È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Il cardinale Tomás Spidlík si racconta alla vigilia del suo compleanno

Ultimo Aggiornamento: 21/12/2009 06:51
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
16/12/2009 07:54



Il cardinale Tomás Spidlík si racconta alla vigilia del suo compleanno

Da novant'anni con lo sguardo verso oriente


di Giampaolo Mattei

"Adesso non dirà e non farà più scherzi" gli sussurrò un collega porporato vedendolo con la veste rossa e l'anello cardinalizio al dito. Nella solenne cornice del concistoro del 2003 Tomás Spidlík non si scompose:  "Eminenza - rispose - stia sicuro che continuerò a dire e a fare soltanto scherzi seri". Ma "ora la Provvidenza - dice - è stata più brava di me a far scherzi, me n'ha fatto uno sorprendente, regalandomi il compleanno più bello":  il 17 dicembre il cardinale Spidlík compirà novant'anni e per festeggiarlo Benedetto XVI celebrerà con lui la messa nella cappella Redemptoris Mater. Un capolavoro nato dalle mani di padre Marko Rupnik e dal pensiero di Tomás Spidlík. Nell'intervista a "L'Osservatore Romano" il cardinale moravo - scelto tra l'altro per tenere la predica ai cardinali riuniti in conclave il 18 aprile 2005 - ripercorre "come in un film" i suoi novant'anni, ricordando incontri e andando al nucleo del suo pensiero. Sempre con il sorriso.

Il suo primo consiglio è che un filo di umorismo non guasta mai.

Scherzare è utile in un'esperienza cristiana autentica e non solo per restare svegli. Lo scherzo è una cosa seria. Razionalismo e tecnicismo assolutizzano ogni affermazione parziale. Lo scherzo la relativizza. La verità non può essere relativa ma dobbiamo tener conto della nostra conoscenza parziale dei misteri. La parola eresia vuol dire prendere una parte per l'intero. Lo scherzo quindi è anche un'arma efficace contro le eresie. E allora iniziamo l'intervista con un episodio scherzoso. Una volta Giovanni Paolo II ha alzato la mano per benedirmi ma io mi sono difeso:  "Santità, non posso più inginocchiarmi". E il Papa:  "Neanch'io". Di qui il mio apoftegma:  "Santità, che fortuna che le nostre debolezze corporali cominciano dalle gambe e non dalla testa". Si è messo a ridere. Oggi spero valga ancora per me.

Non è mica da tutti celebrare i "primi" novant'anni con il Papa. E per di più nella cappella Redemptoris Mater che significa così tanto per lei.

Sempre scherzosamente, stando ai calcoli biblici Dio avrebbe limitato l'età dell'uomo a centoventi anni (Genesi, 6,3) così devo considerare che ho solo trascorso tre quarti della mia vita. Prevedo di passare l'ultimo quarto nella Roma "eterna":  ho almeno trent'anni davanti... A parte gli scherzi, bisogna proseguire aver fiducia nella Provvidenza. Nella vita ci sono momenti per guardare avanti:  è il mattino. Altri momenti per voltarsi indietro:  è la sera. Arrivato alla sera della mia vita, non devo scadere in una proiezione cinematografica di ricordi incoerenti che ingannano, come le cronache superficiali dei programmi televisivi. Mi occorre, invece, uno sguardo contemplativo per comprendere cosa vuole fare ancora la Provvidenza con me.

E cosa vuol fare la Provvidenza con lei?

La mia vita mi ha portato dove neppure immaginavo e solo dopo ho scoperto che lo speravo inconsciamente nel cuore. Per dirne una, mai avrei pensato di festeggiare i miei novant'anni con il Papa e vestito di porpora. Certo non lo immaginavo quando, all'inizio della seconda guerra mondiale, l'irruzione del nazismo ha brutalmente interrotto i miei studi di letteratura all'università di Brno sconvolgendo le mie prospettive. Già allora la Provvidenza ha avuto tanto lavoro con me. Mi è accaduto l'impensabile:  un agente della Gestapo si è trasformato in angelo visibile liberandomi dal campo di concentramento mentre l'angelo custode invisibile mi ha condotto nella compagnia di Gesù. Poi sant'Ignazio ha stabilito per me altre sorprese:  il noviziato a Benesov e a Velehrad, dove è sepolto san Metodio, e lo studio della filosofia mentro ero ai lavori forzati, prima con i soldati tedeschi e poi con quelli russi e romeni.

Sembra un paradosso:  uno dei più noti pensatori che inizia a studiare filosofia ai lavori forzati.

Ho imparato da piccolo a fare sacrifici, mi sono guadagnato da solo i soldi per studiare al liceo nel mio paese natale di Boskovice. Non ho però mai avvertito la sensazione dell'ingiustizia sociale paragonandomi con i ragazzi benestanti. Anzi, ero orgoglioso della mia indipendenza. Con la spensieratezza di un proletario mi sono iscritto all'università e mi è piombata addosso la vera prova:  la guerra.

Nel 1939, da ventenne, come ha vissuto "la vera prova" della seconda guerra mondiale?

Torno, come in un film, ai miei ricordi di settant'anni fa. Precisamente al Natale del 1939, l'ultimo che ho passato con i miei cari. La mia era una famiglia molto povera, da ragazzo però non ne ho mai avuto l'impressione. L'atmosfera di quel Natale del 1939 era triste. Con mio padre e mia madre abbiamo mangiato un pezzo di pane dolce con il caffellatte. In silenzio. Le mie speranze erano sottozero, gli studi universitari spezzati e una sola possibilità per il futuro:  la deportazione. Per non pensarci, ho passato i giorni tra Natale e capodanno pattinando selvaggiamente. Il 31 dicembre la mamma mi ha richiamato all'ordine:  "Vai in chiesa!". Le ho ubbidito più per disperazione che per devozione. E quando il parroco ci ha invitato a cantare il Te Deum "in ringraziamento al Signore per i beni ricevuti durante l'anno", sono rimasto di stucco:  davvero avrei dovuto ringraziare Dio per ciò che mi era accaduto? Ho cantato anch'io il Te Deum, vincendo non poche esitazioni. Proprio nel nuovo anno, il 1940, ho toccato con mano che la Provvidenza ti salva magari attraverso situazioni strane e mai pensate prima, eppure coerenti.

La fine della guerra ha significato per lei lo studio della teologia a Maastricht dove è stato ordinato sacerdote nel 1949.

Solo dopo la guerra ho potuto studiare teologia, andando anche all'estero. Nel 1949, da prete, ero pronto a tornare con le mie nuove idee in patria. Il nuovo regime totalitario comunista non me lo ha permesso. Sembrava un'altra volta tutto perduto. Ma ecco, di nuovo, la Provvidenza all'opera e quella volta si è servita di uno sbaglio "amministrativo":  un mio superiore si è dimenticato di scrivere una lettera e mi sono ritrovato esule a Roma. Insomma la Provvidenza mi ha dato la possibilità di dedicarmi a ciò che di nascosto già desiderava il mio cuore:  lo studio della spiritualità orientale.

Nel 1951 ha iniziato a lavorare alla Radio Vaticana e ancora oggi il venerdì pomeriggio va in onda per commentare le letture della messa domenicale.

Ci sono due possibilità per uno che fa, ogni settimana, lo stesso lavoro alla radio per quasi sessant'anni:  o nessuno lo sta a sentire o gli ascoltatori vogliono sentire sempre le stesse cose. Stando alla mia esperienza, voto per la seconda ipotesi. Ho sempre fatto trasmissioni attingendo ai miei studi sui Padri della Chiesa. La conclusione è che i Padri hanno ancora da dire qualcosa per l'oggi e non sono poi così antichi. Col mio programma ho cercato di aiutare i preti nella predicazione e sotto il comunismo mi dicono fosse un servizio particolarmente utile:  non c'erano né libri né ritiri spirituali.

Lei è il maestro della spiritualità orientale, riconosciuto anche dal mondo ortodosso. Qual è il nucleo del suo pensiero?

Lo si può indovinare simbolicamente proprio nella cappella Redemptoris Mater dove i mosaici cercano di "respirare con due polmoni". Non soltanto gli uomini, ma anche le nazioni hanno una vocazione, per offrire il loro contributo alla Chiesa universale. Ho cercato di indovinare il messaggio cristiano dell'oriente europeo e di prestargli voce in occidente.

Professore universitario per mezzo secolo ma anche padre spirituale per trentotto anni al Pontificio Collegio Nepomuceno. Che esperienza ha vissuto?

Ho sperimentato la distinzione fra un moralista, che conosce le regole della vita spirituale, e un padre spirituale, che deve avere la conoscenza delle persone. Il secondo senza il primo si espone al pericolo di un vago carismatismo. Il primo senza il secondo rimane paralizzato. Come padre spirituale del Collegio ho avuto anche l'opportunità di incontrare persone che oggi porto nel mio cuore come i Papi Pio xii e Paolo VI e il cardinale Josef Beran.

Può parlarci di questi tre incontri?

Quando Papa Pacelli ha ricevuto in udienza i sacerdoti del collegio ero a Roma da poco. Sono rimasto impressionato di come fosse informato fin nei dettagli della triste realtà della Cecoslovacchia. Ha avuto parole di incoraggiamento per noi sacerdoti espulsi dalla nostra patria. Le sue non erano espressioni di circostanza perché ha provveduto subito a regolare il nostro stato giuridico. Saputo che ero il padre spirituale del collegio, Pio xii mi ha dato ottimi consigli pratici su come risolvere certi dubbi sulla vocazione dei candidati al sacerdozio.

E il suo incontro con Papa Montini?

Paolo VI l'ho conosciuto il giorno della morte di Beran, il 17 maggio 1969. Ho vissuto quattro anni nel Collegio accanto al cardinale, espulso da Praga nel 1965, e sono sempre pronto a testimoniare per la sua beatificazione. Poco prima di morire Beran, malato di cancro, ha celebrato la messa nella sua cappella. Colpito da una improvvisa crisi respiratoria, ha chiesto l'estrema unzione. Ero accanto a lui cercando di sostenerlo ma non c'era più nulla da fare. Paolo VI, chiamato dal segretario del cardinale, è entrato nella stanza proprio mentre Beran stava morendo. Mi sono spostato per farlo accostare al letto. Il Papa ha dato un bacio al cardinale sulla fronte. Ho visto Beran morire tra le braccia di Paolo VI. La Provvidenza mi ha messo accanto a loro.

Papi e cardinali, dunque. Ha conosciuto da vicino anche politici?

Con Dubcek e Havel ho discusso di spiritualità ascoltando ciò che di intimo avevano da dirmi. Ma è La Pira l'unico politico con cui ho parlato di spiritualità e cosa pubblica senza fare distinzioni. Ero interessato alle sue esperienze al Cremlino con Krusciov. E posso testimoniare che le sue famose "profezie" erano esatte. Cinque anni prima della primavera di Praga, quando non c'erano segni premonitori, La Pira mi ha detto che sarei presto tornato in patria. E ha specificato proprio "tra cinque anni". Mi sono sembrate le belle parole di un visionario. Gli ho confidato il mio scetticismo. Mi ha risposto che un regime basato sulla negazione dei valori cristiani non può che travolgersi da solo. La Pira ha avuto ragione sia sul crollo del totalitarismo ateo sia sul mio rientro in patria nei tempi da lui "profetizzati".

Nel 1991 lei ha scelto di vivere al Centro Aletti di Roma con padre Rupnik e un gruppo di artisti. Negli anni il Centro è divenuto un luogo di studio della tradizione dell'oriente cristiano in relazione ai problemi del mondo contemporaneo.

Cerchiamo insieme di continuare consapevolmente la tradizione iconografica secondo la quale l'immagine visuale è uguale alle testimonianze di fede dette o scritte. Anzi, ha la precedenza perché rispetta di più il mistero. Viviamo in una società che abbonda di immagini ma nessuno insegna a leggerle. Così spesso mi trovo a spiegare pensieri escatologici del film Nostalgia del regista russo Andrej Tarkovskij, poi tutti vogliono rivederlo. Alla Pontificia Università Gregoriana ho tenuto tanti corsi su come la vita spirituale possa essere letta sulle icone. Il Centro Aletti sta propagando questa "bellezza che salva", una visione teologica dove prevale un approccio simbolico, liturgico.

Tutto questo apre al dialogo ecumenico. Sono note le sue relazioni di amicizia nel mondo ortodosso, tanto che tra i suoi allievi c'è anche il Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli. Qual è oggi lo stato di salute dell'ecumenismo?

Per delinearlo basta forse un episodio. Ero amico del famoso teologo ortodosso Dumitru Staniloae, chiamato il "Rahner romeno". L'ho incontrato l'ultima volta nel 1993 poco prima della morte. Mentre parlavamo è arrivata a casa sua una persona che, meravigliata delle nostre amichevoli relazioni, ci ha chiesto quale fosse "la differenza fondamentale fra gli ortodossi e i cattolici". Non avevamo voglia di discutere ma, cedendo all'insistenza, il teologo ortodosso ha detto:  "In fin dei conti è l'infallibilità del Papa che ci è incomprensibile". Ho risposto:  "Per me non è così incomprensibile, perché sono infallibile anch'io". Staniloae si è fatto serio:  "Non scherziamo su un tema del genere". Ma io di rimando:  "Non scherzo. Credo nell'infallibilità delle mie parole "questo è il mio corpo, questo è il mio sangue" nella messa o "io ti assolvo" nella confessione". E lui:  "Ma questa è l'infallibilità della Chiesa!". "È ciò che vogliamo dire - ho confermato - anche con il dogma dell'infallibilità del Papa". Staniloae ha concluso:  "Se il problema si affrontasse così sarebbe più facile da discutere".

Qual è stato il suo rapporto con Giovanni Paolo II, il primo Papa slavo?

Mi ha persino creato cardinale, credo per dare più visibilità alla spiritualità orientale. Ho conosciuto Giovanni Paolo II da vicino nel 1995, durante gli esercizi spirituali quaresimali che mi ha chiesto di predicare in Vaticano. La decisione di fare la cappella Redemptoris Mater è venuta immediatamente dopo. Ci siamo poi incontrati prima dei suoi viaggi nell'Europa dell'est o quando stava per prendere posizione nel campo della spiritualità orientale.

Com'è nata in Giovanni Paolo II l'idea di un'Europa spiritualmente unita che deve tornare a respirare con i suoi due polmoni, orientale e occidentale?

Papa Wojtyla ha fatto propria l'espressione "respirare con due polmoni" del pensatore russo Vjaceslav Ivanov. A sua volta, Ivanov ha utilizzato questa espressione nel 1926 al momento della sua riconciliazione pubblica con la Chiesa cattolica nella basilica di San Pietro.

C'è dunque un pensatore russo in un caposaldo del Pontificato di Wojtyla?

Ivanov, specialista di filologia e storia antica laureato a Berlino con il celebre Mommsen, non si capacitava che tutte le grandi culture del passato finissero nei musei. Ma come si salva una cultura? L'unico sistema è radicarla in Cristo. E Ivanov ha percepito questa intuizione anche a proposito delle diverse tradizioni ecclesiali. Unirle a Cristo vuol dire farle vivere nella comunione e non separate, isolate. Ciò che appartiene a Cristo è di tutti e contribuisce a far muovere il cuore verso di Lui. Così possiamo "respirare con due polmoni". È esattamente quello che anch'io cerco di fare da novant'anni.


(©L'Osservatore Romano - 16 dicembre 2009)
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
21/12/2009 06:51

Il crociato della carità della Chiesa
Intervista al Cardinale Paul Josef Cordes

ROMA, venerdì, 18 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Quando Paul Josef Cordes era ancora un ragazzo e viveva in Germania, venne a sapere che una suora aveva pregato per la sua vocazione. La cosa non gli piacque tanto. Ora che è Cardinale e dirige il Consiglio vaticano che supervisiona le organizzazioni caritative della Chiesa, è convinto che molto di ciò che è oggi sia dovuto alle preghiere di quella religiosa.

Cordes è nato a Kirchhundem, nell'Arcidiocesi di Paderborn, nel 1934. I suoi genitori possedevano un cinema, un ristorante e un hotel.

Crescendo poi, ha ricordato, una suora aveva cominciato a pregare costantemente e intensamente affinché Dio lo facesse diventare sacerdote. Non parlò mai con lui di questo, né gli chiese se riflettesse un suo desiderio. Quando Cordes lo venne a sapere, non ne fu felice e glielo disse apertamente. Lei sorrise.

Da quel momento, ha raccontato il porporato, tra loro è nato un “patto”: e così ogni volta che deve fare qualcosa di impegnativo le scrive chiedendole di pregare. Il Cardinale è convinto che siano state le preghiere di questa religiosa a promuovere la sua vocazione.

Il Cardinale Cordes ha 75 anni ed è presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” dal 1995, da quando cioè questo dicastero si è separato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Di recente ha pubblicato due libri: “Where are the Helpers: Caritas and Spirituality?” (Notre Dame University Press) e “Why Priests? Various Answers Guided by the Teachings of Benedict XVI” (Scepter Press).

Nella prima parte di questa intervista rilasciata a ZENIT, il Cardinale riflette sul compito al quale si è dedicato negli ultimi 15 anni: la carità.

Qual è la missione di Cor Unum?

Cardinale Cordes: Il Pontificio Consiglio Cor Unum è il dicastero della Santa Sede incaricato della concreta realizzazione delle intenzioni caritative del Santo Padre. Nella sua prima Enciclica – la Deus caritas est –, Benedetto XVI descrive Cor Unum come l'“istanza della Santa Sede responsabile per l'orientamento e il coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica” (n. 32).

Istituito nel 1971 da Papa Paolo VI, Cor Unum – “un unico cuore” – richiama l'apertura del cuore e della mente dei cristiani delle origini e identifica la sua missione unificante in termini di carità. Una parte importante di questo lavoro avviene attraverso la “catechesi” sulla carità, che implica lo spirito dell'azione caritativa della Chiesa.

Dobbiamo mostrare l'amore che nutriamo per gli altri e comunicarlo. Dobbiamo essere umani, e non dei semplici tecnici o amministratori. L'incontro personale è fondamentale, ed è per questo che dipende tanto dal cuore e dalla testimonianza personale. Dobbiamo promuovere uno spirito di convinzione zelante per non sviluppare una mentalità funzionale.

Se Cor Unum assiste le agenzie per promuovere la convinzione di fede, la maggior parte degli sforzi di aiuto a livello tecnico e pratico è gestita da istituzioni diocesane, nazionali e internazionali. Un esempio di quest'ultimo caso è Caritas Internationalis, una piattaforma di varie istituzioni caritative presenti in tutto il mondo. Cor Unum ha il compito specifico di guidare e accompagnare Caritas Internationalis, a livello sia internazionale che regionale (Lettera Pontificia Durante l'Ultima Cena, settembre 2004).

Cor Unum amministra anche due fondazioni: la “Fondazione Populorum Progressio”, che raggiunge i più abbandonati e bisognosi tra le popolazioni indigene e contadine dell'America Latina, e la “Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel”, volta a combattere la desertificazione nella parte meridionale del Sahara. Oltre a questo, il Consiglio ha un limitato finanziamento per l'assistenza d'emergenza che, a nome del Papa, arriva direttamente ai bisognosi.

A suo avviso, quali dovrebbero essere le priorità dell'aiuto cattolico e delle agenzie per lo sviluppo? Quanto dovrebbero essere, in primo luogo, strumenti di evangelizzazione?

Cardinale Cordes: La priorità di ogni organizzazione cattolica, incluse le agenzie di aiuto e sviluppo, è quella di portare il volto di Cristo e il suo Vangelo ai poveri e ai bisognosi. E' questo il desiderio di ogni cristiano che intende dare il meglio: l'amore di Dio presente in Gesù Cristo. La nozione per cui un'organizzazione cattolica può funzionare o lavorare senza la dimensione dell'evangelizzazione mina la base e l'obiettivo dell'entità. Impegnarsi con il mondo non significa incorporare i valori e le convinzioni del mondo nella Chiesa, ma piuttosto infondere il Vangelo nel mondo per la sua salvezza.

Abbiamo la Croce Rossa e varie altre entità filantropiche, e questo è molto positivo, ma se analizziamo ciò che è specificamente cristiano capiamo che va al di là della miseria umana.

Speso, l'aiuto materiale non è sufficiente, se la gente si trova nella situazione di non poter essere più aiutata con del cibo, un tetto sulla testa o dei medicinali. Cosa si può offrire a una persona morente? O a una donna che ha perso i suoi figli in un terremoto? Possiamo dare consolazione, parlare di Dio che ha preparato per noi la vita eterna. Questo messaggio è fondamentale e noi, i fedeli, dovremmo salvaguardarlo.

Questa convinzione non dovrebbe essere identificata con il proselitismo. Come Benedetto XVI ha affermato nella sua Enciclica, “la carità (…) non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L'amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi [30]. Ma questo non significa che l'azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l'uomo. Spesso è proprio l'assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa” (Deus caritas est, n. 31).

Nelle sue visite alle varie Conferenze Episcopali del mondo per far conoscere l'insegnamento della prima Enciclica di Benedetto XVI, la Deus caritas est, lei mette in guardia contro la tendenza delle agenzie di sviluppo cattoliche verso il secolarismo. Quali sono le sue preoccupazioni principali a questo proposito?

Cardinale Cordes: Come è accaduto per la mia recente visita alla Conferenza dei Vescovi Cattolici dell'Australia (23-29 novembre 2009), sono stato invitato a una serie di assemblee plenarie, in Paesi come gli Stati Uniti, l'India, le Filippine, l'Inghilterra e il Galles, la Russia, la Polonia, l'Austria e la Spagna. Una delle prime cose che faccio è esprimere tutto il bene compiuto da tante delle nostre organizzazioni caritative cattoliche, che testimoniano davvero la presenza di Cristo nel mondo. Quanti le portano avanti sono spesso alcuni dei fedeli più dediti e pieni di fede. Sono insostituibili in termini di missione e messaggio della Chiesa.

Nonostante questo, nel corso degli anni che ho trascorso a Cor Unum le organizzazioni stesse hanno condiviso con noi le loro lotte per servire i bisognosi e mantenere la propria fede e identità cattolica. Il secolarismo è una delle ideologie principali che cercano di influenzare il modo in cui opera l'attività caritativa cristiana. Il settore del finanziamento, soprattutto da fonti esterne al mondo di fede, dai Governi e dai donatori privati, pone spesso restrizioni alla dimensione religiosa della nostra attività caritativa, e costringe ad abbandonare elementi cristiani per ottenere sovvenzioni.

Un'altra influenza secolare deriva dalla promozione della cultura della morte, in cui i gruppi basati sulla fede sono spinti ad allontanarsi dal chiaro insegnamento morale sulla vita umana. Un terzo settore è la nozione derivante dalla società secolare che il compromesso è la massima virtù, nell'interesse dell'armonia. Può sembrare molto attraente, soprattutto di fronte all'imbarazzo che potrebbe sorgere dall'insegnamento morale e sociale della Chiesa, ma fornisce un'unità meramente superficiale. E' importante ricordare spesso a noi stessi che, come credenti, dobbiamo impegnarci a portare Cristo nel mondo attraverso la missione della Chiesa, non ad adattare Cristo e la Chiesa all'immagine del mondo.

In che modo la Deus caritas est affronta queste preoccupazioni, e in che modo aiuta a rafforzare l'identità cattolica di queste agenzie?

Cardinale Cordes: Il Santo Padre cerca di riorientare tutti noi alla realtà della Carità di Cristo, ricordandoci il vero significato e l'autentica natura di ciò che Dio ha rivelato su di sé: un'unità d'amore di Tre Persone. Benedetto XVI ci chiede di contemplare questa Trinità e di conformarci alle Persone che vediamo. Nel tentare di riflettere questa realtà d'amore, è possibile vedere la vera carità e la piena dignità di tutti gli uomini e di tutte le donne, perché siamo fatti a immagine di Dio. Mantenendo questi esempi d'amore davanti agli occhi, espressi nel modo più intenso nella Croce di Cristo, l'identità delle agenzie e la loro missione diventano estremamente chiare.

Quali iniziative intraprende Cor Unum per assicurare che queste agenzie non assumano posizioni ideologiche e non adottino valori secolari nelle loro attività?

Cardinale Cordes: Vi sono almeno tre elementi importanti. Anzitutto, a fianco alla proclamazione della Parola e alla celebrazione della liturgia, il Vescovo ha come responsabilità primaria quella della missione della carità nella sua Diocesi. Nel corso della visita "ad limina" dei Vescovi a Cor Unum e delle mie visite alle Conferenze Episcopali nei vari Paesi, cerco sempre di ricordare ai pastori questa loro responsabilità.

La "Deus caritas est" lo conferma in modo categorico: "Alla struttura episcopale della Chiesa, poi, corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione, anche nel presente, del programma indicato negli Atti degli Apostoli" (n. 32). Poiché i Vescovi hanno la responsabilità della carità, essi non possono delegarla ad altri. Questo, tuttavia, non significa in alcun modo che debbano fare ogni cosa da soli, anche perché sarebbe impossibile. Significa invece che coloro che li assistono in questo lavoro essenziale devono fare in collaborazione e sotto la supervisione e la guida del pastore che il Signore ha assegnato alla Diocesi.

In secondo luogo, Cor Unum ha tra i suoi compiti principali la proclamazione della "Catechesi della Carità". L'Enciclica del Santo Padre rende questo compito più agevole e molto più efficace, ma soprattutto fornisce un'occasione di riflessione, sia per il dicastero che per tutte le organizzazioni caritative cattoliche.

Quando penso alle centinaia di persone che ho incontrato, piene di fede e di motivazione nel loro amore per Cristo, che svolgono ogni giorno le innumerevoli opere di carità all'interno della Chiesa e lavorano sempre più come volontari, effettivamente non mi capita mai di trovare qualcuno indirizzato verso una strada sbagliata.

Noi li incoraggiamo a far fronte alle esigenze ordinarie della vita cristiana e a fare appello ai Vescovi perché siano per loro una guida adeguata e ispiratrice. Cerchiamo di promuovere da parte degli operatori a tempo pieno delle organizzazioni caritative una maggiore apertura verso il numero crescente di volontari che si trovano in ogni parrocchia e in tanti nuovi movimenti. Cercheremo anche di far conoscere le direttive contenute nella nuova Enciclica ai nuovi responsabili delle agenzie.

Nelle due ultime Assemblee plenarie, abbiamo riflettuto con i nostri membri e consultori sulla necessità di elaborare delle linee guida per la formazione degli operatori delle agenzie caritative, sia quelli stipendiati che i volontari.

Una terza e recente iniziativa del Pontificio Consiglio è quella degli "esercizi spirituali" per i direttori delle Caritas e delle altre organizzazioni caritative di tutti i continenti. Nel giugno 2008 si sono svolti a Guadalajara, in Messico, per tutta l'America, e vi hanno partecipato circa 500 persone, tra cui 40 Vescovi. Nel settembre scorso, un'attività analoga si è svolta a Taipei (Taiwan) per il grande continente asiatico. Hanno partecipato più di 450 direttori, tra cui 5 Cardinali e circa 60 Vescovi.

Il riscontro altamente positivo che abbiamo ricevuto da entrambi gli eventi dimostra la sete di spiritualità nel campo della carità. I partecipanti hanno particolarmente apprezzato la considerazione che la carità cristiana non può mai essere separata dalla sua radice, la Parola, e che deve essere sempre alimentata dalla preghiera. La Parola di Dio e la preghiera: queste nutrono le radici della fede nell'attività caritativa.

L'importanza di questa iniziativa può essere colta dalle toccanti parole dall'Arcivescovo di una grande Diocesi del Vietnam: "Dopo gli esercizi spirituali, mi sono convinto più che mai che il lavoro caritativo significa questo: rivelare agli altri l'amore di Dio; conformare me stesso a Gesù, sempre attraverso una relazione intima con il Padre; e irradiare questa intimità al mio gregge, senza distinzioni. Tenterò di condividere l'esperienza di Taipei con il popolo di Dio nella mia Arcidiocesi".

All'assemblea plenaria dei Vescovi australiani abbiamo espresso il desiderio di offrire esercizi spirituali per i direttori delle organizzazioni caritative della Chiesa in Australia, Nuova Zelanda e l'Oceania. I Vescovi hanno risposto positivamente e stanno ora individuando il periodo più idoneo.

Quanto dipende dalle Conferenze Episcopali il fatto che le agenzie cattoliche svolgano la loro opera secondo gli intendimenti della Chiesa?

Cardinale Cordes: Qualche tempo fa - il 9 settembre 2002, per l'esattezza - l'ex Segretario di Stato, il Cardinale Angelo Sodano, ha inviato una lettera a tutte le Conferenze Episcopali nel mondo proprio su questo tema. Egli ha chiarito che la responsabilità ultima per tutte le attività caritative che si svolgono in una Diocesi è del Vescovo, anche se egli può avvalersi dell'aiuto di altri. "Infatti - osservava il Cardinale - dare testimonianza della carità nel nome di Cristo è un compito esplicitamente richiamato nella liturgia dell'ordinazione episcopale, con la domanda:

‘Volete essere sempre accoglienti e misericordiosi, nel nome del Signore, verso i poveri e tutti i bisognosi di conforto e di aiuto?'."

L'Enciclica di Benedetto XVI "Deus caritas est" conferma questa responsabilità in modo ancora più categorico.

Come vede il futuro del settore cattolico dell'aiuto allo sviluppo?

Cardinale Cordes: Dobbiamo evitare di cadere nell'errore di pensare di poter sradicare la povertà con le nostre forze, poiché il Signore stesso ci ha assicurato che i poveri saranno sempre con noi. Il paradiso su questa terra è un'illusione. Come afferma Benedetto XVI nella "Deus caritas

est", "La Chiesa non può mai essere dispensata dall'esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d'altra parte, non ci sarà mai una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l'uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell'amore" (n. 29).

Un più approfondito apprezzamento del futuro dell'apporto cattolico all'aiuto allo sviluppo può provenire da una riflessione sulla vita dei primi cristiani: "il quale (Gesù) passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui" (Atti 10, 38). È un compito proprio della missione della Chiesa quello di "fare del bene" e di proclamare la Buona Novella ai poveri, così come faceva Cristo.

La credibilità della nostra testimonianza evangelica attraverso la carità sarà tanto maggiore quanto più riusciremo a trasmettere l'esperienza della bontà di Dio, consentendogli in questo modo di guarire le ferite dell'umanità.

Lei ha pronunciato una conferenza all'Australian Catholic University sull'ultima Enciclica del Santo Padre "Caritas in Veritate". Qual è stato il suo pensiero principale?

Cardinal Cordes: Ho cercato di collocare l'Enciclica nel contesto della storia della Dottrina Sociale della Chiesa. Sin dai tempi della Rivoluzione industriale, la lotta della Chiesa in favore della dignità umana si è incentrata su obiettivi sociali e politici. Anche durante il recente Sinodo speciale per l'Africa, che si è svolto in Vaticano nell'ottobre scorso, gli interventi di molti Vescovi si sono incentrati su questi temi. Né il lavoro della Caritas né l'Enciclica "Deus caritas est" sono stati richiamati. D'altra parte i lavori preparatori - i "lineamenta" - hanno usato la parola "giustizia" non meno di 160 volte (la parola "amore" è apparsa solo tre volte). Certamente questi dettagli sono ispirati dalle attuali e variegate necessità dell'Africa.

Lo stesso tema del Sinodo - "Giustizia, pace e riconciliazione" - agevola questi contenuti. Purtroppo, tuttavia, il lavoro caritativo delle Chiese locali e l'impegno dei volontari nelle comunità, di cui noi qui a Cor Unum sentiamo parlare così bene durante le visite "ad limina" dei Vescovi africani, non ha avuto alcuna risonanza.

Ancor più inquietante è il fatto che l'impegno in favore dell'umanità sia quasi esclusivamente diretto a miglioramenti nelle strutture sociali. In questo modo, la considerazione della Caritas e dei suoi obiettivi saranno dominati da una prospettiva meramente politica. Ovviamente l'esempio di alcune grandi organizzazioni caritative della Chiesa, che accompagnano alcuni eventi delle Nazioni Unite e dei consessi mondiali con manifestazioni politiche che inneggiano a una "protesta culturale", ha fatto scuola. È del tutto logico allora che la descrizione degli obiettivi di lavoro per Caritas Africa, che figura nella brochure presentata al Sinodo dei Vescovi, culmini nel cambiamento sociale ("Advocacy for the Poor").

In questo nuovo documento, la "Caritas in Veritate", Benedetto XVI è chiaramente consapevole della tendenza secolarizzatrice. Egli riprende la prospettiva di fede e colloca le direttive sociali della Chiesa alla luce della carità, dell'amore. Il Papa insegna che "la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa" (n. 2). La carità che qui si intende è "l'amore ricevuto e donato" da Dio (n. 5): è l'amore del Padre creatore, del Figlio redentore, riversato attraverso lo Spirito Santo che benedice la vita degli uomini e delle donne fondata su determinati principi.

Per quanto riguarda lo sviluppo dell'uomo, l'Enciclica ne asserisce "la centralità in esso della carità" (n. 19). La sapienza - dice più oltre -, capace di orientare l'uomo, "deve essere ‘condita' con il ‘sale' della carità" (n. 30). Questi frasi semplici ed evidenti comportano importanti

conseguenze: l'insegnamento sociale, separato dall'esperienza cristiana, sarebbe come ogni altra ideologia, che Papa Giovanni Paolo II ha rifiutato, oppure può diventare un manifesto politico senz'anima. In realtà, l'istruzione sociale "incarna" i fedeli nella società. Dà ai cristiani il dovere di incarnare la fede. Come afferma il documento, "La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l'amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo" (n. 6).

Tali aspetti della Dottrina Sociale la ancorano fermamente alla Rivelazione. Vediamo la diretta continuità con il messaggio della "Deus caritas est" e l'orientamento di fede di ogni diaconia della Chiesa.

Lei ha scritto due libri che saranno a breve pubblicati in inglese. Di cosa parlano?

Cardinale Cordes: "Where are the Helpers: Caritas and Spirituality?" tratta in modo approfondito la prima Enciclica di Benedetto XVI, la "Deus caritas est". Poiché questa rappresenta la magna charta del nostro lavoro - di orientare e ispirare il lavoro caritativo della Chiesa cattolica -, in questo volume presento i miei studi e altre riflessioni che approfondiscono il significato dell'aiuto cristiano, che commentano le linee guida teologiche, spirituali e canoniche della "Deus caritas est" e che presentano modi concreti per aiutare i bisognosi sperimentando così la bontà di Dio. Dal lavoro emerge la necessità di una "formazione del cuore" per coloro che sono impegnati nell'attività caritativa.

Il secondo libro è "Why Priests? Various Answers Guided by the Teachings of Benedict XVI" e si inserisce nel contesto dell'Anno Sacerdotale proclamato da Benedetto XVI, cercando di affrontare alcune questioni altamente rilevanti sulla Chiesa di oggi. Vista la scarsità di sacerdoti, i laici potrebbero assumere una parte del ministero sacerdotale? Data l'eguale dignità di uomini e donne agli occhi di Dio, non sarebbe ora di organizzare le parrocchie in modo democratico? Considerata l'efficiente divisione del lavoro nella cura delle anime e viste le strutture organizzate delle parrocchie, qual è l'esigenza per la Chiesa di avere dei sacerdoti?

A queste domande cerco una risposta attraverso il dialogo con il teologo Benedetto XVI, le cui affermazioni fondamentali sul ministero dei sacerdoti sono presentate all'inizio di ogni capitolo. In questo modo, si offrono "diverse risposte" sul sacerdozio cattolico, utili per i sacerdoti e le loro parrocchie, per i seminaristi e il loro ambiente, nonché per tutti coloro che sono interessati al ministero sacerdotale e al processo decisionale della Chiesa.

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:53. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com