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Caravaggio dietro Caravaggio

Ultimo Aggiornamento: 09/06/2010 16:57
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09/06/2010 16:57

Caravaggio e i caravaggeschi raccolgono a Firenze il testimone della mostra delle Scuderie del Quirinale

Il Vero svelato dalla luce


di Antonio Paolucci


Mentre a Roma volge ormai al termine, alle Scuderie del Quirinale, la grande monografica dedicata a Caravaggio - chiuderà con più di mezzo milione di visitatori, ogni previsione anche la più ottimistica è stata polverizzata - Firenze presenta, fino al 17 ottobre, il "suo" Caravaggio.
L'evento espositivo si disloca su tre sedi; gli Uffizi, la Galleria Palatina, la Villa Bardini sul colle di Belvedere. Quest'ultima ospita il segmento di mostra ("Caravaggio e la modernità" il titolo) curato da Mina Gregori. Vi sono esposti i dipinti (Orazio Borgianni, Carlo Saraceni, Angelo Caroselli, Dirck Van Baburen, Jean Valentin, Giovanni Battista Caracciolo "il Battistello", Mattia Preti) della Fondazione Roberto Longhi, raccolti intorno al ben noto Ragazzo morso da un ramarro, capolavoro del maestro lombardo. Tutti insieme fanno un doveroso omaggio al grande storico dell'arte che degli studi sul Merisi è stato, nel Novecento, alfiere e massimo protagonista.
 Agli Uffizi e alla Galleria Palatina Gianni Papi, assieme ai colleghi storici dell'arte del Polo museale, espone i dipinti di Caravaggio presenti nei musei fiorentini - quelli certi e quelli di attribuzione più o meno disputata - insieme ai pittori che, tenuti in esposizione o conservati nei depositi, possono essere iscritti indirettamente alla scuola del maestro lombardo e, più correttamente, alla grande stagione del naturalismo italiano ed europeo. E quindi Bartolomeo Cavarozzi e Artemisia Gentileschi, Cecco del Caravaggio e Gerrit Van Honthorst, Rutilio Manetti, Orazio Riminaldi, Francesco Rustici. Un biglietto unico di 25 euro, valido tre giorni e prenotabile, permetterà al visitatore di entrare nei tre luoghi che ospitano la mostra senza fare lunghe file di attesa.
Va detto subito che Firenze, a differenza di Roma e di Napoli, non fu mai città caravaggesca. Troppo forte era il peso della grande tradizione rinascimentale e manierista, troppo condizionanti i modelli di stile forniti dalle Vite di Giorgio Vasari e dagli accademici delle Arti del Disegno.
Il Seicento pittorico fiorentino è stato, nel suo complesso, un fenomeno di nostalgia e di evocazione del passato, di attaccamento a una tradizione figurativa che si riteneva esemplare, di moderata riforma cattolica, introverso e spesso ambiguo patetismo, prudente anche se acuto naturalismo. Rare sono state a Firenze e in Toscana le incursioni del barocco, guardata con diffidenza se non con ostilità la moderna poetica del Vero svelato dalla luce che, sulla scia di Caravaggio, veniva da Roma.
Tutto questo è vero per quanto riguarda il gusto comune, la sensibilità e la cultura della minore e media committenza. Perché radicalmente diverso fu l'atteggiamento dei granduchi Medici. Era il loro un collezionismo colto, onnivoro, curioso di tutto, moderno e, anzi, all'avanguardia nelle scelte.
Dall'epoca di Cosimo ii che già nel 1609-1610 si dimostra ammiratore di Caravaggio al cardinale Leopoldo che acquistò nel 1667 l'Amorino dormiente oggi in Palatina, l'interesse della corte medicea per Caravaggio e per il naturalismo italiano ed europeo è costante e documentato dai quadri di galleria - numerosi, di diversi autori, quasi sempre di alta qualità - che hanno permesso di allestire l'evento di cui si parla.
Le mostre fiorentine offrono quindi l'opportunità di una dettagliata e argomentata immersione dentro alcuni capolavori di Caravaggio e dentro il movimento seicentesco del vero naturale.
Le opere certe del Merisi possedute dai musei fiorentini sono quattro:  il Bacco databile al 1597-98; la Medusa che il cardinale Francesco Maria del Monte, protettore di Caravaggio e ambasciatore della Santa Sede presso il Granduca, donò a Ferdinando de' Medici il 7 settembre 1598; il Sacrificio di Isacco del 1601-1602 già nella collezione Colonna di Sciarra ed entrato agli Uffizi nel 1917; l'Amorino dormiente del 1608 in proprietà delle collezioni Medicee dal 1667.
A questi dipinti di autografia assolutamente certa se ne possono aggiungere altri di paternità più o meno discussa.
Che sia di Caravaggio il Ritratto di cardinale (forse Benedetto  Giustiniani) che sta nella raccolta Gioviana degli Uffizi sotto il nome di Cesare Baronio, è piuttosto difficile da credere. Più convincente è l'attribuzione al Merisi del dipinto raffigurante Maffeo Barberini oggi in collezione privata. Ha una provenienza illustre e una qualità esecutiva che, dopo il recente restauro, si è rivelata notevole.
Il Cavadenti della Galleria Palatina - efferata rappresentazione della estrazione di un molare all'interno di un ambiente "di genere" plebeo e picaresco - è senza dubbio un grande quadro. Francesco Scannelli lo ricorda negli appartamenti granducali e lo dà a Caravaggio già nel 1657, ma le opinioni della critica moderna sono contrastanti e l'attribuzione al Merisi, fortemente sostenuta da Mina Gregori, stenta a essere accettata senza riserve.
 Dove invece non è lecito dubitare della mano di Caravaggio al suo livello più alto, negli anni fra il 1608 e il 1609, è di fronte al Ritratto di cavaliere di Malta della Galleria Palatina. Piace l'idea, sostenuta dalla Gregori, che si tratti del ritratto di Alof de Wignancourt, il potente gran maestro che prima colmò Caravaggio di onori e di incarichi prestigiosi (la Decollazione del Battista e il San Girolamo nella cattedrale di Malta) poi lo espulse dall'ordine tamquam membrum putridum et foetidum, cacciandolo in prigione e perseguitandolo fino alla fine dei suoi giorni.
È un dipinto di straordinaria, drammatica intensità, fisiognomica e psicologica, realizzato con una tecnica veloce sommaria e tuttavia supremamente vera. Di questo capolavoro si può dire con Mia Cinotti (1983) che è un "ritratto magistrale proprio per quel far molto con pochissimo, che è del Caravaggio migliore".
Accanto ai dipinti del Merisi affollano la mostra le opere e gli autori che per comodità didattica sono stati collocati sotto l'epigrafe dei "caravaggeschi". Replicando, ampliando e rettificando la memorabile esposizione curata da Evelina Borea nel 1970, i curatori hanno chiamato in causa, dalle gallerie e dai depositi fiorentini, ma in qualche caso da collezioni pubbliche italiane e straniere, l'algido iperrealista e quasi "metafisico" Francesco Boneri detto "Cecco del Caravaggio", Artemisia Gentileschi con la sua feroce Decollazione di Oloferne, vero e proprio manifesto femminista.
E poi ancora incontriamo gli stranieri di formazione naturalistica, come Theodor Rombauts, come il lucente serico Simon Vouet, come Gerrit Van Honthorst che gli italiani chiamarono Gherardo delle Notti per via delle sue scene di genere ambientate a lume di candela. Di lui rimane indimenticabile e commovente la grande tela con l'Adorazione dei pastori che l'attentato agli Uffizi del Maggio 1993 ha quasi completamente distrutto e che un pietoso restauro ha conservato come memoria.
Con i numerosi Bartolomeo Manfredi efficace divulgatore di idee e composizioni caravaggesche, con il senese Rutilio Manetti, con i toscani Antonio Fontebuoni, Andrea Commodi, Giovanni Martinelli portatori di qualche mediato riverbero dalla poetica caravaggesca, la mostra riesce a farci intendere quali sono stati, sotto il cielo di Firenze e grazie al collezionismo mediceo, gli effetti della moderna rivoluzione naturalistica.


(©L'Osservatore Romano - 9 giugno 2010)
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