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La Sindone

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2010 17:21
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Le ricerche, l'incendio, il futuro

La Sindone dal 1992 a oggi


"La Sindone:  provocazione all'intelligenza, specchio del Vangelo" è il tema dell'incontro che si svolgerà lunedì 11 gennaio, nell'Auditorium della chiesa del Santo Volto a Torino, in occasione della presentazione del volume "Sindone" edito dalla Utet. Dal libro, ancora non in distribuzione, anticipiamo ampi stralci di due saggi. Il primo, qui sotto, è stato scritto rispettivamente dal direttore scientifico del Museo della Sindone e dal direttore del Centro internazionale di sindonologia. Il secondo ripercorre la fortuna della Sindone nella storia dell'arte.

di Bruno Barberis e Gian Maria Zaccone

Nel 1992 l'arcivescovo di Torino e custode pontificio della Sindone, il cardinale Giovanni Saldarini, nominò una commissione scientifica internazionale composta da alcuni tra i maggiori esperti di tessuti antichi e da eminenti studiosi, con l'incarico di avviare un ampio e articolato piano di studio per affrontare e risolvere il delicato e importante problema della conservazione della Sindone.

I lavori ebbero inizio nel 1992 con un'ostensione privata alla presenza della commissione e si conclusero nel 1996 con la consegna alla Santa Sede, proprietaria della reliquia, di una relazione finale. In tale relazione la commissione di esperti faceva il punto sullo stato di conservazione della Sindone e suggeriva una serie di indicazioni e condizioni irrinunciabili per la sua conservazione ottimale che si possono così riassumere: 

a) la Sindone deve essere conservata in posizione distesa, piana e orizzontale. 
b) La Sindone deve essere liberata dagli accessori che servivano alle vecchie modalità di conservazione e di ostensione, ovvero il cilindro di legno, il telo rosso che la ricopriva quando veniva arrotolata, il nastro di seta azzurra cucito lungo il perimetro e le bandelle d'argento cucite all'interno del nastro azzurro lungo i due lati più corti.
c) La Sindone deve essere conservata in una teca di vetro antiproiettile, a tenuta stagna, in assenza di aria e in presenza di un gas inerte, al fine di interrompere il progressivo ingiallimento del tessuto dovuto al naturale processo di ossidazione e che è responsabile della progressiva riduzione di visibilità dell'immagine. La teca deve essere protetta dalla luce e mantenuta in condizioni climatiche (pressione, temperatura, umidità, e così via) costanti.
d) È necessario studiare a fondo il problema dell'eventuale sostituzione del telo d'Olanda con un nuovo telo e dell'eventuale asportazione o sostituzione dei rattoppi per migliorare le condizioni di conservazione.
Poco mancò che tutti questi studi si rivelassero vani, in quanto il 12 aprile dell'anno successivo un terribile incendio danneggiò seriamente la cappella della Sindone. Fortunatamente il lenzuolo, che era stato spostato nel duomo per permettere i restauri della cappella stessa, fu risparmiato sia dal fuoco, sia dall'acqua, sia dai crolli di materiale.

Le indicazioni suggerite dalla commissione imponevano ovviamente una modalità di conservazione radicalmente diversa da quella utilizzata negli ultimi tre secoli - l'arrotolamento su di un cilindro - e soprattutto la necessità di costruire una teca di dimensioni ben maggiori. L'intera operazione si presentava naturalmente molto complessa e delicata poiché numerose erano le difficoltà da superare tanto in fase progettuale quanto in fase esecutiva. Nonostante le non poche difficoltà incontrate, la costruzione della teca fu completata nei tempi previsti e il 17 aprile 1998 la Sindone venne per la prima volta ospitata nella nuova teca e in essa esposta al pubblico durante l'ostensione tenutasi in quell'anno.

La teca è un parallelepipedo dal peso di 2.500 chilogrammi, le cui superfici laterali e inferiore sono realizzate con un doppio strato di acciaio balistico e la cui superficie superiore è fatta di uno spesso vetro laminato a prova di proiettile. La teca è sorretta da un carrello mobile che consente di effettuare gli spostamenti e le rotazioni necessarie in occasione delle ostensioni. All'interno della teca la Sindone è cucita su di un mollettone non trattato e appoggiata su di un supporto di alluminio scorrevole su rotaia.

Al termine dell'ostensione del 2000 la Sindone fu trasferita dalla teca utilizzata per le ostensioni in una nuova teca, più leggera e maneggevole, destinata alla conservazione ordinaria. All'interno della teca a tenuta stagna è stata introdotta una miscela di argon (99,5 per cento) e di ossigeno (0,5 per cento). La presenza di un gas inerte come l'argon - che non reagisce con i più comuni elementi chimici - miscelato a una piccola quantità di ossigeno è indispensabile per impedire lo sviluppo di batteri sia aerobici che anaerobici e, come si è detto, per interrompere il progressivo ingiallimento del tessuto. La nuova teca è provvista di un sistema di controllo della pressione interna costituito da una batteria di soffietti mobili (posizionati al di sotto della teca) che garantiscono un costante equilibrio tra pressione interna ed esterna alla teca, necessario per evitare rischi di rotture del vetro.

Al termine di una lunga e delicata fase di preparazione, il 20 giugno 2002 ebbe inizio l'ultima fase dei lavori, consistente in un importante e indispensabile intervento di restauro conservativo che si concluse il successivo 23 luglio. Sotto la guida di Mechthild Flury Lemberg, esperta di fama internazionale di restauri di tessuti antichi, la Sindone venne scucita dal vecchio telo d'Olanda e successivamente furono scucite tutte le toppe al di sotto delle quali fu trovata una notevolissima quantità di materiale inquinante - costituito soprattutto da residui di tessuto carbonizzato durante l'incendio di Chambéry e polverizzatosi durante i secoli successivi - che costituiva ovviamente un notevole rischio per la conservazione del tessuto sindonico. Tale materiale fu asportato, raccolto in appositi contenitori sigillati, catalogato e consegnato al cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino e custode pontificio della Sindone


 
Prima di provvedere alla cucitura di un nuovo telo di sostegno sul retro della Sindone venne effettuato un completo rilievo fotografico e tramite scanner, oltre a rilievi fotografici in fluorescenza e registrazioni spettroscopiche Uv-Vis e Raman a diverse lunghezze d'onda in siti con diverse caratteristiche - al di sotto di siti senza immagine, con la sola immagine, con il solo sangue, con sangue e immagine, e così via. Fu inoltre effettuata un'analisi microscopica in alcuni siti con l'utilizzo di un videomicroscopio con ingrandimenti.
Infine vennero inoltre effettuati, sempre sul retro, alcuni prelievi microscopici con i metodi della suzione e del nastro adesivo.
Tutti i dati ottenuti e il materiale raccolto furono consegnati al custode pontificio della Sindone e, se e quando la Santa Sede lo riterrà opportuno, potranno essere messi a disposizione degli scienziati per studi e ricerche.

L'esame del retro della Sindone - rimasto coperto, e quindi non visibile, dal 1534 al 2002 - permise di confermare pienamente l'ipotesi avanzata nel 1978 dagli scienziati dello Sturp relativa al fatto che sul retro appaiono ben evidenti le macchie di sangue presenti sulla faccia visibile della Sindone, mentre è assente ogni traccia dell'immagine corporea perché possiede uno spessore solo di qualche centesimo di millimetro.

La Sindone è stata poi ricucita su di un nuovo telo di supporto, anch'esso tessuto in Olanda e preventivamente testato e analizzato per garantirne le caratteristiche chimico-fisiche. Infine i bordi delle bruciature furono cuciti al nuovo telo d'Olanda in quanto si è ritenuto non più necessario coprirli con nuove toppe, sia perché la Sindone è ora conservata completamente distesa in posizione orizzontale e quindi non più sottoposta a tensioni meccaniche, sia per rendere del tutto visibili l'immagine sindonica e le macchie ematiche.
Al termine dei lavori la Sindone è tornata nella sua teca, nel transetto sinistro della cattedrale di Torino, protetta e monitorata da sistemi moderni e sofisticati.

Il futuro della ricerca sul misterioso lenzuolo è stato tracciato dal simposio "La Sindone:  passato, presente e futuro" svoltosi a Torino nel 2000, che ha visto la partecipazione, su invito, di 40 tra i maggiori esperti a livello internazionale di studi sulla Sindone e dei campi di ricerca a essa connessi, provenienti da dieci Paesi. Al termine del simposio è stato deciso di raccogliere nuove proposte di ricerca al fine di avviare nuovi studi e una raccolta di nuovi dati. Negli anni successivi al simposio sono pervenute a Torino, da scienziati di tutto il mondo, nuove proposte e progetti di ricerca che sono stati sottoposti all'esame di una commissione internazionale di esperti, per valutare la possibilità di avviare una nuova campagna coordinata di studi e di ricerche. Al momento attuale tutto il materiale raccolto è stato consegnato alla Santa Sede. Sarà la Santa Sede, proprietaria della Sindone, a decidere se e quando avviare una nuova campagna di ricerche dirette. La nuova e affascinante sfida che la Sindone lancia alla scienza per il nuovo millennio è già iniziata.


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1649 scatti per un telo in alta definizione


Un volume di pregio a tiratura limitata - 499 esemplari in numeri arabi, 80 in numeri romani e altre 20 fuori commercio - per uno degli oggetti più studiati nei secoli dal punto di vista scientifico, storico e teologico. Oltre alla prefazione curata dal cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, e ai saggi storici e artistici di Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di sindonologia, Gian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone, e Timothy Verdon, il volume è caratterizzato da ricco corredo iconografico di oltre 120 immagini. In particolare spiccano le riprese fotografiche della Sindone realizzate ad altissima definizione dalla società Haltadefinizione con un procedimento certificato dall'Istituto superiore per la conservazione e il restauro:  l'immagine del telo - ripreso dalla distanza di sicurezza di 30 centimentri con ben 1649 scatti - è stata suddivisa in piccole porzioni ricomposte grazie a un software che ha garantito le migliori condizioni di luce e nitidezza su ogni particolare.


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Morte e resurrezione nell'interpretazione dei grandi artisti

Il gonfalone della vittoria


di Timothy Verdon

"Muoio, dice il Signore, per vivificare tutti per mezzo mio". Queste parole, che un Padre della Chiesa, san Cirillo d'Alessandria, s'immaginava sulla bocca di Cristo, suggeriscono il vero significato della Santa Sindone nella vita della Chiesa:  non tanto una reliquia di sofferenza e mortalità, ma il segno della vittoria:  della tomba vuota, del sudario abbandonato, della vita che trionfa sulla morte. Tale vittoria coinvolge poi ogni uomo, non solo il Salvatore:  "Con la mia carne ho redento la carne di tutti", prosegue Cristo nel testo di san Cirillo, spiegando che "la morte infatti morrà nella mia morte e la natura umana, che era caduta, risorgerà insieme con me".

Questa universale e definitiva vittoria è visualizzata in un capolavoro del Rinascimento d'oltralpe:  un pannello dell'altare di Isenheim, opera del tedesco Matthias Grunewald, dove Cristo esplode dal sepolcro ancora avvolto dalla Sindone, la quale viene gradualmente impregnata della sua nuova condizione, colorata dalla luce che lo circonda. In questa composizione divisa in due parti, Cristo risorto in alto e i soldati messi a sorvegliare il sepolcro sotto di lui, è infatti la Sindone a collegare la terra e il cielo; e laddove nella parte inferiore i militi sono supini o curvi - intorpiditi dal sonno e spaventati - in alto Cristo sorge eretto e libero, il suo corpo nudo sotto la Sindone sciolta mentre le guardie rimangono imprigionate nelle pesanti armature; libero è anche il volto del salvatore - schietto e gioioso - in contrasto alle facce coperte e ombreggiate delle guardie. Numerosi dettagli, e soprattutto le armi inutilmente impugnate dai militi evocano lo scontro celebrato nell'antica sequenza pasquale, dove si narra che "morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa". Gonfalone e reliquia di questo trionfo è la Sindone.

Il tema della Sindone come reliquia della Pasqua era stato elaborato in un altro dipinto nordico, una Risurrezione attribuita a Michael Wolgemut, trent'anni prima. Nella versione di Wolgemut, il primo maestro di Albrecht Dürer, l'attenzione viene attirata da affascinanti dettagli:  l'alba del nuovo giorno su cui si staglia Gerusalemme, sullo sfondo a destra; nella media distanza, poi, le donne che varcano la soglia del giardino murato; e in primo piano i militi assopiti al piede del sepolcro.
S'impongono tuttavia i due elementi narrativi principali, posti al centro della composizione:  il Risorto in piedi davanti alla tomba, con lo scettro in mano e un regale manto scarlatto, e, appena dietro di lui, la Sindone, sistemata da un angelo metà dentro il sepolcro, metà fuori. Sappiamo che tra pochi istanti Cristo scomparirà e che le donne, arrivando, non lo vedranno più; rimarrà solo la Sindone come testimonianza della sua Risurrezione.

La Sindone - il lungo telo utilizzato per il trasporto e la sepoltura del Salvatore morto in croce - appare soprattutto in raffigurazioni della sua deposizione e del successivo compianto sul cadavere:  una tavola dell'olandese Geertgen tot Sint Jans, assai vicino al linguaggio stilistico e allo spirito pietistico della Risurrezione attribuita al Wolgemut, illustra bene quest'uso iconografico. La stoffa bianca su cui il corpo rigido di Gesù è steso, alla stregua della corona di spine e dei chiodi disposti appena sotto di essa, viene presentata come veneranda reliquia del sacrificio della croce; Golgotha, luogo del sacrificio, di fatto è visibile sopra il gruppo costituito da Cristo morto e Maria. Questa immagine suggerisce poi un'altra dimensione di significato della Sindone. La tavola di Geertgen è quanto rimane di un grande trittico descritto nelle fonti antiche:  una pala d'altare databile intorno al 1484, la cui immagine centrale era la Crocifissione, mentre quella a sinistra rappresentava forse la Via Crucis, e quella a destra il Compianto. Tale programma iconografico serviva da sfondo per l'Eucaristia, celebrata davanti a queste raffigurazioni del sacrificio fisico del Salvatore, e il telo bianco steso sotto il corpo di Cristo nella tavola era pertanto visto appena sopra l'altare rivestito di un analogo tessuto bianco, la tovaglia su cui il sacerdote pone il Corpus Domini sacramentale:  l'ostia consacrata. Nella simbologia liturgica medievale, l'altare era infatti considerato simbolo del sepolcro, e le "deposizioni" ed "elevazioni" dell'ostia immagine del corpo storico di Gesù tra Venerdì Santo e Pasqua.

La stessa mistica allusione all'altare eucaristico è presente in una piccola tavola del Beato Angelico, dove i temi di compianto e sepoltura, sovrapponendosi e fondendosi, suggeriscono un'adorante "comunione spirituale" che è anche un addio. Il cruciforme corpo di Cristo, sostenuto da Nicodemo, Maria e Giovanni, il discepolo diletto, è poi avvolto nella lunga Sindone che, sull'erba fiorita del giardino, diventa un perfetto rettangolo di stoffa bianca evocante la tovaglia della mensa eucaristica.
Pure in questo caso l'opera era infatti parte di una pala d'altare - il pannello centrale della predella - e anche qui la tovaglia bianca sulla mensa era visibile pochi centimetri sotto la Sindone raffigurata e della stessa forma.

Quest'immagine era al centro della predella della celebre pala angelicana per la chiesa fiorentina di San Marco, oggi conservata nell'attiguo convento domenicano diventato museo. Leggendo dall'alto verso il basso si capiva quindi che Cristo era prima nato, poi morto e successivamente sepolto; l'elevazione dell'ostia dalla tovaglia-sindone, alla consacrazione della Messa, avrebbe sottolineato che Egli era anche, infine, risorto. E la stoffa bianca della Sindone raffigurata nella predella - sotto la tavola grande e sopra l'altare - diventava anche allusione al "velo della carne" avuto dalla madre - il velo con cui Gesù Cristo nascose la sua divinità e s'immolò.

Il collegamento tra la Passione del Salvatore e la sua Natività è antico nell'iconografia cristiana, come suggerisce un'opera palestinese del VI secolo, il coperchio di una teca per reliquie. Il soggetto principale è la Passione, e al centro vediamo Cristo che stende le braccia tra i due ladri, il suo corpo così grande da quasi occultare la croce stessa. Ma l'anonimo artista ha inserito la crocifissione tra altri momenti della Vita Christi, così che l'immagine si presenta come un sunto in cui la crocifissione è l'atto dominante, occupando l'intero centro del campo visivo - anzi, configurando la composizione in termini cruciformi. Ecco allora perché i vangeli e la prima arte cristiana hanno trattato con concisione l'evento della crocifissione in sé, capivano cioè che il senso della crocifissione non era limitato all'evento stesso, ma che sulla croce Cristo aveva portato tutta la sua esistenza passata e futura.

Il legame morte-nascita è ancora più esplicito in uno spettacolare oggetto conservato nel Museo Sacro della Biblioteca Vaticana, la Croce di Papa Pasquale i, un capolavoro di smalto cloisonné su lamina d'oro realizzato forse da un maestro siriaco attivo a Costantinopoli nei primi decenni del IX secolo. Il programma iconografico è focalizzato sul mistero natalizio ma i sette episodi vengono organizzati nelle braccia e al centro di una croce, così che l'Annunciazione, la Visitazione, la Natività, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto e il Battesimo di Cristo devono essere obbligatoriamente letti tutti in rapporto alla futura crocifissione del Salvatore. Ciò che abbiamo chiamato "croce" è poi in realtà una stauroteca - un contenitore per frammenti della vera croce - sapendo che l'oggetto conteneva il legno su cui Cristo era morto, il credente contemplava queste scene della sua nascita con profonda commozione; non a caso il centro, corrispondente alla testa di Cristo in un crocifisso, è occupato dalla Natività stessa, col bambino in una mangiatoia, allusione alla futura offerta del corpo di Cristo come alimento.

Lo stesso modo di riassumere in un'unica immagine gli estremi esistenziali dell'umanato Figlio di Dio emerge in una piccola tavola trecentesca dove sono raffigurati sia il neonato Gesù, in basso, che il Vir dolorum, in alto, quasi a conferma dell'affermazione di san Leone Magno, secondo cui "l'unico scopo del Figlio di Dio nel nascere era di rendere possibile la crocifissione. Nel grembo della Vergine egli assunse una carne mortale, e in quella carne mortale ha compiuto la sua passione".

L'enfasi delle Scritture e dell'arte sul legame tra la nascita di Cristo e la sua morte ha la funzione di presentare la Passione non come un episodio tragico - una conclusione imprevista e indesiderata del racconto esistenziale di Gesù - bensì come il senso stesso della sua vita, la ragione per cui è venuto nel mondo (cfr. Giovanni, 19, 37). Ma la morte di Cristo dà senso anche alle nostre vite, come suggerisce un capolavoro assoluto dell'arte occidentale, la grande pala dipinta da Giovanni Bellini per i francescani di Pesaro negli anni 1470, oggi divisa in due parti:  la tavola principale al Museo Civico della città adriatica e la cimasa alla Pinacoteca Vaticana. Un'immagine drammatica che descrive l'unzione del cadavere di Cristo, tenuto sull'orlo del sepolcro da Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo e Maria Maddalena, con la Sindone che gli avvolge le gambe; anche qui, nella sistemazione originale sopra l'altare della chiesa, il significato eucaristico della scena doveva essere evidente.

Ma quest'immagine di Cristo morto sovrastava un'altra, più grande, del Salvatore che, risorto, impone la corona a Maria sua madre. Il messaggio complessivo riguardava quindi la morte e la risurrezione di Cristo; riguardava anche la risurrezione di Maria, seduta accanto a Cristo, e dei quattro santi intorno al trono:  Paolo e Pietro, Girolamo e Francesco. L'insieme d'immagini rappresenta infatti la meta finale di ogni donna e uomo, la vocazione celeste della carne umana; Maria è l'antesignana di questa "sorte beata", ma con lei ci sono altri e così capiamo che la nuova condizione del Signore morto e risorto si estende anche a noi. La bianca Sindone, in alto, che si trasforma in sontuoso abito di festa nella figura di Cristo in basso, diventa metafora della trasformazione della nostra mortalità in quella vita eterna promessa da lui, Cristo. Piuttosto che "abito di festa" dobbiamo poi dire abito nuziale, perché Chi chiama l'umanità accanto a sé è anche Sposo.

Un analogo livello di interpenetrazione dell'umano col divino traspare in alcune raffigurazioni del Cristo morto dei maestri del Cinquecento. La prima è un disegno eseguito da Michelangelo Buonarroti per Vittoria Colonna:  una Pietà in cui lo stupendo Cristo morto sembra nascere dal corpo della madre. Maria, seduta sotto la croce dalla quale il figlio è stato deposto, con le mani alzate nel gesto antico di preghiera sembra crocifissa anche lei; figura della Chiesa, supplica il Padre di ridare vita al corpo del figlio, anch'esso figura ecclesiale; la Chiesa che chiede dal cielo la risurrezione della Chiesa, si può dire.

La seconda opera, sempre di Michelangelo e strettamente legata al disegno appena citato, è intensamente personale:  la monumentale Pietà di marmo iniziata dal Buonarroti nel 1547 e lasciata incompiuta nel 1555, in cui, nella figura del vecchio che sostiene il corpo di Cristo vediamo l'autoritratto dell'artista. Secondo i suoi biografi contemporanei, Ascanio Condivi e Giorgio Vasari, Michelangelo intendeva collocare questo gruppo scultoreo sull'altare della cappella in cui pensava di essere sepolto, probabilmente nella basilica romana di Santa Maria Maggiore, servendosene come monumento funebre; esso costituisce pertanto una confessio fidei in cui il committente assume il carattere di un personaggio scritturistico.

In questo caso committente e artista sono la stessa persona, e il "personaggio" assunto ha un significato speciale:  Michelangelo si presenta come Nicodemo, il vecchio che "andò da Gesù di notte" per chiedergli "come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?" (Giovanni, 3, 2-4). Secondo una tradizione popolare diffusa in Toscana, Nicodemo era infatti scultore, autore del Volto Santo di Lucca.

Confrontando questa Pietà scolpita e il coevo disegno per Vittoria Colonna, rimaniamo colpiti dall'evidente rapporto tra le due opere. Nel disegno e nel gruppo scultoreo, il corpo di Cristo, potente anche nella morte, è sorretto da un personaggio che lo sovrasta e che, all'apice della composizione, diventa interprete del senso spirituale dell'evento. Ma laddove per Vittoria Colonna l' "interprete" è Maria (in cui dobbiamo forse vedere un ritratto ideale della devota nobildonna) nella Pietà eseguita per Michelangelo stesso - nella veste di Nicodemo - è il vecchio che vuole rinascere a dare il senso. Nel gruppo marmoreo Michelangelo si sostituisce alla figura di Maria, cioè, mantenendo però l'idea base del disegno in cui il corpo di Cristo "nasce" dal corpo di chi lo sovrasta, così che vediamo Cristo nascere da Michelangelo forse secondo l'intuizione di sant'Ambrogio, per cui "ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio (...) se c'è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede invece Cristo è il frutto di tutti".


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La tomba del sudario scoperta a Gerusalemme conferma la Sacra Sindone
Afferma il fisico del Centro Spagnolo di Sindolologia César Barta

di Nieves San Martín

MADRID, martedì, 12 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

La “tomba del sudario” scoperta recentemente a Gerusalemme conferma la Sacra Sindone. Lo afferma il fisico del Centro Spagnolo di Sindolologia César Barta Gil, per il quale un'altra interpretazione sarebbe tendenziosa e parziale.

Gli archeologi dell'Università Ebraica hanno trovato recentemente dei frammenti di sudario in una tomba della prima metà del I secolo nel cimitero di Haceldama, il “Campo di Sangue” comprato con le 30 monete di Giuda per seppellire gli stranieri. La tomba, situata nella parte bassa della Valle dell'Hinnon, al lato della tomba di Anna, suocero di Caifa, sembra indicare che si trattava di una persona di famiglia sacerdotale o aristocratica.

Secondo lo storico tessile Orit Shamir, i tessuti usati per avvolgere il cadavere sono di buona qualità, di una persona benestante, ma di tessuto molto più semplice rispetto alla Sacra Sindone di Torino.

La notizia della scoperta archeologica in una tomba di Gerusalemme di un sudario dell'epoca di Gesù Cristo, diffusa dalla pubblicazione “PloS ONE Journal”, è stata presentata come un'argomentazione che mette in dubbio l'autenticità della Sacra Sindone di Torino. Si è arrivati a dire che “gli autori dello studio concludono che quest'ultima non risale a quegli anni”.

“Solo un'interpretazione molto tendenziosa e parziale può arrivare a diffondere questa idea – ha spiegato a ZENIT César Barta Gil –. Se si presentano i dati oggettivi, la realtà è piuttosto il contrario, visto che conferma l'autenticità della Sacra Sindone anziché metterla in discussione”.

Gli autori dell'articolo intitolato “Molecular Exploration of the First-Century Tomb of the Shroud in Akeldama, Jerusalem” sono di Canada, Israele, Australia, Inghilterra e Stati Uniti, e non menzionano mai la Sindone di Torino.

L'obiettivo principale dell'articolo è far conoscere il successo nella dimostrazione con mezzi sperimentali che tre dei defunti della tomba familiare avevano la tubercolosi e uno di loro, inoltre, era lebbroso. Il merito aumenta considerando il deterioramento dei resti archeologici rinvenuti.

“Si può solo immaginare la sorpresa che susciterà negli autori il fatto di vedere che il loro articolo è servito a far sì che la gente parli di ciò che non hanno scoperto anziché del progresso ottenuto con l'analisi di DNA antico e processi molecolari”, ha sottolineato César Barta.

Se la notizia si è prestata a questo fraintendimento, spiega il fisico, è perché gli scavi sono stati soprannominati “la tomba del sudario” (the tomb of the shroud). Il nome deriva dall'eccezionalità dell'aver trovato un tessuto che aveva avvolto un cadavere in una tomba ebraica.

Il costume ebraico era andare al sepolcro circa un anno dopo aver seppellito il defunto, quando le parti molli erano già scomparse e rimanevano solo le ossa, che venivano poste in casse di pietra o ossari e lasciate di nuovo nella tomba. Per questo motivo gli archeologi hanno trovato centinaia di tombe in cui non c'era alcun tessuto.

L'idea che Gesù Cristo sia stato avvolto in un lenzuolo come parte di un costume ebraico non era stata corroborata da alcuna scoperta. Ad ogni modo, nella “tomba del sudario” l'individuo lebbroso venne collocato in una camera del sepolcro che fu sigillata per evitare il contagio del resto dei defunti della famiglia. Questo ha fatto sì che nel tempo non venisse modificata, e che sia arrivata ai giorni nostri con i resti della prima deposizione del seppellimento.

La scoperta permette quindi di confermare l'utilizzo di lenzuoli nelle pratiche funerarie ebraiche, rafforzando l'idea dell'uso della Sacra Sindone.

Oltre a ciò gli autori, nelle poche righe che dedicano al tessuto, informano di averne trovate delle porzioni in tutta la lastra con resti organici, deducendo che copriva tutto il corpo. In particolare, hanno rinvenuto resti di capelli, e quindi il lenzuolo copriva la testa. E' una conferma specifica del modo in cui è stata utilizzata la Sacra Sindone per avvolgere il crocifisso, visto che effettivamente gli copriva la testa.

“Un'interpretazione unanime di questi dati sosterrebbe piuttosto l'autenticità della reliquia di Torino – afferma César Barta –. Ad ogni modo, il professor Shimon Gibson, uno degli autori, ha dichiarato al National Geographic che a suo avviso il tessuto rinvenuto nella tomba indica la falsità della Sindone di Torino perché presenta un altro tipo di confezione. In effetti, quello di Torino è in sargia di grande valore, mentre quello della tomba è in taffetà”.

“Questa argomentazione, tuttavia, manca di consistenza visto che non ci si doveva aspettare di trovare una sargia come quella della Sacra Sindone in ogni tomba ebraica – conclude il fisico –. E non bisognava aspettarselo perché un tessuto come quello di Torino in sargia da 1 a 3 in lino è un esemplare unico e non se ne conosce un altro, né dell'epoca di Cristo né del Medioevo”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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La Sindone e la scienza

ROMA, mercoledì, 13 gennaio 2010 (ZENIT.org).-

Il Master in Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, giunto al suo ottavo anno d’attività, ha organizzato recentemente alcuni convegni e una mostra permanente sul tema della Sacra Sindone.

Un ulteriore contributo a questo percorso di ricerca sarà dato dalla conferenza “La Sindone e la scienza”, che sarà tenuta da padre Manuel Carreira, SJ, dell’Universidad Pontificia Comillas di Madrid.

La conferenza, con ingresso libero, si terrà a Roma, martedì 19 gennaio prossimo, alle ore 17,00, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (via degli Aldobrandeschi 190), e sarà trasmessa in videoconferenza anche a Bologna, presso l’Istituto Veritatis Splendor.

In occasione della conferenza sarà possibile visitare la mostra permanente “Chi è l’uomo della Sindone?” che ospita, fra l’altro, una copia della Sindone di Torino, un ologramma e una scultura che cercano di ricostruire in tre dimensioni il corpo dell’uomo sul lenzuolo, ed una riproduzione della corona di spine, dei chiodi e dei flagelli utilizzati, secondo quanto è stato possibile rilevare dall’immagine.

Inoltre alcuni grandi pannelli ripercorrono la storia della Sindone e illustrano le principali ricerche scientifiche degli ultimi anni, con particolare riferimento ai recenti studi nel settore della botanica.

Il Master in Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum rientra nel quadro del Progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Quest), portato avanti dallo stesso ateneo insieme ad altre cinque università pontificie: Lateranense, Gregoriana, Santa Croce, Salesiana e San Tommaso d’Aquino, sotto gli auspici del Pontificio Consiglio della Cultura e con il supporto della John Templeton Foundation.


Per informazioni: Tel. 06 665431 – Sito: www.upra.org

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24/02/2010 13:55

Sindone firmata: è già polemica


Le scritte ricostruite sul libro della Frale

«In base ai confronti svolti, oggi sono convinta che le tracce di scrittura identificate sul lino della Sindone possano appartenere ad un testo derivato direttamente o indirettamente dai documenti originati fatti produrre per la sepoltura di Yeshua ben Yosef Nazarani, più noto come Gesù di Nazareth detto il Cristo». È questo il sasso lanciato nello stagno della scienza della Sindone, il celebre (e discusso) sudario di Cristo conservato a Torino, da una storica di recente balzata agli onori delle cronache per i suoi saggi medievalistici. Già il volume I Templari e la sindone di Cristo (Il Mulino), uscito a inizio anno, di Barbara Frale, funzionaria dell’Archivio Segreto Vaticano, aveva diviso gli esperti. Ora, con La Sindone di Gesù nazareno (Il Mulino, pp. 254, euro 28), la Frale - nata a Viterbo nel 1970 - lancia un’altra ipotesi suggestiva: che sul lino custodito all’ombra della Mole si annidino alcune scritte multilingue vergate da un funzionario addetto alla sepoltura dei condannati a morte nella Gerusalemme del I secolo. Qui Barbara Frale interpreta un’iscrizione compatibile con la tradizione che vede nel sudario il telo che avvolse il corpo di Gesù di Nazareth, che nella primavera prossima verrà di nuovo mostrato in pubblico: a Torino si recherà pellegrino anche Benedetto XVI.

La Frale ha interpretato la seguente scritta: «Gesù Nazareno deposto sul far della sera, a morte, perché trovato» colpevole. Il tutto scritto con termini di tre idiomi: latino, greco ed ebraico. E al profluvio di critiche che si preannunciano, la giovane addetta dell’Archivio vaticano risponde così nelle conclusioni del suo volume, anticipato ieri da Repubblica: «L’ipotesi che le scritte siano state messe da un falsario per avvalorare l’autenticità della Sindone è da scartare: infatti questo truffatore avrebbe dovuto inventare un sistema complicato per lasciare sul telo certe tracce che sarebbero divenute visibili ai posteri solo tanti secoli dopo, con l’invenzione della fotografia; inoltre qualunque falsario avrebbe usato le diciture del titulus crucis, quelle descritte dall’evangelista: non certo quelle strane parole che con i Vangeli non c’entrano proprio nulla». 

E la discussione si infiamma. «Sono molto stupito». Monsignor Giuseppe Ghiberti, vicepresidente del Comitato per l’ostensione della Sindone, non nasconde la sua perplessità, sebbene metta le mani avanti: «Prima di tutto bisogna leggere l’opera. Sono stato di fronte alla Sindone ore e ore e mai ho avuto sentore di nulla del genere. E nemmeno l’hanno avuto professori competenti in elaborazione di immagini». Circa il carattere multilinguistico della ricostruzione, Ghiberti afferma: «L’unico precedente che può dare peso a questa ipotesi è il titolo della croce di Gesù, che era in più lingue». Ma alla domanda se ritenga realistica la tesi della studiosa laziale, Ghiberti risponde con un eloquente sospiro. E riprende: «Quando non si conoscono bene gli argomenti altrui, si preferisce sospendere il giudizio. Ma tutto questo non mi convince».

«Non voglio essere ironico né polemico», esordisce Luciano Canfora, docente di Filologia greca e latina all’università di Bari. «Ma secondo me Barbara Frale si è avventurata in qualcosa di molto insidioso». Per lo studioso barese «la ricchezza di particolari nascosti nelle fibre di lino fa pensare a una vera falsificazione». Canfora qualifica come errata l’ipotesi della Frale in base a due elementi: la ricchezza di dettagli e il poliglottismo della scritta decifrata. «Si presenta tutto ciò come una gigantesca novità, ma così non è. La prima, forte perplessità è la presenza di tre lingue nella scritta ritrovata. La Frale spiega tale riscontro con il pluriculturalismo della Gerusalemme del tempo. Ma un conto è l’ambiente culturale di una città - annota Canfora -, altra cosa un documento che racchiude tre lingue. È come se oggi un taxista di origine indiana a Londra, per scrivere una ricevuta, utilizzasse tre idiomi diversi».

Canfora sottolinea un altro particolare per spiegare la sua disapprovazione: «Tutto si basa sull’idea che al collo del condannato vi sia il verbale del giudizio di Caifa su Gesù». L’affermazione che si trattasse di uno scritto fatto da un becchino trova l’antichista pugliese nettamente scettico: «Non è ovvio che esistesse una figura del genere. Non abbiamo ancora una trattazione sistematica sulla figura di funzionari addetti alla sepoltura dei condannati a morte nella Giudea del I secolo: vi sono testimonianze contraddittorie al riguardo». Canfora stabilisce un parallelo tra il papiro di Artemidoro e la Sindone, o meglio tra la contestata autenticità della seconda e la dimostrata falsità del primo: «I numerosi dettagli, che vogliono avvalorare l’autenticità, indicano invece che questi elementi scritturistici sono aggiunte tardive. Com’è stato constatato dalla polizia scientifica per il papiro di Artemidoro». Canfora riconosce che Barbara Frale non propone una tesi: «Lei dice: io ho trovato questo. Ma ha riscontrato cose tutt’altro che univoche!».

A Canfora replica Franco Cardini, medievalista e docente all’università di Firenze: «Primo: dobbiamo difendere Barbara Frale dai sindonologi che si scagliano con durezza contro quanti sostengono ipotesi troppo forti. La sua non è ancora una tesi ma un’ipotesi, ragionevole e affascinante, basata su indizi. Si tratta di una pista interessante. Ritengo che gli indizi che lei individua siano troppo coerenti per poterli considerare frutto del caso. Si è limitata a riempire dei vuoti di documentazione come solitamente si fa nella ricerca storica. La sua è un’interpretazione con forti basi storiche, niente a che fare con la fantastoria di Dan Brown». Insomma, per lo storico fiorentino siamo davanti a «un lavoro serio, da prendere in considerazione, in cui ci sono osservazioni geniali». È poi singolare che Cardini giudichi in maniera opposta il particolare del plurilinguismo rinvenuto dalla Frale sul lino di Torino, cosa che Canfora bolla come «artefatto»: «Se si trattasse di un documento di ambiente caratterizzato da un forte monolinguismo, capirei l’obiezione. Ma la Gerusalemme del I secolo era un luogo di straordinario incrocio linguistico: il latino era la lingua ufficiale ma il greco rappresentava il "basic english" del tempo. Poi c’erano il caldeo, l’ebraico, e altre lingue che poggiavano su una grande tradizione grafica». Cardini guarda all’oggi per suffragare la plausibilità dell’interpretazione plurilinguistica della Frale: «I ragazzini arabi dei suk della Gerusalemme attuale, quando scrivono, passano tranquillamente dalla grafia araba a quella latina dell’inglese. Il plurilinguismo della scritta della Sindone non mi sorprende affatto».

Invece Bruno Barberis, direttore del Centro internazionale di Sindonologia di Torino, non concorda con la Frale: «Premetto che devo leggere il libro per un giudizio completo. Comunque, già nell’opera precedente, questa studiosa faceva un accenno a tali ipotesi. Il nodo è che queste scritte sono tutt’altro che confermate. Non è mai stato fatto un rilievo fotografico che dia risposte definitive se sulla Sindone ci siano delle scritte. Del resto in molti vi hanno rinvenuto tantissime parole: sembra più un’enciclopedia che un sudario!». Barberis afferma che è prioritario «stabilire se queste scritte esistono. Che poi si giunga a conclusioni del genere della Frale, mi sembra fantascienza e fantastoria. Sono inoltre estremamente critico su queste ipotesi perché possono essere strumentalizzate dagli avversari della Sindone».

Lorenzo Fazzini
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24/02/2010 13:55

LE FALSE NOTIZIE SUL SUDARIO DI UN LEBBROSO DEL I SECOLO D.C.

Foto dei resti del tessuto del sudario di Akeldamà (copyright Reuters)

di Francesco Colafemmina

Come creare una falsa notizia? Basta prendere un po' di paccottiglia pseudoscientifica e pseudoarcheologica, appiccicarla ai risultati di uno studio di archeomedicina e lanciarla su tutti i giornali del mondo come se si trattasse di una sconvolgente novità!
Mi riferisco alla falsa notizia della scoperta di un sudario dell'epoca di Cristo in una tomba di Gerusalemme. Oggi questa notizia è rilanciata dai principali quotidiani mondiali i quali non si sono presi la briga nemmeno di indagare in merito.
Chiaramente è stata ripresa anche dalle nostre valide testate nazionali che non hanno mancato di darle risalto. Leggiamo, ad esempio, l'articolo del Corriere della Sera: vero modello di "informazione":

Un altro sudario. Dell’epoca di Gesù. Una squadra internazionale d’archeologi l’ha trovato mesi fa, negli scavi d’una tomba a Gerusalemme Est. Nel Campo del Sangue che, secondo il Vangelo, Giuda Iscariota si comprò coi trenta denari del tradimento e dove, poi, s’impiccò. L’hanno studiato a lungo col radiocarbonio, passato alla Tac come si fa coi pazienti complicati. Ne hanno esaminato spore e tracce di Dna. Alla fine le conclusioni, univoche, sono finite sull’ultimo numero di “PloS One”, la rivista scientifica della Public Library americana: «Le parti di lenzuolo ritrovate, appartenenti a un sudario usato per seppellire le salme ai tempi di Cristo, rivelano per la prima volta che a Gerusalemme questi manufatti avevano un tessuto a trama molto semplice, ottenuta con l’uso soltanto di due fili intrecciati». La dimostrazione, secondo il team, che l’altro e ben più celebre sudario – la Sacra Sindone che ritrarrebbe il corpo di Gesù – sarebbe in realtà un falso: «L’ordito della Sindone, molto più complesso e con più fili, fu introdotto solo in epoca successiva».

Anzitutto l'articolo testimonia la mancata lettura dello studio citato. Se infatti i giornalisti avessero deciso di leggere lo studio dal titolo "Molecular Exploration of the First-Century Tomb of the Shroud in Akeldama, Jerusalem", avrebbero letto quanto segue:

"The Tomb of the Shroud is a first-century C.E. tomb discovered in Akeldama, Jerusalem, Israel that had been illegally entered and looted. The investigation of this tomb by an interdisciplinary team of researchers began in 2000."

Dunque la tomba è stata scoperta almeno 9 anni fa! Non certo "mesi fa"...

Andando oltre è evidente che da nessuna parte nel testo dello studio si fa riferimento alla struttura del sudario. Da nessuna parte si parla di discrasie con la Sacra Sindone. Anzi, in molti passaggi dello studio, si evidenzia l'evidente stato di deperimento del tessuto associatosi ad elementi dello scheletro, dei capelli, ed altre tracce biologiche del defunto.
Quindi il Corriere ha copiato da una fonte chiaramente interessata a far dilagare una non notizia. Di quale fonte si tratta? Si tratta del Dailymail che riporta le conclusioni dell'archeologo Shimon Gibson.
Chi è Shimon Gibson?

Non stupirà sapere che si tratta dello stesso folle archeologo che ha collaborato alla realizzazione del film documentario di James Cameron (regista di Aliens e Terminator) e del sionista ebreo ortodosso Simcha Jacobovici sulla "Tomba perduta di Gesù". Un documentario del 2007 nel quale si tentava di dimostrare - senza un minimo di fondatezza scientifica - che una tomba ritrovata a Gerusalemme fosse quella dell'intera famiglia di Gesù, Maria Maddalena compresa, in qualità di moglie di Gesù.

Questi a sua volta si basa sui dati della studiosa tessile Orit Shamir, capo del Department of Museum and Exhibitions and Curator of Organic Materials della Israeli Antiquity Authority, l'ente archeologico nazionale che cura l' "ortodossia" di scavi ed esplorazioni in Eretz-Israel. La professoressa Shamir ha partecipato marginalmente a questo progetto di ricerca, dato lo stato di deterioramento del tessuto in questione. Il suo nome appare solo tra i "ringraziamenti".

La Shamir è già nota per i suoi studi sul sudario di Akeldamà - lo stesso sudario dello studio di archeomedicina appena pubblicato - già da alcuni anni. Ne parla persino il sito del CICAP, l'istituzione pseudomassonica capitanata e voluta a Torino da menti geniali come Piero Angela e Margerita Hack. Istituzione che ha recentemente messo in scena un esperimento di riproduzione della Sindone, già realizzato in passato, ma i cui esiti non dimostrano un bel niente perché la sindone riprodotta ha delle differenze strutturali rispetto all'autentica reliquia: semplicemente è un "disegno" che non tiene conto di tutte le presenze di sangue, pollini, liquido ematico, etc. presenti sulla Sacra Sindone.

Ritorniamo, però, per un attimo alla falsa notizia odierna. In realtà una notizia c'è: quel cadavere avvolto dal "sudario di Akeldamà" è di un uomo morto di lebbra. Si tratterebbe del più antico caso di lebbra riscontrato storicamente su un cadavere. Ora, a noi la lebbra ricorda qualcosa. Ricorda Marco 1,40-45 e la guarigione miracolosa del lebbroso operata da Gesù. E sappiamo anche il tabù che circondava la malattia presso i Giudei. Tabù costantemente infranto da Cristo. L'impurità della malattia, e soprattutto di quella più orribile, come la lebbra era anche segno della "maledizione di Dio" subita dal malato (cfr. Levitico, 13). Così, ci chiediamo, possibile che un uomo morto di lebbra nel primo secolo dopo Cristo possa mai esser stato sepolto avvolto in un prezioso sudario? I necrofori non l'avranno invece avvolto in semplici bende, in un sudario più grezzo, come appunto quello di Akeldamà?

D'altra parte è da tutti riconosciuto che la Sindone ha una trama particolarmente complessa ed è molto pregiata. Sicuramente Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea avranno deciso di avvolgere il Cristo in un sudario "regale", non certo in quello di un "impuro" lebbroso.

Ciò detto, temo che dovremo in qualche modo abituarci al rilancio da parte della stampa mondiale di bufale e affini sulla Sacra Sindone, in previsione della prossima ostensione. Sembra assurdo che attività propagandistiche di tal fatta possano accadere in quest'epoca di informazione diffusa e condivisa. Eppure quando si tratta di attaccare la Chiesa non si risparmia neanche la deontologia professionale.

In conclusione vorrei solo ricordare che un eminente professore della stessa Hebrew University di Gerusalemme che ha partecipato alle ricerche di archeomedicina sul sudario di Akeldamà è autore di un pregevolissimo studio sui pollini presenti sulla Sindone. Si tratta del Prof. Aminoan Danim: qui trovate un suo interessantissimo articolo in merito.


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Due notizie importanti sulla Sacra Sindone:



Christopher Bronk Ramsey, direttore del Radiocarbon Accelerator di Oxford fa dietro front sulla datazione al carbonio eseguita nel 1988 sulla sindone.


www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cultura/200801articoli/5769gi...


"La Sindone è vera, vi spiego perché"


Una studiosa tra i segreti degli Archivi Vaticani: "E' del I secolo, esporrò le prove in un nuovo libro"

MARIO BAUDINO

Sulla Sindone c’è una scritta in caratteri ebraici che rinvia all’aramaico, la lingua dei primissimi cristiani. L’ha scoperta uno scienziato francese, Thierry Castex, e ne dà notizia per la prima volta una studiosa italiana, Barbara Frale, nel suo saggio da poco uscito per il Mulino col titolo I templari e la Sindone di Cristo. E’ invisibile a occhio nudo, ma è stata evidenziata grazie a procedimenti fotografici; una presenza del genere sul lenzuolo conservato a Torino, che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Gesù, non è certo un episodio che possa restare confinato nel mondo degli studiosi. La storica italiana, ufficiale dell’Archivio segreto Vaticano, ha ricevuto la documentazione per un consulto, e d’accordo con lo scopritore l’ha resa pubblica nel libro sui Templari, che è il prologo a un nuovo lavoro, tutto sul «Sacro lino», di imminente pubblicazione. I due argomenti sono collegati. Barbara Frale è nota per aver trovato fra le carte vaticane nuovi documenti sull’atteggiamento del papa Clemente V nei confronti dei monaci-guerrieri accusati di eresia, quando all’inizio del Trecento il re di Francia Filippo il Bello scatenò contro di essi una repressione feroce. Ha smontato le leggende esoteriche e dimostrato la riluttanza del Papato rispetto alla persecuzione, che per ragioni politiche non poté essere comunque impedita. Nel libro appena uscito segue il filo che lega la Sindone all’austero esercito nato dopo la prima crociata per proteggere i pellegrini in Terrasanta, diventato una grande potenza «multinazionale» e finito sui roghi. Arriva a conclusioni appassionanti, perché conferma l’intuizione di uno studioso inglese secondo cui dopo il saccheggio di Costantinopoli ad opere di veneziani e francesi (nel corso della quarta crociata), il lenzuolo passò effettivamente in mano templare: ma per essere conservato e adorato in gran segreto.

Le misteriose testimonianze sul culto di un idolo o di un volto demoniaco andrebbero così riferite ai pochi eletti che ebbero modo di vedere la Sindone, ripiegata allo stesso modo in cui la conservava l’imperatore di Bisanzio. Ma di qui in poi, l’obiettivo cambia. Barbara Frale è sulle tracce più antiche della Sindone. Al centro di questa ricerca si staglia l’imprevedibile scritta in aramaico, pochi caratteri che tuttavia possono essere ricondotti a un significato del tipo: «Noi abbiamo trovato». Ma vengono proposti anche nuovi documenti, per esempio sull’arrivo nella capitale dell’Impero d’Oriente della preziosa reliquia. E contro la tesi che venisse adorato in realtà un «fazzoletto» con un ritratto dipinto (il mandylion), la studiosa esibisce un testo scoperto nel ’97 sempre alla Biblioteca Vaticana (dallo storico Gino Zaninotto). E’ un’omelia del X secolo in cui viene descritta la reliquia, che l’imperatore Romano I aveva mandato a prelevare nella città di Edessa.

L’autore è Gregorio il Referendario, arcidiacono della Basilica di Santa Sofia, incaricato della delicatissima operazione nell’anno 943. Non parla di un fazzoletto dipinto, ma di una grande immagine: pare proprio di leggere la descrizione della Sindone di Torino, che pure anni fa venne sottoposta all’esame del carbonio 14, usato per datare i reperti antichi, e dichiarata un manufatto medioevale. Come spiega la Frale questa contraddizione? «L’esperimento aveva, date le tecnologie a disposizione in passato, ampi margini di ambiguità. E poi non è stato condotto in modo verificabile», sostiene la studiosa. Ormai, aggiunge, non fa più testo. «I documenti mi portano molto più all’indietro nel tempo. Anche nel quarto secolo ci sono testi che parlano della Sindone».

Ma torniamo alle scritte, che in realtà sono più d’una: in greco, e anche in latino, scoperte a partire dal 1978. Lei spiega che non sembrano vergate sul lino, ma impresse per contatto, forse casuale, con cartigli e reliquiari. Che cosa dimostrano? «Quella in caratteri ebraici poteva essere un motivo importante per spiegare la segretezza di cui i templari circondarono la Sindone, in anni di fortissimo antisemitismo». Però c’è dell’altro: «Sì, c’è il fatto che dopo il 70 non si parlò più aramaico nelle comunità cristiane. E già San Paolo scriveva in greco». A cosa sta pensando, allora? «Ci sono molti indizi, direi un’infinità, che sembrano collegare la Sindone ai primi trent’anni dell’era cristiana. Per ora è una traccia di ricerca». Pensa che il testo si sia impresso prima del 70? «Quel che sappiamo del mondo antico ci costringe a formulare questa ipotesi». E qui la studiosa si ferma, rinviando al nuovo libro, La Sindone di Gesù Nazareno, che uscirà sempre per il Mulino prima di Natale. Ma non si sottrae alle domande. La prima è ovvia: come escludere che si tratti semplicemente di un «falso», nel senso di una reliquia costruita e modificata nel tempo?

Magari realizzata proprio sulla scorta dei Vangeli? «Innanzi tutto il mondo antico non ha mai avuto interesse a confermare i Vangeli. Non conosce il nostro concetto di riscontro o di prova. In secondo luogo le scritte possono essere datate, in base alla loro forma, alla grammatica, al contesto. Gli studiosi che le hanno esaminate le fanno risalire a un periodo fra il primo e il terzo secolo». Si ritiene però che l’archeologia del terzo secolo fosse molto diversa dalla nostra. La madre di Costantino trovò a Gerusalemme tutto ciò che desiderava, dalla croce alla casa di Pietro. «Non è così semplice. Quest’idea rischia di diventare un luogo comune. La questione dell’imperatrice Elena è un capitolo a parte».

Ultima osservazione: la Sindone riporta un’immagine tridimensionale. Per ottenerla non posso avvolgere semplicemente un corpo in un lenzuolo, come farei al momento della sepoltura. «No, deve fare molte altre cose, questo è vero. Però ricordiamoci che, data la sua sacralità, è difficile accostare e studiare l’oggetto stesso». Infatti queste scritte non sono mai state viste da nessuno, in tanti anni, anche quando la Sindone era, come lei spiega, molto meno sbiadita di adesso. «Tenga conto che veniva avvicinata raramente, e con una forma quasi di terrore sacrale. Io comunque non mi sono interrogata sulla sua formazione, perché sarebbe un tentativo di razionalizzare una materia dove lo storico, qualora lo faccia, si espone a troppi rischi, anche di figuracce. Come chi aveva spiegato la trasfigurazione di Cristo ricorrendo ai fenomeni ottici che si verificano sui ghiacciai. Preoccupiamoci piuttosto di studiare seriamente. L’unica cosa certa è che dobbiamo toglierci dalla testa di avere in mano, al proposito, le carte definitive».


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Analisi del mistero: chi era l’uomo della Sindone?

Emanuela Marinelli spiega perchè quell’uomo non poteva che essere Gesù


di Antonio Gaspari ROMA, martedì, 26 maggio 2009 (ZENIT.org).- C’è un lenzuolo ingiallito dal tempo che da secoli interroga gli umani. Per alcuni è il telo in cui fu avvolto Gesù subito dopo la morte in Croce, per altri un falso utilizzato per alimentare la devozione cristiana.

Il telo ha avvolto un cadavere martoriato, riportandone vistose macchie di sangue e l’immagine di un corpo, frontale e dorsale, impressa in modo tuttora misterioso.

Un’immagine che è sbiadita ed eterea, ma straordinariamente ricca di dettagli impressionanti che permettono di ripercorrere, come in una Via Crucis, le ultime ore di quel defunto a cui si attribuisce un’identità sconvolgente: Gesù di Nazaret.Su quel telo conosciuto come “la Sindone” sono state fatte Inchieste, indagini, studi, analisi, discussioni. Per secoli è stato venerato come la più preziosa reliquia della Cristianità. Poi nel 1988 il colpo di scena. Un'analisi conosciuta come prova del carbonio 14 sostiene che l’origine di quel telo risale al Medioevo, cioè in epoca successiva alla data della crocifissione di Gesù.Gli esperti si dividono, per alcuni la prova non è stata rigorosa, per altri l’esame non è valido. Altri ancora ribadiscono che la Sindone non ha avvolto il corpo di Gesù.Per cercare di fare il punto sulle conoscenze e sulle diverse argomentazioni a favore e contro la Sindone, la professoressa Emanuela Marinelli, docente di Scienze Naturali e Geologiche, autorevole membro del Centro Romano di Sindonologia, organizzatrice del Congresso Mondiale Sindone 2000, autrice di numerosi libri, relatrice in centinaia di incontri sul tema, promotrice della rivista “Collegamento pro Sindone” e del sito www.sindone.info, ha appena pubblicato il volume: “La Sindone. Analisi di un mistero” (Sugarco Edizioni, 267 pagine, 19,50 Euro).ZENIT l’ha intervistata.

Quanti e quali i misteri racchiusi in un pezzo di stoffa ingiallito dal tempo?

Marinelli: Da anni gli studiosi si interrogano sulla Sindone, conservata a Torino da più di quattro secoli. La sua storia rigorosamente documentata parte dalla metà del XIV secolo e i ricercatori indagano sul percorso del suo arrivo in Europa. Però il mistero più affascinante rimane l’origine dell’immagine umana che si scorge sull’antico telo. Questa impronta si osserva ancora meglio nel negativo fotografico. Il lenzuolo ha certamente avvolto un cadavere; ma questo corpo, come ha potuto proiettare la sua sembianza sulla stoffa? L’immagine consiste in una disidratazione e ossidazione del lino, che non può essere stata provocata dal semplice contatto del lenzuolo con il cadavere.

Sono tantissimi i libri sulla Sindone. Quali sono le novità in questo suo ultimo studio?

Marinelli: Oltre tutti i motivi per dubitare del risultato dell’analisi radiocarbonica, che collocava l’origine della Sindone nel Medioevo, il volume presenta i recenti studi di un gruppo di scienziati dell’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente) di Frascati (Roma). Presso questo istituto di ricerca, alcune stoffe di lino sono state irradiate con un laser ad eccimeri, un apparecchio che emette una radiazione ultravioletta ad alta intensità. I risultati, confrontati con l’immagine sindonica, mostrano interessanti analogie e confermano la possibilità che l’immagine sia stata provocata da una radiazione ultravioletta direzionale.

Sono decenni che lei studia la Sindone, che idea se ne è fatta? E’ veramente il lenzuolo che ha avvolto Gesù dopo la crocifissione?

Marinelli: Non ci sono dubbi, questo lenzuolo non può aver avvolto un altro cadavere. E l’immagine deve essersi formata al momento della Risurrezione, con un lampo di luce sprigionatosi dal corpo glorioso.

Quali sono le prove e gli argomenti più solidi che attesterebbero che è proprio questo il lino che ha avvolto il corpo di Cristo?

Marinelli: C'è una perfetta coincidenza tra le narrazioni dei quattro Vangeli sulla Passione di Cristo e quanto si osserva sulla Sindone: la flagellazione come pena a sé stante, troppo abbondante per essere il preludio della crocifissione (120 colpi invece degli ordinari 21); la coronazione di spine, fatto del tutto insolito; il trasporto del patibulum, il palo orizzontale della croce; la sospensione alla croce con i chiodi invece delle più comuni corde; l'assenza di crurifragio, la frattura delle gambe inflitta per accelerare la morte; la ferita al costato inferta dopo la morte, con fuoruscita di sangue e siero; il mancato lavaggio del corpo (per la morte violenta e una sepoltura affrettata); l'avvolgimento del cadavere in un lenzuolo pregiato e la deposizione in una tomba propria invece della fine in una fossa comune; il breve tempo di permanenza nel lenzuolo.

Se la Sindone è veramente quello che lei e tantissimi altri sostengono, qual è il senso di questa reliquia? Forse il Signore vuole dare una risposta alla nostra incredulità?

Marinelli: Certamente fa effetto pensare che la rivelazione fotografica della Sindone avvenne proprio sul finire dell’800, il periodo in cui il positivismo si caratterizzava per la fiducia nel progresso scientifico e per il tentativo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Quando la fede in Gesù Cristo sembrava qualcosa di sorpassato agli occhi dei sapienti, proprio la scienza fotografica rivelò la sua immagine come una misteriosa presenza sulla Sindone. Quando poi, nella seconda metà del XX secolo, si diffonde il computer, è proprio questo mezzo moderno a svelare la tridimensionalità dell’immagine sindonica. Ancora una volta Cristo emerge maestoso da quel lino. I devoti di San Tommaso Apostolo attraverso la Sindone possono ancora oggi mettere il dito nelle piaghe del Signore ed avere un segno, che in realtà è come il segno di Giona (Matteo 12,39-40)

Quali sono gli argomenti e perché alcune persone cercano di dimostrare che la Sindone sia un falso storico?

Marinelli: La Sindone inquieta chi vuole escludere Cristo dalla propria vita. L’unico argomento che viene sempre riproposto per negare l’autenticità di questa reliquia è la prova radiocarbonica. Ma attorno a quel test è accaduto di tutto ed è giusto sapere i retroscena di quell’esame per rendersi conto dell’infondatezza dei suoi risultati. Ho dedicato più di metà del libro a quella vicenda, fino agli ultimi sviluppi, con le ammissioni di Christopher Bronk Ramsey, attuale direttore di uno dei tre laboratori che vent’anni fa datarono la Sindone: “Tra le misurazioni del radiocarbonio e le altre prove che abbiamo sulla Sindone sembra esserci un conflitto, su come interpretare queste prove. E per questo ritengo che chiunque abbia lavorato in questo settore, scienziati esperti di radiocarbonio ed altri esperti, debbano dare uno sguardo critico alle prove che hanno prodotto per riuscire a tracciare una storia coerente che si adatti e ci dica la storia vera di questo intrigante pezzo di stoffa”. Dunque le ricerche devono continuare, ma con uno spirito limpido e scevro da pregiudizi.
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SINDONE/ David Rolfe (BBC): gli scienziati di Repubblica hanno torto

INT.
David Rolfe

Mercoledì 7 ottobre 2009


Documentarista e grande appassionato di storia, David Rolfe lavora per l’azienda di produzione audiovisiva inglese “Performancefilms” per la quale ha realizzato centinaia di lungometraggi. Nel 1976 girò “The silent witness”, Il testimone silenzioso. Un documentario che aveva per oggetto la Sacra Sindone di Torino e per il quale è stato insignito del British Academy Award. Nel 2008 ha realizzato un nuovo documentario per la BBC che rimette in discussione le conclusioni del 1988 cui erano giunte le commissioni di studio sulla reliquia. Ilsussidiario.net lo ha intervistato in merito alle presunte dichiarazioni di alcuni membri del Cicap che, in un’intervista ospitata sul quotidiano La Repubblica, sostengono di essere riusciti a dimostrare come la Sindone altro non sia che un falso medievale  

Dottor Rolfe, che cosa l’ha spinta a realizzare il suo documentario sulla Sindone per la BBC?

Fin dalla prima giovinezza ho avuto un profondissimo interesse per tutto quello che circonda la Sacra Sindone. Un interesse che ha potuto concretizzarsi nel lavoro che realizzai nel 1976, quando portai a compimento il mio primo documentario sull’argomento. Si trattò di un lavoro che ebbe riscontri planetari per il quale vinsi il British Academy Award. La mia passione per gli studi sindonologici non è mai cessata. Prendendo contatto con i responsabili del Centro Internazionale degli studi sulla Sindone ho avuto il permesso e la grande fortuna di realizzare un secondo documentario che la BBC è stata a sua volta ben contenta di trasmettere.

In Italia ha suscitato scalpore un articolo apparso su uno dei maggiori quotidiani nazionali che mette in dubbio l’autenticità della Sindone definendola un manufatto medievale. Per come si conoscono le cose è possibile affermare una cosa simile?

Ho avuto anch’io, qui in Inghilterra, la possibilità di dare un’occhiata all’articolo e devo dire che la pretesa di quegli scienziati di aver scoperto un possibile metodo utilizzato dai medievali per creare un falso è totalmente errata. Vorrei dire due cose a riguardo. In primo luogo da quando venne realizzato il famoso esame del C14 in molti si sono sbizzarriti a pensare le più diverse ipotesi sulla creazione della Sindone. Nel tempo l’opinione di molte persone si è fortificata nel convincimento che si tratti di un artefatto medievale. In effetti, alla prova del C14 le possibilità che si trattasse di un reperto del medioevo erano molte. Ma il mio film dimostra come invece ci siano parecchie incoerenze storiche e parecchie prove dell’esistenza della Sindone prima della data riportata dall’esame.

La seconda osservazione è che lo stesso professor Christopher Bronk Ramsey dell’università di Oxford, che ha condotto il test del carbonio 14 vent’anni fa, ha dichiarato che l’argomento deve essere riesaminato per gli innumerevoli fattori chimico fisici che possono aver influenzato la resa del test.


 

Il metodo utilizzato dal professor Garlaschelli, del centro CICAP, è consistito nell’utilizzo di un lino, tessuto a spina di pesce, dove è stato disteso un volontario al quale erano state sporcate di ocra le parti del corpo più in rilievo. Per il volto è stato utilizzato un bassorilievo di gesso. Per invecchiare invece il tessuto il lino è stato scaldato per tre ore a una temperatura di 250 °C e lavato in lavatrice con sola acqua. Le sembra un metodo convincente?

Lo stesso professor Garlaschelli, inconsapevolmente, ha dimostrato come non possa essere attendibile la procedura utilizzata per la riproduzione dell’immagine del sudario. Per riuscire a fare qualcosa di convincente devi realizzare una reliquia artificiale che abbia tutte le stesse caratteristiche dell’immagine del sudario. Se si legge con attenzione l’articolo si nota che Garlaschelli dice «con tempera liquida sono stati poi aggiunti i segni dei colpi di flagello e le macchie di sangue». Abbiamo capito bene? Dopo aver riprodotto l’immagine hanno piazzato su il sangue.

Evidentemente Garlaschelli ignora che nel 1978 è stato scoperto inequivocabilmente che il sangue sulla Sindone si è riversato prima che si creasse l’immagine.

È molto facile, una volta che hai l’immagine di un corpo su un tessuto, aggiungere il sangue nei posti giusti, ma è molto difficile, una volta messo prima il sangue, far coincidere un’immagine di quel tipo. Quindi il professore che ha avuto la pretesa di dire di aver creato un’immagine con le stesse caratteristiche della Sindone ha affermato una cosa non corretta perché nella Sindone ci sono caratteristiche che la sua copia non ha.

Per quale motivo secondo lei l’approccio scientifico alla Sindone è spesso caratterizzato da un pregiudizio negazionista?

Il metodo che la scienza persegue molto spesso procede con prove negative, è raro che la scienza porti prove in positivo. Ed è anche giusto, perché sennò c’è il pericolo di fare affermazioni dogmatiche. Quando la Sindone si presentò sotto un profilo scientifico portò con sé un’innumerevole serie di prove a favore della sua autenticità. Quindi schiere di scienziati si presentarono con l’intenzione di smentirle una ad una. Ma c’è un fatto. Chi sostiene un’ipotesi del genere, o vuole iniziare uno studio con un metodo del genere, non considera tutti i fattori relativi alla Sindone. La Sindone, per essere appieno studiata e compresa, ha bisogno del supporto di molti altri contributi derivanti da diversi campi dello scibile umano. In ballo c’è la storia, la geografia, la storia dell’arte, la chimica, la fisica e molto altro ancora. Pertanto ritengo che sia molto difficile per qualcuno che abbia davvero approfondito tutte queste conoscenze smentire l’autenticità della Sindone. Mentre è molto facile che chiunque si approcci al sudario con poca conoscenza e molti pregiudizi, se cerca di trovare una ragione o una scusa scientifica per negarne la validità, la trovi. Ma non si troverà nessuno che abbia studiato la Sindone a fondo e che abbia al contempo questo atteggiamento.

Dopo la realizzazione del suo documentario è andato avanti a investigare sul mistero della Sindone?

Sono molto contento di dire che abbiamo fra le mani un altro progetto che speriamo possa essere completato prima dell’ostensione del 2010. Si tratta di un lungometraggio che concluderà il lavoro che abbiamo iniziato nell’ultimo documentario e fornirà una spiegazione del fatto che l’esame del C14 abbia necessità di essere ripetuto. È la cosa a cui sto lavorando più intensamente in questo momento.

(Raffaele Castagna, Gabriele Ferré)

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24/02/2010 14:00

Ostensione

In attesa di due milioni di pellegrini

Sindone, troppi fedeli
Serve l’apertura notturna


Ostensione, allo studio il prolungamento nei weekend

Beppe Minello

Torino

Con i weekeend ormai tutti esauriti, nel senso che non c’è più un posto libero per accedere alla teca con il Sacro lino dove raccogliersi in contemplazione per non più di 3 minuti ché altrimenti si blocca l’oliatissima macchina organizzativa, il Comitato per l’Ostensione della Sindone intende prolungare ben oltre le 20 l’orario di visita del sabato e della domenica. Qualcuno si spinge ad ipotizzare fino all’una del mattino.
L’argomento sarà affrontato domani nella quindicinale riunione del Comitato: «Dobbiamo decidere in fretta» dice il direttore, l’ingegner Maurizio Baradello.
Mentre è già deciso che Papa Benedetto XVI°, il pomeriggio del 2 maggio, non incontrerà i giovani nella chiesa del Sacro Volto («Troppo piccola e la zona è ancora tutta un cantiere» è stato il commento) ma sempre in piazza San Carlo dove al mattino celebrerà la Santa messa. L’appuntamento, che di giorno in giorno sta diventando sempre più importante in termini numerici, potrebbe assumere una dimensione europea visto che si sta lavorando per collegare l’evento con il fatto che Torino è attualmente Capitale mondiale dei giovani.
Sempre domani, potrebbe anche essere il giorno giusto per l’annuncio delle Ferrovie che intendono promuovere tariffe low cost (-20% sul costo del biglietto normale) per chi si servirà del treno per venire a Torino. Sia l’orario prolungato, sia lo sconto-pellegrini sono emersi a margine e durante l’incontro che l’assessore alla Cultura, Fiorenzo Alfieri, accompagnato dal direttore Baradello, ha avuto ieri con la Commissione Cultura presieduta da Luca Cassiani. Incontro replicato poco dopo con la giunta di Palazzo Civico e servito per aggiornare sullo stato dell’arte di un appuntamento che dal 10 aprile al 23 maggio trasfigurerà Torino.
In città, com’è noto, sono attesi 2 milioni di pellegrini (le prenotazioni ieri erano a quota 1,092 milioni) e oltre 20 mila pullman a proposito dei quali è ufficiale la decisione di far pagare a ognuno un ticket da 30 euro come compensazione-ambientale.
Una proposta avanzata dai consiglieri di mezza Sala Rossa guidati da Marco Grimaldi (Sinistra e libertà) e accolta decisamente con favore dal Comitato, nonostante qualche malumore tra i vertici vaticani per un balzello il cui significato non era forse stato compreso appieno. «Con il ricavato di quel ticket - ha spiegato Alfieri - si pianteranno soprattutto alberi in quantità tale da compensare le emissioni di anidride carbonica dei 20 mila pullman».
Sempre Grimaldi e la collega leghista Tiziana Salti si sono resi protagonisti di una proposta bipartisan: «Perché non chiediamo un obolo ai tanti turisti che arriveranno a Torino? Dopotutto la città si mette a loro disposizione». Baradello si è detto possibilista sull’ipotesi di piazzare alcune campane, magari in piazza Castello e nei pressi dei volontari che distribuiscono mappe e informazioni, dove i pellegrini-turisti, se lo ritengono, possano lasciare un’offerta: «Come a Londra - ha commentato Grimaldi - e fossero anche pochi euro sarebbero sempre meglio di niente».
L’argomento soldi è molto delicato. «Abbiamo l’ambizione - ha spiegato Alfieri - di riuscire a realizzare un’Ostensione che veda in città più pellegrini del 2000 quando l’evento durò 15 giorni di più. Non solo: quest’anno spenderemo la metà di allora, cioè 5 milioni di euro al netto degli sponsor tecnici». Oltre i 2 milioni di visitatori sarebbe comunque impossibile andare. E il motivo è presto detto: l’organizzazione quasi militare dell’Ostensione prevede che la Sindone possa essere visitata da 150 pellegrini per volta e per non più di 5 o 3 minuti a seconda della giornata. Ciò significa che quotidianamente possono sfilare davanti al Sacro lino «solo» e al massimo 50 mila persone. Una cifra attualmente raggiunta solo nei weekend. Ecco perché si lavora per allungare l’orario il sabato e la domenica sera.

© Copyright La Stampa, 24 febbraio 2010 consultabile online anche
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03/03/2010 13:24

Il falsario della Sindone? Doveva essere Superman

di Andrea Tornielli

Un’indagine di Tornielli sul «sacro lino»: se è un manufatto medioevale chi l’ha realizzato aveva incredibili conoscenze mediche e scientifiche


Ipotizziamo per un momento che davvero la Sindone sia un manufatto di epoca medioevale – come riscontrato dalla datazione al radiocarbonio – e dunque un clamoroso quanto sacrilego falso. Ipotizziamo pure che il suo sconosciuto autore, questo abilissimo falsario, abbia cosparso il telo con pollini di sicura provenienza mediorientale, con fiori che sbocciano a Gerusalemme in primavera, perfettamente congruenti con quelli che saranno ritrovati nei sedimenti fossili del lago di Genesareth. Ipotizziamo che vi abbia aggiunto tracce di aloe e mirra, nonché lo abbia «impolverato» con un tipo di carbonato di calcio (aragonite) del tutto simile a quello ritrovato nelle grotte di Gerusalemme, e sia riuscito anche a procurarsi due piccole monete coniate nel 29 dopo Cristo sotto Ponzio Pilato da mettere sugli occhi del cadavere. Ammettiamo ancora che lo straordinario truffatore abbia esplicitamente richiesto, a chi lo aiutava nell’impresa, di realizzare sul telo una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo rinvenute a Masada, un’altura vicino al Mar Morto.

Anche ammettendo tutto questo, però, il nostro ipotetico truffatore rimane una figura piuttosto evanescente. \ Nel Medio Evo nessuno poteva avere le nostre conoscenze archeologiche e storiche sulle modalità della flagellazione romana e della crocifissione. La memoria delle circostanze e delle tecniche utilizzate nel I secolo per castigare i condannati alla morte in croce era del tutto perduta mille anni dopo. L’eventuale falsario medievale non avrebbe potuto raffigurare Cristo con particolari in aperto contrasto con l’iconografia della sua epoca. Ad esempio la corona di spine, che sul lenzuolo è del tipo «a casco», mentre la tradizionale iconografia ce la presenta come una corona aperta sopra. O il fatto che nella Sindone vi siano i segni del trasporto sulle spalle della sola trave orizzontale, il patibulum, mentre la tradizionale Via Crucis rappresenta sempre il Nazareno mentre porta la croce tutta intera. O ancora il particolare dei chiodi infissi sui polsi e non sul palmo delle mani come si vedono invece in tutta l’iconografia.

L’autore dell’eclatante «falso» avrebbe poi dovuto immaginare o prevedere con notevole anticipo l’invenzione del microscopio, avvenuta alla fine del XVI secolo, per poter aggiungere elementi invisibili ad occhio nudo, i quali sarebbero stati scoperti soltanto diversi secoli dopo: i più volte citati pollini mediorientali, terriccio, il siero, gli aromi per la sepoltura, l’aragonite con lo stesso tasso di impurità che si riscontra nelle grotte di Gerusalemme. Tutti elementi invisibili all’occhio del pellegrino medioevale, destinatario del presunto inganno. Lo stesso falsario, la cui esistenza stiamo ora ipotizzando, avrebbe dovuto anche conoscere in anticipo la fotografia, inventata com’è noto solo nel XIX secolo, e pure l’olografia realizzata negli anni Quaranta del XX secolo. Avrebbe dovuto saper inoltre distinguere tra circolazione sanguigna venosa e arteriosa, studiata per la prima volta nel 1593, vale a dire molti anni dopo la comparsa del telo sindonico, nonché essere in grado di macchiare il lenzuolo in alcuni punti con sangue uscito durante la vita e in altri con sangue fuoriuscito post-mortem. Avrebbe inoltre dovuto sapere rispettare, nella realizzazione delle colature ematiche, la legge della gravità, che è stata scoperta soltanto nel 1666.

Che dire, dunque? Come minimo, questo nostro ipotetico falsario medioevale doveva essere dotato di poteri paranormali. Un vero «superman», in possesso di conoscenze scientifiche, mediche, anatomiche, storiche e archeologiche che sarebbe riduttivo definire al di fuori del comune. Avrebbe dovuto avere capacità e mezzi davvero eccezionali per produrre l’immagine sul telo. Com’è concepibile che un uomo di tale sovrumana intelligenza, di ingegno così elevato, inventore con così largo anticipo del microscopio, della fotografia, dell’olografia nonché scopritore della legge di gravità, sia rimasto completamente sconosciuto ai suoi contemporanei come pure ai posteri, dato che non ne conosciamo il nome? \ E perché mai una persona così straordinariamente intelligente, che si era spinta persino a «spolverare» la Sindone con minerali simili a quelli presenti nelle grotte di Gerusalemme, così raffinata da saper riprodurre, fin nei particolari più piccoli, gli usi e i costumi della Palestina del I secolo, avrebbe commesso un errore madornale e grossolano: quello di servirsi per la sua falsa reliquia di un telo tessuto fresco fresco in epoca medioevale?

Come si concilia la diabolica intelligenza del nostro falsario superuomo, capace di procurarsi i pollini tipici della primavera palestinese, capace di riprodurre le macchie di sangue dimostrando conoscenze di un anatomopatologo moderno, con una «svista» di tali dimensioni? Un perfezionista con qualità sovrumane sarebbe dunque caduto su di un’ovvietà, dimostrandosi all’improvviso non più un mostro di bravura, ma di sbadataggine: invece di procurarsi del tessuto antico, coevo all’epoca di Gesù, invece di cercare stoffe del I secolo sulle quali sbizzarrirsi per riprodurre l’immagine del corpo crocifisso, si sarebbe accontentato di servirsi di una Sindone appena tessuta. Ma c’è di più. Siccome è indubbio che quel lenzuolo abbia avvolto per un numero determinato di ore un cadavere, sarebbe stato impossibile per lo spregiudicato falsario omicida – sì omicida, perché doveva ammazzare il povero Cristo usato come modello allo stesso modo in cui era stato ammazzato Gesù – riuscire a trovare una vittima il cui volto fosse congruente in diverse decine di punti con le icone di Cristo diffuse nell’arte bizantina \.

Egli avrebbe soprattutto dovuto pestare a sangue il suo malcapitato modello in maniera adeguata, in modo da ottenere determinati gonfiori del viso riprodotti nelle icone. Ne avrebbe probabilmente dovuti uccidere parecchi prima di raggiungere il suo scopo. Non dunque un falsario assassino, ma un falsario serial-killer. Non soltanto un mostro di bravura, ma un mostro e basta, capace di riprodurre sul cadavere della sua vittima, colpevole soltanto di assomigliare a Gesù, particolari difficilmente ottenibili, come i pollici ripiegati all’interno del palmo e la posizione più flessa di una gamba rispetto all’altra. Anche procurare alla vittima, ormai deceduta, una ferita del costato con una lancia romana, facendone uscire sangue e siero separati, non è assolutamente un esperimento facile da compiere. Altrettanto arduo sarebbe stato mantenere il cadavere avvolto nel lenzuolo per una trentina di ore impedendo il verificarsi del fenomeno della putrefazione. Infine, sarebbe stato impossibile togliere il corpo dal lenzuolo senza il minimo strappo o il più lieve spostamento che avrebbero alterato i contorni delle tracce di sangue. Possiamo dunque concludere che la realizzazione artificiale della Sindone ci appare impossibile ancora oggi, o meglio ancor di più oggi, come onestamente riconosceva al termine della sua vita il professor Luigi Gonella, affermando «la Sindone è un oggetto che non dovrebbe esistere», e nessuno di coloro che hanno creduto di smascherare il presunto «falso» è mai riuscito a ottenere un’immagine davvero simile per ricchezza di particolari.

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[Modificato da S_Daniele 03/03/2010 13:28]
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19/03/2010 08:29

Di fronte alla Sindone

Il segno e il segnato


Il 19 marzo si svolge a Genova, presso l'Oratorio San Filippo un incontro, coordinato da Sandra Isetta, su "L'uomo della Sindone. Il volto e il corpo di Cristo" a cui partecipano, oltre l'autore dell'articolo che pubblichiamo, Lucetta Scaraffia e Timothy Verdon.

di Giuseppe Ghiberti

Nei giorni fra il 25 e il 28 maggio 1898, durante l'ostensione che doveva ricordare le nozze di Vittorio Emanuele (iii) di Savoia con Elena di Montenegro, l'avvocato Secondo Pia scattò nel duomo del capoluogo piemontese le prime fotografie della Sindone di Torino. Al momento dello sviluppo delle lastre Pia si rese conto che sul negativo fotografico che gli stava davanti l'immagine aveva carattere positivo, mentre sull'originale sindonico e sul positivo fotografico essa aveva carattere negativo. La scoperta suscitò emozione fortissima a cui fece seguito uno slancio di iniziative molteplici e mai più interrotte nel campo della ricerca scientifica. Si fa coincidere con quella data l'origine della "sindonologia".
Le nuove prospettive di ricerca scientifica provocarono una nuova consapevolezza nel rapporto religioso che lega il credente al lenzuolo sindonico e all'immagine che vi è impressa, accrescendo sia l'entusiasmo sia la problematizzazione circa la possibilità di contemplare in essa i tratti stessi di Gesù. Contemporaneamente iniziarono vivaci discussioni in merito alla cosiddetta "autenticità" del telo, che si riferisce a un doppio problema:  se quel lenzuolo abbia avuto origine all'inizio dell'era cristiana (problema della datazione) e se l'immagine sindonica sia stata prodotta dal contatto fra il lenzuolo e il corpo senza vita di Gesù dopo la sua deposizione dalla croce (problema dell'origine dell'immagine).
Nessun reperto antico riguardante le origini cristiane ha mai suscitato una simile forma di interesse, perché nell'oggetto è presente una realtà di segno unica, che tende ad avvicinarsi in modo singolarissimo alla persona "segnata".
Il clima nel quale si svolse la discussione e la ricerca, assai acceso fin dall'inizio, ha avuto un'impennata in emotività a partire dal 1988, quando furono effettuate le analisi sulla componente di C14 (un isotopo radioattivo del carbonio) presente nel tessuto sindonico e venne reso noto l'esito dell'indagine, che datava l'origine del telo sindonico fra il 1260 e il 1390 dell'era cristiana. Le tendenze radicalizzanti nella discussione si attestarono su posizioni estreme:  da una parte quanti affermavano che il verdetto era definitivo e perciò era da considerarsi sanzionata l'illegittimità di un rapporto religioso fra il credente e la Sindone; dall'altra quanti affermavano l'inaffidabilità del risultato (sostenendo spesso che era stato raggiunto con procedimenti scorretti), difendendo pertanto l'"autenticità" del reperto sindonico e la legittimità del rapporto religioso con esso.
Si rende anzitutto necessaria una corretta posizione del problema. Esso è acutizzato da un pronunciamento scientifico; ma dove sta precisamente il problema del rapporto tra scienza e fede a riguardo della Sindone? Che cosa può o deve attendere la fede dalla scienza; quali condizioni impone la scienza alla fede? Occorre anzitutto chiarire in quale categoria di realtà religiosa si pone la Sindone:  è immagine con rimando a un fatto? È reliquia della deposizione di Gesù dalla croce e della sua sepoltura? Alla prima domanda sembra doversi dare, senza alcun dubbio, risposta positiva; la riposta alla seconda si pone nella fascia della possibilità. Ancora:  quali conseguenze ha sul rapporto di quella realtà con la fede la risposta alle precedenti domande? Dove si pone il rapporto con la fede? Certamente a livello di veridicità del segno. E comunque, in quale modo essa agisce positivamente in favore del processo della fede?
Dove si pone il piano della significatività? Nell'espressività dell'immagine; o anche nella materialità del rapporto con il corpo di Gesù? Perché il sentimento - il "cuore" - dell'uomo è più reattivo di fronte alla consapevolezza del contatto fisico:  perché è maggiore la densità del ricordo? Occorre tutta quella "densità" per giustificare la proposta "pastorale" di devozione o di culto solenne? Il segno sindonico è più "vero" se il telo ha certamente toccato il corpo di Gesù?
Questa massa di domande richiederà certo analisi pazienti, per giungere a risposte che dovranno essere molto equilibrate. Credo però che sia possibile e necessario acquisire in partenza un punto importante sulla natura del rapporto che nasce tra chi si accosta a questo oggetto e la Sindone stessa. Se si tratta di un non credente, ma dotato di sensibilità umana, nasce un sentimento di pena per l'enorme sofferenza che egli vede "narrata" da quell'immagine misteriosa, assieme a compassione e indignazione:  come è possibile che l'uomo sia così crudele con il suo simile?
Se però è credente si rende conto facilmente della corrispondenza che corre tra il "racconto per immagini" che vede su quel telo e il racconto letterario della passione nei vangeli. Nasce allora un sentimento spontaneo e forte che si porta sulla realtà sindonica e, attraverso a essa, sulla vicenda che in essa è così fortemente significata, al punto che il segno perde totalmente in importanza, per lasciare aperto il cammino al segnato. Attraverso il telo gli viene incontro la persona del Salvatore.
Non è ancora stata posta nessuna domanda, non è ancora iniziata nessuna ricerca scientifica; s'è fatto strada solo un intenso sentimento di natura religiosa, coi caratteri della commozione, della contrizione, dell'implorazione. È il momento prescientifico, che non nasce da nessun pronunciamento contro la scienza, nemmeno dalla teorizzazione di estraneità a essa, ma semplicemente da una forma autonoma di cammino che coinvolge la vita.


(©L'Osservatore Romano - 19 marzo 2010)
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31/03/2010 08:03

Una mostra sul volto e sul corpo di Cristo

Sindone e secolarizzazione


di Lucetta Scaraffia


Fra pochi giorni avrà inizio a Torino l'ostensione della Sindone, accompagnata questa volta da una mostra - che si inaugura il 31 marzo presso la Reggia di Venaria per iniziativa di Imago Veritatis - sul volto e il corpo di Cristo. I due avvenimenti insistono su due aspetti fondanti della religione cristiana:  la realtà storica dell'esistenza di Gesù e il suo essere incarnazione di Dio, e quindi anche sua immagine.
Ripensare a queste due realtà oggi ha un senso speciale:  esse costituiscono di fatto una risposta a quelli che si possono considerare gli effetti culturali più dannosi e pervasivi della secolarizzazione, cioè il tentativo di cancellare l'esistenza storica di Gesù - l'avvenimento straordinario di un Dio che si fa uomo - e, di conseguenza, lo statuto privilegiato della natura umana rispetto alle altre realtà naturali.

Sembra incredibile, ma molti giovani ignorano che Gesù è storicamente esistito:  in diversi Paesi, tra cui l'Italia, oggi non si studia la storia del cristianesimo tra le materie scolastiche obbligatorie, e questo produce una ignoranza che è frutto anche di tendenze orientate a fare del cristianesimo una religione come le altre, senza specificità, inducendo quindi a considerare Cristo come un essere mitico, quasi fosse una divinità greca, romana od orientale.

Da decenni sta crescendo in ambito internazionale - anche all'interno di organismi quali le Nazioni Unite - una propaganda in favore di una concezione sbagliata di multiculturalismo:  questo viene proposto come panacea per ogni conflitto, a patto che le religioni vengano considerate tutte assolutamente uguali, e cioè che ciascuna metta da parte ogni pretesa di verità. Ricordare che il cristianesimo nasce dall'esistenza storica di un uomo, Gesù, che si dichiara figlio di Dio, ostacola questa elaborazione in apparenza irenica, perché mette in evidenza la diversità cristiana rispetto alle altre religioni. Un Dio che si incarna per salvare gli esseri umani, infatti, costituisce un unicum assoluto, difficile da omologare.

Il fatto che si possa discutere sull'autenticità del lenzuolo di Torino - indipendentemente dall'esito della discussione - sottolinea, in modo concreto ed evidente, che Gesù è esistito realmente, anche per la possibilità che quel sudario abbia davvero avvolto il suo corpo tormentato, ucciso e risorto il terzo giorno. La specificità della tradizione cristiana viene messa in evidenza in modo inequivocabile anche così, rendendo appunto difficile l'omologazione del cristianesimo alle altre religioni.

Ma questo è solo il primo effetto dell'ostensione della Sindone e della mostra che l'accompagna:  dall'incarnazione deriva ovviamente anche una conferma dello speciale statuto della natura umana, non solo creata a immagine di Dio, ma appunto confermata dalla scelta di Dio stesso di farsi uomo. E questo in una cultura che ormai cerca di convincersi e di convincere che l'essere umano è un animale come gli altri, solo più evoluto.

Non si tratta di un dibattito esclusivamente teorico:  dalla definizione di natura umana deriva la possibilità o meno di intervento sulla persona umana, e dunque ad esempio la legittimità dell'aborto e della selezione degli embrioni, oppure dell'eutanasia. Se l'essere umano è un animale come gli altri, perché trattarlo in modo diverso quando non possiede più (o non ancora) la ragione e la volontà? La radice profonda della diversità di posizioni sui problemi bioetici oggi all'ordine del giorno - e che sono sempre rappresentati sotto le superficiali vesti di scelte di libertà - viene così immediatamente alla luce.
La ricerca di come rappresentare il volto e il corpo di Gesù nella storia dell'arte occidentale - e quindi della cultura - si è trasformata in una meditazione sulla natura umana. La mostra che si inaugura alla Reggia di Venaria, infatti, vuole accompagnare il visitatore a rintracciare il complesso rapporto fra corpo umano e immagine divina che attraversa la storia, rapporto all'origine della concezione di individuo e di persona umana.

La storia della nascita dell'individuo si intreccia anche con la storia del significato teologico e sacramentale del corpo di Cristo, con la storia del sacrificio sull'altare, per cui il corpo diventa ostensorio. Meditare davanti alla Sindone e visitare la mostra alla Reggia di Venaria fa sì che diventi più difficile dimenticare tutto questo.


(©L'Osservatore Romano - 31 marzo 2010)
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01/04/2010 10:16

Un concorso nelle scuole del Piemonte

A tu per tu con l'uomo della Sindone


Si chiamava "Imago veritatis. L'uomo della Sindone, il corpo e il volto di Cristo" il concorso per le scuole del Piemonte, conclusosi a pochi giorni dall'inizio dell'ostensione, promosso dall'Ufficio scolastico regionale, dall'Ufficio pastorale scolastico su proposta dell'Associazione Sant'Anselmo nell'ambito delle iniziative da essa affiancate all'ostensione della Sindone in collaborazione con il Progetto culturale della Chiesa italiana. Il concorso è stato realizzato con il contributo e il finanziamento dell'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede. La giuria era composta da Francesco Antonioli, de "Il Sole 24 Ore"; Vincenzo Arnone, preside dell'Istituto Sant'Anna di Torino; Marco Bonatti, del settimanale "La voce del popolo"; lo scrittore Oddone Camerana; Francesco de Sanctis, direttore dell'Ufficio scolastico regionale per il Piemonte; Ernesto Ferrero, direttore del Salone del libro; Andrea Gianni, presidente dell'Associazione Sant'Anselmo; monsignor Giuseppe Ghiberti, presidente della Commissione diocesana per la Sindone; la scrittrice e insegnante Paola Mastrocola; don Bruno Porta, direttore dell'Ufficio scuola dell'arcidiocesi di Torino; l'artista Filippo Rossi; Lucetta Scaraffia dell'università di Roma La Sapienza; Timothy Verdon, direttore dell'Ufficio beni culturali della diocesi di Firenze. Le tre lavagne interattive multimediali che costituivano il primo premio sono andate a tre delle oltre duecento scuole che hanno partecipato, mentre alle biblioteche delle venti classi finaliste sono stati consegnati libri sulla storia dell'universo, sulla natura del nostro pianeta e sulle diverse forme d'arte nel mondo. Gli elaborati presentati saranno esposti nel bookshop allestito durante l'ostensione della Sindone nella piazza centrale di Torino.

di Andrea Gianni

Con il concorso promosso nelle scuole del Piemonte, di cui abbiamo già scritto su queste pagine, si voleva che l'attenzione verso la Sindone attivasse un impegno diretto degli studenti a entrare nel merito degli interrogativi che pone alla scienza e alla storia. La Sindone, in effetti, rappresenta un formidabile testimone che stimola la curiosità e la ricerca; e forse anche l'alone di mistero che la circonda con i numerosi aspetti inspiegabili, deve aver determinato l'adesione di un buon numero di studenti piemontesi e di insegnanti sensibili agli stimoli che vengono anche al di fuori dei libri di testo e dei programmi ministeriali.
C'era anche l'intento di portare l'attenzione alla vicenda di cui il telo è segno:  quella di uno dei personaggi più discussi della storia, anche se non è stata accertata né si è potuta dimostrare la sua veridicità come sudario di Cristo. Resta però la sua intrinseca forza di richiamo dirompente al racconto storico della sorte toccata a quel personaggio:  ferite del capo e del corpo, tumefazioni del volto, polsi e piedi trafitti non lasciano scampo neanche all'osservatore più scettico:  è proprio ciò che si legge nei testi a proposito del pestaggio, delle torture, della crocifissione subita da Cristo.
La visione della Sindone rende ogni volta inevitabile la domanda:  ma chi era costui? Una domanda a cui il luogo strutturalmente deputato alla conoscenza può ben essere chiamato a rispondere. L'esperienza induce qualche considerazione generale al di là del suo carattere regionale. Indubbiamente si trattava di una sfida, perché molti segnali fanno far venire il dubbio che nella scuola possa prevalere una tendenza a considerare la storia di Cristo un settore privo di status disciplinare scolastico oppure in opposizione alla presunta neutralità della scuola:  le preoccupazioni dell'integrazione che arrivano fino all'abolizione del presepe per non offendere gli studenti non cristiani, la censura o l'oblio più o meno radicali che sono all'origine della secolarizzazione. Un pessimismo incoraggiato dalle inchieste tra gli studenti che pare non sappiano se Cristo è realmente esistito o se è una leggenda; ma anche dal modo con cui la storia del cattolicesimo è trattata in alcuni libri di testo.

Il concorso nelle scuole piemontesi, invece, ha rivelato un interessamento tipicamente scolastico con la presentazione di elaborati nei diversi settori disciplinari artistico, storico-documentale e multimediale in forma di temi scritti e ricerche realizzate in power point, filmati e lavori artistici.

 Forse non può valere come sondaggio da estendere alla popolazione scolastica nazionale con il metodo delle proiezioni, ma certamente è un segnale da non sottovalutare.
Un'altra considerazione riguarda il piano della "politica scolastica" perché il fatto che la proposta del concorso sia stata approvata e fatta propria dalla postazione territoriale del ministero dell'Istruzione, l'Ufficio scolastico regionale del Piemonte, non è senza significato circa l'attenzione che la dirigenza scolastica può dare all'importanza culturale e quindi didattica della storia religiosa. Se il mondo universitario comincia anche in Italia a considerare l'antropologia religiosa come un settore disciplinare degno di questo nome, l'esperienza torinese suggerisce che può essere, anche nel mondo della scuola, una chiave di lettura efficace della storia dell'umanità, e proprio in funzione della crescente composizione multireligiosa del Paese.


(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2010)
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La lettera che ha vinto il primo premio


Scuola elementare di Sangano Istituto comprensivo Trana

Caro Uomo della Sindone,
tutti quest'anno parlano di te, del fatto che in primavera ci sarà la tua Ostensione. È proprio grazie a questo avvenimento che noi ragazzi della vb della scuola primaria di Sangano ti stiamo conoscendo.
Abbiamo visto la tua immagine nei libri e in televisione. Lo sai che ci hai incuriosito? Guardandoti ci siamo accorti che non riusciamo a percepirti in un solo colpo d'occhio, abbiamo bisogno di soffermare la nostra attenzione sul tuo sudario scorrendo lo sguardo sui particolari:  ferite, rivoli di sangue, tumefazioni. Vederti pieno di sangue, fratture, segni di flagellazione ci fa venire la voglia di abbracciarti! Osservando il negativo fotografico ci appaiono chiari i tuoi occhi, la fronte, il naso, la bocca e i capelli:  sono i tratti del volto di un uomo.
Uomo della Sindone, chi sei? Come è stata la tua vita? Perché ti hanno messo sulla croce? A queste domande nessuno forse potrà mai darci delle risposte. Sei giunto fortunatamente fino a noi, salvandoti dal fuoco; passi la maggior parte del tempo chiuso in una teca, ma non ti senti solo? E come ti senti quando, ogni dieci anni, migliaia di persone arrivano da lontano per scrutarti, per capire chi sei, per cercare di leggere cosa c'è scritto nel tuo cuore? Non ti sei sentito spiato quando hanno tentato di analizzarti? Spiato nel corpo, spiato nell'animo per cercare di datarti, per cercare di chiarire se sei o non sei Gesù!
La fine della tua vita è stata piena di sofferenza, questa però non è stata sprecata perché ci riporta alla sofferenza di Gesù, ricorda che il Figlio di Dio è sceso in mezzo a noi e sarà sempre con noi per amarci.
Non importa sapere, Uomo della Sindone, chi sei se riesci a trasmetterci questo messaggio d'amore! Vederti significa rassicurarci. Ci ricordi che Dio esiste, anche se non lo vediamo, ci ricordi che solo seguendo l'esempio che Gesù ci ha dato possiamo vivere felici e sereni, ci ricordi chi è il nostro prossimo, ci ricordi che Gesù disse:  Lasciate che i bambini vengano a me, perché il Regno di Dio appartiene a quelli come loro.
Caro Uomo della Sindone, questo è il messaggio più grande che potevi darci!!!!!
Aspettaci, verremo a vederti!!!

I ragazzi della v b

(©L'Osservatore Romano - 1 aprile 2010)
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10/04/2010 09:12

Dal 10 aprile al 23 maggio l'ostensione della Sindone nel duomo di Torino

L'immagine intoccata e la poetica dell'incarnazione


Il 10 aprile inizia nel duomo di Torino l'ostensione della Sindone che continua fino al 23 maggio. Nell'occasione la Venaria Reale in collaborazione con l'arcidiocesi di Torino e con Imago Veritatis - nell'ambito del Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana - ha organizzato la mostra "Gesù. Il corpo, il volto nell'arte", curata da Timothy Verdon e in corso (fino al 1° agosto) nelle Scuderie juvarriane della Reggia. Pubblichiamo un estratto di uno dei saggi del catalogo a cura dell'Associazione Sant'Anselmo (Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2010, pagine 336, euro 35).

di Sylvie Barnay

La Bibbia indica Maria come colei che non fu toccata dalla mano dell'uomo, ma da quella di Dio:  la "vergine". Tale paradosso esprime l'incarnazione di Cristo, al tempo stesso "Dio e uomo", concepito da una donna al tempo stesso "vergine e madre". Intorno alla metà del vi secolo il mondo cristiano tentò di tradurre questo concetto fondamentale ricorrendo all'ausilio della contrapposizione presente nelle Sacre Scritture tra immagini "opera delle mani dell'uomo" (Salmi, 115, 4; Atti, 19, 26) e immagini "non fatt[e] da mani d'uomo" (Marco, 14, 58). Il Cristo fatto dalle mani dell'uomo non è in realtà opera umana:  nato dalla Vergine Maria, la sua concezione fu divina. Allo scopo di giustificare la doppia natura di Cristo, in molti documenti si narrava che il volto originale di Dio apparisse come per impressione su un velo, una tela o una tegola:  un volto non fatto dalla mano dell'uomo (acheropita, termine di origine greca). L'immagine acheropita è presentata come un'immagine originale, una traccia del passaggio di Dio su una superficie immacolata sotto forma di apparizione del suo volto.

A cominciare dalla trasformazione culturale che caratterizzò il passaggio dall'Antichità al Medioevo, le narrazioni che presentano immagini "acheropite" (appunto "non manipolate da mano d'uomo") furono indicate come "vere immagini" nell'impero cristiano in evoluzione. Ma tali racconti tramandano anche ai posteri una poetica del volto di Cristo, riassumendo una teologia del paradosso che congiunge il divino e l'umano. Essi trasmettono un'idea dell'immagine che prende forma come per contatto, che emerge alla stregua di un calco dallo stampo o di un sigillo da una matrice. Le prime immagini acheropite - quali l'icona di Edessa nota come Mandylion - sono contemporanee alle narrazioni che ne contengono i riferimenti. Gli storici dell'arte, in particolare Georges Didi-Huberman, hanno mostrato chiaramente come la prima narrazione iconica di Dio sia in definitiva una storia della sua impronta.
Sull'esempio del Mandylion, presentato come il ritratto originale di Cristo, le immagini del volto acheropita attraversano così il primo millennio, seguendo l'avanzata del cristianesimo nel mondo e finendo sul banco degli imputati quando il dibattito sulla venerazione delle raffigurazioni sacre arriva a toccare la realtà dell'incarnazione di Cristo o la sua doppia natura. All'inizio dell'xi secolo, l'Oriente, che indaga su un'estetica di tipo nuovo, vede in esse la "pittura viva". E anche attraverso una rivoluzione della propria teologia visiva che l'Occidente del xii secolo rinnova il proprio sguardo sulle immagini intoccate (intouchées), fino ad allora importate:  le vede come in sogno sotto forma di immagini mentali che si muovono, parlano e sanguinano, le identifica sotto specie di immagini plastiche nuove, che manifestano l'attesa e il riconoscimento di una nuova epifania di Cristo come nelle cristofanie bibliche. Sono immagini vivide, riconosciute come veritiere in quanto originali.

Tra esse, nella Roma del xiii secolo, l'immagine della Veronica va presto a oscurare progressivamente la notorietà del Mandylion e, a partire dal 1216, essa diviene "vera ikona" romana, l'impronta acheropita del volto di Cristo sul velo mostrato da santa Veronica. Il culto, autorizzato la prima domenica dopo l'ottava epifania, prende forma nel preciso contesto dell'affermazione della presenza reale di Cristo nell'eucaristia tramite Papa Innocenzo III. La Rivelazione e la sua rivelazione sotto forma di immagine acheropita coincidono in una denominazione che ancora ne esprime l'origine, dove il gioco etimologico latino tra la "vera icona" e la "Veronica" è prova in realtà di una precisa corrispondenza tra la parola e l'immagine, che permette nel mondo medievale di esprimere e tradurre l'incarnazione. Questa retorica si rifà dunque alla teologia della "similitudine dissimile" dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita allo scopo di dare un nome all'essenza divina nella sua accezione umana:   ad  esempio vedendo Dio come uomo, pietra, leone, aquila, fiore, pianta di vite, fiamma, germoglio, monte,  cima,  sentiero eccetera. Questa teologia porta dunque a denominare Dio come scarto allitterativo tra "Vera icona" e "Veronica" nonché a una  visione  antropomorfa,  la "Veronica", della matrice divina, la "vera icona".

Dalla "Veronica" al Volto santo di Lucca, il Sacro volto diventa testimonianza di un Dio che si manifesta per impressione e che si rivela appunto attraverso un procedimento di calco su tessuto, tela o sulla superficie della tavola. Verso la fine del xv secolo il culto del sacro volto raggiunge il suo apogeo. Si tratta di un periodo di transizione, che dal Medioevo scivola nell'era moderna, nel quale scoppia tra gli artisti una controversia relativa a tali rappresentazioni. Ancora una volta la radice di queste accese polemiche che vedono su fronti opposti la chiesa cattolica e quella riformata sulle due sponde del Reno, è il rapporto tra il sacro verbo e la raffigurazione sacra in un contesto dove il soprannaturale è grandemente inflazionato. Grünewald (circa 1475-1528) è un contemporaneo degli avvenimenti che contribuiscono a esasperare la frattura nel mondo cristiano. La sua interpretazione del lascito teologico derivante dal rapporto tra mano dell'uomo e mano di Dio si può comprendere partendo dall'ipotesi nuova, secondo cui il nome del pittore assume ora la stessa funzione che ricopriva in precedenza quello della "Veronica":  così si traduce la corrispondenza tra Verbo e immagine, la natura divina  della  Rivelazione  e la natura umana della sua manifestazione, proprio come la "vera icona" e la "Veronica".

È tra il 1512 e il 1516 che il maestro tedesco esegue la celebre macchina di altare del monastero dei monaci antoniani di Issenheim. Grünewald, forse, non è solamente il nome attribuito all'autore della pala, ma anche il nome generico della sua opera, che in tedesco significa letteralmente "foresta verde" o "bosco verde" (grün wald):  nel Medioevo è tipico dell'arte dell'etimologia attribuire a un sostantivo due significati, allo scopo di farne intendere la valenza simbolica. Colui che la storia dell'arte conosca come Grünewald è nella realtà degli archivi documentali Mathis Gothart Nithart. Il maestro di Issenheim non viene mai chiamato con il nome di Grünewald fino alla comparsa del primo trattato teorico sull'arte, redatto in lingua tedesca alla fine del XVIi secolo da Joachim von Sandrart (1608-1688). Non è dunque casuale che il grande teorico attribuisca allora al maestro del tardo Medioevo l'appellativo di Grünewald, tramandato poi ai posteri nei secoli a venire. È assodato che tale patronimico veniva utilizzato nella cerchia famigliare dell'artista, eppure la scelta del nome da parte del teorico dell'arte dell'epoca moderna che identifica il maestro Mathis come Grünewald nasce, forse, dall'intento di inserire il maestro di Colmar in un certo filone artistico particolarmente attento alla doppia natura di Cristo. Grünewald gravitava in effetti in ambienti vicini alla Chiesa riformata, impegnata a sviscerare la questione del rapporto tra l'immagine e la Rivelazione. Gli avvenimenti dei decenni precedenti avevano mostrato fino a che punto le rivelazioni della parola divina si fossero rilevate in un rapporto di equilibrio con le Scritture.

 Spingendo più in là l'ipotesi che ricostruisce un'equivalenza tra "Grünewald" e "Veronica", il grün wald che appare come una fitta foresta tipica del paesaggio germanico evoca altresì l'ordine naturale. Nell'economia naturale, il grün wald è certamente una foresta verde, ma nell'economia soprannaturale, tale espressione rimanda alla natura del Cristo:  qui il riferimento è alla natura divina, il bosco che non muore mai, la foresta eternamente verde. Il termine evoca con estrema precisione la viridità, parola che venne utilizzata dai visionari del Medioevo per indicare la resurrezione di Cristo, resurrezione che si manifesta inoltre nell'abete la notte di Natale, l'albero verde ed eternamente vivo che fa la sua comparsa nelle cittadine tedesche intorno al 1500. Il teorico dell'arte del XVIIsecolo aveva certamente visto in colui che si accingeva a denominare Grünewald un maestro di pensiero della grün wald, un artista che aveva atteso e riconosciuto lo stato di rinnovamento dell'epifania, un'opera della "vera icona". Spesso paragonato a Vasari, il teorico italiano dell'estetica del XVI secolo, Sandrart ne prese nettamente le distanze attribuendo al maestro Mathis la designazione di Grünewald. Laddove Vasari aveva costruito una teoria dell'arte dell'imitazione come copia della natura, Sandrart decise invece di privilegiare la via dell'imitazione come similitudine dissimile, optando chiaramente per un'arte che utilizza le risorse dell'impronta, un'arte capace di far nascere nella pittura un'immagine della doppia natura di Cristo.

Il Cristo crocifisso dipinto da Grünewald per l'altare di Issenheim diventa così testimonianza di una definizione nuova di "pittura viva", dai toni nettamente aristotelici, verso la fine del XVI secolo. Gli artisti medievali basavano la teoria della genesi della forma - in virtù della quale una forma pittorica si distacca dalla superficie - sulla Fisica aristotelica. Per dipingere Cristo che si fa carne sulla pala d'altare, per tradurre l'incarnazione secondo un modello acheropita come nelle immagini dell'annunciazione di epoca medievale, Grünewald concepisce proprio la crocifissione come un'annunciazione. Il pittore si pone in attesa in una situazione di silenzio pronto a infrangersi, affinché si sconvolga la nozione di superficie, affinché si compia l'irrompere dell'immenso.

La sua pittura appare per così dire incarnata quando il confine tra la tela e la carne messa a nudo diviene incerto, lasciando trasparire l'immagine del Cristo crocifisso come la prossimità della sua distanza:  una traccia della sua manifestazione sotto forma di impronta, quasi un'aderenza a un tessuto. Georges Didi-Huberman ha mostrato come questo procedimento pittorico di distanza e prossimità riproduca il processo di generazione attribuito alla "Veronica", presupponendo l'adesione alla materia e il suo allontanamento - quasi a toccare ciò che non può essere toccato - alla base stessa della teologia dell'immagine acheropita.


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13/04/2010 11:54

La Sindone, "rimando all'amore infinito di Gesù"
Intervista al presidente della Commissione diocesana
di Chiara Santomiero

ROMA, domenica, 11 aprile 2010 (ZENIT.org).-

In occasione dell'inizio della Solenne Ostensione 2010 della Sacra Sindone, ZENIT ha chiesto a monsignor Giuseppe Ghiberti, presidente della Commissione diocesana della Sindone, di spiegare il valore religioso per il credente del telo che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Gesù prima della Resurrezione.

Solo una risposta positiva sull'autenticità della Sindone legittima il rapporto religioso tra il credente e questo oggetto?

Monsignor Ghiberti: Il problema della giustificazione del rapporto religioso con la Sindone è avvertito in modo diverso. Non poche persone ritengono che solo la sicurezza della sua autenticità ne legittimi la venerazione da parte dei fedeli. La teoria opposta afferma invece: si tratta di un oggetto da venerare e quindi è autentico.

Entrambe le posizioni non appaiono convincenti. Il rapporto religioso con la Sindone del credente, cioè di una persona che è vissuta in una tradizione nella quale la persona e le vicende della vita di Gesù sono centrali, nasce nel rendersi conto - nel momento in cui si accosta all'immagine sul telo - che c'è una corrispondenza perfetta tra ciò che vede e ciò che dal racconto evangelico ci viene riferito a proposito della Passione di Gesù. Appena si verifica questa consapevolezza, scatta un tipo di rapporto che non è tanto giustificato dall'oggetto in sé, quanto dal rimando che da questo oggetto viene fatto all'altra vicenda.

Si può qualificare come una "funzione da precursore". S. Giovanni Battista affermava riguardo a Gesù: "Lui deve crescere e io diminuire, Lui è lo sposo e io l'amico dello Sposo"; per la Sindone è lo stesso, nella sua povertà è la sua nobiltà perché il suo valore non si esaurisce in ciò che essa è, ma in ciò a cui essa rimanda.

C'è un carattere pre-scientifico in questo tipo di rapporto con la Sindone in quanto, a questo stadio, non ho ancora posto nessuna domanda sulla sua autenticità: ho semplicemente colto il messaggio che ne promana e che consiste in un rimando al racconto evangelico della Passione.

Solo in seguito io domando alla scienza se in quel lenzuolo c'è stato il corpo di Gesù e questo per il mio cuore è importantissimo. Alla scienza sono quindi interessato, ma non ne resto condizionato. Questa forma di ragionamento credo offra l'impostazione esatta e, accettandola, sono molto più libero.

La Sindone svolge, quindi, una funzione ausiliaria per la fede?

Monsignor Ghiberti: Quando si è acquisita quella libertà interiore per cui, comunque vadano le cose - sebbene io sia un "tifoso" dell'autenticità della Sindone! - il risultato non influisce sulla ricezione del messaggio, occorre chiedersi: che cosa significa la Sindone per me, per la pastorale, per la Chiesa?

Le cose sono collegate l'una all'altra. La Sindone non è certamente oggetto di fede, sono altre le verità fondamentali nelle quali credere. Lo ha detto chiaramente anche Giovanni Paolo II in occasione dell'ostensione del 1998. Però mi aiuta a credere, è uno di quei mezzi che il Signore mette nel cammino dei suoi figli per chiamarli a sé. Non è necessario - c'è una quantità di cristiani che si sono fatti santi senza la Sindone, è bastato il Vangelo e la loro coscienza -, ma nello stesso modo in cui il Signore ha disposto che proprio questi fossero i miei genitori e questo fosse il mio cammino nella vita, ha disposto anche che incontrassi la Sindone e, come me, tante persone.

Queste sono sempre di più, forse perché la cultura del nostro tempo ha una maggiore sensibilità verso l'immagine, nonostante sia molto diversa da quelle che vengono celebrate oggi: sebbene dalla dimensioni armoniose della corporatura si può cogliere che quello della Sindone  è un uomo bello, si tratta però di un corpo distrutto dalla tortura.

La gente chiede sempre di poter di stare più tempo davanti alla Sindone poiché in effetti ne ha pochissimo, ma chi può sostarvi davanti a lungo come è capitato a me, deve quasi di sforzarsi di non fuggire perché è una testimonianza di sofferenza indicibile. Il dolore che ne promana, in una civiltà dell' immagine come la nostra, diventa più eloquente di molti discorsi. Giovanni Paolo II, nella stessa occasione disse:  "Non poteva amarci di più".

Icona o reliquia?

Monsignor Ghiberti: Il primo ad usare la terminologia dell'icona è stato il cardinale Ballestrero e lo hanno rimproverato di usare un escamotage, un concetto per evitare di parlare di reliquia nel momento in cui si proclamavano i risultati dell'analisi del carbonio 14 che spostava la datazione della Sindone al Medioevo, così da salvaguardarne la sacralità. Si tratta di una polemica ingiustificata. Quello di icona è un concetto utile non per evitare il problema dell'autenticità, perché anche quando questa fosse dimostrata, non ci sarebbero difficoltà ad usarlo. Semmai il problema è oggi poter usare il concetto di reliquia, cioè di oggetto che avrebbe avuto contatto con Gesù.

Nel gioco tra i due concetti, quello di icona ha qualcosa in più e qualcosa in meno. In più ha il vantaggio di non doversi esprimere riguardo al contatto fisico con il corpo di Gesù - senza negarlo, non si pronuncia su questo aspetto -; in meno, si avverte come un concetto un po' più lontano. Il concetto di reliquia ha lo svantaggio di anticipare, nel sentire comune, conclusioni che non ci sono state ancora date. Anche se in un'accezione ampia del termine, reliquia può indicare qualcosa che ha avuto riferimento con un santo ma senza necessariamente un contatto fisico. In questo senso, è un termine che si può utilizzare anche per la Sindone, specificando il significato con il quale lo si usa.

La teologia dell'icona ha una grande densità di significato in quanto esprime, secondo la tradizione dell'uso che ha avuto nella Scrittura e nella cristianità antica, il concetto di una somiglianza che tende addirittura all'identificazione con il punto di partenza.

Si può dire che questa incertezza sull'autenticità della Sindone ha in sé una funzione educativa che Dio offre ai credenti?

Monsignor Ghiberti: E' uno degli aspetti della povertà che è caratteristica del mistero dell'Incarnazione. Se qualcosa ci dice questo mistero è il nascondimento della divinità nella corporeità, l'aspetto più tangibile della presenza di una persona umana. Nel darci la Sindone come aiuto alla fede ma senza liberarlo dalle incertezze scientifiche, Dio ci invita a concentrarci sull'essenziale del messaggio che è il rimando a suo Figlio, incarnato in un corpo, morto e resuscitato. Anche la povertà del segno è nello stile di Gesù che si serve di strumenti "deboli" per convertire i cuori.

Da una parte c'è il milione e mezzo di pellegrini prenotati per l'ostensione, dall'altra c'è scetticismo verso la Sindone tra molti credenti: perché nell'incertezza è più facile credere che non sia autentica piuttosto che il contrario?

Monsignor Ghiberti: Bisognerebbe chiedersi se molti credenti credano davvero a verità di fede come la Resurrezione e la presenza reale di Gesù nell'Eucarestia.  E' molto difficile quando si tratta di accogliere bene in coscienza  i contenuti di queste affermazioni  fondamentali della fede, dire "io credo". Anche alcuni che vanno in chiesa regolarmente pensano forse che siano modi di dire.

L'aspetto dello straordinario, man mano che si procede negli anni, diventa qualcosa che invita a relativizzare; ognuno vive una quantità di esperienze che non recano in sé lo straordinario e ciò che non è passato nella mia esperienza lo metto facilmente tra parentesi o lo escludo. Qualcosa di analogo avviene con la fede. Nel momento in cui sento l'invito a credere, se dico di sì, so che è un invito ad andare al di là, solo che man mano che il tempo passa, lo tiro in qua il cuore che avevo buttato al di là. Quando, come alla mia età, si avvicinano i momenti conclusivi della vita, il pensiero di un futuro nel quale questa mia realtà ha una trasformazione beatificante non è facile da confermare e da accettare. Credere è un processo di conquista che ha le sue difficoltà e le sue gioie a tutte le età e non mi stupisce che riguardo alla Sindone capiti qualcosa di analogo. E' più preoccupante per le verità di fede. La Sindone posso metterla tra parentesi: magari faccio male perché perdo un aiuto, ma il Signore non mi chiederà conto di questo come mi chiederà se ho rinunciato a una o più verità di fede. Si tratta però di ambiti che presentano delle somiglianze. Sta accadendo che ciò che serve per la fede ha le stesse difficoltà che ha la fede stessa di essere accettata.

Che cosa raccomandare ai pellegrini, quale atteggiamento, come accostarsi a questo mistero?

Monsignor Ghiberti: Per lasciarsi sorprendere da questa realtà bisogna impegnarsi per il silenzio, rinunciare ai commenti, vivere questo momento in modo personale. Bisogna inoltre curare la preparazione, non arrivare del tutto sprovveduti.

Affinché non si limiti a una semplice emozione, c'è la possibilità di fermarsi nella cappella dell'adorazione e nella penitenzieria per un momento di adorazione o per la confessione. Molti rientrano dal portone centrale del duomo per soffermarsi davanti alla Sindone con più calma, sebbene da lontano.

Si tratta di cogliere un rimando all'amore infinito di Gesù: questo è il messaggio che sta al di sopra di tutte le considerazioni possibili.


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21/04/2010 19:59

La Sindone e la risposta cristiana al mistero del dolore

Non di fronte ma dentro la sofferenza


di Ferdinando Cancelli

"Accanto al malato la speranza ha il volto della cura" affermava - a conclusione della sua relazione - il cardinale Angelo Bagnasco e, citando Cicely Saunders, fondatrice del primo hospice inglese, "la risposta cristiana al mistero della sofferenza non è una spiegazione ma una presenza". La presenza dei curanti, chiamati ad assicurare al malato quel "grembo vivo di relazioni" all'interno del quale egli possa continuare a vivere, ma anche e soprattutto "la presenza del grande Paziente, Cristo crocifisso, che abita e colma la solitudine del corpo e dello spirito in quelle fragilità così personali e profonde dove nessuna umana presenza può abitare pienamente".
Il convegno "L'uomo di fronte al mistero della sofferenza", svoltosi a Torino a margine dell'ostensione della Santa Sindone, è stato l'occasione per una riflessione profonda sul mistero della sofferenza e sui sentieri percorsi per intravedere la speranza racchiusa nel senso di questa ineludibile esperienza umana.
Sebbene pronunciate a distanza di un giorno l'una dall'altra, le relazioni dell'arcivescovo di Genova e quella di Francesco Botturi - ordinario di filosofia morale all'Università Cattolica del Sacro Cuore - si sono intrecciate e ritrovate quasi per dialogare in più punti.
Soffermandosi in apertura sull'uomo di fronte alla sofferenza nella cultura contemporanea, il cardinale Bagnasco ha sottolineato come la società oscilli "tra rimozione e spettacolarizzazione":  attraverso la "mediazione protettiva dello schermo televisivo" è possibile assistere alla "morte esibita" e al "particolare macabro" come in un rito di "esorcizzazione collettiva della sofferenza stessa", quasi fosse possibile poi allontanare il tutto semplicemente "cambiando canale", senza quel pudore che, "quasi riflesso istintivo di fronte al dolore e alla morte", pare ormai assente.
Ma vi sono casi in cui prendere le distanze dal contenuto di un'esperienza ne provoca invariabilmente la dissoluzione:  questo è - secondo Botturi - il caso della sofferenza:  non ci si può "porre di fronte a essa" perché la si ridurrebbe a un sintomo, a un qualcosa di soggettivo ed esterno all'osservatore mentre, ha continuato il filosofo, "la sofferenza esiste solo se vissuta in prima persona". Il tentativo di rimuoverla tenendola a distanza porta solamente - afferma Botturi - all'"insofferenza per la sofferenza" e al "risentimento per la sofferenza":  diviene insopportabile ciò che non si riesce a vivere, diviene insopportabile chi, con la propria immagine, ricorda ai sani che la sofferenza è parte della vita umana.
Di fronte alla non accettazione del soffrire - prosegue il cardinale Bagnasco - l'uomo moderno tenta di rifugiarsi, quando non nella "fuga dalla realtà che va dall'irresponsabilità fino alla deconnessione psichica", ottenuta mediante il ricorso a sostanze stupefacenti o all'alcol, almeno nella convinzione, "quanto meno ingenua", di poter "essere padrone pieno ed assoluto della salute e della vita". Si vorrebbe, per dirla con le parole di Botturi, che la tecnicizzazione della medicina fosse esauriente e che l'universo della sofferenza potesse essere ridotto al capitolo della terapia del dolore; ma l'atto curativo ha una portata ben maggiore rispetto alla tecnica:  è uno spazio nel quale riprende senso il termine "compassione" sulla base di qualcosa che, avendo una radice comune, può essere patito insieme in quel "grembo di relazioni" citato dal cardinale Bagnasco che rappresenta l'alveo naturale dove scorre la vera relazione terapeutica.
Come uscire quindi da questo vicolo cieco di fuga e stordimento che sembra sfociare unicamente nell'angoscia e nella disperazione? "In ultima analisi - afferma il cardinal Bagnasco - la delusione per il fallimento di ogni rimedio e la mancanza di un contesto culturale e relazionale capace di confrontarsi con la sofferenza hanno l'effetto di rendere questa esperienza umana ancora più dolorosa, perché vissuta come qualcosa di assurdo e di inutile". "L'uomo che considera la propria vita priva di senso non è solo infelice ma è anche incapace di vivere" scriveva a questo proposito Albert Einstein, ma l'esperienza ci dice che, essendo la sofferenza parte integrante della vita umana, l'espressione potrebbe essere parafrasata affermando che è incapace di vivere colui che considera la propria e l'altrui sofferenza priva di senso. I due relatori concordano nell'affermare che l'umanità più vera fiorisce nella misura in cui esce da sé per farsi dono. E, direbbe Viktor Frankl, i momenti nei quali l'uomo può "essere, diventare o restare se stesso" sono proprio quelli nei quali tende a "uscire da sé" e a vivere per un altro:  amare, pregare e morire.
La sofferenza, che "si riassume nel vertice della morte fisica - sottolinea il cardinale Bagnasco - sembra appartenere alla trascendenza dell'uomo e (...) la misteriosa possibilità offerta all'uomo di trascendersi mediante la sofferenza apre la prospettiva di un senso e di un compimento".
La credibilità che l'esistenza acquista quando attraversa il patire e l'autorevolezza che promana da chi ha sofferto o soffre per testimoniare un valore sono evidenze, quasi parole, del misterioso linguaggio con il quale la sofferenza ci parla di un qualcosa che ci sorpassa, di un Qualcuno in grado di colmare la nostra inquietudine esistenziale e quel "desiderio contraddetto" di pienezza e di pace nel quale è da ricercare, secondo Botturi, la radice di ogni umano patire, la spinta che fa perennemente oscillare l'uomo tra disperazione e affidamento.
L'origine del termine "sofferenza" rimanda in effetti a qualcosa da portare - dice Botturi - a un peso da caricarsi, distinguendosi in questo nettamente dal termine "dolore" che invece rimanda più direttamente a una disfunzione, a un deficit:  una cultura che accetti la sofferenza, dice lo studioso, ha bisogno di conservare tale distinzione per interpretare  correttamente  la  compassione.
Ma a questo punto già lo sguardo è portato a levarsi verso la Sindone, verso l'Uomo umiliato e offeso, verso le ferite che come una scrittura incisa nel suo corpo ci svelano un senso che ci sorpassa e ci parla di eternità, un senso che ci aiuta a vivere davvero da uomini.


(©L'Osservatore Romano - 22 aprile 2010)
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