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Fotogrammi dai Vangeli apocrifi

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2010 08:06
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06/01/2010 08:06



Fotogrammi dai Vangeli apocrifi

Afrodisio il convertito e altre storie


di Fabrizio Bisconti

Si addensa un giudizio sospettoso attorno alla produzione degli scritti apocrifi, ossia di quella fervida letteratura "segreta" o "nascosta" sorta a margine della tradizione canonica, tanto da essere considerata eretica dai Padri della Chiesa dei primi secoli:  da Ireneo (Adversus haereses, 1, 20) a Tertulliano (De resurrectione, 63), da Clemente Alessandrino (Stromata, 1, 15) a Ippolito (Philosophumena, 7, 20). Tali testi, in molti casi, rappresentano una documentazione riservata alla devozione privata, rasentando i confini della canonicità e integrano, con affabulazioni più o meno leggendarie, le Sacre Scritture.

Una particolare fortuna ebbero, già nel momento antico, i "Vangeli dell'infanzia" e, segnatamente, il Protoevangelo di Giacomo, il Vangelo dello Pseudo-Matteo, il Vangelo dell'infanzia armeno e il Liber de infantia Salvatoris. Questa variegata documentazione "altra" rispetto alle notizie provenienti dai vangeli canonici ispira, piuttosto precocemente e almeno dalla fine del IV secolo, l'arte cristiana dell'intero mondo tardo antico.

Alcuni episodi riguardano il delicato evento dell'annunciazione, arricchito da una dinamica domestica nel Protoevangelo di Giacomo (capitolo xi), se Maria, nel momento che precede il prodigioso annuncio, è intenta a filare la porpora per la cortina del Tempio:  "E Maria - precisa il redattore dello scritto apocrifo - uscì per attingere l'acqua. Ed ecco che risuonò una voce che diceva:  "Ave Maria, piena di grazia; il Signore è con te. Tu sei benedetta tra le donne". Ed ella guardò a destra e a sinistra, tutt'intorno a lei, per sapere da dove venisse quella voce. E tutta tremante, rientrò in casa, posò la sua anfora e riprese la porpora, si sedette e si rimise a filare".

Ebbene, alcuni fotogrammi di queste azioni vengono fissati, con un "fermo immagine", in alcune rappresentazioni iconografiche, come quando, tra il IV e il V secolo, la Madonna viene colta mentre fila la porpora nel lato minore del cosiddetto sarcofago Pignatta di Ravenna e in un riquadro del mosaico dell'arco trionfale di Santa Maria Maggiore.

Ma già in età costantiniana abbiamo un precocissimo flash, che illumina anche l'episodio della Madonna alla fonte e, in particolare, nel celebre sarcofago di Adelfia, rinvenuto nel cuore delle catacombe siracusane di San Giovanni. Questa rappresentazione, ma anche quelle che riproducono il misterioso racconto delle levatrici incredule e, specialmente, il momento in cui l'ostetrica ebrea Salome mostra al Bambino la mano paralizzata per non aver creduto alla verginità della Madonna, ci parlano di una diffusione capillare delle affabulazioni apocrife in tutto l'orbis christianus antiquus, dall'età costantiniana sino al momento bizantino.

Dai vangeli apocrifi dell'infanzia viene anche estratto e tradotto in figura un altro episodio estremamente singolare, collocato subito dopo l'annunciazione. I sommi sacerdoti scoprono la gravidanza di Maria, conosciuta come una vergine consacrata al Tempio e affidata a Giuseppe:  la notizia provoca uno scandalo e mette in dubbio la purezza di entrambi, tanto da dover essere sottoposti al giudizio di Dio. Si decide di ricorrere alla prova delle acque amare, una sorta di ordalia già nota dall'Antico Testamento, come si legge in Numeri, 11-31:  il sacerdote faceva bere l'acqua sacra all'imputata, facendole pronunciare un giuramento e invocando su di lei, se colpevole, una maledizione che l'avrebbe resa sterile e deforme.

Il Protoevangelo di Giacomo riferisce, al dettaglio, la dinamica della prova e ricorda il momento in cui il sacerdote dice a Giuseppe:  "Restituisci la vergine che hai ricevuto dal Tempio del Signore!". "E Giuseppe - continua lo scritto apocrifo - pianse amaramente (...) il sacerdote soggiunse:  "Vi sottoporrò alla prova dell'acqua del Signore e sarà così riconosciuto il vostro peccato":  dopo aver preso l'acqua del Signore, il sacerdote ne dette da bere a Giuseppe, poi lo mandò sulle montagne, ma egli tornò senza danno. Ne dette da bere a Maria e la mandò sulle montagne, ma anch'ella ne ritornò senza danno. E tutto il popolo ne fu ammirato, perché nessun peccato si era manifestato in essi (...) e Giuseppe e Maria tornarono a casa colmi di gioia, lodando il Signore" (capitolo XVI).

L'episodio dovette colpire i primi cristiani se, con ogni probabilità, viene raffigurato, già nel IV secolo, nell'ipogeo di via Dino Compagni e, ancora, nel sarcofago ravennate cosiddetto Pignatta, ma è nel momento bizantino che la scena riceve una codificazione iconografica più definita. Così, in una formella dello schienale della celebre cattedra eburnea del vescovo Massimiano a Ravenna.

L'avorio, scolpito negli anni centrali del VI secolo in una officina costantinopolitana, ritrae il momento in cui Maria porta la ciotola dell'acqua della maledizione alle labbra, dinanzi al sommo sacerdote, assistita da un angelo del Signore, mentre, ai suoi piedi, la fonte sgorga da una roccia. Da quel momento la scena si diffonde in tutto il mondo bizantino comparendo su dittici, evangeliari e affreschi, giungendo a interessare l'area egiziana, l'oriente e tornando, nell'altomedioevo, in occidente, nel discusso e suggestivo ciclo affrescato di Santa Maria di Castelseprio.

Un unicum, nell'ambito degli episodi riportati dagli scritti apocrifi dell'infanzia, è rappresentato dal curioso episodio occorso a Cristo fanciullo nella città egiziana di Sotine. Il racconto, riportato dallo Pseudo Matteo, ricorda che Afrodisio, governatore della città, avendo appreso che Gesù, entrando nel tempio della città, dove erano custoditi trecentosessantacinque idoli, questi erano caduti a terra, frantumandosi in mille pezzi, giunse sul luogo dell'accaduto con l'esercito, ma non per reagire.
Anzi, il governatore si avvicinò a Maria e adorò il bambino, che ella portava in seno e abbandonò ogni intenzione di vendetta, dicendo:  "Se costui non fosse Dio dei nostri dei, questi non sarebbero caduti al suo cospetto, non si sarebbero prostrati dinanzi a lui" (capitolo XXIV).

Ebbene, questo episodio - come si diceva - trova un unico ma significativo corrispettivo iconografico nell'arco trionfale di Santa Maria Maggiore, all'indomani di quel concilio di Efeso che esalta il dogma della partenogenesi e che guarda a Maria non più come al tramite silente dell'incarnazione, ma come a una protagonista attiva di quel progetto della salvezza, che anche gli "scritti nascosti" contribuiscono a definire, con dettagli e storie alternative, che possono apparire come affascinanti favole, ma che rappresentano la forza genuina del pensiero del popolo di Dio.


(©L'Osservatore Romano - 6 gennaio 2010)
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