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Quando la riflessione diventa preghiera

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2009 22:19
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07/12/2009 22:19



Nell'orazione sant'Ambrogio sintetizza diversi aspetti di una personalità particolarmente ricca

Quando la riflessione diventa preghiera


di Inos Biffi

Chi legga le opere di sant'Ambrogio incontra il biblista sottile e fantasioso, il teologo occupato a illustrare i misteri della fede, il mistagogo paziente che spiega ai suoi fedeli i riti sacri, il maestro persuasivo ed esperto di vita evangelica, il dottore ardente della mistica cristiana; e, ancora, il polemista lucido e stringente, il retore dal discorso curato e persino artificioso, il poeta dal gusto raffinato, e dalla lirica con momenti felicissimi. Tutto questo incontra.
Ma, oltre a ciò, e forse soprattutto, il lettore di sant'Ambrogio si imbatte nell'uomo di preghiera:  di una preghiera che sgorga spontanea, con un trapasso senza preavviso. Vuol dire che allora la riflessione è diventata orazione; che il pensiero si è acceso in invocazione e al concatenarsi del ragionamento è succeduto il colloquio, effuso talora lungamente, come a lasciare espandere i sentimenti che irresistibilmente urgono nel cuore.
Senza dubbio, il dettato di sant'Ambrogio appare spesso laborioso e complicato, di comprensione non immediata; le sue esegesi, talora macchinose e stravaganti, non mancano di lasciare perplessi e un po' divertiti, e non tutta la materia dei suoi libri si rivela compiutamente risolta in unità letteraria e redazionale.
Ma, quando al predicatore o allo scrittore tracima inattesa la preghiera - che non raramente si sublima negli accenti della poesia - ecco che lo sforzo per seguirlo viene a cessare, e ci si sente trasferiti con lui nella contemplazione distesa e ammirata o nell'implorazione intensa che sale dal cuore. Forse, più dell'operosità della pastorale, più della dignità e fermezza del governo, e più della nobiltà del comportamento - energico e paziente, tenace e misericordioso, abile e lungimirante - sono la poesia e la preghiera del vescovo di Milano a introdurre alla conoscenza più profonda del suo animo, alla sorgente della sua azione efficace e incisiva.
Nessun altro Padre della Chiesa erompe con frequenza, come Ambrogio, nelle invocazioni a Cristo.
Un fatto di stile o di costume letterario, a giudizio di Michele Pellegrino, non basterebbe spiegare questi testi oranti. Lo spiegano, invece, "un atteggiamento mistico nel senso che questa parola assume nella spiritualità cristiana", ossia l'"esperienza vitale di un rapporto personale con Cristo", che d'altronde affiora anche là dove espressamente non ricorre la forma della preghiera. "La fede in Cristo e la contemplazione del suo mistero":  ecco dove si unificano e trovano soluzione la figura e l'opera di sant'Ambrogio.
Il "Signore Gesù" - come si compiace di chiamarlo - ha, infatti, rappresentato la grande attrattiva del vescovo di Milano. Egli ne ha vissuto con un'intimità unica l'amicizia, illuminandone il mistero col più ardente attaccamento:  non, quindi, come l'argomento solo della massima importanza, ma ancora astratto; e non con la semplice preoccupazione dell'ortodossia oggettiva.
Gesù è il termine di un amore acceso, confidente, aperto, capace di dare senso e serenità alla vita; un amore specialmente sentito come il gesto della pietà divina. La povertà di Cristo, la sua umiltà, la sua passione, il suo essere prossimo:  questo di Gesù Cristo sant'Ambrogio ha sentito con una intensità e un'affezione tutta propria.
"Il mio Gesù" - come scriverà un giorno in una lettera (Epistolae, 40) - è la ragione per la quale l'antico consolare, eletto vescovo, si era convertito e l'infaticabile pastore avrebbe lavorato e patito fino all'ultimo, fino a quando, pochi giorni prima di morire, vide - lo attesta Paolino nella Vita (47, 1) - "il Signore Gesù venire a lui e sorridergli".
"Grande era la sua assiduità alla preghiera di giorno e di notte" (38, 1), scrive lo stesso biografo, che, rievocando gli ultimi momenti della vita di Ambrogio, annota:  "Dalle ore cinque del pomeriggio fino all'ora in cui rese l'anima, pregò con le braccia aperte in forma di croce:  noi vedevamo le sue labbra muoversi, ma non udivamo nessun suono di voce" (47, 1).
Ambrogio stesso dirà come mai la preghiera a Gesù gli salisse spontanea dal cuore:  "Mentre parlo, Gesù è con me, in questo punto, in questo momento preciso" (Expositio evangelii secundum Lucam, ii, 13). "Dai suoi scritti - scrive il cardinale Carlo Maria Martini - si ricava l'impressione di trovarci di fronte a un uomo innamorato di Cristo e della Sacra Scrittura, che contemplando la Chiesa la vede immensa come il mondo e come il cielo, con Gesù per sole".
Pregare con sant'Ambrogio - dice lo stesso cardinale - significa "ritrovare Cristo con amore appassionato, nelle lacrime e nella compunzione per i nostri peccati e per quelli dei nostri fratelli"; significa "vivere la trepida certezza nella misericordia perdonante di Dio, fonte di ogni riconciliazione"; significa "avere una ferma speranza nella potenza della Parola" vivente nella Chiesa. Ed è come dire mettersi sulla strada della "santità popolare", per intercessione di colui che, secondo l'espressione di Giovanni Battista Montini, fu propriamente un "Santo popolare".



(©L'Osservatore Romano - 7-8 dicembre 2009)
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