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Nuovi studi su Pio XI dopo l'apertura degli Archivi vaticani

Ultimo Aggiornamento: 17/04/2010 13:11
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Nuovi studi su Pio XI dopo l'apertura degli Archivi vaticani

Un decisionista pronto ad ascoltare tutti


Si è svolto a Napoli per iniziativa dell'Istituto di storia del cristianesimo della Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia meridionale un convegno, in collaborazione con la Pontificia Università Gregoriana, sull'uso pubblico della storia del cristianesimo nel XX secolo. Pubblichiamo stralci di una relazione.

di Roberto Regoli

Pio XI e il suo pontificato hanno suscitato interesse tanto tra i contemporanei, quanto nelle generazioni successive. Diverse pubblicazioni hanno visto la luce già durante il tempo del suo governo della Chiesa. La storiografia non si è attardata a dare definizioni sulla persona e l'azione del Papa. Si sono cercate parole riassuntive per interpretare il senso del pontificato, così si è scritto del Papa delle missioni, del Papa dei concordati e dei Patti lateranensi, del Papa dei totalitarismi, come anche del Papa alpinista e bibliotecario.

A causa della duplice apertura degli Archivi vaticani (2003 e 2006), che ha messo a disposizione la documentazione del pontificato Ratti, si sono sviluppati alcuni filoni di ricerca storica:  relazioni fra la Santa Sede e un determinato Paese, il funzionamento interno dell'amministrazione pontificia e ricerche che vanno oltre i limiti della storia della Chiesa (storia intellettuale, culturale, sociale, politica e così via). All'interno dello studio amministrativo e prosopografico della curia si è sviluppato recentemente un filone di ricerca che è fonte di vivaci confronti fra studiosi:  il rapporto tra Pio XI e la sua curia, più propriamente con il suo segretario di Stato Eugenio Pacelli, futuro Pio XII. Il filone dei rapporti tra Papa e suoi collaboratori in generale ha preso avvio in tempi recenti, ma per il nostro periodo ha assunto caratteri molto marcati solo all'inizio del XXI secolo. I quattro filoni sono a volte ben distinti, ma spesso sono tra loro confusi e sovrapposti, così come le vicende storiche che intendono descrivere e comprendere.

La storiografia recente sul pontificato di Pio XI è spesso soffocata o per lo meno condizionata da quella del pontificato a lui successivo (Pio XII). Il rapporto con la Germania hitleriana e con l'Italia fascista predomina sul resto della produzione. Il rapporto tra Pio XI e Pacelli è condizionato al successivo giudizio Chiesa-Shoah. Le tematiche da trattare sono in parte dettate dalla storiografia pacelliana. Significativamente gli studi più recenti si sono soffermati sull'ultimo periodo del pontificato di Ratti, quando in lui si avverte un certo cambiamento di giudizio rispetto al mondo circostante. È in questo momento che si sottolineano le differenze tra il Papa e il suo segretario di Stato. Tale visione dipende anche dalla sensibilità legata al concilio Vaticano II e alle domande che esso pone all'oggi ecclesiale e dipende pure dalle successive sensibilità culturali. In questa storiografia serpeggia il rischio dell'anacronismo; soprattutto quando si parla di occasioni perse di pronunciamenti incisivi del papato.

In questo contesto di ricerca in fieri, vogliamo ora presentare alcune note all'attuale dibattito, rifacendoci alle fonti vaticane. A proposito del caso del cardinale Mundelein, spesso citato nella storiografia, bisognerebbe guardare il verbale della sessione della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari tenuta il 20 giugno 1937 a Castel Gandolfo alla presenza del Papa. Durante la riunione Pio XI protegge il suo segretario di Stato, Pacelli, di fronte agli altri cardinali:  "Circa il Cardinale Nostro Segretario di Stato, per cui non vi è elogio che basti, dobbiamo dire che se vi è durezza nei suoi scritti, l'abbiamo voluta Noi". Nello stesso intervento il Papa fa delle dichiarazioni che smentiscono tutta l'interpretazione "solitaria" della sua persona e dell'ultima fase del pontificato:  "È bontà del Signore farci constatare il mirabile consenso del S. Collegio".

Se attingiamo ancora alla fonte dei verbali delle sessioni cardinalizie della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, emerge la modalità di governo del Papa:  interventismo nei diversi affari. Il Papa non si lascia condizionare. Chiede consigli, pareri, ma, quando ha chiarezza, interviene e addirittura corregge. Non si  può aggirare il Papa.
Gli interventi di Pio XI sulle decisioni della Congregazione avvengono soprattutto al tempo in cui è segretario di Stato il cardinale Gasparri, mentre diminuiscono notevolmente sotto Pacelli, quando addirittura per un settennio non si hanno interventi correttivi da  parte  del Pontefice.

Il rapporto tra Papa e curia non può essere quindi liquidato con la categoria della "solitudine" poiché risulta una forzatura interpretativa. Inoltre, guardando allo stile del governo pontificio, si scopre un Pontefice che non solo regnava, ma anche governava; non appare quale notaio delle decisioni dei cardinali suoi elettori.


(©L'Osservatore Romano - 5 dicembre 2009)
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L'attività del nunzio a Berlino Cesare Orsenigo sotto il pontificato di Pio XI nelle carte dell'Archivio Segreto Vaticano

Quell'«ignobile macchia» agli albori del Reich


Il 5 e il 6 marzo si svolgerà all'École française de Rome il seminario internazionale "Le gouvernement pontifical sous Pie xi:  pratiques romaines et gestion de l'universel". Pubblichiamo stralci di una delle relazioni.

di Thomas Brechenmacher
Università di Potsdam

Cesare Orsenigo (1873-1946) succedette a Eugenio Pacelli come nunzio apostolico presso il Reich tedesco a Berlino nell'aprile 1930. In precedenza, il 25 giugno 1922 era stato ordinato vescovo titolare di Ptolemais, e già nel luglio seguente aveva assunto l'incarico di internunzio nei Paesi Bassi - senza neppure aver ricevuto delle istruzioni relative alle sue nuove mansioni, e neppure la necessaria preparazione linguistica. Ciononostante dovette svolgere i suoi compiti in un modo soddisfacente per il Papa, se nella primavera del 1925 era stato nominato nunzio apostolico in Ungheria, per passare cinque anni dopo all'importante sede di Berlino.

A paragone dell'opera del suo predecessore in Germania, Eugenio Pacelli, il diplomatico modello formatosi presso la curia, Orsenigo non raggiunse neanche lontanamente gli stessi livelli. Evidentemente bastavano la fiducia e la personale stima di Pio XI per affidare all'inesperto amico, conosciuto a Milano, delle missioni diplomatiche di tale importanza.
Nella ricerca storiografica prevalgono i giudizi critici e negativi su Cesare Orsenigo nunzio a Berlino, anche se si riconosce in linea di massima che il suo compito fu assai difficile. Si dice che egli spesso non mostrò sufficiente rigore nelle trattative, abbandonando troppo facilmente le posizioni della Chiesa pur riconoscendo che il fallimento della sua missione non era dovuto alla sua incapacità, ma al vigore della ferma politica antiecclesiastica condotta da partito e Stato sotto la guida di Hitler.
Con l'apertura degli archivi vaticani per il periodo del pontificato di Pio XI (1922-1939) la situazione è cambiata profondamente. Ora il fondo dei rapporti di Orsenigo è consultabile per intero - almeno fino alla primavera del 1939. In questa maniera si può ricostruire un complesso flusso di informazioni di cui fanno parte, accanto ai rapporti del nunzio, anche le istruzioni della segreteria di Stato e del suo responsabile, Eugenio Pacelli, a Orsenigo, le rispettive corrispondenze intrattenute dal nunzio e da Pacelli con altri uffici curiali, come pure le relative carte interne alla stessa segreteria.

Per gli anni finora accessibili dal 1930 al 1939 si conservano nell'archivio vaticano circa 1.500 rapporti di Orsenigo. Insieme alle altre carte rilevanti in questo contesto, in particolare le lettere scritte da Pacelli a Orsenigo, il materiale ammonterà complessivamente a circa 2.000 unità - e ulteriori 2.000, se si considera anche il periodo fino al 1945. La prima parte dell'edizione, qui pubblicata e corredata di dettagliati commenti, copre l'intero anno 1933.

Le corrispondenze di Orsenigo - e del suo collaboratore, l'uditore Carlo Colli - si rivelano straordinariamente dense in tutti gli anni; durante le fasi politiche particolarmente esplosive - come ad esempio nel periodo della "presa di potere" da parte dei nazionalsocialisti tra gennaio e aprile 1933 - Orsenigo scriveva o telegrafava talvolta ogni giorno a Roma. I suoi rapporti documentano la fine della Repubblica di Weimar e la storia della dittatura nazionalsocialista dall'angolo visuale degli interessi e delle percezioni specifici di un diplomatico curiale, mentre risalta la sua provenienza dalla cura pastorale orientata verso l'azione caritativa e la politica sociale. Tuttavia il nunzio esaminava in dettaglio non solo le tematiche di diretta rilevanza per la Chiesa - concordato, lotta tra Stato e Chiesa, questione scolastica, assistenza giovanile, processi per illeciti valutari e per atti contro la moralità, assegnazione di sedi vescovili e così via - ma anche le grandi questioni politiche del tempo - nazionalsocialismo e comunismo, crisi economica, instaurazione della dittatura, antisemitismo e persecuzione degli ebrei, politica estera tedesca.

 I rapporti di Orsenigo costituivano evidentemente solo una delle basi decisionali importanti per la politica della Santa Sede nei confronti della Germania nazionalsocialista. Difficilmente potrà essere mantenuta l'ipotesi secondo cui il nunzio fosse "isolato"; dall'altra parte si desumono dai rapporti in tutta chiarezza il ruolo che gli era stato assegnato, e i limiti che gli erano stati posti. Diversamente da Pacelli, Orsenigo non fu mai un attore politico, e mai pretese di rivestire una tale posizione. Egli fu il portavoce della Santa Sede; fu anche suo corrispondente - ma non l'unico in quanto il segretario di Stato Pacelli si era creato, durante la sua lunga permanenza in Germania, una serie di contatti personali che evidentemente continuava a utilizzare, e di cui i suoi stretti rapporti con i vescovi Faulhaber e Preysing costituiscono solo gli esempi più noti.

Tenuto conto della personalità del nunzio e della struttura specifica dei suoi compiti, i rapporti di Orsenigo da Berlino rappresentano una fonte che copre quasi senza lacune un periodo di 15 anni tra i più decisivi per la storia del XX secolo; senza l'approfondita conoscenza di questo materiale non sarà più possibile esprimere un giudizio scientificamente fondato sul rapporto tra la Santa Sede e la Germania nazionalsocialista. Determinante per lo studio di questa fonte sarà però la constatazione che soprattutto all'inizio le valutazioni degli avvenimenti oscillavano fortemente, e che il nunzio e i vertici del Vaticano giungevano solo lentamente a una corretta analisi del nazionalsocialismo.

Proprio durante le vicende turbolente del 1933 il nunzio era spesso costretto a mandare rapidamente a Roma informazioni e considerazioni sulla situazione. In questo contesto gli errori non erano pochi, come quando in un rapporto sull'orientamento elettorale dei cattolici relativo alle elezioni del 5 marzo 1933 Orsenigo sopravvalutò di circa 1, 5 milioni il numero dei cattolici votanti per i nazionalsocialisti. Solo chi terrà conto del fondo complessivo dei rapporti, constaterà che vi si alternano, soprattutto durante la prima fase del regime nazionalsocialista, giudizi pertinenti e sbagliati, informazioni vere e false, valutazioni basate su una grande sensibilità psicologica e riflessioni che mancano l'obiettivo. Una chiara posizione nei confronti del regime doveva ancora formarsi e non era affatto scontata inizialmente. Affermazioni come quella di Orsenigo dell'11 aprile 1933, secondo cui la storia del nazionalsocialismo svoltasi fino a quel momento non era stata priva di qualche benemerenza, non vanno interpretate quale consenso di fondo del nunzio al regime, e lo stesso discorso vale per il testo originario della sua prolusione del capodanno 1934 che Pacelli gli restituì con l'istruzione di scegliere magari un tono un po' meno euforico.

I rapporti di Orsenigo contengono dall'altra parte valutazioni della situazione di grande perspicacia, a dimostrazione che il nunzio imparava progressivamente a riconoscere e comprendere il vero volto del nazionalsocialismo. Orsenigo criticò apertamente la svolta dei vescovi tedeschi dopo la dichiarazione governativa pronunciata da Hitler il 23 marzo 1933. Egli ritenne precipitosa la parziale rinuncia alla posizione di inconciliabilità dei principi cattolici con l'ideologia nazionalsocialista; tale concessione era avvenuta senza trattative, e senza la sicura prospettiva di ottenere qualcosa in cambio:  "Forse si poteva, e si doveva - a mio avviso - esigere (...) qualche impegno preciso circa la libertà delle organizzazioni cattoliche, ma l'Episcopato ha preferito formulare la sua dichiarazione - piena di speranze - senza prendere alcun contatto, neppure segreto, col Governo:  mancata così ogni trattativa, non era possibile pensare a concessioni a titolo di contra-partita".

Nel rapporto dell'11 aprile 1933, in cui Orsenigo riconobbe ancora delle benemerenze al nazionalsocialismo, egli aggiunse sul tema dell'antisemitismo:  "Purtroppo il principio antisemita fu accettato e sanzionato dall'intero Governo, e questo fatto purtroppo resterà come un'ignobile macchia proprio sulle prime pagine della storia (...) che sta scrivendo il nazionalsocialismo germanico!".
Sull'antibolscevismo dei nazionalsocialisti Orsenigo si espresse il 14 settembre 1935 nel contesto della sua relazione sul congresso nazionale del partito nazionalsocialista, svoltosi il 1935 a Norimberga:  "Questo Congresso, che pare tenda a suscitare in ogni nazione una guerra senza quartiere al bolscevismo, facendone responsabili solo i giudei. Questi discorsi, ricchi di numeri, di nomi e di fatti, producono sul popolo tedesco, data la sua speciale mentalità inclinata all'indagine, al calcolo e alla statistica, un'impressione profonda e anche terribilmente eccitatrice. Non è a meravigliarsi, se la caccia antisemita riprenderà, dopo il Congresso, con maggior ardore. D'altra parte essa viene così abilmente legittimata agli occhi del popolo dall'accusa di bolscevismo, che qui torna difficile trovare un tedesco non semita, che osi disapprovarla completamente".

Tre giorni dopo, il 17 settembre 1935, Orsenigo adoperò tra l'altro queste parole per inquadrare il discorso che Hitler aveva tenuto durante il congresso:  "Il discorso [di Hitler] tenuto lunedì sera (...) è una esposizione di una strana, per non dire irriverente, filosofia della storia del popolo tedesco considerato anche nei suoi contatti con il cristianesimo; purtroppo si fa palese ogni mancanza di fede sia cristiana che semplicemente religiosa, il disconoscimento di ogni utile collaborazione della religione per la grandezza del popolo tedesco, che viene attribuita solo al nazionalsocialismo ed attesa unicamente dal partito e dalle armi".

Estremamente chiaro fu anche il rapporto del 9 novembre 1938 sul vandalismo antisemita:  "Mi faccio un dovere di aggiungere qualche notizia a quanto i giornali hanno già pubblicato circa il vandalismo antisemita del giorno 9 e 10 corrente in Germania. 1) Le distruzioni si sono iniziate, come su una parola d'ordine, nella notte immediatamente successiva alla notizia della morte in Parigi del giovane diplomatico, caduto sotto i colpi del giovane giudeo [cioè l'assassinio del segretario di legazione Ernst von Rath per mano di Herschel Grynszpan], i cui genitori erano stati espulsi dalla Germania verso la Polonia pochi giorni prima. La cieca vendetta popolare seguì un identico metodo dovunque:  nella notte si frantumarono tutte le vetrine e si incendiarono le sinagoghe; il giorno seguente furono saccheggiati i negozi, che erano privi di ogni difesa, inutilizzando selvaggiamente le merci anche le più costose. 2) Solo verso il pomeriggio del giorno 10, dopo una giornata in cui la plebe aveva sfogato i più selvaggi sentimenti, frenata da nessun poliziotto, il Ministro Göbbels (sic!) diede ordine di cessare, qualificando l'avvenuto come sfogo del "popolo tedesco". Bastò questa parola a ristabilire la calma. Tutto ciò lascia facilmente intuire che l'ordine o l permesso di agire veniva molto dall'alto.

Per questa frase di Göbbels, che la così detta "reazione antisemita" [all'assassinio del segretario di legazione vom Rath a Parigi] fosse opera del "popolo tedesco", ha molto sofferto il vero e sano popolo tedesco, che è certo la major pars".
Sulla base dei rapporti, spediti a Roma, l'immagine finora dominante di Cesare Orsenigo come nunzio debole, incapace e troppo ben disposto verso il nazionalsocialismo, va almeno differenziata se non rivista.


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17/04/2010 13:11

Pio XI alla luce delle nuove fonti archivistiche

Soluzioni coraggiose a problemi senza precedenti


È stato presentato il volume, curato da Cosimo Semeraro, La sollecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archivistiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 490, euro 40). Pubblichiamo la sintesi di uno degli interventi.

di Rita Tolomeo

Non è facile delineare con pochi tratti tutta la complessità di un pontificato (6 febbraio 1922 - 10 febbraio 1939) che coincise pressoché totalmente con il periodo tra le due guerre mondiali. In un mondo fortemente segnato dalle decisioni prese a Versailles, caratterizzato da derive nazionaliste e da opposti totalitarismi, Pio XI scelse come motto del suo pontificato Pax Christi in Regno Christi. Era il segno della sua volontà di improntare alla pace ogni decisione; a tale fiducia non erano certo estranee le sue origini brianzole di cui conservava gelosamente i caratteri, una religiosità antica e profonda assorbita attraverso la figura materna. A tali insegnamenti avrebbe ispirato tutto il suo operato:  dagli incarichi ricoperti prima nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e poi in quella Vaticana, alla inaspettata missione in Polonia e Lituania affidatagli da Benedetto xv al termine della prima guerra mondiale, fino al magistero pontificio.
Oggi gli studi su Pio xi hanno conosciuto un nuovo slancio e l'apertura nel 2006 degli Archivi Vaticani alla consultazione dei fondi del pontificato di Achille Ratti ha offerto ai ricercatori gli strumenti necessari per meglio ricostruire gli eventi e l'ambiente religioso e sociale del ventennio tra le due guerre. Si tratta di fatti per molti aspetti già noti attraverso l'esame di materiali coevi, che ora possono essere arricchiti grazie all'analisi del "ragionamento interno" che li ha determinati. È possibile insomma per usare le parole dello studioso francese Jean-Dominique Durand "definire lo stile e il metodo di governo di un Pontefice costretto a confrontarsi con problemi senza precedenti". Un valido e importante risultato in tal senso è il volume La sollecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archivistiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 490, euro 40) curato da Cosimo Semeraro, segretario del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Il volume raccoglie gli atti del convegno internazionale di studi organizzato dallo stesso Pontificio Comitato nella Sala del Collegio teutonico (Città del Vaticano) dal 26 al 28 febbraio 2009. Si tratta della presentazione dei primi esiti delle ricerche sul pontificato di Pio XI condotte dopo il 2006 negli Archivi Vaticani il cui patrimonio documentario relativo al solo pontificato rattiano è di tale rilevanza da aver richiesto un decennio di lavoro per essere preparato alla consultazione degli studiosi. Il volume è aperto da una prolusione del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone sul pastore di una Chiesa che, lasciandosi alle spalle forme di organizzazione legate a un modello temporale ottocentesco, si muove da protagonista sul piano internazionale. Sul piano pastorale tale azione doveva tradursi nella promozione del clero e degli episcopati indigeni, in una rinnovata attenzione verso la Russia e l'Oriente cristiano, in uno sguardo attento ai mutamenti sociali.

Monsignor Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Vaticano, offre agli studiosi una importante ricostruzione relativa al funzionamento dei dicasteri e uffici curiali di Pio xi ma anche del metodo di lavoro del Pontefice. Il ricco archivio della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, invece, ha consentito a Roberto Regoli di rintracciare il funzionamento interno e l'evoluzione della sua struttura voluta dallo stesso Papa Ratti in rapporto con la Segreteria di Stato. Dai verbali della Congregazione è possibile ricavare il pensiero del Pontefice, rilevare il suo costante "interventismo", ma anche il coinvolgimento dei suoi collaboratori, dai segretari di Stato Gasparri e Pacelli, agli altri cardinali la cui scelta risponde non solo a un sentimento di fiducia e di certezza della loro lealtà ma anche di competenza e di esperienza.
 
I taccuini su cui l'allora segretario di Stato Pacelli a partire dal 10 agosto 1930 andò prendendo nota delle udienze quasi quotidiane del Papa hanno suscitato grande interesse e la loro prossima pubblicazione costituirà un ulteriore e importante strumento di comprensione delle pratiche pontificie e dell'atteggiamento verso realtà che Papa Ratti aveva avuto modo di conoscere di persona nella breve ma intensa esperienza di delegato apostolico e poi nunzio a Varsavia. Gli erano ben noti i difficili rapporti tra polacchi, lituani e bielorussi in Lituania e all'avversione nei confronti del comunismo si dice che non fosse del tutto estranea l'avanzata dei bolscevichi fermata sulla Vistola alle porte di una Varsavia abbandonata da tutti ma non da lui, unico "rappresentante diplomatico" che si era rifiutato nella sua fermezza e dignità brianzola di abbandonare la città in un momento così grave.

È importante ricordare anche che Pio xi appoggia moralmente e finanziariamente la fondazione dell'Università Cattolica di Milano voluta da Agostino Gemelli, un'istituzione che rispondeva a pieno al suo disegno di "ricomposizione, attorno a Roma, della cattolicità" e dà vita nel 1936 all'Accademia Pontificia delle scienze, un passo verso l'apertura pratica e teorica alle scienze profane in anni di grandi dibattiti scientifici, tema questo trattato da Régis Ladous. È utile ricordare che, in anni in cui radio e cinema erano ancora percepiti come strumenti di diffusione di una visione pagana dell'esistenza, Papa Ratti aveva voluto la Radio Vaticana, inaugurata il 12 febbraio 1931 alla presenza di Guglielmo Marconi e al cinema aveva consacrato un'enciclica, la Vigilanti cura.

La ricerca condotta sulle nuove fonti archivistiche certamente non poteva non toccare temi caldi su cui la storiografia ha offerto interpretazioni diverse. Sono le questioni relative ai rapporti con il fascismo, alla liquidazione del partito popolare analizzate da Francesco Malgeri che riportarono, "forzatamente ad un livello prepolitico l'impegno dei cattolici" secondo una linea che agli occhi della storiografia italiana è conservatrice, ma che secondo Philippe Levillain è stata invece letta in modo totalmente opposto dalla storiografia grazie alla condanna dell'Action Française e alla rinascita del cattolicesimo in Francia.


(©L'Osservatore Romano - 17 aprile 2010)
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