Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Rimini, 359 Storia di un concilio di provincia

Ultimo Aggiornamento: 06/12/2009 08:26
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
06/12/2009 08:26



Verso la fine di maggio si aprì un momento importante della lunga e complessa controversia ariana

Rimini, 359

Storia di un concilio di provincia


Nessuno dei sinodi del IV secolo ebbe svolgimento tanto drammatico

In occasione del 1650 ° anniversario del concilio di Rimini, si è tenuta una giornata di studi presso l'Istituto Superiore di Scienze religiose Alberto Marvelli della diocesi. Pubblichiamo gran parte della relazione principale.

di Manlio Simonetti

Il concilio del 359, l'avvenimento grazie al quale la chiesa di Rimini si presenta alla ribalta della storia, rappresentò un momento importante, ancorché non favorevole all'ortodossia, nel lungo e complesso itinerario della controversia ariana nel corso del IV secolo. Nessuno dei tanti concili, ecumenici e no, celebrati durante quel secolo, raccolse un numero tanto grande di partecipanti, circa 400 soltanto tra gli occidentali, nessuno fu preparato con tanta cura dalle varie parti coinvolte nel contrasto, nessuno ebbe svolgimento tanto drammatico.

Intorno al 320 un vecchio presbitero di Alessandria, Ario, diffonde una versione radicale della dottrina del lògos, in quanto ne esaspera il subordinazionismo strutturale affermando che anche il lògos divino è stato creato da Dio, ancorché in una condizione di privilegio riguardo al resto della creazione. Ario è condannato ad Alessandria, ma trova vari consensi in oriente tra gli avversari più accesi del monarchianismo. Nel concilio di Nicea (Asia Minore), il primo ecumenico indetto dall'imperatore Costantino e celebrato nel 325, Ario viene condannato a opera di una coalizione di origeniani moderati e di monarchiani più e meno radicali. Ma, troppo esposto in senso monarchiano, il simbolo niceno suscitò forte opposizione in oriente e la reazione, favorita dall'imperatore che era consapevole di avere in precedenza forzato troppo la mano al concilio, provocò, a seguito di accuse di vario genere, la deposizione dei rappresentanti più importanti del partito antiariano, tra i quali erano il monarchiano radicale Marcello di Ancira e Atanasio, il giovane vescovo di Alessandria. Quando, dopo la morte di Costantino (337), l'impero fu momentaneamente diviso tra i figli Costante e Costanzo, anche Roma, fino allora assente dal contrasto, entrò in gioco a fianco degli esuli Marcello e Atanasio. Comincia adesso, intorno al 340, un periodo convulso di azioni e reazioni, che porta anche, dopo il fallimento del concilio ecumenico di Serdica (odierna Sofia) nel 343, alla momentanea separazione delle Chiese di oriente e di occidente, e al quale Costanzo, rimasto unico imperatore nel 353, cerca di por termine sbarazzandosi di Atanasio e favorendo l'elaborazione di una formula di fede di significato generico in modo da coagulare intorno a essa una maggioranza di moderati. Ma la ripresa dell'arianesimo radicale con Aezio ed Eunomio, e il tentennare di Costanzo tra un partito e l'altro contribuirono ad aumentare ancora di più il disordine, la confusione, la proliferazione di dottrine e professioni di fede diverse, finché, siamo nel 358, si avvertì l'esigenza di riunire un nuovo grande concilio ecumenico, tale da ristabilire la pace religiosa dell'impero. Dopo le proposte di riunirlo a Nicea o ad Ancira, l'imperatore decise per due concili paralleli, uno per l'oriente da celebrare ad Antiochia di Caria (Asia Minore) e uno per l'occidente da celebrare a Rimini. La decisione di sdoppiare il concilio, facilmente giustificabile con motivazioni di comodo data l'opportunità di evitare di spostare dall'occidente in oriente un ingente numero di vescovi, era stata probabilmente ispirata a Costanzo dagl'influenti vescovi illirici Valente di Mursa e Ursacio di Singidunum (odierna Belgrado), da sempre avversi al partito niceno, i quali temevano il concentramento degli occidentali, poco edotti della materia in discussione ma che si sapevano in grande maggioranza ostili ad Ario, con gli orientali, più frammentati dottrinalmente, in gran parte antiniceni ma anche antiariani e in buon numero perfettamente in grado di affrontare i termini dottrinali del contrasto. Non sappiamo per qual motivo la scelta delle sedi sia caduta su due città un po' fuori di mano, decentrate rispetto a quelle che erano allora le comunità più importanti della cristianità. La spiegazione che possiamo suggerire è che, nella previsione di svolgimento non pacifico dei lavori dei concili, si preferì farli svolgere in sedi tali che i funzionari imperiali incaricati di sorvegliare l'andamento dei lavori fossero in grado di tenere più agevolmente la situazione sotto controllo.

Il concilio si aprì a Rimini verso la fine di maggio del 359. Erano presenti più di 400 vescovi convenuti da tutte le parti dell'occidente. Era completamente assente la sede romana, in quanto il cedimento di Papa Liberio, che esiliato in Tracia si era piegato a sottoscrivere sia la condanna di Atanasio sia la formula di fede di Sirmio del 357, la più esposta in senso filoariano, ne aveva azzerato il prestigio in tutto il mondo cristiano. In apertura fu letta una lettera di Costanzo in data 27 maggio 359 nella quale prescriveva che, terminati i lavori, una delegazione di padri conciliari andasse da lui per incontrarsi con omologa delegazione dei vescovi orientali, e rendeva noto che nessuna delibera avrebbe avuto validità senza la sua approvazione. Era più che evidente, insieme con la riaffermazione dell'assoluto potere che l'imperatore riteneva di poter esercitare anche sul concilio ecumenico, massima espressione della gerarchia della Chiesa, l'invito a espletare rapidamente i lavori sulla base della professione di fede del 22 maggio del 358, la cui approvazione fu infatti richiesta, all'apertura dei lavori, da Valente e Ursacio, i capiparte dell'episcopato antiniceno presente al concilio, circa ottanta vescovi.
 
Ma la proibizione di far uso del termine ousìa ("sostanza") era di significato chiaramente antiniceno, mentre l'orientamento prevalente dei padri conciliari, estraneo alla complessità dottrinale prevalente in oriente e ostile all'arianesimo, era a favore proprio del simbolo niceno. Perciò la proposta di Valente e Ursacio fu respinta, i due furono oggetto di violenti attacchi e dopo vari giorni di discussione, sulla quale non siamo ragguagliati ma che ipotizziamo tutt'altro che serena e distesa, si giunse all'approvazione di una dichiarazione che ribadiva la validità del credo niceno, respingeva la proibizione relativa al termine ousìa, e prescriveva che non si innovasse più in materia di fede. Ne conseguì l'abbandono della chiesa nella quale si svolgevano i lavori del concilio, da parte di Valente e Ursacio con i loro partigiani, che continuarono a riunirsi per conto loro in un oratorio. Il 21 luglio, su proposta di Greciano, vescovo di Cagli, il concilio condannò Valente, Ursacio e altri capiparte avversari e ribadì la condanna delle fondamentali proposizioni ariane, in termini per altro a volte tali da far intendere che alla maggioranza dei padri conciliari erano rimaste estranee alcune sottigliezze della terminologia in uso tra gli antiariani d'oriente. Considerati terminati i lavori, il concilio inviò a Costantinopoli una delegazione di venti membri.

Valente e Ursacio erano stati più solleciti a raggiungere l'imperatore a Costantinopoli e lo avevano ragguagliato sui risultati del concilio, che non erano stati certo quelli che egli aveva auspicato:  in effetti il rifiuto della formula del 22 maggio e soprattutto la riaffermazione del simbolo niceno collocavano l'episcopato occidentale su una linea dottrinale che lo poneva in contrasto non soltanto con i fautori, più o meno scoperti, dell'arianesimo, ma anche con gran parte dell'episcopato d'oriente, antiariano ma anche antiniceno, sì che qui i niceni erano ridotti a ben poca cosa, concentrati soprattutto in Egitto. Era ovvio che Costanzo non potesse accettare l'esito del concilio:  rifiutò di ricevere la delegazione inviatagli e la fece sostare ad Adrianopoli, non lontano dalla capitale, in attesa del suo beneplacito. Nel contempo scrisse ai padri conciliari che erano rimasti a Rimini, spiegando che altre esigenze primarie non gli avevano consentito di ricevere la delegazione inviatagli e che, nell'attesa, nessuno dei presenti a Rimini era autorizzato ad abbandonare la città. Successivamente la delegazione fu trasferita da Adrianopoli a Nike, piccola stazione postale della Tracia, dove quei derelitti furono sottoposti a un vero e proprio lavaggio del cervello a opera di Valente, Ursacio e soci, abili ad alternare sottili disquisizioni dottrinali con concrete minacce e a farsi forti del favore dell'imperatore. E in data 10 ottobre 359 la resa fu sanzionata dall'approvazione di un protocollo.

Mentre a Nike si svolgevano questi drammatici fatti, il 27 settembre aveva avuto inizio il concilio di Antiochia di Caria, al quale presero parte circa 160 vescovi. Nel giro di pochi giorni furono rifiutati a gran maggioranza non solo l'homooùsios niceno ma anche la formula di fede del 22 maggio, e fu riesumata la formula di fede di Antiochia del 341, un testo orientale che affermava la piena divinità di Cristo, di tono origenianamente arcaizzante, che taceva dell'homooùsios niceno ma condannava le proposizioni fondamentali della dottrina ariana. Nel frattempo, ritornata a Rimini la delegazione col protocollo della resa, si era nuovamente riunito il concilio. Inizialmente i padri conciliari, che erano rimasti nella città, rifiutarono la loro comunione ai firmatari della resa, ma in seguito, sollecitati e pressati da Valente, Ursacio e i loro partigiani, impauriti dalla dichiarazione del funzionario imperiale, il prefetto Tauro, che per ordine di Costanzo nessuno dei partecipanti al concilio sarebbe potuto ritornare a casa propria se prima non avessero sottoscritto tutti quel protocollo, a poco a poco cominciarono, chi prima chi dopo, a cedere e a sottoscrivere una professione di fede che, semplificata, ricalcava i termini del protocollo di resa. A questo punto, pur pressati dagli avversari e dai colleghi che, anche se avevano sottoscritto, non potevano tornare a casa, resistevano tenacemente una ventina di vescovi, capitanati dai vescovi della Gallia Febadio di Agen e Servazio di Tongres. Allora Valente propose un compromesso che, in quel disperato frangente, sembrò accettabile a Febadio:  purché sottoscrivesse, gli si dette facoltà di aggiungere a titolo personale i chiarimenti che desiderasse.

Non restava che comunicare all'imperatore il definitivo esito del concilio. Ne fu incaricata una nuova delegazione, capitanata questa volta dagli onnipresenti Valente e Ursacio. Le ultime sottoscrizioni si ebbero nella notte del 31 dicembre, sì che Costanzo potesse cominciare l'anno nuovo, con cui iniziava il suo decimo consolato, gloriandosi della recuperata pace religiosa dell'impero. Durante i tanti anni intercorsi dal 325, data del concilio di Nicea, al 359, i termini del contrasto tra la fede nicena e la dottrina ariana erano stati ampiamente approfonditi, inizialmente soltanto in oriente, ma successivamente, per opera di dottori quali Ilario, Mario Vittorino, Febadio di Agen, anche in occidente. Era evidente che, di fronte a un tale approfondimento dottrinale dei termini del contrasto in opposte direzioni, una soluzione di esso soltanto formale e di significato politico appariva insufficiente. Ecco perché gli esiti dei concili di Rimini e di Costantinopoli furono allora avvertiti da tutti come una vera e propria grande vittoria dell'arianesimo. Era stato invece il trionfo di Costanzo, e l'imperatore si accinse subito a consolidare il risultato raggiunto, imponendo la sottoscrizione della professione di fede riminese a tutti indistintamente i vescovi della cristianità. Ma non gli fu concesso di insistere a lungo in questa opera di consolidamento. Infatti di lì a poco l'occidente gli si ribellò acclamando imperatore Giuliano, che era suo cugino ma di idee radicalmente diverse dalla sue; egli stesso, prima di arrivare allo scontro decisivo, a seguito di breve malattia morì il 3 novembre del 361, dopo aver nominato in punto di morte suo erede Giuliano:  questa morte inopinata e repentina consentì agli sconfitti di Rimini di riaprire le ostilità vanificando gli esiti del concilio.



(©L'Osservatore Romano - 6 dicembre 2009)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:00. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com