutt'altro che ben disposti verso l'autorità romana - solo se la Santa Sede fosse stata garantita da una condizione di piena autonomia che, riconoscendone il ruolo e il rango sul piano internazionale, la legittimasse come interlocutore alla pari con i vari Governi.

Per conseguire questo obiettivo era assolutamente indispensabile recuperare una qualche forma di sovranità territoriale, sia pure minima, sia pure simbolica, ma tale da reinsediare il papato nel consesso delle nazioni come soggetto di diritto internazionale autonomo e pienamente sovrano. Di qui il suo irrigidimento in tutta la lunga, sfibrante trattativa che precedette la sottoscrizione dei patti, sottoscrizione che divenne possibile - come ci dice Pertici - soltanto quando Mussolini accettò la dizione "Stato della Città del Vaticano", dizione che compare per la prima volta nella bozza del 31 gennaio 1929, undici giorni prima della sottoscrizione definitiva.

Anche in questo decisivo frangente, dunque, per comprendere le ragioni vaticane è buona norma tener conto del contesto internazionale più che di quello italiano. Un'istituzione che deve tutelare i propri legittimi interessi nei cinque continenti va considerata in un'ottica globale e non secondo angolature parziali. Per questo motivo sono d'accordo con l'autore quando afferma che i Patti lateranensi non dimostrano l'affinità innata della Chiesa con il fascismo, come sostiene una diffusa storiografia, ma soltanto la fedeltà della Chiesa a se stessa e alla sua natura, la sua capacità, di approfittare di ogni occasione e di ogni interlocutore per conseguire il risultato voluto.
Per venire poi al periodo costituente, la rigidezza con cui la Santa Sede difese l'idea della costituzionalizzazione dei Patti del 1929, in taluni casi imponendo la propria strategia ai parlamentari democristiani, derivava dalla stessa preoccupazione:  cioè dal timore che nelle incertezze del dopoguerra si potesse rimettere in discussione il risultato conseguito allora.

Un'ultima considerazione. Ciò che stupisce, in questa secolare vicenda, è la capacità della Chiesa di rinascere quasi dalle sue ceneri. Pochi, dopo il disastro del 1870, che interruppe addirittura un concilio, sarebbero stati disposti a scommettere su un luminoso futuro della Santa Sede. E invece, già durante la prima guerra mondiale troviamo un papato capace di parlare alle nazioni con il linguaggio del futuro:  penso alla Nota alle potenze belligeranti di Benedetto XV dell'agosto 1917. Mentre nel secondo dopoguerra assistiamo addirittura a una stagione di trionfo ecclesiastico senza precedenti, una stagione durante la quale - come scrive Pertici in una pagina da leggere, mi sembra in filigrana - "l'elemento confessionale ebbe una visibilità quale non aveva mai avuta nella precedente storia italiana". Una visibilità, aggiungo io, sicuramente eccessiva. E infatti, a chi sapesse guardare lontano era chiaro che quella che trionfava in Italia negli anni Cinquanta era l'istituzione più che la convinzione di fede, già prossima, quest'ultima, a indebolirsi sotto i colpi dell'avanzante secolarizzazione.

In questa lunga storia, nella quale pure non mancarono asprezze, risentimenti ed eccessi, da una parte e dall'altra, non venne mai meno, però, la volontà di giungere ad accordi capaci di accontentare, sul filo della politica prima ancora che del diritto, l'uno e l'altro dei contendenti. Non venne meno dopo il 20 settembre quando si vararono le Guarentigie, non venne meno nel 1929 quando si produssero i Patti del Laterano, non venne meno alla Costituente quando i due grandi partiti popolari, il cattolico e il comunista, si accordarono per la formulazione dell'articolo 7, non venne meno negli anni del centro-sinistra e in quelli successivi, quando si stava producendo la grande trasformazione della società italiana e si giunse al completo rifacimento delle norme concordatarie, completate dalle intese con le altre confessioni religiose.

Risolvere il problema della convivenza di due poteri indipendenti in una medesima città - l'unica città al mondo che è sede di due Stati, di due Governi, dove ciascun Paese è presente con due distinte rappresentanze diplomatiche - non è stato facile nel passato e non lo sarà, verosimilmente, neppure nel futuro. Ma il metodo del dialogo, su cui insiste il presidente del Senato nell'introduzione al libro, come ha risolto le difficoltà nel passato, così potrà risolverle anche nel futuro.


(©L'Osservatore Romano - 4 dicembre 2009)
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05/12/2009 07:05




L'Italia come laboratorio nei rapporti tra Stato e Chiesa

Distinzione e collaborazione nel solco della Costituente


La presenza al Senato della Repubblica italiana del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, alla presentazione, il 3 dicembre, del volume di Roberto Pertici Chiesa e Stato in Italia dalla Grande Guerra al nuovo Concordato (1914-1984) - (Bologna, il Mulino, 2009, pagine 896, euro 55 - dimostra "come il rapporto tra Italia e Santa Sede sia solido, stabile e rappresenti per tutti una ricchezza da salvaguardare". Lo ha sottolineato il presidente del Senato, del quale pubblichiamo l'intervento, dopo avere letto un messaggio di saluto del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano.

di Renato Schifani


L'iniziativa di oggi - che si svolge nella stessa sala dove l'allora cardinale Ratzinger tenne la lectio magistralis sulle radici cristiane dell'Europa, il 13 maggio 2004 - segna, in una qualche misura, l'evento di chiusura dell'ottantesimo anno dalla conclusione dei Patti lateranensi e del venticinquesimo anno dalla sottoscrizione dell'Accordo di modifica del Concordato. Ed è questo anche il novantesimo anno dalle intese realizzate nel 1919 a Parigi dal presidente del consiglio Orlando e dall'inviato di Benedetto XV, monsignor Cerretti.

Intese che hanno rappresentato un fattore decisivo per la successiva sottoscrizione dei Patti lateranensi e che, a distanza di tempo, possiamo affermare siano state il vero punto di saldatura tra l'eredità, la cultura dello stato liberale e la futura Repubblica, ossia la cerniera con quel prologo risorgimentale, del quale Roberto Pertici ripercorre nel libro le fasi storiche più significative. 

La tappa del 1919 non va dimenticata, né circoscritta come fatto isolato. In realtà, è proprio la storia a sfatare l'equivoco di considerare la cultura liberale e il liberalismo come filosofie alternative o incompatibili con il sentimento religioso. Anzi, con una novità significativa rispetto al passato, è proprio Benedetto XVI a condividere il ragionamento per il quale "all'essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell'immagine cristiana di Dio" e lo stesso "liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento".

Il legame tra Stato e Chiesa, che in Italia si è sviluppato lungo la traiettoria del doppio binario della distinzione e della collaborazione, è patrimonio di tutti i cittadini, dell'intera Nazione.

Il momento più alto del percorso di saldatura e sintesi dell'esperienza nazionale è rappresentato dal dibattito costituente. La civile convivenza fu in quella circostanza un valore fondamentale che ispirò i padri costituenti e venne alimentata da un senso di appartenenza dove, nel reciproco riconoscimento e rispetto delle diverse sensibilità, si sviluppò la piena consapevolezza della propria identità. Palmiro Togliatti, nel motivare il proprio voto sull'inserimento in Costituzione del richiamo ai Patti lateranensi, usò parole coraggiose e lungimiranti:  "La nostra lotta è la lotta per la rinascita del nostro Paese, per il suo rinnovamento politico, economico e sociale (...) vogliamo si realizzi l'unità politica e morale di tutta la Nazione. Disperdiamo le ombre le quali impediscono la realizzazione di questa unità! (...) Siamo convinti (...) di compiere il nostro dovere (...) verso il popolo italiano, verso la democrazia e la Repubblica, verso la nostra Patria". E in un passaggio precedente, legò "le libertà di coscienza, di fede, di culto, di propaganda religiosa e di organizzazione religiosa" intese come "libertà democratiche fondamentali", alla soluzione definitiva della Questione romana data dai Patti lateranensi.

Il sentirsi parte di una comunità, considerare la storia del proprio Paese come la propria storia, il suo destino come il proprio destino, non significa fare dell'identità un vessillo contro qualcuno, ma un ponte gettato verso le future generazioni per la costruzione di una duratura e reale pacificazione, capace di superare steccati ideologici e pregiudizi.

La storia del nostro Paese rappresenta un modello da seguire. Rispetto e reciprocità non significano abbandono della propria tradizione, della propria cultura, della propria storia, ma al contrario identità. Non una identità chiusa in se stessa e autoreferenziale, ma un'identità arricchita, che sa dialogare e confrontarsi proponendo i propri valori ed esperienze, e sa anche ascoltare, accogliere, migliorare. Il rischio è quello di voler dimenticare e di offuscare le proprie radici, confondendo il rispetto con l'indifferenza. Quando l'incontro con una cultura diversa, che mantiene una propria caratterizzazione forte, contrasta con quel tentativo di accantonare le ragioni storiche della propria identità, si ingenerano reazioni confuse.

Lo scontro tra campanili e minareti non si sviluppa infatti dentro l'ambito religioso, ma entro un campo prevalentemente politico. Non serve criticare il giorno dopo, ma è necessario dapprima comprendere come al fondo della questione, per nulla banale, vi sia proprio quel disconoscimento forzato al simbolo religioso, da ultimo il crocifisso, del suo valore religioso, storico e culturale. Nel tempo, può portare alla cecità lo strabismo del quale sembriamo talvolta affetti noi europei, quando ci allarmiamo per il referendum in Svizzera sui minareti e restiamo invece silenti rispetto alle pronunce sul crocifisso nelle scuole.

Quando si disconosce il valore storico e culturale di un simbolo religioso si rischia oggettivamente di farne un simbolo politico, oltrepassando la linea di confine fondamentale tra religione e Stato che sta alla base della stessa libertà religiosa. È proprio dall'affermazione della reciproca autonomia tra mondo politico e religioso, che, con le parole di Benedetto XVI, "l'identificazione di religione e Stato, divinità e Stato, (...) quasi necessaria per dare stabilità allo Stato", è stata superata nella prospettiva delle libertà individuali e collettive.

Riconoscere che "non esiste un'opinione politica che sia l'unica giusta", che non c'è una dottrina o progetto politico, per così dire, "assoluto", significa comprendere come "il mondo politico è il mondo della nostra ragione pratica dove, con i mezzi della nostra ragione, dobbiamo trovare le strade. Bisogna lasciare proprio alla ragione umana di trovare i mezzi più adatti e non assolutizzare lo Stato". Rifuggire dalla tentazione di contrapporre il realismo dei politici all'utopismo degli intellettuali è allora indispensabile, per costruire uno spazio che sia aperto al confronto, senza diventare per questo uno spazio vuoto.

L'esperienza italiana è preziosa, perché non ha mai negato il significato pubblico del fatto religioso e ha inteso la reciproca indipendenza e autonomia di Stato e Chiesa come il criterio fondativo di una solida convivenza. La laicità delle istituzioni non può essere interpretata come separatismo, né in una visione antagonistica o di indifferenza.

Anzi, come afferma il Santo Padre, è proprio dalla "distinzione tra l'ambito politico e quello religioso" che è possibile "tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, d'altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, assieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo della società".

Il senso di una laicità positiva risiede nel rispetto verso ogni sensibilità che sappia offrire ragioni, per così dire, pubbliche, con un linguaggio fondato sulla comune appartenenza al genere umano.
Confondere pertanto il tema delle radici spirituali dell'Europa con la pretesa di separazione della sfera pubblica da quella religiosa è di per sé ingannevole, anzi può rivelarsi nel tempo foriera di scontri e contrapposizioni politiche, rispetto ai quali dobbiamo tutti interrogarci.

La separazione tra Stato e religione non è messa in alcun modo in discussione.
Con le parole del presidente Giorgio Napolitano, serve proporre un "senso della laicità dello Stato (...) che abbraccia il riconoscimento della dimensione sociale e pubblica del fatto religioso", ricordando che la religione non è soltanto un fenomeno di culto, ma anche un elemento di identità culturale. Solo in questo modo si può evitare di "dare all'umanità la sensazione di essere sola nell'universo", permettendo a ogni cittadino di sentirsi non semplice spettatore, ma protagonista e responsabile del proprio e dell'altrui destino.


(©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2009)
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24/02/2010 19:20

Una raccolta della normativa pattizia

Chiesa e Stato in Italia tra Costituzione e laicità


di Michele Madonna
Università di Roma Tor Vergata


Il vigente Concordato del 1984 tra Chiesa cattolica e Stato italiano ha dato un impulso notevole allo sviluppo della collaborazione tra autorità civili e religiose e all'evoluzione della normativa pattizia. La sua struttura di accordo "quadro", che, in più di un caso, adotta norme generali o di principio, prevedendone il completamento con successivi accordi, ha infatti favorito l'instaurarsi di una sorta di "negoziazione permanente" tra organi civili ed ecclesiastici, e un'estensione significativa delle fonti bilaterali. L'accordo di Villa Madama ha indicato anche la Conferenza episcopale italiana tra i soggetti protagonisti, in alcune materie, delle relazioni della Chiesa cattolica con lo Stato. Si tratta di uno degli aspetti più originali ed innovativi della nuova legislazione concordataria, che appare peraltro in linea con l'invito rivolto nel 1980 da Giovanni Paolo ii alla Cei di assumere "proprie e autonome responsabilità" per la "valorizzazione di tutte le forze presenti nella comunità ecclesiale in Italia". In tempi recenti, si è assistito, inoltre, a un intenso sviluppo di accordi conclusi tra regioni ed enti locali, e competenti autorità ecclesiastiche, in primis le conferenze episcopali regionali. Tale ultimo fenomeno è essenzialmente legato alla progressiva evoluzione in senso regionalistico dell'ordinamento giuridico italiano e alla contestuale maggiore valorizzazione delle autonomie locali.

A questo variegato panorama di fonti normative di origine pattizia è dedicato il recente volume, La Chiesa cattolica in Italia. Normativa pattizia (Milano, Giuffrè, 2009, pagine 606, euro 64) a cura di Isabella Bolgiani, promosso dal Centro studi sugli enti ecclesiastici (Cesen) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, diretto da Giorgio Feliciani. Si tratta della prima raccolta completa degli accordi, attualmente vigenti, conclusi tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica - e le loro rispettive articolazioni. L'opera si apre con un ampio saggio della curatrice, che analizza con attenzione il complesso sistema delle fonti bilaterali, mettendone in risalto le principali dinamiche e prefigurandone possibili linee evolutive. Le fonti sono ripartite in tre sezioni. La prima contiene gli "Accordi tra Italia e Santa Sede", da quelli di carattere generale (Trattato lateranense e Concordato del 1984) a quelli su specifiche materie - enti e beni ecclesiastici, sostentamento del clero, riconoscimento civile delle festività religiose, riconoscimento dei titoli accademici pontifici. Nella seconda sezione sono raccolte le "Intese tra competenti autorità dello Stato e Conferenza episcopale italiana", in tema di assistenza spirituale, beni culturali di interesse religioso, e insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. La terza è dedicata agli accordi conclusi a livello regionale, in materia di assistenza spirituale, patrimonio culturale religioso, e oratori. Il volume è arricchito da un'appendice contenente le fonti unilaterali richiamate, in via diretta o implicita, dalle disposizioni bilaterali, nonché la normativa statale (unilaterale) integrativa o attuativa della disciplina dettata dagli accordi. Inoltre, in un'apposita pagina web - consultabile all'indirizzo www.olir.it/cesen - anch'essa curata da Isabella Bolgiani, sono reperibili in tempo reale tutti gli aggiornamenti dei documenti pubblicati, ciò in considerazione del costante divenire delle fonti di origine pattizia.

L'opera, di grande interesse non solo per giuristi e operatori, ha il pregio di offrire un significativo quadro della "collaborazione" tra Stato e Chiesa "per la promozione dell'uomo e il bene del Paese", sancita dall'articolo 1 dell'Accordo del 1984. Un impegno quest'ultimo che assume senza dubbio un rilievo centrale, non solo alla luce degli insegnamenti del concilio Vaticano ii sui rapporti tra Chiesa e comunità politica, ma anche dei principi della Costituzione italiana. Infatti, il concetto di "laicità", che emerge da una lettura sistematica degli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Carta fondamentale, implica - come affermato dalla Corte costituzionale - "non indifferenza (...) dinnanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in un regime di pluralismo confessionale e culturale". In tal senso, la cooperazione tra autorità civili e religiose, nella distinzione dei rispettivi ordini, non può che apparire, come ben rilevato dalla curatrice nel saggio introduttivo e contrariamente a opinioni largamente diffuse, "una delle forme più significative di attuazione" del principio di laicità.



(©L'Osservatore Romano - 25 febbraio 2010)
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