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La qualità prima dei numeri

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2009 07:06
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31/12/2009 07:06

L'aggiornamento e la formazione i rimedi anticrisi


di Giuseppe Crea
Comboniano, psicologo e psicoterapeuta

L'identità della persona è alla base della sua crescita personale e del suo progetto di vita. In psicologia, l'identità riguarda il senso del proprio essere che si rafforza e si distingue con le caratteristiche d'ognuno. L'identità è anche una costruzione della memoria  psichica  che  ognuno  ha, che cresce e si rafforza con il procedere del tempo.

C'è un'identità che riguarda anche la missione sacerdotale, alla quale ogni presbitero si richiama nel lavoro pastorale che svolge. Un'identità che certamente non è una proprietà privata, ma è frutto d'una relazionalità profonda ispirata al modello trinitario ed espressa in una fraternità concretamente vissuta nella propria Chiesa locale di appartenenza. È un'identità essenzialmente relazionale, che - lo ricorda l'esortazione apostolica Pastores dabo vobis, n. 12 - risponde al bisogno di consistenza psicologica ed esistenziale di ogni chiamato.

Se il prete si sente privato di questa chiarezza interiore, egli rischia di smarrire il significato del proprio coinvolgimento vocazionale ed entra in una spirale di disorientamento che compromette la sua identità sacerdotale. Senza un orientamento di senso egli può restare profondamente deluso, soprattutto se si trincera dietro tutte quelle "tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie" (Novo millennio ineunte, n. 43).

In un incontro di formazione alla leadership tenutosi al Claretianum di Roma, così raccontava un anziano direttore spirituale:  "Ho incontrato sacerdoti che, a differenza dei tempi passati, non riescono a reggere il confronto con il vuoto interiore che sentono dentro. Certe volte vanno in crisi ma non sanno dare una spiegazione specifica al loro malessere, e si ritirano dicendo semplicemente... che non se la sentono più di andare avanti".

Se viene a mancare il motivo per cui hanno realizzato tante cose nella loro esperienza sacerdotale, o se portano avanti il loro ruolo come se fossero dei funzionari di una religiosità che sentono estranea, possono anche prendere decisioni radicali... senza sapere bene il perché. A questo punto non bastano degli aggiustamenti più o meno spiritualizzanti per ridare senso alla loro esistenza e al loro ministero. Occorre, invece, prendere sul serio il disagio e la confusione che avvertono e, a partire da ciò, riproporre un chiaro  itinerario  di  formazione umana e spirituale che, in fondo, non è mai del tutto compiuto, ma che è sempre da rinnovare nella vita di ogni sacerdote come in ogni operatore pastorale.

Varie indagini effettuate ultimamente sulla condizione del clero fanno emergere il profondo bisogno di comunione ecclesiale, fondata non tanto sul quieto vivere e sull'evitare le condizioni problematiche, ma sulla natura relazionale del ministero sacerdotale. La mancanza di questo senso d'appartenenza e di spiritualità di comunione viene percepita come crisi d'identità che si rivela come isolamento, ma anche come incapacità a lasciarsi plasmare e modellare.

"A volte non so più chi e che cosa guida realmente la mia vita, le mie azioni, i miei desideri", diceva un sacerdote stanco e demotivato nel suo ministero. Immerso nelle tante cose da fare, il prete rischia di non percepire il pericolo dell'aridità e della superficialità che a volte avvolge la routine quotidiana del suo prodigarsi per gli altri. Inoltre, la mancanza di docilità a farsi condurre dallo Spirito che lo motiva ad andare avanti, si rivela nelle diverse patologie di comunione che s'insidiano nei vissuti interpersonali:  l'individualismo che frammenta e disperde, e l'egocentrismo che tende ad assorbire e a fagocitare l'altro per renderlo simile a sé.

Tali difficoltà si fanno ancor più evidenti quando arriva l'ora di una comunione concretamente vissuta con il vescovo e con gli altri presbiteri. Le crisi che emergono possono essere molto laceranti dal punto di vista psicologico, proprio perché s'insidiano nel carattere specificamente relazionale dell'identità sacerdotale. Ma diventano anche una grande occasione di crescita, perché allo stesso tempo nascondono una domanda di accompagnamento, lungo il percorso di trasformazione spirituale. Spesso sottendono una sottile richiesta di leadership e di guida, da riconoscere e da promuovere con autorevolezza e amorevolezza nelle diverse circostanze di formazione umana e spirituale che si vivono insieme.

Guai ad anteporre tecniche e programmi di vario genere a questo bisogno relazionale ed educativo, che rende le persone disponibili all'ascolto reciproco ma anche al cambiamento propositivo. "Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l'uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli operatori pastorali" (Novo millennio ineunte, n. 43). Quanti hanno responsabilità di leadership - vescovi, superiori, istituzioni - hanno il compito di rispondere a questo principio educativo con passione ma anche con saggezza carismatica. Sapranno così equilibrare le diverse circostanze d'incontro funzionale - consigli presbiterali, ritiri mensili, corsi di aggiornamento, riunioni di programmazione - con una vicinanza affettiva capace di testimoniare la fedeltà alla comune missione.

Come rendere allora gli incontri dei presbiteri attorno al loro vescovo, dei veri cenacoli di fraternità? Come la domanda di vicinanza di tanti presbiteri può diventare una motivo di riscoperta della natura relazionale della comune identità sacerdotale? Rispondere a questi interrogativi vuol dire cercare con creatività nuovi spazi di comunione, dove vivere relazioni autentiche e costruttive, dentro il contesto specifico di una Chiesa locale da servire e da amare.

Per questo è necessario recuperare costantemente la genuinità e la carica motivazionale che caratterizza e accompagna la scelta vocazionale, per discernere - nello stesso cenacolo ecclesiale - uno stile di vita che rafforzi questo senso di appartenenza, attraverso scelte concrete da fare assieme. In tal modo, le problematiche che emergono diventano un'occasione di profonda conversione e formazione, che interpella ogni individuo a dare risposte coerenti con la propria chiamata vocazionale.



(©L'Osservatore Romano - 31 dicembre 2009)
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