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I venticinque anni del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2010 18:34
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12/02/2010 18:34

Una proposta pastorale per gli operatori sanitari

Azione coordinata per l'uomo sofferente


di Mario Ponzi
 

Il settanta per cento dei ricoverati nelle istituzioni sanitarie gestite da enti e congregazioni religiose nei Paesi del terzo mondo sono curati gratuitamente. Negli ospedali gestiti dagli stessi enti nelle grandi metropoli occidentali nessuno viene respinto solo perché non possiede un'assicurazione o non ha diritto di cittadinanza. La conseguenza è conti in rosso e rischio di chiusura, se non fosse per il sostegno della carità del povero, l'obolo raccolto durante le messe in tutte le parrocchie. È dunque necessaria una nuova strategia per raccogliere, coordinare e mettere in campo tutte le forze disponibili della Chiesa "a cominciare dai dicasteri pontifici". Ne è convinto monsignor Jean Marie Mpendawatu, sottosegretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Nell'intervista rilasciata al nostro giornale - a conclusione dei tre giorni di celebrazioni per il venticinquesimo dell'istituzione del dicastero - il prelato riflette sul cammino da compiere. E sottolineando l'impegno delle sfide che si profilano all'orizzonte, incoraggia tutte le potenzialità pastorali della Chiesa a fronteggiarle adeguatamente.

 La celebrazione del giubileo d'argento del dicastero è un traguardo o un punto di partenza?

Punto di partenza, senza dubbio. Venticinque anni sono pochi. È un cantiere aperto ma i progetti per affrontare le nuove sfide sono tanti. E tanto ancora c'è da lavorare.

Di quali sfide parla?

Innanzitutto quella che viene dalla cultura della morte. Assume un ruolo predominante nella società odierna. È una sfida alla vita che sollecita la Chiesa e in modo particolare il nostro dicastero e tutti gli operatori sanitari cristiani. Servire la vita anche attraverso i malati e i sofferenti, difenderla dalle continue minacce di morte fa parte della nostra missione.

Come leggere la scoperta degli studiosi di Cambridge e di Liegi circa le possibilità di comunicare anche da parte di chi vive in uno stato vegetativo?

È la testimonianza più eclatante della verità di quello che sostiene la Chiesa da quando è esplosa la polemica sullo stato vegetativo permanente. Le scienze neurologiche lasciano ancora molti punti interrogativi. E non bisogna farsi condizionare dai dilettanti che, spacciandosi per seri professionisti, si cimentano in diatribe artificiosamente messe in piedi per fini strumentali. Troppo spesso si parla di impossibilità di recupero come se si fosse a conoscenza del mistero profondo della vita che, anche in questi frangenti, resta impenetrabile. Tanto è vero che molte persone da anni in stato vegetativo, si sono risvegliate. Oggi poi, come nel caso da lei citato, si sviluppano tecniche che rendono possibili traguardi mai raggiunti. Dunque si può anche scoprire che chi sembra del tutto assente da quanto capita intorno a lui, a modo suo vive, prova sentimenti ed è in grado di comunicare. Ecco perché la Chiesa lotta a fianco di queste persone.

Quale futuro per le istituzioni sanitarie cattoliche alla luce della crisi economica mondiale?

Le 117 mila strutture della Chiesa in campo sanitario costituiscono una rete molto grande, che dimostra come nella missione della Chiesa, l'attenzione ai malati occupi un posto particolare. Per l'esperienza acquisita in tanti anni di lavoro pastorale posso dire che si conosce solo il 20, 30 per cento di quello che effettivamente fa la Chiesa per i sofferenti. Basta pensare a quanto accade nelle missioni, dove non ci sono dispensari ma solo il missionario che si preoccupa di farsi arrivare una medicina per chi non può permetterselo, perché non ha assicurazioni né libretti della mutua. Se non si riuscirà a capire che il problema della salute è innanzitutto un problema che riguarda tutto l'uomo non ci sarà mai struttura in grado di affrontare la sfida. Certo la crisi economica penalizza l'attività assistenziale della Chiesa. Non ci sono aiuti pubblici sufficienti.

Eppure non c'è governo che non riconosca l'eccezionalità dell'opera della Chiesa per i malati.

Sì è vero. Però poi tutti vogliono e pochi sono disposti a dare, a sostenere. Chi si rivolge alle strutture sanitarie della Chiesa viene accolto e curato anche se non possiede nulla, se non può provvedere alle cure nè alle medicine. E ciò accade principalmente nelle terre di missione. Sono a conoscenza di casi di grandi ospedali metropolitani nei quali anche il 70 per cento dei ricoverati o comunque assistiti non pagano, perché non possono pagare e nessuno paga per loro. Eppure sono accolti e curati. Certo si tratta di strutture che accumulano deficit spaventosi. Molti ospedali vivono solo di carità raccolte nelle parrocchie. Due, tre dollari offerti alla messa consentono di curare tante persone. Sapesse quanti più bambini morirebbero  nei  Paesi del terzo mondo se non ci fossero le strutture sanitarie cattoliche pronte ad accoglierli e a curarli. La gratuità degli interventi è spesso la  causa  dei tanti deficit accumulati. Ripeto, sono ospedali che vivono della carità del povero, delle elemosine raccolte nelle parrocchie. La carità è la vera forza della Chiesa.

Ma questo succede anche nei Paesi più evoluti? Cioè gli ospedali religiosi vivono di carità?

Purtroppo no. Infatti si corre concretamente il pericolo di assistere alla chiusura di tanti importanti luoghi di cura gestiti dai religiosi nelle grandi metropoli. E questo sarebbe un grave danno non solo per la Chiesa, perché perderebbe luoghi di evangelizzazione e di testimonianza, ma anche per la società civile perché verrebbe a mancare la cura, soprattutto per la fascia più povera. Molti liquidano questa missione come filantropia perché non conoscono il senso della carità cristiana e non possono capire.

Quale sostegno si può dare a queste strutture?

È quello che dovremo studiare. Per questo parlo dei venticinque anni passati come di un momento di partenza, piuttosto che di arrivo. Abbiamo un ruolo di coordinamento di queste strutture e dunque, pur rispettando le singole autonomie, dobbiamo svolgerlo. Dobbiamo lavorare insieme per portare avanti un vero progetto culturale di sanità cattolica incentrata sui concetti della carità, della solidarietà e dell'amore. In quest'opera bisognerà coinvolgere anche altri dicasteri pontifici. La salute è un problema che investe l'uomo, nella sua globalità. Credo che sia necessario un cammino interdicasteriale, che veda cioè coinvolti e pronti a collaborare tutti gli organismi della curia e tutta la Chiesa. Ci vuole un lavoro corale per affrontare le nuove sfide. Le forze ci sono. Si tratta solo di riorganizzarle e meglio distribuirle sul campo.


(©L'Osservatore Romano - 13 febbraio 2010)
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