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Nel saluto dal balcone Giovanni Paolo II fu ingannato da Pinochet

Ultimo Aggiornamento: 23/12/2009 07:16
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23/12/2009 07:16

Nel saluto dal balcone Giovanni Paolo II fu ingannato da Pinochet
Il ricordo del Cardinale Tucci: "Ci prese tutti in giro"

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 22 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Giovanni Paolo II non avrebbe mai voluto affacciarsi a fianco di Augusto Pinochet dal balcone del Palazzo della Moneda, nel 1987, ma venne ingannato dal dittatore cileno.

E' quanto ha raccontato il Cardinale Roberto Tucci, 88 anni, che allora era l'organizzatore dei viaggi papali all'estero, in una intervista a “L'Osservatore Romano” nella quale rivela il dietro le quinte di quell'episodio che allora scosse l'opinione pubblica in un momento in cui in Cile gli oppositori venivano torturati e assassinati.

Il porporato gesuita ha confessato di non poter dimenticare “il volto di Wojtyla quando si accorse del tiro che gli giocò Pinochet”.

“Lo fece affacciare con lui al balcone del palazzo presidenziale, contro la sua volontà. Ci prese tutti in giro”, ha esclamato.

“Noi del seguito fummo fatti accomodare in un salottino in attesa del colloquio privato. Secondo i patti - che avevo concordato su precisa disposizione del Papa - Giovanni Paolo II e il presidente non si sarebbero affacciati per salutare la folla”.

“Wojtyla era molto critico nei confronti del dittatore cileno – ha rivelato il Cardinale Tucci – e non voleva apparire accanto a lui. Io tenevo sempre d'occhio l'unica porta che collegava il salottino, dove eravamo noi del seguito, alla stanza nella quale erano il Papa e Pinochet. Ma con una mossa studiata li fecero uscire da un'altra porta”.

“Passarono davanti a una grande tenda nera chiusa - ci raccontò poi il Papa furioso - e Pinochet fece fermare lì Giovanni Paolo II, come se dovesse mostrargli qualcosa”.

Successivamente, “la tenda fu aperta di colpo e il Pontefice si ritrovò davanti il balcone aperto sulla piazza gremita di gente. Non poté ritrarsi, ma ricordo che quando si congedò da Pinochet lo gelò con lo sguardo”.

Al contrario, ha ricordato il Cardinale Tucci, il presidente argentino Raúl Alfonsín “fu più rispettoso, e non pretese assolutamente di comparire al suo fianco”.

“In Africa invece re, dittatori e governanti corrotti lo tiravano da tutte le parti per sfruttarne l'immagine – ha detto –. Lui lo sapeva, ma era uno scotto da pagare per incontrare la gente. Ne era addolorato, ma sopportava. Con noi poi si sfogava. E quando parlava non risparmiava le denunce”.

Il porporato, che è stato anche direttore della rivista “La Civiltà Cattolica” e direttore generale della “Radio Vaticana”, ha poi parlato dei tanti viaggi programmati e mai realizzati.

Come quello che il Papa voleva compiere a Sarajevo durante la guerra, nel 1994. “Quando compii il sopralluogo con Alberto Gasbarri - attuale direttore amministrativo della Radio Vaticana e organizzatore dei viaggi papali fuori d'Italia - ci costrinsero a indossare il giubbotto antiproiettile. Era troppo pericoloso e quasi impossibile garantire l'assoluta sicurezza”.

“Ricordo con dispiacere invece il fallimento della visita ad Hong Kong – ha continuato –. Il Cardinale John Baptist Wu Cheng-chung, Vescovo dal 1975, mi manifestò le sue perplessità. Hong Kong aveva ancora la sua autonomia, ma la presenza del Papa poteva essere interpretata come un atto scortese nei confronti di Taiwan: eravamo nel 1994, alla vigilia del passaggio di Hong Kong alla Cina, avvenuta nel 1997”.

“Altra delusione fu il fallimento del viaggio che il Papa voleva fare in Iraq dopo la guerra del Golfo. Ricordo che raggiungemmo una base militare in aereo in piena notte. Poi sei ore di macchina sino a Baghdad. Siamo stati tre giorni a discutere con due vice-ministri degli Esteri, i quali sostenevano che il Papa non aveva capito niente, perché Abramo era musulmano”.

“Alla fine ci dissero che il Papa nella terra di Abramo, cioè nel sud dell'Iraq, ai confini con l'Iran, avrebbe rappresentato un rischio molto serio per possibili attentati, dei quali avrebbero poi incolpato gli iracheni”.

Il Cardinale Tucci ha quindi parlato dei mancati incontri con il Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II.

“La prima volta quando il Papa doveva recarsi in Austria. Per volontà della Santa Sede organizzai un incontro con il Patriarca di Mosca Alessio II, perché padre Pierre Duprey, allora segretario dell'attuale Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, aveva sondato il terreno e sembrava che i tempi fossero maturi”.

“C'erano state trattative e avevano deciso che a Vienna avrebbero potuto incontrarsi. Preparai tutto nei minimi dettagli – ha ricordato –. Avevamo scelto il monastero cistercense della Santa Croce. Ma pochi giorni prima il Patriarcato di Mosca ci fece sapere che l'incontro non ci sarebbe stato”.

“Il motivo, ci dissero, era il cattivo trattamento riservato in Ucraina dai cattolici agli ortodossi per il recupero delle loro chiese, un pretesto”.

“La stessa cosa accadde in occasione della visita a Pannonhalma, in Ungheria, nel 1996. Anche quella volta era tutto pronto, ma poi vennero poste ulteriori condizioni e saltò tutto”.

Il Cardinale Tucci ha quindi accennato alla sua amicizia con Giovanni XXIII, che lo scelse come perito durante il Concilio Vaticano II, richiamando un aneddoto: una udienza concessagli dal Papa alla vigilia del famoso congresso della Democrazia cristiana nel gennaio del 1962 a Napoli, nel corso del quale Aldo Moro convinse l'intero gruppo dirigente del partito sulla necessità di un'alleanza con il Partito Comunista Italiano.

“Durante l'incontro – ha detto il porporato – il Pontefice mi ripetè una cosa che mi aveva già confidato durante il primo dei nostri incontri, cioè che non desiderava occuparsi delle cose dell'Italia e avrebbe voluto che la Segreteria di Stato fosse molto cauta nelle questioni italiane”.

“Mi disse che non si intendeva di politica e, in ogni caso, pensava che il Papa, appartenendo alla Chiesa universale, non dovesse essere coinvolto in questioni particolari riguardanti l'Italia”, ha continuato.

“A proposito delle divisioni interne alla Democrazia cristiana, aggiunse - credo riferendosi alla sinistra - che andavano comunque rispettati anche quelli che non erano, per così dire, sulle posizioni più accettabili, perché si trattava comunque di persone che difendevano le loro idee in buona fede”.

“Io non me ne intendo – disse Giovanni XXIII – ma francamente non capisco perché non si possa accettare la collaborazione di altri che hanno un'ideologia diversa per fare cose in sé buone, purché non vi siano cedimenti dottrinali'”.

“Capii così che Moro avrebbe avuto via libera – ha affermato il Cardinale Tucci –. Penso anzi che allo statista venne comunicata questa posizione del Papa perché, conoscendo la sua fede, non credo che avrebbe proceduto altrimenti su quella strada”.


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