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La lotta alla droga, alla povertà e alla criminalità organizzata nella società contemporanea

Ultimo Aggiornamento: 17/12/2009 07:07
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17/12/2009 07:07

  La lotta alla droga, alla povertà e alla criminalità organizzata nella società contemporanea

Se non per compassione almeno per interesse


Pubblichiamo un estratto della lectio magistralis tenuta all'Università Cattolica del Sacro Cuore - in occasione del conferimento del premio internazionale Francesco Vito - dal direttore esecutivo dello United Nations Office on Drugs and Crime.

di Antonio Maria Costa

Per combattere droga, crimine e terrorismo abbiamo bisogno di un impegno più serio da parte dei governi. Ignorare il belato degli agnelli, delle vittime, solo perché il loro potere economico e l'influenza elettorale sono insignificanti, non li farà tacere. Neanche comunità segregate, muri di contenimento e controlli di frontiera servono, intendo dire servono poco praticamente, perché moralmente sono repellenti. Guardate le ondate di migranti che rischiano la vita ogni giorno per arrivare in Europa, Australia o Nord America. Questi poveracci continueranno ad avventurarsi finché "il rischio di morire un brutto giorno" nella traversata in mare o nel deserto, continuerà a essere meno grave della certezza di morire giorno dopo giorno in un miserabile villaggio, senza cibo, lavoro o salute.

In Caritas in veritate, Papa Benedetto XVI scrive che l'"interdipendenza tra i popoli deve accompagnare l'interazione delle coscienze". Questo principio è imperativo morale e suggerimento pratico:  chi non è motivato dalla compassione, dovrebbe aiutare alla luce del proprio interesse. Vogliamo che ci siano altre persone nel mondo perse nella droga? Altre regioni minacciate dal crimine? Più quartieri inaccessibili, fuori da ogni controllo? Contribuire al bene comune è dettato dal buon senso, anche egoistico.

Perseguire il bene comune, condividendo le responsabilità del forte e del debole, è una dottrina sociale in primo luogo, ed è anche la base per buone relazioni tra due metà della società che sono reciprocamente legate. Combattere i mali pubblici tramite i beni pubblici quali la salute, lo sviluppo, la giustizia e la sicurezza è il modo più efficiente per conseguire i risultati desiderati. Questo tema è al centro del nostro lavoro allo United Nations Office on Drugs and Crime (Unodc).

A proposito della droga, dobbiamo guardare al problema secondo la prospettiva della salute. Pratica medica e ricerca scientifica confermano che la tossicodipendenza è una malattia, non un crimine. Perciò trattiamola come tale:  una condizione medica alla disperata ricerca di prevenzione e terapia. Non c'è dibattito ideologico a proposito della cura al cancro o al diabete. I partiti di sinistra e di destra nello spettro politico non sono divisi sulla necessità di curare la tubercolosi o l'Aids. Perché così tanta ideologia in materia di tossicodipendenza? Perché non offrire accesso universale alla terapia contro la droga, così come facciamo per le altre malattie?
In secondo luogo c'è il tema dello sviluppo. Le aree del mondo dove la produzione di droga persiste, dove il crimine è violento e dove il terrorismo prevale sono anche le regioni più derelitte e incontrollate.

In queste aree dobbiamo sradicare non solo droga, crimine e altre attività illecite. Occorre rimuovere anche povertà, ignoranza e miseria culturale, per esempio l'uso di vendere le proprie figlie. L'applicazione della legge può avere successo solo se si lavora di pari passo con, e non contro, lo sviluppo socioeconomico del Paese. Per questa ragione l'Unodc lavora con le istituzioni finanziarie internazionali, le banche di sviluppo e il settore privato per migliorare le condizioni di vita nei contesti dove droga, crimine e terrorismo prevalgono. Non parliamo di beneficenza, ma di un modo pratico per promuovere investimenti e stabilità.

Soprattutto vi è la questione di giustizia. Le regioni dove prevalgono droga, crimine e terrorismo non sono solo povere economicamente, ma anche fuori del controllo da parte delle autorità. Violenza e miseria (nel senso lato del termine) sono causa ed effetto l'una dell'altra. I criminali sfruttano le regioni vulnerabili a causa del sottosviluppo e della debole amministrazione, aumentandone la miseria, causando la distruzione del capitale sociale, allontanando turisti e investitori, e alimentando la corruzione. In tutto il mondo continuiamo a registrare come il crimine perpetua la vulnerabilità della società e viceversa, in un circolo vizioso che assolutamente dobbiamo rompere.

Ma non è facile perché una debolezza persistente caratterizza il nostro lavoro. Sono infatti preoccupato per l'inadeguata comprensione della società del male:  un'economia di dimensioni enormi, con una estensione geografica tale da competere con Paesi di portata continentale, e con un potere d'acquisto internazionale maggiore delle massime potenze commerciali. All'Unodc abbiamo stimato l'economia mondiale della droga a 320 miliardi di dollari l'anno. La dimensione economica del traffico di armi è pressappoco analoga. Il reddito generato dalla corruzione è ancora maggiore. Il costo del terrorismo (sia per rimediare al danno, quanto per prevenirlo) è valutato annualmente a centinaia di miliardi. E via via, la dimensione economica di tutte le attività illegali raggiunge il taglio del prodotto nazionale lordo di un grande Paese contemporaneo. Ora vorrei porre una domanda agli economisti miei colleghi:  studiate le prospettive economiche di isole della Micronesia, la dimensione commerciale della caccia alle farfalle, l'impatto energetico dei gas intestinali dei bovini. Benissimo. Ma perché non investire altrettante risorse intellettuali e scientifiche nello studio della droga, del crimine e del terrorismo che, in fin dei conti, pongono a rischio la sopravvivenza della nostra società?

Personalmente, sono fiero del lavoro dell'Unodc sui rilevamenti regionali della produzione di droga e degli studi tematici. Ma c'è una lunga strada scientifica ancora da percorrere, particolarmente per capire le dinamiche del crimine organizzato e della corruzione. Abbiamo bisogno dell'aiuto del mondo accademico per concettualizzare, misurare e descrivere quello che succede nelle nostre società, e motivare i politici a decidere con dati alla mano. Accademici:  vi invito a riflettere sul fatto che, in una generazione, il crimine organizzato transnazionale potrebbe diventare l'equivalente umano della minaccia ambientale odierna. A surriscaldarsi non saranno mari e deserti, ma il governo stesso della società e l'amministrazione dell'economia.

Questo mi porta al punto finale, la sicurezza:  il suo rafforzamento riduce le zone di impunità usate dalle forze del male. E prosciuga le fonti di finanziamento illecito. Ma come aumentare la sicurezza quando il crimine organizzato è agguerrito, arricchito dai proventi massicci dell'illegalità, quindi ben equipaggiato e radicato nella società? Aumentare la presenza di forze armate e polizia è necessario, ma non sufficiente. È anche importante migliorare i controlli doganali, come abbiamo visto in Africa occidentale. Ma soprattutto dobbiamo cambiare il contesto che rende inevitabile l'insicurezza.

La corruzione è il fattore contestuale più critico e il lubrificante più efficace per il crimine. Quindi stabilire un regime di integrità deve diventare una priorità massima. Abbiamo a disposizione due strumenti legali internazionali, nuovi e forti:  la Convenzione di Palermo contro il crimine organizzato e la Convenzione di Mérida contro la corruzione. Trasformiamoli in una base giuridica comune contro una minaccia comune.

Un'altra priorità è lavorare insieme sui controlli ai confini:  nel mio ufficio scherzosamente diciamo che il nostro lavoro consiste nel porre reti alle finestre, per lasciare passare l'aria fresca di commercio, turismo e investimenti, ma tenendo fuori gli insetti. Molti Paesi necessitano di assistenza per proteggere i loro confini dai traffici illeciti. Gli scettici dicono che aiutare Paesi lontani è una bassa priorità, specialmente quando i bilanci sono in disavanzo. Ma in un mondo interconnesso, l'impatto del crimine in una regione, per quanto remota, riguarda tutti noi. Quindi l'Unodc provvede assistenza finanziaria, legale e tecnica in zone tanto remote da essere quasi sconosciute. In un mondo telematico, tempo e spazio sono stati comunque aboliti.

Esistono diverse altre priorità contestuali sulle quali non posso soffermarmi che brevemente, per esempio una lotta più aggressiva al riciclaggio del denaro e una maggiore condivisione delle informazioni operative tra i servizi segreti dei vari Paesi. In entrambi i casi, siamo anni luce in ritardo rispetto al fabbisogno:  al momento le giurisdizioni della legalità debbono arrestarsi ai confini territoriali - e alle frontiere del segreto bancario - mentre la criminalità organizzata attraversa tutte le barriere, nazionali, amministrative, finanziarie e informatiche, con totale disinvoltura. È stato un errore storico aprire le finestre alla globalizzazione dell'economia, senza predisporre le reti alle finestre menzionate prima.
Una migliore analisi dei pagamenti soggiacenti alle operazioni commerciali, al di là della verifica delle transazioni finanziarie e delle operazioni interbancarie che avvengono in base ai regolamenti della Financial Action Task Force (Fatf) è del tutto fattibile nel mondo telematico odierno, ed è più efficace dei controlli fisici. Ma non lo si fa.

Per quanto riguarda la condivisione delle informazioni operative, mi rallegro per esempio dell'accordo trilaterale tra Afghanistan, Iran e Pakistan, mediato dall'Unodc negli ultimi anni. Questi Paesi, in disputa per molti versi, riconoscono di fronteggiare minacce comuni (droga e insorgenza) e stanno lavorando assieme per fermarle. Abbiamo mediato per accordi simili in Asia Centrale e nel Golfo e prevediamo di fare lo stesso in America Centrale e nei Caraibi. Ma l'affanno di non rivelare segreti di Stato sono un grosso impedimento alla collaborazione interservizi tra le nazioni. Comprensibilmente, non tutti i popoli amano i propri vicini, ma quando si fronteggia una minaccia comune, è nell'interesse di tutte le parti lavorare insieme.


(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)
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