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Caravaggio dietro Caravaggio

Ultimo Aggiornamento: 09/06/2010 16:57
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All'Ambasciata italiana presso la Santa Sede le ultime indagini sulla "Cena in Emmaus" di Brera

Caravaggio dietro Caravaggio


In anticipo sulla mostra che sarà inaugurata il 19 febbraio a Roma alle Scuderie del Quirinale, la Cena in Emmaus di Brera viene esposta a Palazzo Borromeo per  illustrare le novità emerse dalle ultime ricerche condotte dall'Opificio delle pietre dure e dall'Istituto nazionale di ottica del Cnr.

di Alfredo Tradigo

Caravaggio aveva dipinto un paesaggio - una finestra, un albero e un cielo - alle spalle del Cristo della Cena in Emmaus di Brera. Questi i risultati sorprendenti delle più recenti indagini scientifiche sul famoso dipinto che viene presentato in anteprima a Roma il 18 febbraio, nella sede all'Ambasciata italiana presso la Santa Sede di Palazzo Borromeo. Il dipinto sarà poi trasferito alle Scuderie del Quirinale per la mostra "Caravaggio" (20 febbraio-13 giugno) celebrativa dei quattrocento anni dalla morte del grande genio della pittura.

Là dove noi oggi vediamo solo un fondo buio filtrava la luce di una finestra aperta. Nel suo saggio la sovrintendete di Brera Sandrina Bandiera scrive:  "Attraverso le riprese radiografiche e riflettografiche emerge che l'artista aveva inizialmente elaborato una scena più naturalistica, nella quale i personaggi venivano illuminati da uno sfondato (una finestra o un porticato) posto alla sinistra, talmente realistico da essere non solo fonte di luce, ma anche vera e propria apertura verso un paesaggio rappresentato dalla fronda di una grande pianta che espande i suoi rami con generosa opulenza".
La notizia getta nuova luce su un periodo tra i più burrascosi della già travagliata esistenza di Michelangelo Merisi (1571-1610). Egli dipinse la Cena in Emmaus di Brera nell'estate del 1606 mentre si trovava in esilio da Roma subito dopo quel fatidico 28 maggio in cui uccise in duello Ranuccio Tommasoni con uno sfortunato colpo di spada alla vena femorale. Nel feudo dei Colonna Caravaggio era in attesa che il Papa gli revocasse la condanna a morte. E poiché la grazia tardava, da qui il pittore sarebbe poi partito per una lunga fuga durata quattro anni tra Napoli, Malta, la Sicilia, ancora Napoli, Palo e infine Porto Ercole, sull'Argentario, dove morì il 18 luglio del 1610, mentre i messi papali stavano per recapitargli la grazia tanto attesa.

Nella sua fuga Caravaggio lasciò dietro di sé una scia di capolavori. La Cena in Emmaus rappresenta un punto di snodo della sua arte e del suo spirito tormentato e ribelle. Sempre in cerca di stabilità ed equilibrio. E sempre incalzato dallo spettro, dal brivido della morte, come manifestò già nei quadri giovanili come il Bacchino malato (1593-1594), il Ragazzo morso da un ramarro (1595-1596) e la Canestra di frutta (1597-1598), preziosissima pittura su tavola (31 centimetri per 47 ) che da quattrocento anni non è mai uscita dalla pinacoteca Ambrosiana e che verrà esposta alle Scuderie del Quirinale.

La pittura di Caravaggio è lotta tra luce e tenebre. Lotta interiore, chiusa tra le pareti di quella stanza buia in cui l'artista costringe la scena evangelica dei pellegrini nella locanda di Emmaus. Rispetto alla precedente versione della Cena in Emmaus del 1601 proveniente dalla National Gallery di Londra - come si avrà modo di confrontare in mostra - l'artista vuole rappresentare il momento successivo al rivelarsi di Gesù ai discepoli allo spezzare del pane. Cogliendo l'ora più buia in cui, dopo lo stupore e la gioia, i due intuiscono che Gesù, così come improvvisamente è apparso sulla loro strada polverosa, affiancandosi come un pellegrino, altrettanto improvvisamente sta per svanire, fantasma nel buio. Le dita del primo discepolo cercano sulla tavola imbandita la mano del Maestro. Ma poi si ritraggono e Caravaggio cancella con una pennellata di bitume la dolcezza di quella luce vespertina che inizialmente aveva fatto filtrare alle spalle di Gesù, forse in ricordo dell'Ultima cena di Leonardo. Luce rinascimentale che Caravaggio trasforma nel buio dell'età moderna e nella profondissima "notte" della sua anima. Notte oscura in cui, per contrasto, emerge la fede del pittore nel miracolo assoluto della pittura, miracolo della luce che nel buio trova senso.

Tra i venticinque capolavori esposti alle Scuderie del Quirinale e che rappresentano circa la metà dell'intera produzione di Caravaggio, sono state scelte, come conferma Claudio Strinati, curatore della mostra, "solo quelle cosiddette certe, sui cui nessuno ormai pone questioni". Tra queste ne abbiamo scelte sei che appartengono agli anni dell'esilio, e che sono quindi posteriori alla Cena in Emmaus.
Innanzitutto La flagellazione di Napoli (1607-1610) in cui la luce che sprigiona dal corpo martoriato di Cristo vince la tragica cattiveria degli aguzzini. Poi l'Amore dormiente (1608), dipinto nel soggiorno maltese e che rappresenta la quiete d'animo ("come un bimbo svezzato è la mia anima", Salmi, 131, 2) che Caravaggio inizialmente pensò di trovare nell'Ordine di Malta in cui entrò ricevendo l'investitura il 14 luglio del 1608. Ma sei mesi dopo era già in fuga dopo essere stato messo in carcere per le solite intemperanze del suo carattere. Segue l'Annunciazione (1608-1610) eseguita per la città francese di Nancy nel periodo passato a cavallo tra Malta e Napoli. Il Seppellimento di santa Lucia (1608) è ambientato nelle famose latomie (cave di pietra) e appartiene al periodo passato a Siracusa dopo la fuga dal carcere del forte di Sant'Angelo a La Valletta (6 ottobre 1608). Infine l'Adorazione dei pastori (1608-1609) eseguita per i cappuccini di Messina.

Il recente restauro dell'Adorazione dei pastori ha messo in evidenza ombre, guizzi di luci e cromie scintillanti che evocano il pathos narrativo di Caravaggio, il cursus veloce che caratterizza il suo ultimo periodo artistico. Distesa come la Madre di Dio nelle icone bizantine della Natività, o più realisticamente come una donna che ha appena partorito, avvolta di un manto rosso regale, Maria si fa trono al Bambino Gesù che le sfiora il volto e il collo con la piccola mano. Madre di tenerezza a cui convergono Giuseppe e i tre pastori chini in adorazione. Il restauro ha evidenziato i particolari della stalla con le sue travi e la presenza calda e silenziosa del bue e dell'asino che emergono umili dal fondo bruno.

Davide con la testa di Golia (1610), proveniente dalla Galleria Borghese, è opera estrema eseguita negli ultimi tre mesi di vita del pittore che, nella testa decollata del gigante colpito dal sasso del giovane Davide, ritrae se stesso in un urlo macabro di paura:  era stato anche lui ferito gravemente a Napoli in un'imboscata alla locanda del Cerriglio. Pittura e biografia s'incrociano. Sullo sguscio della spada - strumento di morte - l'artista lascia scritte in punta di pennello, come incise nell'acciaio, le lettere "H - AS O S", ovvero H(umilit)AS O(ccidit) S(uperbiam), ""l'umiltà uccide la superbia"). Humilitas, sigla borromiana che il santo arcivescovo di Milano aveva inserito nel suo stemma cardinalizio. A testimonianza di come Caravaggio fosse sensibile alla religiosità controriformistica delle città in cui era vissuto. La Milano di san Carlo Borromeo, dove era nato il 29 settembre e dove ricevette il battesimo presso la parrocchia di Santo Stefano in Brolo (30 settembre). E la Roma di san Filippo Neri (presso il cui oratorio ascoltava volentieri le laudi filippine) e della Confraternita del Santissimo Sacramento a cui si era iscritto e che aveva sede presso il Pantheon.

Infine la Confraternita della Santa Croce di Porto Ercole, all'Argentario, che accoglierà Caravaggio nelle braccia misericordiose della Chiesa. Accompagnandolo a quell'incontro con Dio a cui per tutta la vita si era preparato con la sua pittura. La pittura:  la sua vera preghiera.
Nella sua semplicità l'Annunciazione di Nancy, forse più che ogni altra opera di Caravaggio, assomiglia a una preghiera. Come il Michelangelo della Pietà Rondanini, l'artista rinuncia qui a ogni virtuosismo pittorico per dire l'essenziale:  quel "Sì" di Maria che è all'origine di tutto e che il pittore scopre rappresentando solo la luce. Luce totale dell'immersione dei corpi nello Spirito Santo. L'angelo non ha volto. Maria non ha volto. O meglio i loro volti nascono incerti dall'ombra dello Spirito:  "Su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo" (Luca, 1, 35). E nella penombra della stanza le lenzuola e la sedia di Maria hanno la stessa consistenza della nuvola condensata sul pavimento su cui poggia l'angelo. Terra e cielo non esistono più. La distanza è colmata.


(©L'Osservatore Romano - 17 febbraio 2010)
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