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La "leggenda nera" dell'Inquisizione

Ultimo Aggiornamento: 19/02/2010 16:53
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19/02/2010 16:40

Savonarola, Bruno e Campanella

Controversa rimane a tutt'oggi la figura di Girolamo Savonarola, la cui storia non s'intende qui ripercorrere. C'è solo da precisare - ove fosse necessario - che egli mai ebbe a che fare con l'Inquisizione, non essendo eretico. Come è noto, il Savonarola venne impiccato e arso dalle autorità fiorentine (che prima lo avevano protetto, nella complessa vicenda che vide contrapposte le fazioni cittadine) sotto l'accusa di sobillare il popolo.
Diverso è il caso di Giordano Bruno. Il discusso pensatore ebbe il suo momento di maggior fulgore nel secolo scorso, durante il lungo contrasto che oppose i
governi liberal-massonici del neonato Regno d'Italia alla Santa Sede. Al filosofo nolano Crispi fece addirittura erigere a Roma un monumento, in piazza Campo dei Fiori.
Nei manuali di liceo ancor oggi Bruno è presentato come "martire del libero pensiero", ma il domenicano Tito Centi, uno dei maggiori tomisti contemporanei, confessava qualche anno fa di non capire in che cosa consista tutta la supposta "profondità filosofica" del pensiero del Nolano. Più rilevanti sono le opere di Tommaso Campanella, ad esempio, che pur viene spesso associato a Giordano Bruno. A proposito di Campanella è da dire che, nonostante la sua posizione dottrinale quanto meno eterodossa, pure fu protetto dal Papa Urbano VIII, che ne favorì la fuga dal Regno di Napoli ove era stato implicato in una congiura. Dopo una vita ricca di peripezie, a motivo delle ostilità che la sua concezione utopica di palingenesi universale suscitava, il filosofo calabro riparò a Parigi dove pubblicò tranquillamente le sue opere. Contrariamente a quanto i più ritengono, morì in terra francese senza subire alcuna persecuzione. Ma torniamo a Giordano Bruno, la cui vicenda è per molti versi esemplare ai fini del nostro discorso. Questo frate domenicano si segnalò subito per le sue opinioni decisamente eretiche sulla verginità della Madonna, sulla transustanziazione, sul culto dei santi, sull'inferno. Si spinse addirittura a sostenere la liceità della fornicazione e della bigamia, perdendosi in confuse teorie sulla trasmigrazione delle anime. Ovviamente le sue posizioni dottrinali richiamarono l'attenzione dell'Inquisizione (siamo nella seconda metà del '500: non si è ancora spenta l'eco della rivoluzione protestante e i massacri conseguenti). Deposto l'abito religioso, Bruno fuggì, peregrinando senza sosta per l'intera Europa.
Fu a Ginevra, dove si fece calvinista. Qui pubblicò un libello giudicato blasfemo e finì in carcere. Dopo esserne uscito, passò prima in Francia e poi in Inghilterra, dove cercò di introdursi alla corte di Elisabetta. Alla regina non piacquero i suoi scritti adulatori, così che Bruno dovette riparare in Germania. In terra luterana indirizzò sermoni celebrativi a Lutero (l' "Ercole" che aveva sconfitto il "lupo" di Roma), ma il suo carattere ombroso e polemico lo costrinse a cambiare più volte città.
Fuggito anche dalla Germania, riparò a Venezia che proteggeva volentieri gli eretici. Qui fu ospite per un certo tempo di Giovanni Mocenigo, al quale aveva promesso di insegnare l'arte della memoria di cui si proclamava maestro. Ma il patrizio veneziano, giudicando insoddisfacente il profitto che traeva dalle lezioni e preoccupato per i discorsi eretici religiosi del filosofo, lo denunciò all'Inquisizione. Il governo della Serenissima colse l'occasione per liberarsi dell'incomodo ospite ordinandone l'estradizione a Roma. In questa città ebbe come inquisitore Roberto Bellarmino, poi santo e Dottore della Chiesa. Posto di fronte alle sue tesi erronee, Giordano Bruno ritrattò dichiarandosi colpevole e pentito.
Quasi immediatamente però, spinto forse dal suo carattere orgoglioso, rinnegò tutto. Allora, nonostante le suppliche di Bellarmino, fu consegnato governatore di Roma che lo reclamava quale eversore dell'autorità costituita (Bruno aveva
sempre disdegnato la disputa coi teologi, preferendo predicare direttamente sulle pubbliche piazze). L'autorità civile si premurò di avviarlo velocemente al patibolo, senza dar tempo agli ecclesiastici di reiterare i tentativi (del resto inutili) per indurre Bruno al pentimento.
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