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Dio e Cesare secondo sant'Ambrogio

Ultimo Aggiornamento: 31/01/2010 05:56
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31/01/2010 05:56

Politica e questione morale nella seconda metà del IV secolo

Dio e Cesare secondo sant'Ambrogio


di Santiago de Apellániz

 Dinanzi agli interventi delle autorità ecclesiastiche nelle questioni temporali, è frequente che alcuni interlocutori parlino di ingerenza e vogliano ricordare a tali autorità, non senza una certa ironia, che si deve dare "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". Ciò mette in evidenza, quantomeno, due questioni di un certo spessore:  in primo luogo che oggigiorno nella cultura occidentale il dualismo politico religioso è pacificamente accettato come modo di intendere i rapporti fra l'autorità politica e quella religiosa; in secondo luogo, che il testo evangelico a cui abbiamo fatto allusione non è percepito in maniera univoca.
Lo studio sistematico dell'epistolario politico di sant'Ambrogio ha, fra le altre virtù, quella di contribuire a chiarire il contenuto di questa frase di nostro Signore. La prossimità temporale del santo agli accordi di Milano del 313, il suo passato come funzionario pubblico dell'Impero, la sua santità di vita e i suoi interventi, come vescovo di Milano (374-397), dinanzi alle autorità politiche del suo tempo, si presentano come credenziali più che sufficienti per questo compito.

Troviamo in questi testi affermazioni e atteggiamenti che coincidono nel mostrare l'ostacolo che il monismo politico-religioso, allora imperante nella prassi politica, rappresenta per il libero inserimento della Chiesa e dei cristiani nella realtà temporale che li accoglie. "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Matteo, 22, 21), è l'argomentazione presentata all'imperatore per esigere una sfera di autonomia per la Chiesa, nel suo agire temporale, libero da ingerenze dell'autorità politica (cfr. Epistole, 75, 30, 31 e 35 e 76, 19). Possiamo quindi affermare che sant'Ambrogio si fa protettore di una sorte di rivoluzionario, in quanto nuovo, dualismo fra l'ambito politico e quello religioso, che presenta come un paradigma più adeguato e rispettoso verso il messaggio evangelico del modello dominante, il quale includeva la dimensione cultuale-religiosa come attività propria delle autorità politiche.

In tal senso, la disputa per l'altare della Vittoria, che oppone il santo all'aristocrazia pagana di Roma, è un ulteriore tentativo di procedere alla desacralizzazione del potere temporale, per avanzare nella concessione della cittadinanza e della libertà alla sfera spirituale-politica. Ciò logicamente significava sottrarre al potere temporale tutto ciò che riguardava la vita religiosa dei popoli; per il santo, Cesare non è competente per decidere quello che si deve dare a Dio.

Gli interventi del vescovo Ambrogio nelle questioni temporali dell'epoca, così come quelli dei vescovi di oggi, mettono in evidenza il fatto che l'autonomia e l'indipendenza necessarie per l'agire della sfera politica e di quella religiosa non implicano mancanza di comunicazione o isolamento fra le stesse. Così, per esempio, il santo segnala l'esistenza di doveri religiosi propri della sfera di azione dell'autorità politica, che fanno riferimento sia alla libertà religiosa dei cittadini dell'impero sia all'onore dovuto a Dio.
Pertanto, ci sembra che per tracciare il suo dualismo politico-religioso il santo parta da una realtà accettata nella società del suo tempo:  la dimensione pubblica del fatto religioso. Ciò che il vescovo aggiunge è che questa venga espressa in dualità di ambiti. Vale a dire che l'autorità politica deve riconoscere la centralità di Dio nella vita dei popoli, ma debba farlo in un modo consono alla natura e al fine che le sono propri:  il servizio che deve rendere a Dio si deve esprimere nel compimento fedele della sua missione, cercando il bene comune dei cittadini con atti non religiosi, ma civili.

Sant'Ambrogio chiede ripetutamente agli imperatori di stare attenti a far sì che i loro atti di governo non siano contrari al volere di Dio:  è questo il modo concreto attraverso il quale, in dualità di ambiti, l'autorità politica onora e rende gloria a Dio. Così, il santo segnala che la dimensione morale non appartiene solo all'ambito religioso, ma anche a quello politico:  ed è questo ordine morale, che le due sfere condividono, il luogo in cui s'incontrano.

L'autorità temporale potrebbe però interpretare questa pretesa del santo come qualcosa di circoscritto a quelle decisioni politiche riguardanti, in modo più o meno diretto, le questioni religiose, di modo che per il resto delle decisioni politiche si verificherebbe una situazione di amoralità. L'episodio della strage di Tessalonica chiarisce questo particolare in modo nuovo per le categorie dell'epoca. Qui non c'è un motivo religioso, reale o apparente, che inviti il santo a intervenire:  a Tessalonica si sono verificati gravi tumulti, contrari all'ordine pubblico, e Teodosio, nell'esercizio della sua sovranità, ha firmato l'ordine di giustiziare, senza discriminare fra innocenti e colpevoli, parte della popolazione della città. Di fronte a tale abuso, il vescovo dichiara l'imperatore fuori dalla commissione ecclesiastica e lo esorta a pentirsi e a fare penitenza. Questa condanna religiosa di una decisione politica sottolinea l'impossibile estraneità alla moralità di qualunque atto di governo, qualsiasi sia la sua entità. Pone in tal modo l'accento sul fatto che ogni atto dell'uomo - religioso, politico o di altra natura - è un atto morale, ovvero un atto con il quale si orienta, o no, verso Dio.

Strettamente vincolato a questo argomento e da esso derivato, è il pensiero di sant'Ambrogio sul carattere relativo della sovranità del potere temporale:  l'autorità politica non è un potere alla mercé di se stesso e non può esercitare la sua missione in modo arbitrario o senza considerare la presenza di Dio nel Creato e nella storia degli uomini. Così, insieme al rispetto e all'obbedienza dovuti all'autorità politica costituita, il santo sottolinea che la sovranità assoluta corrisponde solo a Dio, fonte e origine di ogni autorità. Per questo motivo, anche in dualità di ambiti, ogni forma di autorità è in ultima istanza legittimata dal suo adeguarsi a quanto disposto dal supremo e divino Legislatore.

Stando così le cose, possiamo cercare di cogliere il senso della sua famosa frase, citata nella disputa per le basiliche, imperator enim intra ecclesiam, non supra ecclesiam (Epistole, 75, 36). Per sant'Ambrogio esiste una chiara gerarchia fra l'ordine temporale e quello spirituale:  posto che Dio deve essere preferito agli uomini e che il potere civile deve rifiutare ciò che può costituire un'offesa a Dio, la sfera religiosa si situa al di sopra di quella temporale. Ebbene, in dualità di ambiti, tale superiorità è esclusivamente spirituale, significa precedenza di colui che è portatore e portavoce di Cristo e non dipendenza o strumentalizzazione, poiché gli ambiti sono autonomi e indipendenti.

Infine, vediamo come il santo intende la partecipazione dell'autorità religiosa alle questioni temporali. Sant'Ambrogio segnala la necessità e l'obbligatorietà di questi interventi, quando sono in gioco l'onore o il bene delle anime. Il modo preciso in cui interviene è attraverso giudizi di carattere etico-religioso, la cui finalità principale è di orientare gli imperatori affinché le loro decisioni siano giuste, conformi al volere di Dio. La causa di questo intervento obbligato del vescovo la identifica nel possesso di un deposito di Verità salvifica, consegnato da Dio alla sua Chiesa per aiutare e invitare gli uomini a seguire le orme di Cristo sulla terra. In tal modo, l'ambito religioso, in virtù della sua superiorità spirituale, è presentato come luce e aiuto insostituibile per l'ambito politico, nel suo compito di promuovere il vero Bene comune.

In definitiva, la proposta di sant'Ambrogio sul modo d'intendere i rapporti fra l'autorità politica e quella religiosa, consta di due elementi centrali:  la dualità degli ambiti e il riconoscimento della centralità di Dio nella storia degli uomini e delle comunità. Il primo permette ed esprime la maniera adeguata di dare "a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio"; il secondo crea le condizioni affinché la comunità politica, agendo come tale, non dimentichi di dare "a Dio quello che è di Dio". Ci sembra che questi due elementi siano fondamentali per una corretta comprensione del testo evangelico. Nelle moderne società occidentali il modello di dualità di ambiti è pacificamente accettato. Si ha tuttavia l'impressione che le autorità politiche stiano trascurando il fatto che, come tali e nel compimento dei fini che corrispondono loro, devono far sì che nelle società si dia "a Dio quello che è di Dio". Possono forse essere motivo di riflessione per i responsabili della sfera politica, e anche per tutti i cittadini, il significato del carattere relativo dell'autonomia dell'autorità politica e l'irrinunciabile vincolo dell'esercizio di questa autorità con l'ordine morale, indicati dal santo.



(©L'Osservatore Romano - 31 gennaio 2010)
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