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Pio XI: «Gli Ebrei ci hanno donato Cristo e il Cristianesimo»

Ultimo Aggiornamento: 15/02/2010 19:52
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15/02/2010 19:52

Papa Ratti, le ragioni della verità e la difesa dell'Azione cattolica sotto il fascismo

E Pio XI scrisse a Mussolini: 

«Gli Ebrei ci hanno donato Cristo e il Cristianesimo»


In occasione del convegno svoltosi a Desio sul tema "Pio XI e il suo tempo" è stato presentato in anteprima il volume Sollecitudine ecclesiale di Pio XI alla luce delle nuove fonti archivistiche (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, pagine 488, euro 40, a cura di Cosimo Semeraro, nella collana "Atti e Documenti" del Pontificio Comitato di Scienze Storiche) che raccoglie gli atti del convegno tenutosi nel febbraio 2009. Pubblichiamo la sintesi di uno dei saggi in esso contenuti.

di Francesco Malgeri

Nella  sollecitudine  ecclesiale  di Pio XI, merita particolare attenzione la profonda e costante premura per le sorti e l'attività dell'Azione cattolica, da lui più volte definita "la pupilla dei suoi occhi e la fibra più sensibile del suo cuore". L'interesse del Papa acquista particolare rilievo di fronte ai problemi e alle difficoltà che l'associazionismo cattolico conobbe nei rapporti con un regime totalitario come il fascismo.
Le vicende legate ai fatti del maggio-giugno 1931 sono ben note.
 Gli accordi del 2 settembre portarono comunque a una fase più tranquilla nei rapporti tra il regime e l'Azione cattolica. Il quadro cominciò di nuovo ad animarsi a partire dall'estate del 1936, quando l'ambasciatore Bonifacio Pignatti Marano di Custoza presentò numerose proteste circa le attività estive dell'Azione cattolica. Ci si lamentava del fatto che "a similitudine del Regime, allo scopo, non si dice tanto di contrastare queste iniziative, ma di non lasciarsi sfuggire i propri organizzati, l'Azione cattolica organizza sotto mille pretesti, riunioni di studio e di ritiro, passeggiate collettive sotto forma di pellegrinaggi, adunate specializzate a Roma e altrove, che vanno dai 5.000 fanciulli ricevuti or non è molto dal Papa, sino ai convegni regionali dei Fucini, come ai pellegrinaggi diocesani a Roma, o a... Lourdes".
La Segreteria di Stato rispose all'Ambasciata italiana con un lungo memorandum, datato 23 settembre 1936, replicando ai diversi punti sollevati, con dovizia di riferimenti e spiegazioni. Nel corso del colloquio tra Pignatti e Pio XI, il Papa sostenne tra l'altro che la "Centralità romana dell'A.c., non solo non è in contrasto con la diocesanità, ma ne è conseguenza necessaria e dottrinale e pratica". Che apparivano "assurde le diffidenze, i sospetti, i timori politici con l'A.c. - Che temere da gioventù pura e timorata di Dio e obbediente alla sua legge?". Che non potevano essere "mai giustificati atteggiamenti ostili o anche solo sospettosi contro l'A.c. più che mai inopportuni dopo la guerra etiopica e il riconosciuto apporto morale del Clero, dell'Episcopato, dalla Santa Sede". Le rimostranze dell'Ambasciata erano soltanto la premessa della nuova crisi che esplose nel dicembre del 1937 e si protrasse per tutto il 1938. Sotto questo aspetto la documentazione conservata presso l'Archivio Segreto Vaticano risulta di straordinario interesse. Ma per cogliere il senso di questa nuova crisi non va trascurato il quadro generale della politica internazionale di quegli anni. Da un lato la guerra d'Etiopia, dall'altro la collaborazione militare portata in Spagna a sostegno di Francisco Franco, contribuirono a rafforzare i rapporti tra Italia e Germania, che cominciarono a basarsi non solo sulle affinità ideologiche presenti nei due regimi, ma anche su comuni obiettivi e interessi. Hitler aveva incontrato il 24 ottobre 1936 a Berlino il ministro degli Esteri italiano, Galeazzo Ciano. Nel corso dei colloqui venne sottoscritto l'accordo che prese il nome di Asse Roma-Berlino. L'avvicinamento tra l'Italia e la Germania aveva fatto venir meno l'intransigenza di Mussolini sull'Anschluss e rendeva ad Hitler più facile l'obiettivo della conquista dell'Austria e in seguito del territorio dei sudeti.
Questo orientamento della politica estera italiana verso una sempre più stretta alleanza con la Germania nazista non piaceva in Vaticano, non era gradita alla gran parte del mondo cattolico, e faceva ormai naufragare le speranze di coloro che, in campo cattolico avevano coltivato l'idea di poter "cattolicizzare" il fascismo.
Il 31 dicembre 1937 il nunzio Francesco Borgongini Duca fu convocato dal sottosegretario agli Interni Guido Buffarini Guidi per una "dolorosa comunicazione". Gli venne in primo luogo comunicato che "Il Capo del Governo era assai dispiaciuto che l'Azione cattolica fa della politica:  la cosa viene segnalata dal partito fascista, più o meno da per tutto, e quindi il Capo del Governo teme che il partito scatti e che egli non possa contenerlo. Non essendosi osservati gli accordi del 1931, si avranno fatti peggiori di quelli del detto anno". Ma al di là delle reali e consistenti accuse rivolte all'Azione cattolica, Buffarini spiegò a Borgongini Duca il nuovo quadro di politica internazionale che imponeva al fascismo una sorta di stretta di freni. Il sottosegretario affermò:  "Siamo alla vigilia della guerra con la Francia e con l'Inghilterra, il Regime ha bisogno che le forze della nazione formino un tutto unico, quindi non si può ammettere che giovani cattolici dicano che l'alleanza coi Tedeschi è innaturale, e che sarebbe più naturale quella coi Francesi; né si possono ammettere atteggiamenti di remissività, che sarebbe disfattismo, mentre il regime vuole che tutte le forze siano combattive. Il Vaticano protesta contro la persecuzione tedesca, che non è di eccessiva gravità, mentre i 20 milioni di cattolici tedeschi non saranno certamente polverizzati da Hitler, e la Chiesa ha dinnanzi a se non i decenni, ma i secoli; invece non ha protestato per la persecuzione dei Rossi, feroce e sanguinosa in Spagna, dove, se i Rossi si affermano, si fa della Chiesa tabula rasa irreparabilmente".
Alla replica del nunzio che il Vaticano non faceva politica ma religione, Buffarini rispose "Datela ad intendere ai gonzi", e aggiunse che esisteva il rischio che venisse dichiarata "l'incompatibilità tra Azione cattolica e fascismo".
Il nunzio intese comunque precisare che la protesta contro la Germania non riguardava l'Asse Roma-Berlino ma la dura persecuzione operata in Germania nei confronti della Chiesa, e aggiunse:  "Quindi, tutte le lamentele dell'on. Mussolini si riducono al fatto che il Papa non entra nell'Asse Roma-Berlino, il che non è possibile perché questa sarebbe vera politica". Qualche giorno dopo, il 4 gennaio Borgongini Duca ebbe un incontro con il ministro degli Esteri Ciano. Il tono di Ciano - stando alla relazione fatta da Borgongini a Pacelli - appare più prudente e misurato. Egli sembra condividere la reazione della Santa Sede sulla persecuzione in Germania, ma faceva notare che "tutti gli atti della Santa Sede contro la Germania hanno un contraccolpo in Italia".
A queste considerazioni Borgongini Duca obiettò "Non vedo Eccellenza che cosa centra in tutto questo l'Azione cattolica e perché S.E. il Capo del Governo voglia colpirla. (...) Perché colpire degli innocenti?". E aggiunse:  "Quanto alla Germania l'Asse Roma-Berlino è stato proclamato quando le relazione tra la Chiesa e il Reich erano già in piena rotta:  i preti nei campi di concentramento, le pastorali sequestrate eccetera. Quindi le proteste del Santo Padre, prima e dopo, non hanno e non possono avere che contenuto religioso e non riguardano l'Asse Roma-Berlino".
La questione riemerse di lì a qualche mese, e si venne a incrociare con la questione razziale, soprattutto dopo il discorso di Pio XI del 28 luglio agli allievi di Propaganda Fide, di cui si proibì la pubblicazione sulla stampa nazionale. Fu probabilmente a seguito del chiaro atteggiamento ostile di Pio XI nei confronti della politica razzista del fascismo, a provocare, il 2 agosto 1938, l'iniziativa del segretario del Pnf Achille Starace di diramare un "Foglio di Disposizioni" riservato nel quale si dichiarava la incompatibilità tra la tessera dell'Azione cattolica e qualsiasi carica ricoperta in seno al fascismo. La circolare ebbe effetti immediati in alcune diocesi, e particolarmente a Bergamo, dove il federale assunse toni anticlericali, entrando in conflitto con il vescovo Adriano Bernareggi.
In merito alla documentazione relativa alla crisi dell'agosto 1938, com'è noto il Diario di Ciano offre non pochi spunti interessanti, evidenziando anche alcune dissonanze tra le posizioni del nunzio e del Papa. Le carte di Pio XI contribuiscono, comunque, ad arricchire notevolmente il quadro. Emerge, per esempio, la lettera che il 4 agosto Pio XI scrisse a Mussolini, decidendo poi di non spedirla, ma di consegnarla al gesuita Pietro Tacchi Venturi affinché la leggesse e ne illustrasse i contenuti a Mussolini. Nella lettera il Papa manifestava la sua preoccupazione di fronte alla "gravità dei fatti che ci sono da ogni parte segnalati". Così proseguiva:  "Ci commuove, innanzi tutto la questione degli ebrei, così come è agitata oggi in Italia. (...) Dovere è (...) del Nostro ministero mettere in guardia il senso cristiano della Suprema Autorità contro provvedimenti che nella comune estimazione di un Paese cattolico dal "gentil sangue latino" sapessero d'anticristiano e d'inumano. Concordi in questo con tanti nostri Predecessori, la cui condotta fu sempre una delle più belle glorie d'Italia. Noi non possiamo in nessun modo annuire a trattamenti men che umani e a misure vessatorie per le quali l'Israelita sia messo duramente al bando, come altrove avviene, dalla convivenza sociale, e minorato, se pur non privato del tutto, dei suoi diritti alla vita".
Passava poi al problema dell'Azione cattolica, che definiva "situazione veramente penosa", caratterizzata da una "campagna di calunnie" e da "minacce ed offese ad ascritti e dirigenti" a "degni ecclesiastici" e perfino a "qualche Vescovo". Precisava il Papa che "contrariamente ai patti stabiliti a comune vantaggio si è perfino giunti in più luoghi a mettere i soci dell'Azione cattolica nella dura alternativa di rinunziare a essa o di essere privati della tessera del partito fascista e di tutti i conseguenti diritti".
Consegnando questa lettera a padre Tacchi Venturi il 6 agosto gli venne anche fornito un appunto con la "mente" d'udienza, nella quale ci si riferisce in particolare ai problemi relativi alla questione della razza. Vi si legge tra l'altro:  "Che avviene dei convertiti buoni cattolici? Che avviene del matrimonio? La condotta dei Pontefici verso gli ebrei è tornata ad onore dell'Italia. La Santa Sede non si è lasciata mai trascinare per questa via odiosa, pur tenendo le cose a posto. Non dimenticare che sono gli Ebrei che hanno dato al mondo Cristo e il Cristianesimo".
Recatosi da Mussolini il 12 agosto, Tacchi Venturi non mancò di richiamare il Duce sullo stato d'animo del Papa, che appariva "risoluto (...) a non sopportare in pace qualsiasi violazione dei patti sanciti con tanta solennità innanzi la Chiesa e la Società civile". Egli affermò che il Papa aveva dichiarato "con accento profondamente commosso":  "Mi lascerò uccidere (...) ma saprò difendere coi mezzi che Dio ci ha posto in mano, mezzi più efficaci delle armi e dei cannoni, la libertà cui i miei figli e le mie figlie hanno diritto nella pratica della Religione  Cattolica Apostolica Romana secondo le direttive del Papa".
I colloqui tra padre Tacchi Venturi e Mussolini, portarono, nell'incontro del 17 agosto, a un primo risultato tendente, per quanto riguardava l'Azione cattolica, a ribadire gli accordi del 1931, alla restituzione delle tessere del Pnf ritirate ai soci dell'A.c. e alla sostituzione del federale di Bergamo. Ma l'accordo conteneva anche un'espressione - relativa al problema della razza - che destò la vivace reazione del Pontefice. Vi si diceva che gli ebrei "possono essere sicuri che non saranno sottoposti a trattamento peggiore di quello usato loro per secoli e secoli dai Papi che li ospitarono nella Città eterna e nelle terre del loro temporale dominio". Questa affermazione suscitò una vivace reazione di Pio XI, tanto che il gesuita riferendo l'episodio al cardinale Eugenio Pacelli, pronunziò il motto Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur, e aggiunse:  "Perciò Sua santità continuò a vedere tutto il resto sotto luce oscura".
Solo il 24 agosto 1938, "L'Osservatore Romano" pubblicava la notizia dell'avvenuta intesa tra il segretario del Pnf e il presidente dell'A.c. che si richiamano al rispetto degli accordi del 2 settembre 1931, con la dichiarazione che non sussistevano limitazioni alla simultanea appartenenza all'Azione cattolica e al partito fascista.
Era l'ultimo atto di una lunga, aspra e a volte dolorosa vicenda, nella quale emerge l'immagine di un Pontefice impegnato a sostenere e proteggere "la pupilla" dei suoi occhi.


(©L'Osservatore Romano - 15-16 febbraio 2010)
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