Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

I diplomatici anglo-americani in Vaticano e il “silenzio” di Pio XII

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2010 12:51
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
20/02/2010 12:39

I diplomatici anglo-americani in Vaticano e il “silenzio” di Pio XII


ROMA, sabato, 20 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo scritto dal prof. Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università del Molise.




* * *

1. Preludio: l’eccitazione della citazione

Sono bastati minimi passaggi di due dispacci inviati rispettivamente da Tittman nella seconda metà del 1943 e da Osborne verso la fine del 1944, ignorando deliberatamente tutto il resto, per scatenare un putiferio di polemiche. Neppure da molte parti cattoliche si è fatto caso ad alcuni dati elementari, che di per sé sarebbero bastati a sgonfiare il dibattito dall’aria di scoop, insufflato da un lancio dell’ANSA e poi riverberatosi il 1° febbraio 2010 per effetto di due articoli del Corriere della Sera e della Stampa.

Casarrubea e Cereghino se la sono presa, anche col sottoscritto. Rispondendo a un lettore che li accusava di far male il loro lavoro, i due “studiosi” hanno detto: «Quanto ai libri che il suggeritore ad orecchio del Tornielli, e cioè il prof. Napolitano, ci accusa di non aver letto, è noto che Cereghinoed io lavoriamo principalmente su documenti. Non andando a caccia di reperti inediti, ma per il semplice gusto di sapere gli errori che chi ci ha preceduto ha commesso».

A parte la caduta nel ridicolo, Casarrubea e Cereghino hanno dimostrato d’ignorare l’abbiccì della metodologia storiografica: sapere ciò che esiste su un tema che si vuole studiare ed evitare, per quanto possibile, di arrivare buoni ultimi a dire ciò che gli storici veri hanno detto da tempo. E semmai accade ciò, prendersi la briga di riconoscere il lavoro altrui attraverso quella formula cortese che scientificamente si esprime nella locuzione “citato in”, citato da”, “cfr.” “vedasi”, ecc.

Ma non sapendo chi aveva già pubblicato e che cosa, e quindi non sapendo chi citare, Casarrubea e Cereghino bellamente si sono ben guardati dall’onesta pratica di riconoscere i cosiddetti credits.

Non parliamo poi di altre loro lacune nell’abbeccedario storiografico: per esempio, nello studio delle fonti si parte sempre dalla saggistica, dalla memorialistica e dai documenti editi, per poi iniziare lo scavo archivistico su ciò che è ancora ignoto. Perché se la ricerca d’archivio non crea “valore aggiunto” per la Storia, allora essa diventa sterile citarsi addosso.

Non ci esprimiamo sugli altri temi storici su cui Casarrubea e Cereghino lavorano, perché non potremmo giudicarli. Diciamo solo che nel campo specifico a noi noto, quello di Pio XII, essi si sono mossi assai goffamente, soprattutto quando sono stati “scoperti”.

Il documento di Tittman era noto da anni; per saperlo ci è bastato aprire un libro in un arco di tempo (diciamo la pura verità) pari a quattro-cinqueminuti. Casarrubea e Cereghino se n’erano accorti? No.

Ma essi dicono di non aver mai detto che si trattava di un inedito. Sarà. Certo che posare da pionieri archivistici descrivendo il dispaccio di Tittman, dato alle stampe nel lontano 1964, come il documento «da noi ritrovato a Londra poche settimane fa» non equivale a dire la stessa cosa?

Alla luce dei precedenti ci pare di sì. Perché anche un paio di anni fa Casarrubea e Cereghino pensavano di aver fatto chissà quali scoperte. Accadde il 27 novembre 2008, quando nel post Quando Montini vedeva rosso pubblicarono il verbale (fra l’altro mal tradotto) di una conversazione avuta dal diplomatico americano Parsons con Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI), per dimostrare che questi era un fervente anticomunista. Questo documento, essi scrissero, era stato «da noi rintracciato al Nara [National Archives and Records Administrations: gli archivi americani, n.d.r.] di College Park nel Maryland nel 2004».

Sapete la novità? I due ritenevano il documento “inedito”, ma esso era già stato pubblicato, guarda caso, sempre da Ennio Di Nolfo (a cui fischieranno le orecchie?), nel suo libro Vaticano e Stati Uniti del 1978. Anche in questo caso, lo facemmo notare ai due “scopritori”, i quali così ci risposero: «Effettivamente, Lei ha ragione e ci scusiamo dell’errore. Come Lei stesso ha notato, abbiamo provveduto immediatamente a rimuovere la dicitura “inedito” dal nostro blog».

Errare è umano; ma perseverare? Poco più di mese prima (era l’ottobre 2008), l’ANSA aveva parlato di un documento pubblicato sul blog diCasarrubea in questi termini: «Un nuovo tassello da inserire nel cangiante e spesso contraddittorio mosaico del rapporto tra Pio XII e gli ebrei nell'autunno del 1943». Un nuovo tassello? Il documento in questione, verbale di un colloquio tra Osborne e il Papa avvenuto il 18 ottobre 1943, era già noto dalle ricerche di Owen Chadwick, il cui Great Britain and the Vatican era uscito nel 1986, e in edizione italiana nel 2007. E siamo a tre.

Non hanno mai parlato, Casarrubea e Cereghino, di aver scoperto degli inediti noti da gran tempo? Ammesso e non concesso ciò (dato che hanno riconosciuto l’errore e se ne sono scusati con noi), resta il fatto che i due sono un esempio inimitabile (leggasi: da non imitare) di disinformazione storiografica.

«Non abbiamo parlato d’inediti», affermano; ma neppure hanno mai detto che le cose che si pubblicavano erano edite, e da chi. Semplicemente non ne sapevano niente. E questo la dice lunga sull’inconsistenza del metodo storico di Casarrubea e Cereghino.

Se la prendono col sottoscritto? Pazienza.

All’indomani della pubblicazione del nostro recente articolo su di loro, hanno scritto: «Desideriamo ringraziare Matteo Luigi Napolitano, esimio professore di Storia delle Relazioni internazionali, per l’ illuminante articolo Pio XII e i falsi scoop pubblicato il 2 febbraio 2010 nel sitowww.vaticanfiles.splinder.com. Ci sorprende tuttavia che un intellettuale di tale levatura ignori l’esistenza del fascicolo confidenziale Sir D.Osborne’s audience with the Pope on 10th november 1944, reperibile ai National Archives di Kew Gardens (GB), ai segni [SIC! Per «segnatura archivistica» n.d.r.] FO 371/44213, da noi riportato nel Pdf allegato al post Beato lui!, in data 30 gennaio 2010, nel nostro sito www.casarrubea.wordpress.com. Ci sorprende altresì che nel citare tale documento Napolitano abbia omesso la frase che introduce e spiega la natura della discussione tra Sir Osborne e il principe Pacelli».

Amen.

A parte che siamo noi a ringraziare loro per l’eccessiva attenzione (e non lo diciamo pro forma), aggiungiamo che non vale la pena neppure di replicare con ciò che è ovvio: il nostro articolo del 2 febbraio è quasi tutto incentrato sulla lettura del documento che essi pensano (non sappiamo perché) che noi abbiamo ignorato.

Ma hanno letto ciò che abbiamo scritto?

Resta, certamente, ancora molto da dire sul dispaccio di Osborne. Lo faremo fra un momento. Ma ora, una prima una diversione: sul documento diTittman datato 19 ottobre 1943.

2. Ma il documento di Tittman è proprio del 19 ottobre 1943?

Sul documento di Tittman ritenevamo di aver detto tutto già in un articolo precedente.

O quasi tutto.

Cereghino e Casarrubea hanno giurato e spergiurato che il colloquio fra Tittman e Pio XII si svolse il 19 ottobre 1943, e che il documento in questione dimostra l’insensibilità del Papa, che non parlò degli ebrei romani, razziati tre giorni prima.

A parte che i due non spiegano come non sia stato Tittman, proprio tre giorni dopo i tragici eventi romani, a tirar fuori lui l’argomento col Papa, di sua iniziativa (e quindi non spiegano il “silenzio” di Tittman in proposito); a parte ciò, forse la questione della data in cui si svolse effettivamente il colloquio fra Tittman e Pio XII richiederebbe assai maggiore prudenza.

Andiamo a spiegare.

Di recente, in un’intervista a ZENIT, il prof. Ronald Rychlak ha ricordato che l’ “Osservatore Romano” del 15 ottobre 1943 dava notizia di un’udienza concessa dal Papa a Tittman il giorno prima, 14 ottobre 1943. Ciò spiegherebbe come mai fra i due non sia stato affrontato il tema della razzia degli ebrei romani, verificatasi solo due giorni dopo quel colloquio.

Visto che dalla precisa datazione di questo colloquio dipende l’accusa di “silenzio” di Pio XII sulla razzia degli ebrei romani, la questione non è di poco conto, ma va necessariamente affrontata su basi più solide di una semplice segnalazione del pur autorevole giornale vaticano.

Ebbene, le fonti archivistiche confermano la segnalazione dell’ ”Osservatore Romano”. Come si legge infatti nel foglio d’udienza del 14 ottobre 1943[1], Tittman venne effettivamente ricevuto in udienza dal Papa alle ore 11,00 di quel giorno. Se si sfoglia il registro e si va alla data del 19 ottobre 1943, il nome di Tittman non compare affatto, neppure inserito come aggiunta dell’ultim’ora. Né appare successivamente. Al foglio del 18 ottobre 1943, invece, compare il nome di Osborne (udienza alle ore 9,00, di cui infatti c’è traccia archivistica). E infatti, lo stesso Osborne parla dei fatti del 16 ottobre nel suo dispaccio del 31 successivo: esito dei colloqui avvenuti col papa a ridosso dei tragici eventi romani.

Le fonti archivistiche danno quindi per probabile che il famoso dispaccio di Tittman (che anche nella collana americana reca la data del 19 ottobre 1943) sia in realtà il resoconto della conversazione fra Tittman e Pio XII del 14 ottobre precedente. Ecco perché non si parla della razzia degli ebrei romani, che è di due giorni posteriore; mentre, al contrario, nel caso di Osborne, si vede bene che la questione degli ebrei romani è stata toccata.

In un appunto del 21 ottobre 1943, monsignor Tardini si riferisce proprio a un colloquio fra il Papa e Tittman sulla sorte di Roma e sulle assicurazioni date da Myron Taylor in proposito. «Sua Santità – scrive Tardini – si era lamentata perché il popolo italiano non era stato trattato secondo le date assicurazioni» dategli da Roosevelt nelle due lettere del 16 e del 20 giugno 1943 (e infatti il 19 luglio era arrivato il primo bombardamento di Roma[2]). Fu proprio la salvezza di Roma uno dei temi del colloquio Tittman-Pio XII; anche se il primo non riferì al PresidenteRoosevelt le lamentele del Papa.

L’appunto di Tardini non potrebbe tuttavia, preso in sé, lasciar ipotizzare l’errore di datazione del dispaccio di Tittman, se non si andasse proprio all’originale del documento conservato negli archivi britannici di Kew, e se non si conoscesse un minimo di tecnica di corrispondenza diplomatica.

Non essendoci in Vaticano un’ambasciata o una rappresentanza diplomatica ufficiale americana, Tittman non aveva (a differenza di MyronTaylor, rappresentante personale di Roosevelt presso il Papa) un proprio servizio cifra per la corrispondenza segreta col suo Governo. Nel caso del dispaccio in esame, Tittman lo affidò alle cure del collega britannico, Osborne, perché fosse cifrato e ritrasmesso a Washington. Osborne, ricevuto il messaggio, lo trasmise al Foreign Office di Londra, che a sua volta lo “rifischiò” a Washington e  anche al Ministro britannico residente ad Algeri.

Tre passaggi del dispaccio, dunque: Tittman a Osborne, Osborne al suo Governo, e quest’ultimo a Washington.

Ed è proprio a questo punto che la copia archivistica del dispaccio di Tittman, resa nota da Cereghino e Casarrubea, rivela qualcosa d’insospettato.

La copia che i due hanno pubblicato è conservata nei file della Rappresentanza britannica ad Algeri (infatti in intestazione appare il timbro “copia per il ministro residente”). Vi si legge che essa è partita dal Foreign Office alle ore 21,25 del 21 ottobre 1943, per arrivare ad Algeri alle ore 13,00 del giorno dopo.

Ma ecco l’intestazione del documento:

«Indirizzato a Washington tel. No. 7199, 21 ottobre, e al Ministro Residente ad Algeri. Quanto segue ricevuto da [Rappresentanza] Santa Sede telegramma No. 388, 19 ottobre. Inizia. “Quanto segue [stavolta è Osborne a scrivere] è del mio collega statunitense No. 198, che egli chiede sia ritrasmesso a Washington”»

Ed è a questo punto che Osborne inserisce a sua volta le virgolette e cita il testo integrale del dispaccio di Tittman.

E’ insomma un gioco di matrioske: il Foreign Office apre le virgolette e cita il dispaccio di Osborne, il quale a sua volta apre le virgolette e cita quello di Tittman.

Ed è proprio osservando questa concatenazione che si nota una cosa: la data del 19 ottobre 1943 è quella del telegramma di Osborne dal Vaticano,non quella del dispaccio di Tittman. Quando infatti il Foreign Office scrive che ha «ricevuto da Santa Sede telegramma No. 388, 19 ottobre» significa infatti che il telegramma di Osborne è del 19 ottobre 1943. Nulla, quindi, ci dice che quello di Tittman, inoltrato a Londra perché giunga a Washington, abbia la stessa data.

E infatti, aperte le virgolette dopo il «begins» (ossia: «Inizia la citazione del dispaccio di Tittman»), Osborne non riporta alcuna data, ma solo il testo del dispaccio di Tittman. Se Osborne avesse conosciuto la data del dispaccio di Tittman, l’avrebbe indicata insieme al numero di dispaccio, riportato perché evidentemente appariva nella minuta da cifrare e ritrasmettere (anche Eden, quando ritrasmise a Washington un altro telegramma diOsborne, indicò, oltre al numero di partenza del di lui dispaccio, anche la data).

Si consideri poi un altro elemento, che forse non è trascurabile. Nella bozza presentata da Casarrubea e Cereghino, Tittman scrive: «Ho avuto un’udienza oggi col Papa, che non avevo visto da lunedì». Se si identifica quell’oggi con il 19 ottobre 1943, ebbene quel giorno era martedì. Non sarebbe stato più logico che Tittman scrivesse:«Ho avuto un’udienza oggi col Papa, che non vedevo da ieri»?

Ultima considerazione: Tittman aveva il rango di un’incaricato d’affari, e come tale non aveva col Papa un contatto diretto come accadeva per i colleghi col rango più elevato di ambasciatore. I contatti più frequenti Tittman li aveva col Segretario di Stato card. Maglione, ma ancor più con i due Sostituti alla Segreteria di Stato, i monsignori Tardini e Montini (il futuro Paolo VI). Non è quindi pensabile, per l’attenta prassi diplomatica e di protocollo vigente non solo in Vaticano ma anche altrove, che egli fosse ricevuto in udienza personalmente dal Papa (ossia da un Capo di Stato) addirittura per due giorni di seguito.

Ma come si è visto, il registro delle udienze del Maestro di Camera del Pontefice né alla data del 18 ottobre né a quella del 19 riporta un’udienza concessa dal Papa a Tittman. Considerate quindi le fonti vaticane, ma soprattutto il gioco a incastro di dispacci che furono trasmessi dal Vaticano (quello di Osborne che “contiene” quello di Tittman; quello del Foreign Office che li contiene entrambi), le probabilità che Tittman non abbia mai incontrato Pio XII il 19 ottobre 1943, e che il suo dispaccio sia anteriore di ben cinque giorni, sono altissime.

Priva di senso sarebbe quindi la polemica su Pio XII che non si sofferma con Tittman sulla sorte degli ebrei romani: come poteva, dato che la razzia non era ancora avvenuta? E poi va ribadito che chi apre questa polemica contro Pio XII, sostenendo che il suo colloquio con Tittman avvenne il 19 ottobre 1943 e che il Papa tacque sugli ebrei romani, non si chiede poi come mai non sia stato lo stesso Tittman ad affrontare l’argomento, di sua iniziativa, col Papa. Volendo parlare superficialmente del “silenzio” di Pio XII, non s’indaga insomma su quello di Tittman.

Resterebbe da vedere l’originale conservato negli archivi americani dell’esemplare che poi è stato pubblicato nella raccolta statunitense con la data del 19 ottobre 1943. E’ l’unico punto che invita davvero alla cautela, anche perché riporta una differenza nel testo (Tittman, vi si legge, non vedeva il Papa dall’anno precedente, e non dal precedente lunedì). Alla nota che accompagna questo documento si legge: «Questo messaggio fu trasmesso al Dipartimento di Stato dal Rappresentante britannico in Vaticano, attraverso l’ambasciata britannica a Washington e ricevuto al Dipartimento il 25 ottobre»[3]. Il che ci fa supporre (data l’impossibilità per Tittman di cifrare i suoi dispacci) che si tratti non di un originale ma di una copia circolare, in cui ci sarebbero errori di datazione.

3. Il documento di Osborne del 10 novembre 1944. Basta leggere per capire

Vale ora la pena allora di fare alcune considerazioni aggiuntive sull’altro documento, quello di Osborne del 10 novembre 1944, oltre quanto abbiamo già detto a ridosso della polemica.

3.1 Il documento di Osborne del 10 novembre 1944 è ricco e sorprendente per diversi aspetti. Vi abbiamo contato almeno diciotto punto, alcuni non proprio trascurabili per un serio dibattito storico. Peschiamo a caso

a) Osborne nota il risentimento di fascisti e nazisti perché il Vaticano sta ospitando diplomatici stranieri di Paesi in guerra con l'Italia, molti dei quali erano già accreditati presso il Quirinale (tipico è proprio il caso di Harold Tittman, autore dell’altro documento assai discusso, quello del 19 ottobre 1943);

b) Osborne è convinto che se le sorti belliche non fossero poi mutate a svantaggio della Germania, quest’ultima avrebbe certamente invaso sia il Vaticano sia le sedi diplomatiche dei Paesi nemici dell’Asse, ospitate in Vaticano. Di conseguenza, Pio XII offrì questa ospitalità in un momento in cui le sorti belliche erano ancora favorevoli alla Germania, accollandosi pertanto un grave rischio di rappresaglia;

c) Osborne è grato a Pio XII poiché questi ha tollerato che i diplomatici in Vaticano, rappresentanti dei Paesi Alleati, inviassero all'esterno corrispondenza segreta di carattere politico e militare. Questo fatto non ci sembra trascurabile. Perché Osborne dimostra che Pio XII fu il capo di uno Stato neutrale ma non imparziale, perché schierato con gli Alleati. Il che conferma delle ipotesi di lavoro già note agli studiosi, perché formulate in un importante dibattito fra studiosi italiani, i cui risultati possono leggersi nel bel libro su Pio XII, curato da Andrea Riccardi[4].

d) Osborne propone al suo Governo che si ringrazi ufficialmente il Papa: per tutto questo, ma anche per aver ospitato ufficiali già prigionieri di guerra della Germania);

e) Candidamente Osborne s’illude che in Russia, dopo la libertà concessa alla Chiesa ortodossa, ci si trovi alla vigilia di un grande mutamento, di cui Stalin è l'artefice: quello di una Russia con una rinata religione nazionale cristiana!

3.2 C'è poi nel famoso dispaccio di Osborne la questione dell’appello in favore degli ebrei d’Ungheria, che ha sollevato tante sterili polemiche.

Nel dispaccio, l'appello per gli ebrei d'Ungheria non è il tema principale (ventitre parole in tutto in un dispaccio fluviale), e ciò per varie ragioni:

a)      perché quella che viene presentata come una “proposta di Eden” (parlare per gli ebrei d'Ungheria), non è affatto di Eden. Scrive Montini: «Il Ministro Osborne circa il suo foglio del 1° novembre, dice che la proposta proviene dall'ambiente israelita: il Governo britannico si limita a raccomandarla» ma del World Jewish Congress, il Congresso Mondiale Ebraico, al quale però il Vaticano sta già rispondendo. Fra l'altro, Eden è stato preceduto, nel trasmettere queste proposte ebraiche, dal Governo americano[5].

b)     Il 28 ottobre e il 19 ottobre 1944, il Delegato apostolico a Washington, Amleto Cicognani, ha già trasmesso al Papa queste richieste diambienti ebraici americani[6]. Insomma, la “proposta di Eden” non è cosa nuova.

c)      Inutile dire che, fra il 19 ottobre e il 10 novembre 1944, la Santa Sede si è già mossa con diverse iniziative in favore degli ebrei d'Ungheria[7]. Ecco perché la questione è, come dire, “tangenziale” e quasi dispersa nella lunga esposizione che si legge nel dispaccio di Osborne. L'enfasi che le è stata data è senza dubbio eccessiva.

d)     E’ la questione dei crimini sovietici, invece, uno dei temi più importanti del dispaccio di Osborne. Ma l’ipotesi della denuncia anonima dei russi, come si dirà fra poco, è formulata da Pio XII "prima" di Osborne, e non su sua sollecitazione; come si evince dal documento, in cuiOsborne dà la sequenza esatta della sua conversazione col Papa.

3.3 Ed eccoci a parlare della denuncia dei crimini russi. Nel dispaccio di Osborne la sequenza esatta della discussione è la seguente:

a) Pio XII dice di essere pressato da più parti a denunciare i crimini russi, ma dice fin da subito che comunque, se decidesse di farlo, la denuncia sarebbe anonima, esattamente come ha fatto nel condannare i crimini tedeschi;

b) Osborne va di rinforzo: lo invita a non denunciare i russi per le gravi ripercussioni che ne seguirebbero e perché si noterebbe la differenza di trattamento rispetto ai tedeschi.

c) Pio XII non lascia finire Osborne; anzi lo interrompe, s'inserisce nel suo discorso («interjected», si legge nell’originale) per ribadire «che non era in questione alcun riferimento alla Russia per nome».

d) Osborne riprende il filo del discorso dicendo di non avere informazioni sui russi in Europa, ma che i crimini russi non potevano eguagliare quelli tedeschi (e «il papa non fece obiezione»); e che anzi non vi era precedente allo sterminio degli ebrei perpetrato con i metodi più efferati («Su ciò il papa concordò», aggiunse Osborne).

Questo si evince dal documento qui in esame, dalla sequenza ordinaria delle frasi, nell'ordinaria concatenazione e interpretazione delle parole che le formano. Questa è l’esatta narrazione dei fatti, trasmessa da Osborne al suo Governo Essa è quindi il portato della narrazione di Osborne. Se il diplomatico britannico avesse notato nel Pontefice un atteggiamento diverso dall'accordo e dalla sintonia con lui, per esempio una sufficiente e alquanto superba condiscendenza, semplicemente, Osborne (che era assai preciso nei suoi resoconti dal Vaticano) l'avrebbe scritto ece lo avrebbe fatto sapere.

3.4 Si chiede sempre a Pio XII di parlare: ma con quale modalità? E poi: qual'è lo step successivo? La cosa sarebbe stata senza conseguenze? E, se ci fossero state conseguenze, quali sarebbero state e chi le avrebbe pagate? Pur non potendo fare la storia con i se , resta il fatto assai probabile, studiando le circostanze storiche, che nel 1942-44 avrebbero potuto essere erano fondamentalmente due: rappresaglie a 360 gradi contro tutto ciò che fosse cattolico o che fosse collegato ai cattolici collegato; seria compromissione, se non totale smantellamento, della rete di aiuti vaticani (ma non solo vaticani), che si trovava a operare (vale la pena di ricordarlo sempre) non i Paesi liberi e democratici, ma esclusivamente nei territori occupati o satelliti della Germania.

3.5. Osborne resta in Vaticano per oltre quattro anni; occorre chiedersi se la posizione di Osborne sia sempre stata quella di esigere sempre e comunque una condanna pubblica dei nazisti da parte di Pio XII; o se abbia sempre ritenuto che una vera e propria condanna del nazismo non ci fosse mai stata.

Dal documento del 31 ottobre 1943 già citato, parrebbe di no. E pare di no anche vent'anni dopo quando, nel 1963, esce Il Vicario, e, comericorderemo ancora poco oltre, la posizione del drammaturgo tedesco è assai criticata da Osborne sul “Times”.

A volte la storia è fatta un po' anche di risultanti algebiche, specialmente quando ci sono in ballo personalità così forti (e neppure cattoliche) come Osborne; ebbene, nel 1963 riteniamo che Osborne abbia voluto chiudere, per ciò che lo riguardava, il discorso sul “silenzio” di Pio XII con una risultante algebrica nettamente positiva per questo Papa

Perché, infatti, elogiare così tanto Pio XII senza essere minimamente obbligato a farlo (Pio XII era morto e Osborne era ormai un privato cittadino; e teneva a specificare al “Times” di non essere neppure cattolico!)?

3.6 Va attirata l’attenzione anche su un altro non trascurabile aspetto della vicenda: l’uso strumentale delle parole del Papa. Esigere dal Vaticano una pubblica condanna di questo o di quello in tempo di guerra sottendeva sempre nei belligeranti fini propagandistici, dato che «ogni stato belligerante desidera che la sua causa sia considerata come una causa morale [...]. Ma nella gran parte dei casi, le Potenze non si aspettavano che il Papa dicesse che una delle sue azioni era buona. Essi speravano che dicesse che un atto compiuto dall'altra parte era malvagio, E se fossero riuscite a persuaderlo a dire questo, ciò sarebbe stato un vantaggio politico»[8].

Fin dal 10 giugno 1940, data dell'entrata in guerra dell'Italia, i rappresentanti diplomatici tedesco, inglese e francese presso la Santa Sede, ebbero l'incarico «di attirare l'attenzione del Papa sulle immoralità perpetrate dall'altra parte. Essi avevano inoltre l'incarico di suggerire che egli le condannasse pubblicamente. Di solito essi non si aspettavano di aver successo in questo compito. Sapevano che dal giugno 1940 il Papa aveva adottato una politica di stretta neutralità come la sola via per mantenersi al di sopra («standing above») di una situazione impossibile»[9].

Esempi di uso strumentale della condanna papale sono poi diffusi, e lo stesso Chadwick li illustra.

4. Osborne e il “silenzio” di Pio XII

Si vuole quindi a tutti i costi far passare l'idea di un Osborne non fa altro che chiedere a Pio XII di parlare contro i crimini nazisti.

Non è così. Proprio la razzia degli ebrei romani del 16 ottobre 1943 ne è la controprova. Se Pio XII, come si dice, fu insensibile al destino degli ebrei romani e preferì tacere dolosamente su questa tragedia, quale migliore occasione del 16 ottobre perché Osborne glielo facesse notare?

E invece, il 31 ottobre 1943, egli così scrive al suo Governo: «Non appena seppe degli arresti di ebrei a Roma, il Cardinale Segretario di Stato diresse e formulò all'Ambasciatore tedesco una [sorta? Questa parola è illeggibile ndr] di protesta. L'Ambasciatore si mosse immediatamente con il risultato che gran parte di loro fu rilasciata. L'intervento vaticano sembra dunque esser stato efficace nel salvare un certo numero di queste sfortunate persone. Ho chiesto di sapere se potessi io riferir questo e mi fu detto che avrei potuto ma solo per nostra conoscenza e non per darne pubblica ragione, poiché ogni pubblicazione d'informazioni condurrebbe probabilmente a nuove persecuzioni»[10].

Il resoconto di Osborne conferma dunque i documenti vaticani. Per cui la tesi del silenzio di Pio XII sulla deportazione degli ebrei romani, perOrborne, non regge. Si potrebbe andare avanti sul tema, ma la smentita più efficace alla tesi secondo cui Osborne ebbe un severo atteggiamento critico per il silenzio del Papa e avrebbe voluto una plateale dichiarazione di condanna della Shoah, la dà ancora una volta lo stesso Osborne, intervenendo nel 1963 proprio sulla polemica relativa al silenzio di Pio XII:

«Lungi dall’essere un diplomatico freddo (il che, suppongo, implica una persona di sangue freddo e disumana), Pio XII fu il personaggio più caldamente umano, gentile, generoso, simpatico (e, per inciso, santo) che io abbia mai avuto il privilegio d’incontrare nel corso di una lunga vita. So che la sua natura sensibile era acutamente e incessantemente sensibile al tragico volume di sofferenza umana causato dalla guerra e, senza il minimo dubbio, sarebbe stato pronto e felice di dare la sua vita per redimere l’umanità dalle sue conseguenze. E ciò senza guardare alla nazionalità o alla fede […]. Sono sicuro che Papa Pio XII è stato grossolanamente giudicato male dal dramma del signor Hochhuth».

E, chiudendo le sue considerazioni, Osborne aggiungeva di non essere neppure  cattolico![11].

Pietra tombale, diremmo, quella apposta da Osborne sulla polemica del “silenzio” di Pio XII, scatenata dal dramma Il Vicario di Rolf Hochhuth.

Con ciò non si vuole affatto dire che Osborne non fosse critico verso il Vaticano (era previsto dalla natura della sua missione), o che non volesse che la Santa Sede parlasse talvolta in maniera più chiara o con toni più energici. Ma, come si rileva soprattutto dal suo diario, prima dell’occupazione tedesca di Roma egli aveva in mente, più che gli ebrei in sé, tutti coloro che stavano soffrendo per la guerra. Al punto che lo stesso destino degli ebrei slovacchi, dopo le notizie giunte nel marzo 1942, ancora non sembrava toccarlo, dato che la sua attenzione era in quel momento attirata dalla sorte delle vittime in generale[12].

Certamente, dopo la dichiarazione interalleata del 17 dicembre 1942 la situazione cambiò molto; e anche Pio XII si fece meno prudente, col radiomessaggio natalizio del 1942 (che non va giudicato per la presenza o no della parola “ebrei” invece di “stirpe”; ma per le positive reazioni che esso suscitò in America, e per le negative reazioni che ne conseguirono in Germania).

Che Osborne poi pensasse che una politica di riserbo fosse la più adatta alle circostanze del momento lo si vede dalla raccomandazione fatta a Pio XII (che pure aveva già deciso di muoversi esattamente nel modo auspicato dal diplomatico) di non denunciare apertamente neppure i crimini sovietici.

Occorre insistere su questo punto: Osborne racconta che Pio XII non è ancora giunto «a una decisione su questo punto [denuncia dei crimini russin.d.r.], e in ogni caso la sua condanna sarebbe anonima, come nel caso della sua condanna dei misfatti tedeschi in passato».

Questa è la sequenza espositiva: Pio XII ha quindi già deciso, indipendentemente da Osborne, quale sarà la condotta da tenere. Osborne non fa altro che corroborarla; i due quindi concordano sull'utilità di un silenzio operativo in vari campi.

C’è poi un’altra questione da considerare. Una cosa è il silenzio, altra cosa è l'inazione. E, come si vede dalla documentazione vaticana (che, va ricordato, è in anche di origine ebraica), la Santa Sede non si mantenne inattiva, ma fece il possibile per salvare le vittime della guerra, e in primo luogo gli ebrei. Silenzio e riserbo erano purtroppo le vie più dirette per un'azione di salvezza segreta e articolata. Del resto, specularmente, silenzio e riserbo sui crimini sovietici erano per Osborne del pari necessari alla condotta della guerra.

Pretendere poi che il papa accendesse un megafono e condannasse i crimini hitleriani da Piazza San Pietro significa:

a) illudersi che Pio XII avesse una parola talmente taumaturgica da fermare i crimini hitleriani; ossia attribuirgli poteri di un Papa medievale in un'epoca del tutto secolarizzata;

b) dover spiegare che cosa sarebbe stato della rete di aiuti vaticani che (va ricordato ancora una volta, perché sempre lo si dimentica), si muoveva in gran parte all'interno di Paesi occupati o annessi dalla Germania (e quindi con diocesi e altre propaggini pontificie già compromesse e controllate nelle loro comunicazioni verso l'esterno).

Parlando di “silenzio” di Pio XII, non si considera poi un dato di fatto: che il nesso condanna plateale-alleviamento della sorte degli ebrei è un preconcetto, senza possibilità di controprova che le cose sarebbero andate esattamente in questa sequenza; una sequenza che quindi solo apparentemente è così logica. Tanto per banalizzare, occorre molta immaginazione per vedere un Hitler presenziare una domenica all'Angelus in piazza San Pietro, chiedendo perdono al Papa per la pubblica condanna comminatagli, e promettendo di non perpetrare più i suoi crimini.

La storia, purtroppo (e al di là dei desideri dello storico) non si può leggere inforcando un bel paio di occhiali rosa.

Continua...

OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
20/02/2010 12:40

5. Gli “altri documenti su Pio XII” di Casarrubea e Cereghino

In risposta al nostro primo articolo, Casarrubea e Cereghino hanno propinato un “copia-incolla” di documenti d’archivio, su cui ci soffermeremo molto brevemente, rispettando l’ordine nel quale li hanno proposti.

Per evitare inutili ripetizioni, rimandiamo direttamente all’articolo che quei documenti propone. Aggiungiamo qui solo che i documenti non sono riportati integralmente, ma sono pieni di omissis perché trascritti dai due “ricercatori”. Sarebbe stato forse opportuno che essi proponessero gli originali, come hanno fatto (va riconosciuto: meritoriamente) in altri casi. Di fronte agli omissis, come sappiamo, occorre pertanto diffidare, a prescindere dalle buone intenzioni di chi li compie: è solo una questione metodologica.

Ciò detto andiamo avanti.

5.1 Il primo documento che Casarrubea e Cereghino propongono è, ancora una volta, un dispaccio del ministro britannico in Vaticano Osborne, del 29 dicembre 1942. Attenzione alle date: perché il 17 dicembre c’è stata la dichiarazione interalleata contro lo sterminio degli ebrei e il 24 successivo il famoso radiomessaggio natalizio del Papa. In questo radiomessaggio Pio XII, com’è noto, parlò in favore delle «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento».

Abbiamo fatto questa premessa perché citare un dispaccio di Osborne del 29 dicembre 1942 senza citare il contesto può rivelarsi un boomerang.

Osborne certamente all’epoca non poteva saperlo; ma Casarrubea e Cereghino (pure così solerti frequentatori di archivi) dovevano conoscere l’esistenza di un rapporto segreto siglato dal Reichssicherheitshauptamt [ossia: Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, o RSHA, ndr) del 22 gennaio 1943, e che von Ribbentrop ritrasmise, con precise istruzioni che vedremo, all’ambasciatore tedesco in Vaticano Diego von Bergen, il 24 gennaio successivo. Il documento è un promemoria del Governo nazista proprio sul Radiomessaggio di Pio XII del 24 dicembre 1942. Per la sua importanza, il rapporto del RSHA va citato quasi integralmente:

«Il Papa – vi si legge – in maniera del tutto sconosciuta prima di oggi, ha ripudiato il Nuovo Ordine Europeo del nazionalsocialismo. La sua radio-allocuzione è un capolavoro di travisamento clericale della concezione del mondo nazionalsocialista. E’ vero che egli non ha menzionato per nome i nazionalsocialisti tedeschi, ma il suo discorso è tutto un lungo attacco contro tutto ciò che noi rappresentiamo…Egli concepisce la personalità umana in termini interamente individualistici e liberali. Considera un’aberrazione l’idea che la personalità emani dalla società collettiva. Dice di compiacersi del fatto tale atteggiamento (quello di noi nazionalsocialisti) “incontri una resistenza che cresce di continuo”. Dio, egli afferma, guarda a tutti i popoli e a tutte le razze come se fossero meritevoli della stessa considerazione. E’ chiaro che parla a nome degli ebrei…Nel trattare di questioni economiche fa riferimento a “nuovi sistemi” che sono un labirinto di false dottrine dai risultati imprevedibili per la società umana. Anche in questo caso egli fa riferimento al nazionalsocialismo, poiché dice che quando l’economia e il lavoro non sono governati dai principi soprannaturali della religione tanto il lavoro che il lavoratori si trovano privati della loro nobiltà…Che questo discorso sia diretto esclusivamente contro il Nuovo Ordine Europeo quale concepito dal nazionalsocialismo risulta chiaro dall’asserzione del papa secondo cui l’umanità è debitrice nei confronti di coloro i quali, durante la guerra, hanno perduto la loro Patria, e di quanti, non per loro colpa ma solo a causa della loro nazionalità e della loro origine, sono stati uccisi o ridotti nella più abietta miseria. Qui egli, virtualmente, accusa il popolo tedesco di ingiustizia nei riguardi degli ebrei e si fa portavoce dei criminali di guerra ebraici»[13] .

Von Ribbentrop, il ministro degli esteri nazista, avallò in toto le considerazioni contenute nel Rapporto del RSHA, che inoltrò all’ambasciatore tedesco in Vaticano, von Bergen, il 24 gennaio 1943, con le seguenti istruzioni:

«Da alcuni sintomi parrebbe che il Vaticano sia disposto ad abbandonare il suo normale atteggiamento di neutralità e a prendere posizione contro la Germania. Sta a Voi informarlo che, in tal caso, la Germania non è priva di mezzi di rappresaglia»[14] .

In risposta a queste istruzioni, il 26 gennaio 1943 l’ambasciatore von Bergen scriveva di aver parlato con Pio XII. Ed ecco il suo resoconto del colloquio:

«Ho conferito con Sua Santità nel senso delineato dalle vostre istruzioni. Quando ho accennato al fatto che i rapporti tra la Germania e la Santa Sede potrebbero essere troncati, con tutto quello che in ciò è implicito, Sua Santità ha osservato dapprima un assoluto silenzio. Poi, nella maniera più calma che sia possibile, mi ha detto che nulla gli importava di quanto potesse accadere alla sua persona, aggiungendo che una lotta tra la Chiesa e lo Stato poteva risolversi soltanto in un modo: con la sconfitta dello Stato. Gli ho risposto che ero di parere contrario. Dissi che Sua Santità, ovviamente, non poteva rendersi conto di quanto i cattolici tedeschi si risentissero dell’atteggiamento antipatriottico del clero cattolico. Un conflitto allo scoperto avrebbe potuto riservare alla Chiesa alcune sgraditissime sorprese, e da un tale conflitto emergerebbe vittorioso soltanto un comune avversario, il bolscevismo. Ho detto al Papa che, a seguito dei succitati motivi, l’atmosfera generale andava ripulita, specie nel senso che le lagnanze del Vaticano dovevano cessare e le direttive della stampa dovevano fasti più moderate di tono, con particolare riguardo all’Osservatore Romano che, giorno più giorno meno, rovesciava fiumi d’inchiostro contro la Germania senza mai nominare, peraltro, la Spagna “rossa” o il Fronte Popolare francese.

A questo il papa rispose che la posizione assunta dall’Osservatore Romano poteva essere spiegata nei termini più semplici: tutto l’interessamento, tutte le cure, tutte le preoccupazioni di quel tempo in seno al Vaticano erano incentrate sulla Germania.

Pacelli non è pi sensibile alle minacce di quanto lo siamo noi.

Nel caso di una rottura aperta con noi, egli calcola che alcuni cattolici tedeschi rinnegheranno la loto Chiesa, ma è fermamente convinto che la maggioranza di essi rimarrà fedele alla sua Fede. Prevede pure che il clero cattolico tedesco riuscirà a farsi coraggio e a predisporsi ai più grandi sacrifici»[15] .

Questo è dunque l’effetto prodotto in Germania dal radiomessaggio di Pio XII del Natale 1942. Il che mostra l’inutilità del dispaccio di Osborne del 29 dicembre 1942, come prova del “silenzio” del Papa.

A Osborne, infatti, il Papa dice di aver già parlato in favore degli ebrei nel suo radiomessaggio natalizio. Quello che conta, pertanto, ai fini della valutazione del “silenzio” di Pio XII, è l’accertamento delle fonti tedesche. E proprio queste fonti ci parlano di un’indignazione nazista, nei duri termini che abbiamo visto. Che altro desiderare?

Osborne parla anche di un dissenso con il Papa. Se non si guarda alle fonti vaticane non si capisce dove Casarrubea e Cereghino vogliano arrivare. Essi vorrebbero per caso provare un dissenso tra Osborne e il Papa in merito a una denuncia aperta dei crimini nazisti? Anche se Osborne fosse in dissenso col Papa, egli avrebbe torto, visto quello che pensano i tedeschi; per i quali la denuncia di Pio XII è stata fin troppo aperta; come ritiene anche un giornale non certo diretto da cattolici, come il New York Times, nel numero del 25 dicembre 1942.

Ma il dissenso tra Osborne e Pio XII? Esso non riguarda il parlare-tacere sui crimini nazisti, bensì  la sorte di Roma. E lo capiamo dal resoconto dell’udienza del 29 dicembre, contenuto nei documenti vaticani.

Da tali documenti si evincono, dell’udienza del 29 dicembre 1942, alcuni importanti elementi:

a)      Osborne consegna al Papa la nota interalleata del 17 dicembre 1942

b)     Osborne suggerisce che il Papa possa appoggiare tale dichiarazione con una pubblica dichiarazione

c)      In mancanza di tale pubblica dichiarazione, il Governo britannico insisterebbe in via urgente sulla necessità che il Papa adoperi la sua influenza, o attraverso una pubblica dichiarazione o per il tramite dei vescovi tedeschi, «per incoraggiare i cristiani tedeschi, e particolarmente i cattolici tedeschi, a fare tutto ciò che è in loro potere per frenare questi eccessi»[16].

Osborne raccomanda al Papa una parola più chiara? Raccomandazione inutile: il Papa ha già trasmesso il suo Radiomessaggio natalizio, suscitando a Berlino i negativi effetti che abbiamo visto. Inutili quindi le esortazioni di Osborne: come il Papa si stia comportando verso i tedeschi sono i tedeschi stessi a dirlo.

Ma allora il «dissenso» tra Osborne e il Papa? Esso non riguarda il parlare o non parlare chiaramente in favore degli ebrei. Ce lo dice lo stessoOsborne, in una nota del 28 dicembre 1942[17]. Il dissenso tra Vaticano e Santa Sede riguarda il possibile bombardamento di Roma[18]. Eden aveva risposto alle lamentele vaticane contro un eventuale bombardamento incaricando il Ministro di Sua Maestà in Vaticano, Osborne, di dire al Papa che il Governo inglese non avrebbe esitato a bombardare Roma, se lo avesse ritenuto utile e conveniente per il corso della guerra. Ogni sforzo, tuttavia, sarebbe stato fatto per preservare nella sua integrità la Città del Vaticano. Al che il Papa aveva obiettato che la richiesta era fatta per Roma, non per la sola Città del Vaticano.

Osborne che chiede al Papa una parola chiara, proprio mentre i tedeschi scrivono che il Papa è stato fin troppo chiaro verso di loro: questa è la situazione.

Strana che questa «ambiguità» o pavidità di Pio XII si trovi comprovata, proprio all’indomani del radiomessaggio natalizio del 1942, da queste parole:

«Prego far sapere oralmente Rabbino Rosenberg New York, essere giunto Santo Padre appello della Unione rabbini ortodossi America et Canada, assicurando che, al riguardo, Santa Sede ha fatto et fa quanto può»[19].

E appelli del genere si moltiplicano[20]; come si motiplicano, da parte ebraica, le espressioni di riconoscenza nei confronti di Pio XII.

5.2 E che cosa dice Osborne, nel secondo documento, quello del 31 dicembre 1942? Narra la reazione euforica dei suoi colleghi al radiomessaggio del 1942. Fra l’altro, tornato sui termini usati nel radiomessaggio del 1942, Osborne si sente dire dal Papa «di aver condannato la persecuzione degli ebrei», senza che lui possa dargli torto.

Condanna indiretta? Non specifica? Non avremmo riserve a giudicarla anche tale se non sapessimo delle reazioni tedesche: a Berlino si pensa, delle parole del Papa, l’esatto contrario di ciò che pensano gli inglesi. E tanto basta.

5.3 Non comprendiamo poi l’esatto valore di documenti come le Note sulla Cooperazione con il Vaticano di Sir Charles Hambro, che Casarrubea eCereghino sbandierano con innocente candore.

Hambro non era un “vaticanista”, non conosceva assolutamente nulla dell’azione della Santa Sede, e tanto meno del lavoro di Osborne in Vaticano. Nel momento in cui egli redige il suo memorandum, sta lavorando in una “Commissione per il sabotaggio dell’acqua pesante” in Norvegia; è nell’Esecutivo del SOE ed è incaricato dei contatti con il suo omologo americano, il capo dell’Office of Strategic Services (OSS: l’antesignano della CIA), il colonnello Donovan.

Nel 1943 Hambro viene ai ferri corti con Donovan (ma anche coi servizi segreti francesi) non solo perché «i navigati funzionari dell’intelligence britannica e del SOE trovavano difficile – se non impossibile – trattare alla pari i giovanotti americani» [21], ma anche per divergenze gravissime su questioni legate all’impostazione delle iniziative in Medio Oriente. Per il resto Hambro si occupa di gestione delle materie prime, ma soprattutto delProgetto Manhattan[22].

Ma ecco un’altra gustosa diversione sull’agente britannico. Charles Hambro, a quanto pare, fu anche un agente segreto alquanto credulone. Egli prestò cieca fede, come altri suoi colleghi dell’intelligence britannica, alla bizzarra teoria di un ungherese, Luis de Wohl (poi assunto dal SOE per far opera di propaganda e tenere conferenze in America), secondo cui Hitler prendeva ogni sua decisione strategica basandosi sull’astrologia, e solo dopo aver consultato il suo astrologo personale, Karl Ernst Krafft[23]. Questo tanto per colorire il personaggio.

Senza tema di smentita, dunque, quando scrive di Vaticano, Hambro si dimostra una penna saccente e in libertà. Ne sa poco, e quel poco che sa, lo sa male.

Solo un talebano alla rovescia (ossia convinto della giustezza del martirio…altrui) può infatti scrivere che «a nostro avviso, un certo livello di martirio sarebbe politicamente utile alla Chiesa cattolica, se ciò servisse a riconquistare la fiducia di Paesi come la Polonia». Follia allo stato puro, condita da furore anticattolico; a riprova di quanto Hambro conosca assai poco e assai male il quadro diplomatico e operativo della Santa Sede e di tutta la Chiesa cattolica in favore delle vittime di guerra (specialmente in Polonia).

Che cosa prova quindi quel documento? Che il Governo britannico tenne conto delle elucubrazioni di Hambro? No di certo.

E infatti Casarrubea e Cereghino ci informano che «qualche giorno dopo il Foreign Office decide di accantonare il piano del SOE [cioè diHambro]». Cadogan è molto scettico su tutta l’operazione, e inoltre bisognerebbe consultare Osborne. E Osborne si mostra del pari scettico.

Quindi l’operazione viene accantonata, anche perché , dato che non si sa chi dovrebbe essere l’alto contatto di Hambro in Vaticano per attuare il suo piano; ed è chiaro che il Foreign Office ritiene l’operazione del tutto irrealizzabile.

Ma questo che cosa proverebbe contro Pio XII?

5.4 E veniamo al riassunto delle opinioni di Weizsäcker, prese dagli archivi americani.

Per la quarta volta Casarrubea e Cereghino non si accorgono che il documento da loro “trovato” è stato già pubblicato, e da tempo. In questo caso, lo ha pubblicato il sottoscritto, esattamente nel 2002[24].

Ma non interessa questo, ora, essendo acclarata la scarsa dimestichezza che i due “studiosi” hanno con le fonti.

Interessano invece altre considerazioni.

Il documento è tratto dalle carte di Fritz Kolbe, un piccolo funzionario del ministero degli esteri tedesco, che decide di passare segretamente al nemico americano, al quale trasmette tantissima documentazione, poi denominata e archiviata con l’iniziale del suo cognome (Kappa).

Kolbe prende il nome in codice di “George Wood” e rende i suoi servigi senza scopi di lucro, retto solamente dalla convinzione che sia ormai necessario abbattere la dittatura hitleriana. La sua credibilità aumenta grazie alle rivelazioni su un caso di fuga di notizie dall’ambasciata britannica ad Ankara, in favore di quella tedesca (“caso Cicero”). Insomma una top-spy story.

Veniamo al documento: tanto per cambiare, Casarrubea e Cereghino ne tagliano parti interessanti. Riecco pertanto il documento in tutto il suo splendore:

«Il Papa è giunto a una decisione circa il suo messaggio natalizio, quest’anno più lungo del normale, e perlomeno ha deciso di tenerne uno. Spera che i nazisti manterranno il fronte militare sul fronte russo ed è ansioso per una pace al più presto possibile, poiché altrimenti il comunismo sarebbe il solo vincitore emergente dalle devastazioni militari. Il sogno del Papa è quello di un’unione dei vecchi paesi civilizzati dell’Occidente con l’isolamento del bolscevismo verso est nello stesso modo in cui Papa Innocenzo XI unificò il continente contro i musulmani e liberò Budapest e Vienna. Egli continua senza successo nei suoi tentativi d’influenzare le potenze occidentali lungo queste linee. I governi britannico e americano non presterebbero ascolto alle sue proposte. Il Vaticano era estremamente contrariato dai risultati delle Conferenze del Cairo e di Teheran. Il Papa sta cercando ancora di vedere se può proseguire nella sua opera per influire sulle potenze occidentali e come dovrebbe procedere. Egli è tenace, maestremamente sensibile laddove il suo prestigio è messo in gioco. Il motivo politico del suo messaggio natalizio sarà distogliere le potenze occidentali dalla formula della resa incondizionata. Egli progetta nel suo messaggio un appello diretto alle coscienze dei popoli, trascurando i loro ostinati governi, nella speranza che i popoli d’America e di Gran Bretagna ne afferrino il senso»[25].

Ora: il quadro schizzato da Kolbe nel suo dispaccio segreto a Washington (presumibilmente frutto di contatti con Weizsäcker) non era del tutto accurato.

Non può trovare conferma, ad esempio, una presunta speranza del Papa che Germania e Russia sovietica continuino a combattere, facendo la prima da baluardo contro l’avanzare del bolscevismo in Europa. Infatti, il testo del discorso (nella parte tagliata da Casarrubea e Cereghino) è un continuo appello alla «pace incondizionata».

In secondo luogo, Pio XII è certamente sospettoso nei confronti di Mosca, soprattutto nella questione della presunta “libertà religiosa” concessa in Unione Sovietica (va ricordato che a Mosca non c’era Gorbaciov, ma un certo Stalin). I documenti ci dicono tuttavia che Washington non comprende a fondo, anche se forse li condivide, questi sospetti, motivati anche dal fatto che i russi hanno sparso la voce di un imminente accordo tra Pio XII e Stalin; così generando comprensibile apprensione nei polacchi[26].

Vero. Gli agenti segreti operanti in Vaticano sanno che il Papa non si fa illusioni sul futuro della libertà religiosa in Russia, libertà che peraltro tocca più da vicino gli ortodossi; ma, dal canto loro, essi sopravvalutano l’apertura di Stalin verso la Chiesa ortodossa russa[27].

Visti i fatti, aveva ragione Pio XII a dubitare della pax religiosa di Stalin; e avevano naturalmente torto gli agenti americani a prestarvi fede. Non ci sembra di poco conto.

5.5 Esaminiamo ora quella che riteniamo a tutti gli effetti una “fola” storiografica: il Papa temeva una vittoria sovietica d pertanto contemplava con favore uno scenario dell’atea Russia debellata da Hitler.

Casarrubea e Cereghino imbastiscono questa teoria citando specialmente dei documenti tedeschi. Prima di vedere che cosa citano, una premessa.

Nel corso della loro missione in Vaticano, i due ambasciatori tedeschi, von Bergen e von Weizsäcker (specialmente il secondo) hanno un solo scopo: quello di accattivarsi le simpatie del Führer da una periferia diplomatica, qual’era per la Germania il Vaticano (Weizsäcker, che non era nazista, vi era stato mandato praticamente in esilio, dopo essere stato addirittura vice-ministro degli esteri). Dimostrare insomma, da quel recesso isolato, circondato dall’Italia fascista prima, e dall’Italia occupata dai nazisti poi, che la loro missione inanellava una serie di successi diplomatici. Vi torneremo fra un momento.

Sia chiaro che qui non è in discussione l’anticomunismo di Pio XII, o la sua paura di Stalin (di Stalin…non di Gorbaciov); qui è in discussione la tesi secondo cui, per questa semplice ragione, Pio XII auspicasse la vittoria di Hitler sui sovietici e la collaborazione fra Potenze democratiche e Germania hitleriana.

Questa, va detto a chiare lettere, è fantastoria: un approccio semplicistico che troppi documenti smentiscono.

Per non citare che due soli esempi, prendiamo i documenti d’archivio britannici.

Il primo documento è un telegramma del 28 ottobre 1942, dell’ambasciatore britannico in Spagna, Sir Samuel Hoare, a Eden. Reduce da un colloquio col Ministro degli esteri spagnolo, Serrano Suñer (la Gran Bretagna intratteneva durante la guerra, com’è noto, normali relazioni diplomatiche col Regime franchista), Hoare così riportava le parole dette da Pio XII al ministro spagnolo, circa l’ipotesi di una vittoria tedesca: «Se i tedeschi vincono, ne conseguirà il più grande periodo di persecuzione che i cristiani avranno conosciuto»[28].

L’altro documento è un promemoria del Foreign Office; anzi, per essere più precisi, è un’interpretazione di Osborne alla seconda enciclica di Pio XII, la Mystici Corporis del 29 giugno 1943. Inviando questa enciclica, anche nel suo testo latino[29], Osborne osservava che alcuni passaggi dell’introduzione erano senza dubbio diretti contro la Germania nazista[30].

Strano modo di compiacere i tedeschi crociati contro i russi, questo di Pio XII («Vedo la crociata, non vedo i crociati», avrebbe detto sarcasticamenteMons. Tardini all’ambasciatore tedesco); ma c’è di più.

Proprio il giorno della promulgazione della Mystici Corporis, il 29 giugno 1943, il Vaticano riceve il seguente messaggio dal Gran Rabbino d’Egitto:

«Gli ebrei egiziani esprimono profonda gratitudine alla Santa Sede per la generosa caritatevole attività continuamente esercitata per la protezione dei loro correligionari europei e per l’alleviamento delle loro sofferenze». Gli ebrei egiziani chiedevano quindi l’aiuto del Papa per gli ebrei internati nel campo di Ferramonti, affinché rimanessero in Italia; lo facevano rivolgendosi alla Santa Sede, «che gli ebrei del mondo considerano il loro protettore storico nell’oppressione»[31].

Di documenti di questo tipo se ne potrebbero citare a iosa. Sono di fonte ebraica, sono conservati in originale, sono pubblicati nella raccolta vaticana, e mai hanno provocato polemiche o smentite da parte di alcuno.

Strano modo vaticano di compiacere i tedeschi, si diceva. Dato che gli archivi britannici, proprio in questo periodo, riportano anche le «proteste del Papa contro il trattamento degli ebrei in Italia settentrionale»[32].

Ciò detto, esaminiamo brevemente le povere pezze d’appoggio di Casarrubea e Cereghino per dimostrare la loro tesi.

L’ambasciatore in Vaticano Diego von Bergen, il 24 giugno 1941, racconta che «un attendibile confidente» gli ha detto che «una personalità di spicco della Segreteria di Stato» ha a sua volta detto che «l’invasione tedesca della Russia non ha meravigliato il Vaticano». A parte il gioco al rimpiattino delle fonti («io dico che tu hai detto che lui ha detto»), tutto ciò che cosa significa?

Sempre von Bergen aggiunge che la Santa Sede ritiene che l’attacco tedesco alla Russia dovrebbe chiarire il nuovo assetto europeo, essendosi anzi temuto che il bolscevismo rimanesse incolume e con accresciuta potenza in Europa. La sconfitta sovietica, insomma, dovrebbe indebolire l’influenza bolscevica nel mondo.

E siamo, per Casarrubea e Cereghino, a cinque casi d’ignoranza delle fonti.

Perché, se avessero visto bene i microfilm ai National Archives di Washington[33], o semplicemente consultato un volume uscito nel 1969[34], i due si sarebbero accorti che von Bergen racconta anche altro.


 
Ecco il documento di Bergen:
«Nelle alte sfere del Vaticano, si è fatto capire, in risposta alla questione sui motivi di questa riserva [ossia: sul fatto che il Papa, come scrive a Bergenl’allora vice ministro degli esteri tedesco von Weizsäcker, mantiene delle riserve sulla guerra dell’Asse contro la Russia, non unendosi alla “crociata”, con grande disappunto di Hitler] che a giudicare dalla piega presa dagli eventi in Germania e nei territori caduti nelle nostre mani, la Chiesa cattolica e anche il cristianesimo [ossia anche i protestanti e gli ortodossi, ndr] devono temere, dopo la caduta del bolscevismo, di cadere di male in peggio (ossia di cadere, per così dire, dalla padella nella brace). Se ora il Papa prende la parola contro il bolscevismo, contro il quale la Santa Sede si è più volte spiegata a fondo, dovrebbe prendere anche posizione contro le misure anticlericali e contro le tendenze anti-cristiane della Germania. Il silenzio del Papa è la prova migliore che egli vorrebbe evitare tutto ciò che potrebbe arrecare un torto alla Germania. Una personalità in alto loco, vicina al governo italiano e a cui la mentalità vaticana è familiare, mi ha spiegato [che il papa non ha parlato pubblicamente in favore della “crociata” anti-bolscevica] per non fare un torto alla Germania e ai suoi alleati in questa fase decisiva per le sorti del mondo. Andare oltre e prendere pubblicamente e chiaramente partito in questa battaglia contro la Russia sovietica gli era stato reso impossibile dalla Germania».
Se Casarrubea e Cereghino davvero avessero conosciuto le fonti, si sarebbero poi accorti che la «personalità in alto loco» che dice a Bergen che il Papa non vuol far torto alla Germania non era affatto un monsignore o un cardinale magari vicino al Papa, e di cui quindi rifletteva il pensiero; la «personalità in alto loco» non era affatto un alto papavero della Segreteria di Stato, ma niente meno che l’ambasciatore fascista in Vaticano,Bernardo Attolico. Quindi un collega dell’Asse.
Riassumendo:
a)      von Weizsäcker scrive da Berlino a von Bergen: Hitler è infuriato perché la Santa Sede non dice una parola sulla crociata antibolscevica;
b)     von Bergen presenta la cosa in Vaticano e gli si risponde: se l’URSS cadesse sconfitta dalla crociata antibolscevica di Hitler, cadrebbe dalla padella alla brace, e sarebbe peraltro costretta a denunciare anche l’anticristianesimo nazista. E ‘ esattamente la situazione su cui Pio XII eOsborne concorderanno anche alla fine del 1944.
c)      von Bergen sente Attolico e questi lo insuffla di informazioni frutto di elucubrazioni ideologiche
d)     von Bergen sa che si gioca la sua carriera su questo tentativo di far aderire il papa alla crociata contro Mosca; confeziona quindi un dispaccio in cui il suo insuccesso non sia troppo evidente.
Ecco dunque spiegata la deformazione delle informazioni e della realtà di von Bergen nei suoi dispacci
Le sue asserzioni sono peraltro smentite dal verbale di un colloquio fra monsignor Montini e Tittman, del 28 giugno 1941. Tittman riporta in Vaticano la notizia pubblicata dal giornale nazista Deutsches Nachtrichten Büro (rivelatasi poi infondata)[35], secondo cui i vescovi tedeschi sosterrebbero la lotta di Hitler al bolscevismo. La Santa Sede condivide? No che non condivide: «Si risponde: si ignora il fatto; al quale certo la Santa Sede è estranea»[36].
Che Pio XII desiderasse la sconfitta dell’Unione Sovietica per mano della Germania è poi smentito dall’operazione condotta dagli americani, per ottenere il sostegno della Santa Sede, e quindi anche dei cattolici americani, all’idea di assistere militarmente Mosca. Questa operazione, che passò attraverso i vescovi americani, è molto documentata; e consistette nel far chiedere al Papa (da parte del Presidente americano) quale fosse l’interpretazione da dare all’enciclica anticomunista di Pio XI del 1937, la Divini Redemptoris. Pio XII fece rispondere che, pur confermando la condanna del comunismo e del bolscevismo, nulla di quell’enciclica era applicabile al conflitto bellico in atto, e poi che essa non poteva essere interpretata contro il popolo russo, per il quale il Papa stesso nutriva profondo e paterno affetto. «La Santa Sede – disse il 10 settembre 1941 il Cardinal Maglione a Myron Taylor – ha condannato e condanna il comunismo. Non ha mai avuto una parola, né può averla, contro il popolo russo. Ha pure condannato le dottrine naziste [il riferimento era all’altra enciclica, quasi contemporanea, Mit brennender Sorge, ndr]. Chi può direche il Santo Padre sia avverso e non sia invece molto amico del popolo russo? […] Del resto se si presentasse l’occasione di fare discretamente la distinzione tra comunismo e popolo russo, tra nazismo e popolo germanico, la gerarchia potrebbe farlo con autorità, sicura di non andare contro l’insegnamento pontificio»[37].
Condannare l’errore senza condannare l’errante. Fu così possibile a Roosevelt mettere in campo un programma di assistenza all’Unione Sovietica anche con il benestare dei cattolici americani.
Questa operazione è documentata, e se ne ha riprova nel diario di Harold Tittman[38].
Strano modo di “tifare” per Hitler contro Stalin, questo di Pio XII: considerando anche la nota di protesta che sempre von Bergen presenta al Papa, quello stesso giugno 1941. Oggetto? L’indignazione tedesca per le trasmissioni anti-tedesche (e filo-polacche) della Radio Vaticana[39].
Casarrubea e Cereghino poi citano un informativa inviata a von Bergen da Berlino il 10 dicembre 1942. Essa parla di un colloquio con MyronTaylor, secondo cui questi propone al Papa una trattativa di pace con la Germania, in caso di fallimento dell’offensiva prevista per la primavera del 1943. E che il Papa abbia proposto a Taylor «un accordo di base con la Germania», nel caso in cui Hitler avesse mano libera sul fronte russo.
Che Bergen si sia inventata una “bufala” per compiacere i superiori ce lo dicono le carte di Taylor, e in particolar modo i verbali delle sue conversazioni con Pio XII del 21 e 22 settembre 1942: né gli Stati Uniti pensano a una pace separata con la Germania; né il Papa sta pensando a frapporre a qualsiasi costo i suoi buoni uffici per dar modo a Hitler di distruggere l’Unione Sovietica.
Poco ci dice invece il documento del 23 febbraio 1943 (fra l’altro, proprio in questo periodo Hitler è arrabbiato col Papa per il suo radiomessaggio natalizio del 1942): raccogliticce sono le informazioni, e prive di alcuna rilevanza. Così come scarsa rilevanza ha il pensiero del Card. Spellman, che riflette l’illusione americana secondo cui Stalin, dopo la guerra, assicurerebbe la libertà religiosa in Unione Sovietica. Inesatta è poi la pretesa (smentita dalle fonti) che vi siano in quel periodo dei «piani inglesi per la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina»: ipotesi beninteso respinta dalla Santa Sede; ma anche respinta anche dai dirigenti britannici, che hanno ancora il Mandato su quei territori.
Nemmeno von Weizsäcker, esiliato in Vaticano come successore di von Bergen, si rivela un ambasciatore più attendibile. Anche lui aspira, per motivi personali, a presentare i rapporti tedesco-vaticani come un giardino di delizie.
Egli scrive il 3 settembre 1943 che il Vaticano teme che gli alleati aprano la strada al bolscevismo in Europa: e allora? Il Papa è preoccupato anche per le sorti dell’Italia. E allora?
Ma poi la chicca: «Da una trascrizione attendibile di un colloquio sostenuto da un pubblicista politico italiano con il papa», Bergen apprende che Pio XII ha parlato della Germania come un grande popolo che ha versato il suo sangue sul fronte russo e che non può pensare che tale russo possa essere travolto e la Germania sconfitta.
A parte la stranezza di un Papa come Pio XII che si mette a ricevere un giornalista, a cui manifesta i suoi più intimi pensieri sulla pace e sulla guerra, sulla Germania e sulla Russia, nessun documento avvalora ciò che Weizsäcker scrive.
Anzi. Weizsäcker, nel corso della sua missione diplomatica in Vaticano, si rende responsabile di una omissione: quella decisiva.
Accade quel tragico 16 ottobre 1943, quando viene convocato in Vaticano, una volta che il Papa ha saputo della razzia degli ebrei romani. Il Cardinal Maglione esterna all’ambasciatore le sue rimostranze, chiede che il rastrellamento cessi immediatamente, altrimenti la Santa Sede sarebbecostretta a protestare e si affiderebbe alla Provvidenza per le conseguenze. Weizsäcker promette di impegnarsi ma chiede al Vaticano di non riferire a Hitler di questo colloquio. Il Vaticano lo lascia libero di comunicare o no a Berlino la conversazione, purché la razzia abbia subito fine[40].
Ecco perché di questa conversazione non si troverà traccia negli archivi tedeschi: l’ambasciatore tedesco in Vaticano ne tacque. Sicché si trovano solo due telegrammi posteriori, che riflettono solo la sua ansia di dire che con il Papa, anche dopo la razzia degli ebrei romani, in fondo va tutto bene e che il Vaticano non farà niente[41].
Vi è quindi un “silenzio di von Weizsäcker” mai seriamente indagato dalla storiografia. Tanto più che il suo collega Osborne, come abbiamo visto, nel suo dispaccio del 31 ottobre 1943 conferma pienamente gli eventi del 16 ottobre precedente, così come emergono dai documenti vaticani.
Come ha scritto Jacques Nobécourt, non certo tenero verso Pio XII, i documenti tedeschi inviati dal Vaticano «manipolavano in larga misura la realtà, trasmettendo interpretazioni più che informazioni […]. Nulla a che vedere con le preoccupazioni e le iniziative intraprese nello stesso momento dalla Santa Sede, relative alle persecuzioni religiose in Germania e nei territori occupati. Weizsäcker, successore di Bergen, seguì la stessa strada: evitare a ogni costo la rottura tra il suo governo e la Santa Sede, perseguendo quella che definiva “una politica di mutua non interferenza”. A beneficio del papa, cancellava i punti più spigolosi delle istruzioni ricevute, e per calmare Berlino, dipingeva un Pio XII spaventato dall’idea del crollo del Reich, “baluardo contro il bolscevismo”, e che auspicava un’alleanza generale in funzione antisovietica. Mosso da ottime intenzioni, e in pari tempo desideroso di non mettersi in cattiva luce a Berlino, Weizsäcker travestì i messaggi di cui era latore, al punto da meritarsi il seguente giudizio: i suoi rapporti vanno considerati “tra i documenti più consapevolmente truccati nella storia della diplomazia moderna”»[42].
6. Conclusioni
Quando si vuol fare polemica, le conclusioni sono sempre provvisorie. Ci limiteremo a dire che, da quanto emerge in precedenza, non esiste soltanto una questione storiografica relativa al “silenzio di Pio XII”. Ne esiste anche un’altra: quella relativa al “silenzio su Pio XII”, ovvero alla omissione deliberata di documenti che sconfessano le più deteriori teorie (Pio XII filonazista, antisemita e al carro della crociata antibolscevica di Hitler).
Casarrubea e Cereghino sono solo la più recente dimostrazione, e nemmeno la più importante, di questo silenzio “su” Pio XII, e di come si possa fare un uso assai approssimativo delle fonti storiografiche, senza guardare i contesti e senza alcun riguardo a una metodologia che sia degna di questo nome.
Del resto, in linea generale, non si tratta che della solita lotta, cui si assiste da tempo in campo storiografico, tra verità vere e verità supposte. E capita non di rado che alle verità vere si preferiscano le supposte.


 

OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
20/02/2010 12:42

------------

[1] Segreteria di Stato, Archivio del Maestro di Camera, Registro 1943. Cfr. anche ADSS, vol. 7, nota 1 a p. 678.


[2] Cfr. ADSS, vol. 7, doc. 442.


[3] Foreign Relations of the United States (d’ora in poi: FRUS), 1943, vol. II, Washington DC, U.S. Government Printing Office, 1964, p. 950, nota 61. Nella stessa paginatrovasi il dispaccio di Tittman.


[4] Andrea Riccardi, Pio XII, Bari-Roma, Laterza 1984. Da ultimo, il tema è stato affrontato in maniera indiretta (ma forse più chiara, parlando dell’ospitalità data agli ebrei) anche da Richard Breitman, che ha lavorato sulle carte dell'Office of Srategic Services (OSS), antesignano della CIA.


[5] ADSS, vol. 10, doc. 388; da confrontare con la nota 1 a p. 449.


[6] Ivi, doc. 361.


[7] Ivi, doc. 361 e nota 1 a p. 449; doc. 368 e nota 1 a p. 454; docc. 369, 370, 371, 375 376, 379, 381, 383, 385 e 386.


[8] Così O. Chadwick, Britain and the Vatican, Cambridge UP, 1986, p. 198. Va ricordato che questo libro si basa proprio sulle carte private di Osborne.


[9]Ivi, pp. 198-199.


[10] Osborne a Eden, 31 ottobre 1943 tel. 400, PRO, Kew, UK: FO 371/37255.


[11] The Times, 20 maggio 1963, in O. Chadwick, Britain and the Vatican, pp. 316-317.


[12] Ivi, pp. 205-206.


[13] Rapporto RSHA del 22 gennaio 1943, Bundesarchiv Berlin, AA, Abteilung Inland, pak. 17, vol. 1, citato in A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, Milano,Mursia 1973, p. 283.


[14] Von Ribbentrop a von Bergen, 24 gennaio 1943, Bundesarchiv Berlin, AA, Büro des Staatssekretärs, vol. VI, citato in A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature, cit., p. 283.


[15] Von Bergen a von Ribbentrop, 26 gennaio 1943, Bundesarchiv Berlin, AA, Büro des Staatssekretärs, vol. VI, citato in A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature, cit., pp. 283-284.


[16] Osborne alla Segreteria di Stato, 29 dicembre 1942, ADSS, vol. 8, doc. 577.


[17] ADSS, vol. 6, doc. 77.


[18] Xfr. Mons. Godfrey a Eden, 6 dicembre 1942, Segreteria di Stato, Archivio Delegazione Apostolica di Londra, HG 116 FO.


[19] Maglione al Delegato Apostolico a Washington, Cicognani, 28 dicembre 1942, ADSS, vol. 8, doc. 575.


[20] ADSS, vol. 8, nota 1 a p. 756.


[21] Così W. B. Breuer, Deceptions of World War II, New York, Wiley 2001, p. 168.


[22] Cfr. Bob Moore, Resistance in Western Europe , Oxford, Berg 2000, p. 235; per un quadro più romanzato: W.B. Breuer, Top Secret Tales of World War Two, New Yok,Wiley&Sons 2000, p. 134.


[23] Cfr. Hitler's Horoscope, in “History Today”, vol. 58, 5: May 2008, p. 3.


[24] M.L. Napolitano, Pio XII tra guerra e pace. Profezia e diplomazia di un papa (1939-1945), Roma, Città Nuova 2002, p. 239.


[25] NARA, RG 226, Records of the Office of Strategic Service: Events at the Vatican, Boston Series No. 10, Box G-2/File X-2.


[26] Cfr. ADSS, vol 7, docc. 503 e 505.


[27] Special Black Report No III #28: The Pope and Russia, allegato al Memorandum di William J. Donovan per il Presidente. NARA, RG 226, MI1642, OSS Archives Records of the OSS Washington’s Director Office, Roll 24, 735-746.


[28] Hoare a Eden, 28 ottobre 1942, PRO, FO 371/33412, citato in A. Rhodes, Il Vaticano e le dittature 1922-1945, Milano, Mursia, 1973, p. 284


[29] Il testo latino dell’Enciclica trovasi in PRO, FO, R6565/158/57.


[30] Osborne a Eden, 29 giugno 1943, PRO, FO, R12445/158/57.


[31] ADSS, vol. 9, doc. 247.


[32] PRO, FO, 12965/4200/22. Cfr. anche Index to the Correspondence of the Foreign Office, part. IV, Kraus, Neldeln, 1972, p. 520.


[33] NARA, RG 59, Roll 535, ff. 240042-240043.


[34] ADSS, vol. 5, p. 11.


[35] Cfr ADSS, vol. 2, pp. 49 ss.


[36] ADSS, vol. 4, doc. 428.


[37]  Note del Cardinal Maglione, 10 settembre 1941, ADSS, vol. 5, doc. 69.


[38] H. Tittman Jr., Inside the Vatican. The Memoirs of an American Diplomat during World War II, New York, Doubeday, pp. 56-68.


[39] ADSS, vol. 4, doc. 430.


[40] Nota del Cardinal Maglione, 16 ottobre 1943, ADSS, vol. 9, doc. 368.


[41] Von Weizsäcker a von Ribbentrop, 17 e 28 ottobre 1943, in Saul Friedländer, Pio XII e il Terzo Reich, Milano Feltrinelli, 1964, p. 186-187.


[42] J. Nobécourt, Il “Silenzio”di Pio XII, in Dizionario storico del Papato, Milano, Bompiani 1996, p. 1188.



[Tratto da:
http://vaticanfiles.splinder.com/]

OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
20/02/2010 12:46

pacelli4
A chi legge: meglio sedersi e stampare. E’ cosa lunga.

Ci risiamo. Pseudo-ricercatori scatenano pseudo-polemiche con pseudo-rivelazioni. Il loro scopo? Farsi postulatori di cause di “beotificazione” nei confronti di creduli acritici lettori che essi considerano tutt’al più dei buoni selvaggi con osso al naso e sveglia al collo.
Ancora Cereghino e Casarrubea.
Sì, ancora loro: i due sedicenti studiosi, che pur di sparare a zero su Pio XII, sono pronti a carpire la buona fede di due autorevolissimi ma ignari giornalisti della carta stampata, come Antonio Carioti del “Corriere della Sera” e Pierangelo Sapegno della “Stampa”.

Ma andiamo per ordine.



In perfetta sincronia, l’ennesimo attacco a Pio XII viene sferrato (sì, è questo il participio da usare) il 1° febbraio scorso, dal “Corriere”e dalla “Stampa”.

Il primo giornale titola: Shoah e Pio XII: nuove carte inglesi. «Non condanna i crimini nazisti». Riccardi: conferma la linea di prudenza, e in catenaccio: Scoperti [SIC] due documenti del ’43 e del ’44. La Santa Sede: tutti i testi vanno letti in un contesto generale.
“La Stampa” invece è più diretta nel suo titolo: Pio XII: le prove del silenzio. L’ambasciatore scriveva: «Teme più i comunisti che le stragi di ebrei». Il catenaccio così annuncia: Trovati negli archivi [SIC] di Kew Gardens documenti scottanti: un telegramma e una lettera di due diplomatici. I due occhielli a corredo dell’articolo di Sapegno sono inesorabili: Il diplomatico D’Arcy: «Gli suggerii un appello per le persecuzioni in Ungheria. Non lo fece»; e ancora: L’incaricato d’affari [SIC] USA: «Deportarono mille israeliti romani. Lui non si indignò»

***

Al gentile lettore è bene anticipare una cosa: i virgolettati attribuiti a Osborne e a Tittman nel catenaccio e negli occhielli dei due articoli non (dico non) sono citazioni tratte dai documenti. Non sono parole dei due diplomatici. Sono soltanto elaborazioni fantasiose dei due giornali. Quei virgolettati, infatti, non esistono nei documenti di cui si parla. E questo già dovrebbe chiarire il senso dell’operazione mediatica.

Lo so. 
Lo so che articolisti e titolisti sono due diverse categorie di giornalisti. Nondimeno, certi titoli e sottotitoli in parte tradiscono il lavoro di chi scrive l’articolo, in parte tradiscono la verità stessa (sempre da perseguire, per un giornalista serio); e certamente trasformano i giornalisti in giornalai. Perché il titolone sparato in forma di scoop fa vendere e fa discutere.

Ma di che cosa parliamo? Di che parlano questi due articoli?
Essi ci informano di due dispacci diplomatici: uno inviato il 19 ottobre 1943 (tre giorni dopo la retata degli ebrei romani), dal rappresentante personale di Myron Taylor in Vaticano, Harold Tittman (un diplomatico sui generis trasmigrato in Vaticano dall’ambasciata americana a Roma, dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti); l’altro inviato il 10 novembre 1944 dal Ministro britannico a Roma, Osborne.

Che cosa ci dicono il “Corriere della Sera” e “La Stampa” su questi documenti?
Anzitutto entrambi gli articoli riportano citazioni assai limitate, ed entrambi mettono in risalto lo scoop archivistico, con queste parole: «Alla luce documenti di rilievo» che «provengono dagli archivi nazionali londinesi di Kew Gardens» (“Corriere”); «Ieri da Londra sono venuti alla luce documenti abbastanza scottanti» (“La Stampa”). Anzi, proprio “La Stampa” chiude il suo articolo in un vertiginoso crescendo: «Certo, i documenti saltati fuori dagli archivi inglesi getterebbero ombre un po’ pesanti» sulla causa di beatificazione, essendo «sbucati fuori dal silenzio ecc.».

Che tiri aria di scoop si evince peraltro anche dal
blog di Casarrubea, il quale parla del dispaccio di Tittman come del «documento, da noi ritrovato a Londra poche settimane fa». Ipse dixit.

Contento lui, Casarrubea. Con Cereghino avrebbe almeno potuto risparmiarsi il costo del biglietto aereo per Londra, se solo entrambi avessero saputo che il documento di Tittman «ritrovato»era noto fin dal 1964, perché pubblicato nella serie documentaria Foreign Relations of the United States (1943, vol. II, p. 950); ed era noto, in lingua italiana, fin dal 1978, poiché pubblicato da Ennio Di Nolfo nel suo volume Vaticano e Stati Uniti. Dalle carte di Myon Taylor (Milano, Franco Angeli, 1978) e ancora dallo stesso Autore riedito nel 2003, nel CD-Rom allegato al suo Dear Pope. Vaticano e Stati Uniti. La corrispondenza segreta di Roosevelt e Truman con Papa Pacelli (Roma, IN-Edita, 2003).

Ma era da immaginarlo. Cereghino e Casarrubea non sono nuovi al fatto di pubblicare come inedito ciò che si sa da anni. E’ già successo nell’ottobre 2008, quando diedero in pasto al pubblico, come materiale inedito, un dispaccio di Osborne del 19 ottobre 1943, che addirittura il sito de La Repubblica rilanciò alle 19,57 del 18 ottobre 2008: notizia poi “rifischiata” dall’ANSA. Ma anche quel documento era già noto dal 1986, perché ne aveva fatto menzione Owen Chadwick, nel suo libro Britain and the Vatican during the Second World War (Cambridge, Cambridge U.P, 1986).
Si dirà: ma questo libro è introvabile, roba da specialisti. No: il libro di Chadwick è stato tradotto (meglio tardi che mai) anche in Italia, dalle Edizioni San Paolo, nel 2007! Casarrubea e Cereghino non lo sapevano?

L’operazione del 1° febbraio scorso assomiglia quindi molto a quell’operazione del 2008, ma è molto più interessante, perché questa volta è in ballo la credibilità di due importanti testate nazionali e di giornalisti degni peraltro della massima stima.

Propongo allora tre passi.

1) vedere il modo in cui “Corriere della Sera” e “La Stampa” hanno trattato la questione
2) Vedere direttamente i documenti;
3) Evidenziare ciò che Casarrubea e Cereghino ignorano del tutto o che, sapendo (nota di eccessivo ottimismo) vi hanno taciuto.
1) Come il “Corriere” e “La Stampa” hanno trattano la questione

Al lettore comune di giornali, Casarrubea e Cereghino sono presentati come «due ricercatori non accademici» (così Carioti); e Casarrubea è addirittura uno «storico, specializzato [SIC] nella ricerca sugli archivi inglesi di Kew Garden». Introdotti fgli “scopritori”, i due giornali presentano i due documenti in questione.

Vediamo anzitutto il documento di Tittman, del 19 ottobre 1943. Il diplomatico americano informa il suo governo che il Papa sembra preoccupato per la sorte di Roma, che potrebbe essere un campo di battaglia nel quadro dello sviluppo degli eventi bellici; preoccupa inoltre il Papa la presenza di bande comuniste, che potrebbero commettere violenze fra la partenza dei tedeschi e l’arrivo degli Alleati a Roma. Carioti aggiunge che «Pio XII non accennò con Tittman» alla tragica razzia degli ebrei romani, svoltasi proprio tre giorni prima. Sapegno si avventura a dire che nel documento di Tittman «si descrive un Pio XII che invece di indignarsi per la deportazione degli oltre mille ebrei romani…si mostra in forte ansia» per le bande comuniste; e «per essere ancora più chiaro [sempre parole del giornalista della “Stampa”, ndr], il Pontefice a avrebbe aggiunto che fino a quel momento i tedeschi avevano mostrato grande rispetto per la Santa Sede».

Vediamo ora come viene illustrato da Carioti e Sapegno il documento del Ministro britannico in Vaticano, Osborne, del 10 novembre 1944.
Il riassunto di Carioti riguarda solo (cito il giornalista) il «suggerimento che aveva rivolto al Papa il ministro degli esteri britannico Anthony Eden , esortandolo a diffondere un pubblico appello in favore degli ebrei ungheresi. Pacelli – è sempre Carioti a parlare – gli rispose che proprio in quei giorni stava ricevendo pressioni affinché denunciasse gli abusi compiuti dai russi sulle popolazioni dei Paesi baltici…e della Polonia, ma non aveva ancora preso una decisione in proposito»; e anzi, anche caldamente esortato in tal senso da Osborne.
Perché? Perché Osborne (cito ancora Carioti) riteneva che «una simile dichiarazione sarebbe stata paragonata alla precedente “assenza di ogni condanna specifica dei crimini tedeschi”».

«Precedente», s'intenda bene, è un avverbio aggiunto da Carioti nel suo articolo; Osborne, infatti, non dice affatto che in precedenza mancò ogni condanna specifica della Germania. Ma su ciò possiamo sorvolare. Il Papa assicura comunque il ministro che la condanna contro i sovietici sarebbe anonima, così com’era stato fatto nel caso della condanna dei crimini tedeschi. Carioti aggiunge che Osborne e il Papa concordano sul fatto che i crimini sovietici non sono paragonabili a quelli nazisti, e nella fattispecie allo sterminio sistematico degli ebrei nelle camere a gas.
Più o meno le stesse cose dice Sapegno, il quale aggiunge un sibillino «meglio tacere dunque» dopo aver detto che il Papa avrebbe eventualmente condannato i russi in forma anonima.

Questo il resoconto giornalistico di Carioti e Sapegno, condito da alcune dichiarazioni raccolte a caldo da illustri storici.


2) Che cosa dicono esattamente i documenti oggetto dello scoop?

Nel primo documento, quello di Tittman del 19 ottobre 1943, Pio XII esprime preoccupazioni per la sorte di Roma, e la speranza che le truppe alleate «trovino possibile circondare Roma e così obbligare i tedeschi a ritirarsi senza sottoporre la città alle distruzioni dovute al combattimento».
Fra l’altro, Pio XII non solleva la questione di Roma “città aperta” (ricordo che proprio il suo cruccio della “città aperta” lo avrebbe esposto alle critiche puerili di chi diceva che ilo Papa pensava solo e soltanto a Roma…).
Pio XII  è anche preoccupato dall’assenza di ordine pubblico a Roma, e del fatto che «elementi irresponsabili (ha detto che è noto che piccole bande comuniste stazionano nei dintorni di Roma attualmente) possano commettere violenze nella città durante il periodo tra l’evacuazione tedesca e l’arrivo degli alleati».
La terza preoccupazione del Papa è per la situazione alimentare. Pio XII spera che tutte le questioni che lo preoccupano siano prese in considerazione degli alleati.
Nel documento, c’è poi un’aggiunta. Il Papa osserva che «l’ufficiale comandante generale tedesco in Roma [si tratta del generale Kurt Mälzer, ndr] sembra ben disposto verso il Vaticano. Ha aggiunto tuttavia che egli sentiva restrizioni dovute alla “situazione anormale” [queste due ultime parole sono testuali del Papa, ndr]».
Come si vede, la paura che l’ordine pubblico fosse compromesso da elementi irresponsabili (comunisti; ma possiamo escludere in Roma vi permanessero anche bande di fascisti fanatici?), fra la partenza dei tedeschi e l’arrivo degli alleati, è cosa ben diversa dal preoccuparsi dei comunisti perché il Papa li odiava e odiava l’Unione Sovietica, ecc.ecc.
Tornerò su alcune cose tra Vaticano e URSS nel terzo paragrafo, quello dei dulcis in fundo della mia analisi. Basterà qui dire che leggendo il documento di Tittman nella sua interezza, si vede che il tema delle bande di «elementi irresponsabili» è solo una parte del tutto: dato che Pio XII nutriva anche altri timori, che espresse liberamente a Tittman.

Che cosa dice esattamente, invece, il documento di Osborne?

a) Osborne ringrazia il papa per l’ospitalità di quattro anni in Vaticano;
b) Egli ringrazia il Papa per aver tollerato che diplomatici di paesi in guerra con l’Asse, e ospitati in Vaticano, contrariamente agli usi comunicassero all’esterno, «abusando della sua ospitalità con l’inviare informazioni politiche e militari fuori della Città del Vaticano».
Pio XII quindi tollerava che diplomatici alleati facessero attività militari e di spionaggio under his very window, proprio sotto la sua finestra!
c) Osborne ringrazia il Papa per accolto nove ufficiali britannici e due prigionieri di guerra americani. Pertanto, scrive Osborne, «il Governo di Sua Maestà ha col papa un debito di gratitudine…»
d) Il Papa dice a Osborne che sulla questione della richiesta di condannare i sovietici non ha preso alcuna decisione in proposito, «e in ogni caso la sua condanna sarebbe anonima»; ciò che Osborne appunto gli scongiura di fare. Ma Pio XII lo interrompe subito aggiungendo che «non si tratta affatto di fare alcun riferimento facendo il nome della Russia».
e) Osborne puntualizza che i crimini nazisti comunque non potevano essere paragonati a quelli russi, cosa su cui «Sua Santità non mosse obiezione».
f) Osborne aggiunge che «la storia non offriva nulla di comparabile alla condanna all’estinzione di massa da parte di Hitler nei confronti della razza ebraica, o comparabile a ai metodi - camere a gas, morte per fame, ecc. - con cui li aveva posti in essere e ancora li stava attuando. Su ciò il Papa concordò».
g) Osborne informa che il Papa gli ha espresso grave ansietà per la situazione in Italia, e Osborne concorda sul fatto che essa sia preoccupante («disquieting»), ma non disastrosa.

Il quadro, come si vede, è molto più ricco di quello riportato da Carioti e da Sapegno. E molto più complesso dell’arbitraria semplificazione fattane dai due “scopritori”, Casarrubea e Cereghino.

Aggiungo che il vero inedito è proprio il secondo dispaccio, quello di Osborne
Lo è solo dal punto di vista tecnico: questo perché il Governo britannico non ha ancora pubblicato la serie ufficiale dei documenti diplomatici sul periodo 1939-1945. Si consideri poi che il documento è a sua volta una copia a stampa per uso interno, quindi neppure firmata da Osborne.

Dal punto di vista sostanziale, invece, il contenuto del dispaccio di Osborne è anch’esso noto da tempo, cioè esattamente dal 1980. Ne fa cenno, infatti, un appunto di Montini, dell’8 novembre, contenuto nel decimo volume dei documenti vaticani (Nota di Monsignor Montini, ADSS, vol. 10, doc. 388, p. 474, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1980). Il documento è datato 8 novembre 1944 e sembra essere il sommario proprio dell’incontro tra Osborne e Pio XII, che il Ministro inglese, come si è visto, colloca due giorni dopo. La differenza di date può non essere rilevante (si consideri, fra l’altro, che il documento trovato a Kew è, a sua volta, una copia a stampa per uso interno, neppure firmata), ma la somiglianza di contenuto fra i due documenti, pur di lunghezza molto diversa, è straordinaria. Con un’aggiunta: nella nota di Montini si parla anche di una proposta avanzata al Papa da ambienti ebraici, di cui Osborne si sarebbe fatto latore, ma di cui purtroppo non si ha altra traccia.

3) Dulcis in fundo. Ciò che Casarrubea e Cereghino ignorano o che vi hanno taciuto

Emergono insomma alcuni elementi interessanti dai documenti esaminati; ma li si è trascurati per parlare sempre e ancora una volta del silenzio di Pio XII sulla Shoah, e in particolare, stavolta, sulla sorte degli ebrei ungheresi.

E proprio così?
No che non è così. Perché, nel momento in cui Osborne ricorda a Pio XII la proposta di Eden di parlare per gli ebrei ungheresi, la Santa Sede è già intervenuta per loro (e sta continuando a farlo); dunque la raccomandazione di Eden è del tutto superflua. Limitandoci ai dintorni cronologici del dispaccio di Osborne, sappiamo ad esempio che il 23 maggio 1944 il nunzio a Budapest Rotta scrive al Vaticano: «Nella spinosa e dolorosa questione della campagna anti-ebraica in Ungheria ho creduto conveniente non limitarmi a sole proteste orali presso il Governo Ungherese, ma di inviargli pure una nota» (ADSS, vol. 10, doc. 207).
La nota di cui parla Rotta è del 15 maggio 1944: si tratta di una protesta contro l’ingiustizia dei decreti antigiudaici, che peraltro non distinguono fra ebrei battezzati e no (il battesimo era il modo ritenuto più rapido per sfuggire alle leggi razziali; ma i governi collaborazionisti ponevano restrizioni sempre maggiori per evitare che le loro leggi antisemite fossero aggirate, appunto, con un uso strumentale del battesimo).
A parte la distinzione, la nota chiedeva in ogni caso che nelle misure adottate fossero sempre «rispettati i diritti fondamentali della persona umana». Cosa molto più importante, per il Vaticano «il semplice fatto di perseguitare degli uomini per il solo motivo della loro origine razziale, è una violazione del diritto naturale. Se il buon Dio ha dato loro la vita, nessuno al mondo ha il diritto di toglierla o di negare loro i messi per il quali possano conservarla: a meno che non sia stato commesso un crimine. Ma prendere delle misure antisemite, non avendo alcuna considerazione del fatto che molti ebrei ricevendo il battesimo sono divenuti cristiani, è una grave offesa alla Chiesa» e contrastante con la tradizione cristiana dell’Ungheria la quale, se non fosse tornata sui suoi passi, si sarebbe macchiata nei secoli a venire di una grave colpa (ADSS, vol. 10, Annessi I e II al doc. 207)

Che la linea d’intervento della Santa Sede non riguardi poi soltanto gli ebrei ungheresi battezzati è confermata in un’altra serie d’interventi, di cui fin dal 7 giugno 1944 proprio Harold Tittman (l’autore del primo dei documenti dello scoop) è stato informato (ADSS, vol 10, doc. 223, e che risalgono alla promulgazione delle leggi razziali ungheresi, ossia al giugno 1941 (ADSS, vol. 8, doc. 95 e 114), per poi continuare senza sosta.
Nel novembre del 1944, quindi, per gli ebrei ungheresi si sta già facendo molto. E non è affatto strano che lo stesso Osborne, nel suo documento, non si trattenga più del necessario sulla proposta di Eden. Non è la proposta di Eden, infatti, il tema principale del dispaccio; essa è solo un fatto incidentale.

Chiarito il caso ungherese, resta il sospetto del “silenzio”. Osborne pensava che Pio XII si disinteressasse degli ebrei?
Se Casarrubea e Cereghino avessero scavato meglio negli archivi, si sarebbero accorti di un dispaccio di Osborne del 31 gennaio 1943, avente per oggetto la razzia degli ebrei romani di pochi giorni prima: ossia uno dei temi più scottanti sul presunto “silenzio” del Papa.
Non c’è bisogno di dire che questo documento è ampiamente noto. Eccolo qui in versione integrale:

«Non appena seppe degli arresti di ebrei a Roma – scrive dunque Osborne al suo governo - il Cardinale Segretario di Stato diresse e formulò all'Ambasciatore tedesco una [sorta? Questa parola è illeggibile ndr] di protesta. L'Ambasciatore si mosse immediatamente con il risultato che gran parte di loro fu rilasciata. L'intervento vaticano sembra dunque esser stato efficace nel salvare un certo numero di queste sfortunate persone. Ho chiesto di sapere se potessi io riferir questo e mi fu detto che avrei potuto ma solo per nostra conoscenza e non per darne pubblica ragione, poiché ogni pubblicazione d'informazioni condurrebbe probabilmente a nuove persecuzioni» (Osborne a FO, 31 ottobre 1943 tel. 400, PRO, Kew, UK: FO 371/37255).

Per chi non lo sapesse, Osborne conferma la versione dei fatti raccontata nei documenti vaticani.
Certamente, il ministro inglese non vedeva nel Vaticano tutto rose e fiori: «Alcuni elementi o tendenze nella vita nascosta della Città del Vaticano,…sono tutt’altro che edificanti», scriveva a Eden il 12 novembre 1943. Ma essi non erano ricollegabili alla Chiesa, bensì a un aspetto del carattere italiano (PRO/FO 371/37554/56, citato in Chadwick, pp. 314-315).
Se Osborne avesse visto in Pio XII un pavido, non avrebbe certo tessuito un'apologia del Papa (lui non cattolico!), in una lettera a Oliver Harvey del 4 marzo 1947 (Chadwick, p. 315, ne contiene amplissimi stralci).
Se Osborne avesse avuto qualche dubbio su Pio XII, non si sarebbe scagliato contro la leggenda nera del Vicario di Rolf Hocchuth in questi termini:
«Lungi dall’essere un diplomatico freddo (il che, suppongo, implica di sangue freddo e disumano), Pio XII fu il personaggio più caldamente umano, gentile, generoso, simpatico (e, per inciso, santo) che io abbia mai avuto il privilegio d’incontrare nel corso di una lunga vita. So che la sua natura sensibile era acutamente e incessantemente sensibile al tragico volume di sofferenza umana causato dalla guerra e, senza il minimo dubbio, sarebbe stato pronto e felice di dare la sua vita per redimere l’umanità dalle sue conseguenze. E ciò senza guardare alla nazionalità o alla fede…sono sicuro che Papa Pio XII sia stato grossolanamente giudicato male dal dramma del signor Hochhuth» (The Times, 20 maggio 1963, in Chadwick, pp. 316-317).

Riteniamo che proprio le parole di Osborne mettano una pietra tombale non solo su questo finto scoop, ma anche sulle grossolane chiose con titoli, sottotitoli, occhielli e catenacci giornalistici…

La pazienza del lettore che ci ha seguito fino a questo punto merita un dulcis in fundo.

Si è detto che Casarrubea e Cereghino hanno guardato male i documenti, dimostrando peraltro di non saperli neppure leggere. Aggiungiamo che anche la loro competenza archivistica è solo presunta.
Se infatti i due avessero davvero guardato bene nelle carte inglesi, i si sarebbero accorti di tanti e tanti altri inediti che qui possiamo soltanto riportare in sintesi.

Traiamo proprio dall’Index to the Correspondence of the Foreign Office solo alcune piccolo “perle”, ma sufficienti a collocare il Vaticano del 1943-44 in una luce ben diversa:

a) Il Vescovo Ausiliare di Westminster scrive al Foreign Office in merito all’eventualità di un riavvicinamento tra l’URSS e il Vaticano per il tramite della Chiesa ortodossa russa (PRO/FO N5767/102/38).

b) Attitudine del Papa nei confronti della guerra, come espressi nel discorso della festa di S. Eugenio; errata interpretazione delle parole del papa per fini propagandistici; il papa ha parlato in favore di coloro che sono perseguitati per ragioni di razza; ha espresso simpatia per le piccole nazioni sofferenti, e specialmente per la Polonia; ha parlato contro la violazione dei principi umani a causa della guerra; desidera la pace (giugno 1943, PRO/FO R5049/R5264/R4954/158/57).

c) Desiderio del Papa che siano offerte preghiere in favore dell’Unione Sovietica (PRO/R2404/174/57)

d) Analisi da parte del Governo britannico del radiomessaggio natalizio del dicembre 1942, che propone principi per un nuovo ordine sociale (PRO/FO R158/R316/158/57)

e) Notizia di proteste del Papa contro il trattamento degli ebrei in Italia settentrionale (PRO/FO R12965/4200/22)

f) Relazioni tra il Vaticano e la Francia libera di De Gaulle, attraverso il segreto tramite di Monsignor Jullien, 1943 (PRO/FO R3910/R4542/276/57)

g) Approvazione da parte del Segretario di Stato dei contatti segreti con la Francia libera di de Gaulle; conferma dell’accreditamento di Monsignor Jullien (PRO/FO Z5797/5797/17)

h) Ampio attacco del Dr. Friedrich al Papa: il Vaticano è il nemico del nazionalsocialismo, 1943 (PRO/FO R5453/3893/57)

i) Denuncia delle persecuzioni razziali in Slovacchia e richiesta di un intervento in favore degli ebrei slovacchi, 1944 (PRO/FO C15757/1343/12)

j) Notizia di un messaggio di congratulazioni del Papa a Hitler e rapporto successivo che destituisce la notizia di qualsiasi fondamento (PRO/FO R11922/203/57; PRO/FO R12608/R13903/203/57)

k) Pio XII e la Repubblica di Salò: notizia secondo cui Mussolini avrebbe chiesto al Vaticano la ripresa delle relazioni diplomatiche, e di una replica vaticana secondo cui il Trattato del Laterano è stato concluso con il Re d’Italia s non con il Partito fascista e che il Vaticano, essendo neutrale, non può riconoscere Governi nati durante la guerra (PRO/FO R7149/1944/57)

Concludendo.
Quando si guarda oltre, si vede che il panorama offerto dai documenti sui fatti storici è forse molto più ricco; e che gli scoop storiografici non di rado si rivelano dei boomerang.
Ma questo è un adagio ormai antico e, forse proprio per questo, negletto.

http://vaticanfiles.splinder.com/
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
20/02/2010 12:51

Giovanni Battista MontiniLa storia è la seguente.

Da un po' di mesi due "storici" siciliani, Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino vengono insufflati dall'ANSA, che dà notizia di eccezionali documenti "inediti" pubblicati sul loro blog . Documenti che si rivelano regolarmente già pubblicati da altri. Ingannati dal gusto dell' "esclusiva", infatti, da un po' di tempo i due "storici" finiscono regolarmente per essere smentiti da chi fa notare loro che ciò che considerano "inedito" in verità è già stato pubblicato grazie al lavoro di altri, che regolarmente non vengono da loro citati.

Nulla è più inedito di ciò che si ignora. E gli studi storici non fanno eccezione.

Ma andiamo per ordine.

STEP 1)

Casarrubea e Cereghino se ne escono il 27 novembre 2008 con l'articolo "Quando Montini vedeva rosso"

Ecco che cosa scrivono, nel loro "cappello" introduttivo:

"La Rai si ostina da anni a dipingere molti personaggi del XX secolo in maniera agiografica e poco critica. Lo ha fatto, ad esempio, qualche anno fa con l’orrenda fiction su un improbabile Alcide De Gasperi, interpretato dall’attore Fabrizio Gifuni. Ma non contenta la televisione di Stato si accinge a propinarci un mega film televisivo che sarà trasmesso in due parti domenica  30 novembre e lunedì   1° dicembre. Non conosciamo il contenuto dello sceneggiato, ma siamo sicuri che eviterà accuratamente di affrontare il ruolo centrale svolto da Montini nella lotta contro i comunisti in Italia nel dopoguerra.

Il documento che presentiamo, da noi rintracciato al Nara di College Park nel Maryland nel 2004, ci mostra un futuro Paolo VI che vede rosso ovunque, che teme la presa del potere del Pci al Nord, nonché l’invasione russo-jugoslava al confine orientale. Fobie senza alcun fondamento come gli fa giustamente notare il diplomatico statunitense Parsons nell’inedita veste di interprete della realtà italiana come effettivamente si presentava: un Paese stremato dalla seconda guerra mondiale e dalla fame.

Insomma tra i due che conversano in una delle sontuose stanze del palazzo apostolico, Montini è il falco infastidito dagli scioperi degli operai delle fabbriche e dei contadini alle prese con la fame di terra e la sete di libertà, Parsons invece è la colomba che capisce le difficoltà dell’emergenza postbellica e non vede complotti bolscevichi dietro ogni angolo. Insomma la storia, anche quella recente, non finisce mai di sorprenderci. In barba alle leggende su un papa, Paolo VI, che nel 1968 si sussurrava fosse addirittura “comunista”.

STEP 2)

Ed ecco il documento, nel testo tradotto dagli "storici" Casarrubea e Cereghino (i puntini sospensivi li hanno messi loro)

"SEGRETO
DESTINATARIO: Segretario di Stato (Washington)
MITTENTE: J. G. Parsons (Santa Sede, Roma)

TITOLO: L’attuale situazione italiana. Verbale di conversazione tra Sua Eccellenza Monsignor Montini, segretario di Stato della Santa Sede, e il signor Parsons (n. 29). (Cfr. Nara, reg. 59, s. 1068, b. 15, f. Memoranda of Conversation ,1947, M.T.)

16 – 17 settembre 1947

Monsignor Montini mi ha convocato presso il suo ufficio, la sera di martedì, per comunicarmi che il Papa è rimasto turbato dai recenti rapporti sulla situazione nell’Italia settentrionale. Di conseguenza, il Papa ha chiesto a monsignor Montini di sondare le nostre impressioni al riguardo. Secondo una serie di resoconti ricevuti in Vaticano da fonti considerate attendibili, i comunisti hanno ricevuto nuove istruzioni da Mosca con l’obiettivo di provocare la caduta del Governo De Gasperi con ogni mezzo, ricorrendo anche alla forza. I rapporti indicano che l’attuale ondata di scioperi altro non è che il primo passo dello sviluppo di una fase rivoluzionaria, mentre altre informative si riferiscono allo spostamento di circa 500.000 soldati jugoslavi, guidati da ufficiali russi, verso il confine orientale italiano. Infine, alcuni dispacci illustrano l’ostruzione (di scarse proporzioni ma apparentemente deliberata) dei movimenti delle unità dell’esercito italiano nell’Italia settentrionale.

Ho replicato a monsignor Montini che, anzitutto, sarebbe mio desiderio incontrarmi con l’ambasciatore Dunn, in modo da poter fornire alla Santa Sede la miglior valutazione possibile, e la più aggiornata, sulla situazione in atto. […] Tuttavia, ho informato Montini che l’addetto alle questioni sindacali della nostra ambasciata in Italia era appena tornato a Roma dal Nord. A suo dire, i motivi economici e politici che stavano dietro agli attuali scioperi erano genuini. Inoltre, per quanto riguarda i piani comunisti per la presa del potere, ho comunicato a Montini che mi risultava difficile pensare che i comunisti desiderassero scegliere questo particolare momento.

Dopo aver sostenuto un colloquio con l’ambasciatore Dunn nella mattinata di mercoledì, sono tornato da Montini quello stesso pomeriggio. In risposta alla sua domanda iniziale (“Notizie buone o cattive?”), ho subito replicato: “Entrambe”. In rapporto agli scioperi, non siamo convinti che si tratti del primo passo di un tentativo rivoluzionario per la presa del potere o per isolare l’Italia settentrionale. Gli ho quindi consegnato un riassunto del telegramma n. 2734, spedito a Washington dalla nostra ambasciata di Roma in data 12 settembre 1947, aggiungendo che questa era l’unica stagione in cui uno sciopero dei lavoratori agricoli non aveva alcun senso. Per altro, non riteniamo che essi possano permettere che il raccolto del riso sia danneggiato; oppure, che i comunisti osino promuovere uno sciopero così impopolare. A questo punto, Montini ha commentato che lo sciopero, se andasse avanti per molto tempo, potrebbe danneggiare i comunisti; ed ha aggiunto che, finora, le mie notizie erano buone.

Per quanto riguarda i movimenti di truppe, ho detto a Montini che i rapporti dell’intelligence sul tema si contano a dozzine. Tuttavia, non si riscontrano particolari movimenti (a cui Montini aveva accennato) e non vi è alcuna conferma che possa scoppiare nell’immediato una crisi provocata da queste truppe. Gli ho quindi elencato i passi che stiamo assumendo per monitorare la situazione italiana.

In relazione alle informative secondo le quali i comunisti hanno ricevuto nuovi ordini per la presa del potere con ogni mezzo, noi riscontriamo che in Francia e in Italia, per un lungo periodo di tempo, sono effettivamente circolate voci in tal senso. In sintesi, se l’avessero voluto, i comunisti sarebbero stati in grado di andare al potere. Dobbiamo quindi chiederci perché non l’hanno fatto. Le risposte sono almeno tre:

1) come si legge sulla rivista Foreign Affairs, i comunisti non hanno un calendario operativo. La loro dottrina, infatti, li rassicura sul fatto che i governi non comunisti cadranno in ogni modo. Per questo motivo, la loro propaganda è aggressiva mentre le loro mosse strategiche si richiamano alla cautela;

2) al momento, i comunisti sembrano temere la “seconda fase”, ovvero il pericolo di una guerra causata da un’aggressione aperta;

3) ed ecco le notizie cattive: i comunisti non solo sono convinti che il Piano Marshall fallirà, ma prevedono anche che l’Italia affronterà presto una crisi del dollaro dovuta all’inconvertibilità della sterlina britannica. In altre parole, i comunisti devono solo rimanere immobili e aspettare che l’Italia cada tra le loro braccia (ho illustrato a Montini quest’ultimo punto utilizzando alcuni dei ragionamenti contenuti nel telegramma n. 2772, spedito da Roma a Washington in data 16 settembre 1947).

A questo punto, Montini ha nuovamente affrontato la questione degli scioperi. A suo dire, sono le astensioni dal lavoro che impediscono all’Italia di aiutare se stessa e inducono gli Stati Uniti a non sostenerla. E sono proprio questi i fattori che spingono l’Italia tra le braccia dei comunisti. […].

Siamo poi passati a discutere brevemente la questione dei partiti minori e la tendenza di molti italiani a ritenere che si possa essere “comunisti italiani” o “comunisti cristiani”. Una gran parte, inoltre, è convinta di essere in grado di liberarsi dei “comunisti di Mosca” al momento opportuno. Dalle affermazioni di Montini, è risultato chiaro che egli (come noi) considera queste idee assolutamente false. La Chiesa cattolica utilizza tutta la sua influenza per persuadere i partiti minori che lo scontro in atto non è tra le varie convinzioni politiche, bensì tra il comunismo e la civiltà occidentale. […]."

STEP 3)

Montini quindi era un anticomunista convinto, una sorta di "falco", E il documento "inedito" di cui sopra lo dimostra.

Letto il documento"inedito", io ho risposto quanto segue:

"Il documento in questione non è un inedito, come in questo blog si è sostenuto fino a qualche ora fa (salvo poi correggere il tiro). Il documento fu pubblicato nel 1978 da Ennio Di Nolfo nel volume “Vaticano e Stati Uniti. Dalle carte di Myron Taylor”, e dallo stesso rieditato nel 2003 nel libro “Dear Pope”
La segnatura archivistica è la seguente: NA, RG 59, Taylor Papers, box 15. Tutto ciò è noto, lo ripeto, dal 1978. Che lei non se ne sia accorto (e non sarebbe la prima volta), è, per la storiografia seria, del tutto irrilevante".

STEP 4)

Ecco la risposta degli "storici" al mio intervento sul loro blog.

"Caro prof. Napolitano,
ci dispiace sinceramente che Lei abbia reagito così male alla notizia dell’Ansa.
Effettivamente, Lei ha ragione e ci scusiamo dell’errore. Come Lei stesso ha notato, abbiamo provveduto immediatamente a rimuovere la dicitura “inedito” dal nostro blog. Tuttavia, il nostro obiettivo era chiaro: tramite l’Ansa, intendevamo comunicare a migliaia di lettori che la parabola ecclesiastica e politica di Giovanni Battista Montini presenta tuttora molti punti oscuri, che la storia ufficiale tende a mantenere tali. L’occasione è data dalla trasmissione della fiction televisiva che la Rai manderà in onda in onda questa sera e domani.

In ogni modo il problema non è che il documento sia edito o inedito, che qualcuno l’abbia già pubblicato o meno in un volume che avranno letto sì e no alcune centinaia di studenti universitari.
La questione centrale è la contestualizzazione di questo documento e di molte altre carte in un periodo che vede la Santa Sede e il Comando alleato fare il bello e il cattivo tempo in Italia. Il loro obiettivo consisteva nel garantire la sostanziale continuità tra fascismo e postfascismo a danno delle forze popolari, laiche e cattoliche, che avevano liberato l’Italia dal nazifascismo e che si battevano per una democrazia autentica e sana.
Ci è parso utile, dunque, mettere in evidenza l’atteggiamento oltranzista e assai poco cristiano di una personalità che è passata alla storia per le sue presunte aperture alle istanze della realtà contemporanea.
Il documento del 16-17 settembre 1947 in questione presenta risvolti addirittura comici, tant’è che lo stesso James Graham Parsons è costretto ad indosssare le vesti dell’uomo di sinistra chiarendo a Montini che gli scioperanti non scendevano in piazza perchè comunisti, ma perchè di fatto soffrivano la fame.
E’ opportuno in ultimo ricordare che l’ argentino Uki Goni e altri storici sparsi al di qua e al di là dell’Atlantico, hanno da tempo ampiamente dimostrato, carte alla mano, il ruolo centrale svolto da Montini e da Pacelli tra il ‘46 e il ‘48 nel salvataggio ignobile di centinaia e centinaia di ustascia croati, nazisti tedeschi e austriaci, fascisti italiani. Tutti colpevoli di gravissimi crimini di guerra e contro l’umanità. Come affermano molte carte da noi rintracciate a Londra e a Washington, il Vaticano riteneva che questi “gentiluomini” servivano a combattere il “comunismo” in America latina e in altre parti del mondo.


STEP 4)

A questo punto, proprio per la cortesia usatami ma anche per precisare alcuni punti del dibattito, ho inviato una replica assai dettagliata; che i due "storici" non hanno pubblicato.

Come non hanno pubblicato una replica di Andrea Tornielli, vaticanista de "Il Giornale".

Evidentemente il moderatore del loro blog non è ciò che si dice "un cuor di leone".

Ecco dunque il testo integrale della mia risposta che avrei gradito fosse pubblicata sul loro blog:


"Gentilissimi Dottori,

Innanzitutto grazie per l'ospitalità nel Vostro blog, di cui profitto nuovamente per una replica più articolata.

Accetto senz'altro le vostre scuse, che denotano grande apertura al dibattito.
Devo tuttavia rilevare che gli "scoop" storiografici non sono a Voi nuovi. Se la memoria non m'inganna, un episodio del genere si è già verificato di recente, nella seconda metà dell'ottobre scorso, a proposito di alcuni documenti del Public Record Office, noti da tempo grazie allo studio "Britain and the Vatican" di Owen Chadwick, uscito in Gran Bretagna e in America nel 1986 oltre che naturalmente dalla raccolta "Foreign Relations of the United States".

E' senza dubbio bene che il vostro sito pubblichi in originale documenti che a mio avviso sono interessantissimi. Basterebbe, per completare il quadro e non fuorviare i lettori, aggiungere magari "edito anche in..." Anche perché, come sapete, non c'è nulla di più inedito di ciò di cui non si suppone l'esistenza.

E' assolutamente fuori luogo sostenere che che io abbia reagito male alla notizia dell'Ansa. Io mi sono imitato a deplorare la metodologia, ossia quella sorta di "eccitazione della citazione" che porta a vantare primati di editoria documentaria, che vengono poi regolarmente smentiti.

Proprio per questa ragione le Vostre scuse sono tanto più gradite; anche se esse andrebbero girate ai lettori meno esperti, e proprio per un fatto di onestà intellettuale.

E adesso veniamo alle Vostre considerazioni.

Innanzitutto, un'osservazione di metodo.

Contrariamente a quello che Voi sostenete, Il volume di Ennio di Nolfo non è stato letto sì e no da qualche centinaio di studenti universitari. Il volume è stato letto da migliaia e migliaia di studenti e di studiosi, ha conosciuto una prima e una seconda edizione, entrambe fortunatissime, ed è un classico della letteratura diplomatica per ciò che concerne i rapporti tra Stati Uniti e Vaticano, peraltro scritto da uno dei capiscuola della Storia delle relazioni internazionali in Italia (del quale è ormai un classico anche il manuale che reca appunto il titolo “Storia delle Relazioni Internazionali, ormai alla sua terza edizione per Laterza).

In secondo luogo, prendere un solo documento, decontestualizzandolo, è operazione sempre assai rischiosa. A mio sommesso avviso, sarebbe stato assai più prudente lasciare che i lettori si formassero un'opinione personale, semplicemente sulla base di una serie articolata di documenti. Partire da un solo documento per sostenere una tesi storica, infatti, esporrebbe immediatamente a controdeduzioni da parte di chi dispone di molti altri documenti che quella tesi smentiscono del tutto.

Per esempio: vi si potrebbe chiedere di articolare la tesi dell'alleanza Vaticano-Stati Uniti ai fini della continuità (sic!) tra fascismo e post-fascismo, a cui alludete nel “cappello” introduttivo al documento su Montini, e che non mi è ben chiara. Potrete farlo sul blog o dovunque, con i documenti di cui dite di disporre. Ma dovranno essere documenti che provano inconfutabilmente questa tesi, e che siamo tutti ansiosi (come immaginerete, non solo il solo studioso che vi legge, e altri studiosi ora stanno leggendo anche me).

In terzo luogo, la contestualizzazione di questo documento non è esatta. Far partire questa storia dalla fine del 1947 è inesatto. Il 9 febbraio 1946 (1946), c'è il discorso di Stalin al primo Congresso postbellico del PCUS. E' da quel momento che inizia, a mio avviso, la Guerra fredda, perché è in quel momento che si rompe la coalizione dei vincitori.

Se avrete modo di leggere quel documento, capirete moltissimo della "cortina di ferro" (che nella locuzione originale si tradurrebbe in "sipario di ferro").

Non solo. Ma attribuire a Montini una "politica estera" nel settembre 1947, ossia in un momento in cui solo Pio XII è il Segretario di Stato di se stesso, è del tutto errato. L'azione di Montini non è che il riflesso della politica anticomunista di Pio XII il quale, beninteso, si muoveva in un contesto in cui Stalin era diventato molto più aggressivo in Europa (saprete certamente che l'URSS, ad esempio, dopo Yalta mantiene quel pezzo di Polonia datogli da Hitler, per non parlare degli eventi successivi, come il già ricordato discorso di Stalin del 1946, la reazione sovietica al lancio del Piano Marshall, il colpo di Praga e il blocco di Berlino).

Voglio poi ricordare che si era alla vigilia del ritiro delle forze di occupazione alleate, previsto dopo l'entrata in vigore del trattato di pace italiano. Che sarebbe accaduto a un'Italia sguarnita di ogni protezione, proprio alla vigilia delle prime elezioni politiche? In questa chiave si può leggere la prima parte del documento che anche voi pubblicate: Mosca ha dato la rivoluzione come parola d'ordine; con questo bisogna fare i conti alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948.

E' chiaro, quindi, che Montini non ha una sua "politica estera". Pio XII è il più stretto collaboratore di se stesso; e questo lo leggiamo in documenti che voi stessi dovreste conoscere.

Apprendiamo ad esempio dalle carte di Myron Taylor che "la Santa Sede è stata senza un Segretario di Stato. I compiti che spettano a questo ufficio sono ora divisi tra il Papa stesso e due sottosegretari di Stato [ossia Tardini e Montini, ndr]. Negli ambienti vaticani si ritiene che questa sia una situazione insoddisfacente. I membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede trovano spesso difficile trattare affari ordinari con i sottosegretari poiché da un lato essi esitano a impegnare il tempo del Papa per ogni questione in discussione, dall'altro non sono sempre certi dell'autorità di un sottosegretario per trattare il soggetto in questione". (Tittmann a Byrnes, 25 luglio 1945, National Archives II, College Park, Md, Rg. 59, 866A.00/7-2545, in E. Di Nolfo, "Vaticano e Stati Uniti", Milano, Franco Angeli, 1978, doc. 247)

E questa è una situazione che dura dall'estate del 1944!

Che la Santa Sede sia preoccupata per il dinamismo sovietico non è pertanto né un mistero né una novità; e tantomeno costituisce un demerito. L'Unione sovietica del tempo è capeggiata da uno che si chiama Stalin, non da Gorbaciov!

Che voglio dire con ciò? semplicemente quello che ci dicono i documenti:

Il 15 ottobre 1945, Tittmann inoltra a Byrnes, dalla Città del Vaticano, un memorandum confidenziale consegnatogli da Montini "nel quale sono descritte le condizioni che si afferma esistessero nella zona occupata dai russi a Berlino durante i mesi di aprile, maggio e giugno del 1945. Alcune delle affermazioni contenute nel memorandum tolgono il respiro, ma questo ufficio non è in grado di valutare l'accuratezza delle informazioni raccolte né l'opinione del loro autore, il cui nome non è stato indicato. Tuttavia, il fatto che mons. Montini di sua propria iniziativa ritenesse appropriato fornirmi tali informazioni sembrerebbe implicare che la Santa Sede considera tale fonte come degna di fede" (National Archives II, Rg. 59, Taylor Papers, box 9, in E. di Nolfo, cit.,doc. 253). Il memorandum in questione su ciò che i russi stanno facendo nella loro zona berlinese, a leggerlo, certamente toglie il respiro, ed è purtroppo confermato da altre fonti, e in particolare dal bel libro di Anthony Beevor, "Berlino 1945" (Milano, Rizzoli, 2004), specialmente negli ultimi tre capitoli (il libro è basato su numerose fonti archivistiche).

E veniamo ora al documento da Voi proposto.

Ci sono delle correzioni che, a mio avviso, occorrerebbe apportare per migliorarne la comprensione.

Quando,ad esempio, si parla dei motivi per cui sinora i comunisti, pur avendo la possibilità di prendere il potere con ogni mezzo, e non l'hanno fatto, voi così traducete:

"Come si legge sulla rivista Foreign Affairs, i comunisti non hanno un calendario operativo. La loro dottrina, infatti, li rassicura sul fatto che i governi non comunisti cadranno in ogni modo. Per questo motivo, la loro propaganda è aggressiva mentre le loro mosse strategiche si richiamano alla cautela".

Nel documento originale, conservato nelle carte di Myron Taylor si legge invece: "Primo, come Mr. X ha scritto in Foreign Affairs...".

Ma chi era “Mr X”? Era nient'altro che il diplomatico George F. Kennan, in forze all'ambasciata americana a Mosca, e autore di un lungo segretissimo telegramma inviato al Dipartimento di Stato il 22 febbraio 1946 (Foreign Relations of the United States, 1946. Eastern Europe, the Soviet Union, Volume VI, 1946, pp. 696-709), in cui egli commentava appunto il discorso di Stalin al PCUS del 9 febbraio 1946, traendone le conclusioni. Questo telegramma (visibile anche sul sito dell'Avalon Project dell'Università di Yale e su quello della George Washington University) apparve nel 1947 sulla rivista "Foreign Affairs" a firma, appunto di "Mr. X".

Tutto questo fa concludere per un rapporto di causa-effetto tra il discorso di Stalin, che io ricordavo, e la politica di "containment" americana, inaugurata appunto in seguito al "lungo telegramma" di Kennan.


Nella traduzione da Voi qui proposta, invece, non citando "Mister X", ossia Kennan, non si coglie affatto questo nesso, e il lettore può esserne tratto in inganno.

Secondo punto. Quando si parla degli scioperi e del punto di vista di Montini, vengono aggiunti alla fine dei puntini di sospensione, che sottraggono al lettore una parte consistente del documento.

Dopo la considerazione di Montini, secondo cui gli scioperi in atto "spingono l'Italia nelle braccia dei comunisti", il discorso viene spezzato senza citare quanto il diplomatico americano gli risponde.

Ecco il seguito.

"Ho risposto - scrive Parsons nella parte da Voi omessa - che nonostante ciò il nostro governo resta risoluto a aiutare con gli interim aids, se esso riuscirà a risolvere i problemi tecnici relativi alla concessione di denaro e merci in tempo. Tutto però dipende da due fattori: 1) la continua determinazione del governo italiano e, 2) il Congresso americano. Montini mi ha chiesto se potevo dirgli quando il Congresso si riunirà e che cosa farà. Gli ho spiegato perché non c'è risposta a entrambe le domande in questo momento e ho aggiunto che avremo sei o sette gruppi di membri del Congresso a Roma nel prossimo mese o nelle prossime sei settimane. Sono sicuro che molti di essi chiederanno udienza al Santo Padre che senza dubbio, come sempre, farà su di essi e sulla loro mente una profondissima impressione. Montini ha detto che egli farà in modo che questi gruppi ricevano la migliore udienza possibile".

Che significa tutto ciò?

Significa che, lungi dal sottovalutare le considerazioni di Montini, Parsons lo aveva assicurato che, per impedire all'Italia di cadere nelle braccia dei comunisti, gli Stati Uniti avevano varato gli "interim aids", ossia degli aiuti economici, approvati alla fine del 1947, non solo in favore dell'Italia, ma anche in favore di Francia e di Austria, per colmare il vuoto finanziario di cui i paesi occidentali avrebbero risentito fra l'autunno del 1947 (e, guarda caso, il documento è del settembre 1947!) e il varo dell'European Recovery Program (ERP), ossia del Piano Marshall, il cui lancio operativo era previsto all'inizio del 1948.

Perché dare soldi nell'attesa che arrivassero i consistenti finanziamenti del Piano Marshall? Perché evidentemente la povertà dilagante, i ritardi nella ricostruzione e la diffusa indigenza economica delle popolazioni avrebbero implicato il rischio di spingere i paesi occidentali nelle braccia dei sovietici, legalmente, alla prima consultazione elettorale, o per via rivoluzionaria.

Ecco quindi smentita la Vostra tesi secondo cui "Montini è il falco infastidito dagli scioperi degli operai delle fabbriche e dei contadini alle prese con la fame di terra e la sete di libertà, Parsons invece è la colomba che capisce le difficoltà dell'emergenza postbellica e non vede complotti bolscevichi dietro ogni angolo"

Le cose non stanno affatto così.

Se gli Stati Uniti vararono degli aiuti interinali per dar modo alle democrazie italiana, francese e austriaca di resistere all'impeto dei forti partiti comunisti che operavano al loro interno e, in senso più lato, per opporsi all'Unione Sovietica, ciò significa semplicemente che anche gi americani (e Parsons) credevano di dover fronteggiare in Europa occidentale un'emergenza postbellica in cui l'aggressività dei partiti comunisti occidentali agli ordini di Mosca era tutt'altro che da sottovalutare.

Solo con aiuti concreti, ossia finanziando la ricostruzione ancor prima che entrasse in funzione il Piano Marshall, sarebbe stato possibile sottrarre quelle popolazioni alla sirena comunista. Al punto che, avendo il Congresso un ruolo importante nel varo di questi aiuti, Parsons diede a Montini una "dritta" sul modo di far presente ad alcuni congressisti, in prossima visita a Roma, quale fosse il punto di vista del Vaticano.

Altro, quindi, che distinzione tra un Montini “falco” e un Parsons “colomba”!

Quanto a Uki Goni, che è un giornalista e non uno storico, e ad altri storici (ma a chi esattamente vi riferite?) che carte alla mano avrebbero ampiamente dimostrato "il ruolo centrale svolto da Montini e da Pacelli tra il '46 e il '48 nel salvataggio ignobile di centinaia e centinaia di ustascia croati, nazisti tedeschi e austriaci, fascisti italiani", rendendosi responsabili e quindi capofila della cosiddetta "Operazione Odessa", io non solo ho la fortuna di avere la maggiore letteratura su questo caso, ma posso aggiungere due osservazioni su Goni, di cui ho le varie edizioni del libro, in inglese e in italiano (avendo anche cisto quella in lingua originale spagnola).

Forse non è noto che nella prima di queste edizioni Goni si azzardò a scrivere il capitolo sul Vaticano e Odessa senza documenti a suffragio delle sue tesi. Il che la dice lunga sullo "storico". Egli ammise l'errore e preparò in fretta una seconda edizione, solo dopo essersi recato al PRO a prendere i documenti utili a suo avviso a suffragare la tesi del perfido Pio XII filonazista.

Quando uscì questa seconda edizione io mi trattenni da qualsiasi giudizio, in attesa di leggere tutta la documentazione prodotta. Lessi attentamente, testo e tutte le note, ma mi presi anche la briga di procurarmi negli archivi britannici tutta (tutta) la documentazione usata da Goni in quel capitolo sul Vaticano. Mentre ai National Archives di college Park, in Maryland, mi procurai il famoso "Rapporto LaVista"(con tutti gli allegati).

Studiato il tutto, ho scoperto che la tesi di Goni non regge, e che anzi essa può reggere solo coi tagli (i puntini di sospensione, i corsivi abbreviativi del discorso diretto, eccetera) di cui Goni ha infarcito il suo libro.

Per esempio, non è noto che alcuni di questi "criminali" non erano tali semplicemente perché trattavasi di errore di persona. Lo dicono i documenti, ma Goni lo tace.

Ma c'è molto altro che per ora non posso anticipare, perché oggetto di un mio futuro saggio.

Beninteso. Con questo non voglio negare che l'Operazione Odessa abbia avuto protagonisti alcuni prelati vaticani, e che ciò sia stato altamente deprecabile per tutta la Chiesa cattolica; ma che certamente né Montini né tantomeno il Papa Pio XII ebbero a che fare con tutta questa vicenda.

La prova? Non c'è un documento, che sia uno, usato da Goni o da altri (ma possiamo anche citarli per nome?) che possa dimostrare il contrario.

Desidero ringraziarVi nuovamente per l'attenzione e per la cortesia usatami nel rispondere.

Chiudo dicendo che io non vedo la storia da destra o da sinistra. La giudico solo dal metodo che si usa.  E, per quanto la storia sia una scienza umana e non esatta, cerco di non asservire mai i documenti alle mie convinzioni personali, o a tesi precostituite, ritenendo ciò una tattica del tutto fallimentare.

 

Questa è la storia, fatta senza gli "omissis" di Casarrubea e Cereghino. Ed è tutta un'altra storia.

http://vaticanfiles.splinder.com/


Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 06:48. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com