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I diplomatici anglo-americani in Vaticano e il “silenzio” di Pio XII

Ultimo Aggiornamento: 20/02/2010 12:51
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5. Gli “altri documenti su Pio XII” di Casarrubea e Cereghino

In risposta al nostro primo articolo, Casarrubea e Cereghino hanno propinato un “copia-incolla” di documenti d’archivio, su cui ci soffermeremo molto brevemente, rispettando l’ordine nel quale li hanno proposti.

Per evitare inutili ripetizioni, rimandiamo direttamente all’articolo che quei documenti propone. Aggiungiamo qui solo che i documenti non sono riportati integralmente, ma sono pieni di omissis perché trascritti dai due “ricercatori”. Sarebbe stato forse opportuno che essi proponessero gli originali, come hanno fatto (va riconosciuto: meritoriamente) in altri casi. Di fronte agli omissis, come sappiamo, occorre pertanto diffidare, a prescindere dalle buone intenzioni di chi li compie: è solo una questione metodologica.

Ciò detto andiamo avanti.

5.1 Il primo documento che Casarrubea e Cereghino propongono è, ancora una volta, un dispaccio del ministro britannico in Vaticano Osborne, del 29 dicembre 1942. Attenzione alle date: perché il 17 dicembre c’è stata la dichiarazione interalleata contro lo sterminio degli ebrei e il 24 successivo il famoso radiomessaggio natalizio del Papa. In questo radiomessaggio Pio XII, com’è noto, parlò in favore delle «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento».

Abbiamo fatto questa premessa perché citare un dispaccio di Osborne del 29 dicembre 1942 senza citare il contesto può rivelarsi un boomerang.

Osborne certamente all’epoca non poteva saperlo; ma Casarrubea e Cereghino (pure così solerti frequentatori di archivi) dovevano conoscere l’esistenza di un rapporto segreto siglato dal Reichssicherheitshauptamt [ossia: Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, o RSHA, ndr) del 22 gennaio 1943, e che von Ribbentrop ritrasmise, con precise istruzioni che vedremo, all’ambasciatore tedesco in Vaticano Diego von Bergen, il 24 gennaio successivo. Il documento è un promemoria del Governo nazista proprio sul Radiomessaggio di Pio XII del 24 dicembre 1942. Per la sua importanza, il rapporto del RSHA va citato quasi integralmente:

«Il Papa – vi si legge – in maniera del tutto sconosciuta prima di oggi, ha ripudiato il Nuovo Ordine Europeo del nazionalsocialismo. La sua radio-allocuzione è un capolavoro di travisamento clericale della concezione del mondo nazionalsocialista. E’ vero che egli non ha menzionato per nome i nazionalsocialisti tedeschi, ma il suo discorso è tutto un lungo attacco contro tutto ciò che noi rappresentiamo…Egli concepisce la personalità umana in termini interamente individualistici e liberali. Considera un’aberrazione l’idea che la personalità emani dalla società collettiva. Dice di compiacersi del fatto tale atteggiamento (quello di noi nazionalsocialisti) “incontri una resistenza che cresce di continuo”. Dio, egli afferma, guarda a tutti i popoli e a tutte le razze come se fossero meritevoli della stessa considerazione. E’ chiaro che parla a nome degli ebrei…Nel trattare di questioni economiche fa riferimento a “nuovi sistemi” che sono un labirinto di false dottrine dai risultati imprevedibili per la società umana. Anche in questo caso egli fa riferimento al nazionalsocialismo, poiché dice che quando l’economia e il lavoro non sono governati dai principi soprannaturali della religione tanto il lavoro che il lavoratori si trovano privati della loro nobiltà…Che questo discorso sia diretto esclusivamente contro il Nuovo Ordine Europeo quale concepito dal nazionalsocialismo risulta chiaro dall’asserzione del papa secondo cui l’umanità è debitrice nei confronti di coloro i quali, durante la guerra, hanno perduto la loro Patria, e di quanti, non per loro colpa ma solo a causa della loro nazionalità e della loro origine, sono stati uccisi o ridotti nella più abietta miseria. Qui egli, virtualmente, accusa il popolo tedesco di ingiustizia nei riguardi degli ebrei e si fa portavoce dei criminali di guerra ebraici»[13] .

Von Ribbentrop, il ministro degli esteri nazista, avallò in toto le considerazioni contenute nel Rapporto del RSHA, che inoltrò all’ambasciatore tedesco in Vaticano, von Bergen, il 24 gennaio 1943, con le seguenti istruzioni:

«Da alcuni sintomi parrebbe che il Vaticano sia disposto ad abbandonare il suo normale atteggiamento di neutralità e a prendere posizione contro la Germania. Sta a Voi informarlo che, in tal caso, la Germania non è priva di mezzi di rappresaglia»[14] .

In risposta a queste istruzioni, il 26 gennaio 1943 l’ambasciatore von Bergen scriveva di aver parlato con Pio XII. Ed ecco il suo resoconto del colloquio:

«Ho conferito con Sua Santità nel senso delineato dalle vostre istruzioni. Quando ho accennato al fatto che i rapporti tra la Germania e la Santa Sede potrebbero essere troncati, con tutto quello che in ciò è implicito, Sua Santità ha osservato dapprima un assoluto silenzio. Poi, nella maniera più calma che sia possibile, mi ha detto che nulla gli importava di quanto potesse accadere alla sua persona, aggiungendo che una lotta tra la Chiesa e lo Stato poteva risolversi soltanto in un modo: con la sconfitta dello Stato. Gli ho risposto che ero di parere contrario. Dissi che Sua Santità, ovviamente, non poteva rendersi conto di quanto i cattolici tedeschi si risentissero dell’atteggiamento antipatriottico del clero cattolico. Un conflitto allo scoperto avrebbe potuto riservare alla Chiesa alcune sgraditissime sorprese, e da un tale conflitto emergerebbe vittorioso soltanto un comune avversario, il bolscevismo. Ho detto al Papa che, a seguito dei succitati motivi, l’atmosfera generale andava ripulita, specie nel senso che le lagnanze del Vaticano dovevano cessare e le direttive della stampa dovevano fasti più moderate di tono, con particolare riguardo all’Osservatore Romano che, giorno più giorno meno, rovesciava fiumi d’inchiostro contro la Germania senza mai nominare, peraltro, la Spagna “rossa” o il Fronte Popolare francese.

A questo il papa rispose che la posizione assunta dall’Osservatore Romano poteva essere spiegata nei termini più semplici: tutto l’interessamento, tutte le cure, tutte le preoccupazioni di quel tempo in seno al Vaticano erano incentrate sulla Germania.

Pacelli non è pi sensibile alle minacce di quanto lo siamo noi.

Nel caso di una rottura aperta con noi, egli calcola che alcuni cattolici tedeschi rinnegheranno la loto Chiesa, ma è fermamente convinto che la maggioranza di essi rimarrà fedele alla sua Fede. Prevede pure che il clero cattolico tedesco riuscirà a farsi coraggio e a predisporsi ai più grandi sacrifici»[15] .

Questo è dunque l’effetto prodotto in Germania dal radiomessaggio di Pio XII del Natale 1942. Il che mostra l’inutilità del dispaccio di Osborne del 29 dicembre 1942, come prova del “silenzio” del Papa.

A Osborne, infatti, il Papa dice di aver già parlato in favore degli ebrei nel suo radiomessaggio natalizio. Quello che conta, pertanto, ai fini della valutazione del “silenzio” di Pio XII, è l’accertamento delle fonti tedesche. E proprio queste fonti ci parlano di un’indignazione nazista, nei duri termini che abbiamo visto. Che altro desiderare?

Osborne parla anche di un dissenso con il Papa. Se non si guarda alle fonti vaticane non si capisce dove Casarrubea e Cereghino vogliano arrivare. Essi vorrebbero per caso provare un dissenso tra Osborne e il Papa in merito a una denuncia aperta dei crimini nazisti? Anche se Osborne fosse in dissenso col Papa, egli avrebbe torto, visto quello che pensano i tedeschi; per i quali la denuncia di Pio XII è stata fin troppo aperta; come ritiene anche un giornale non certo diretto da cattolici, come il New York Times, nel numero del 25 dicembre 1942.

Ma il dissenso tra Osborne e Pio XII? Esso non riguarda il parlare-tacere sui crimini nazisti, bensì  la sorte di Roma. E lo capiamo dal resoconto dell’udienza del 29 dicembre, contenuto nei documenti vaticani.

Da tali documenti si evincono, dell’udienza del 29 dicembre 1942, alcuni importanti elementi:

a)      Osborne consegna al Papa la nota interalleata del 17 dicembre 1942

b)     Osborne suggerisce che il Papa possa appoggiare tale dichiarazione con una pubblica dichiarazione

c)      In mancanza di tale pubblica dichiarazione, il Governo britannico insisterebbe in via urgente sulla necessità che il Papa adoperi la sua influenza, o attraverso una pubblica dichiarazione o per il tramite dei vescovi tedeschi, «per incoraggiare i cristiani tedeschi, e particolarmente i cattolici tedeschi, a fare tutto ciò che è in loro potere per frenare questi eccessi»[16].

Osborne raccomanda al Papa una parola più chiara? Raccomandazione inutile: il Papa ha già trasmesso il suo Radiomessaggio natalizio, suscitando a Berlino i negativi effetti che abbiamo visto. Inutili quindi le esortazioni di Osborne: come il Papa si stia comportando verso i tedeschi sono i tedeschi stessi a dirlo.

Ma allora il «dissenso» tra Osborne e il Papa? Esso non riguarda il parlare o non parlare chiaramente in favore degli ebrei. Ce lo dice lo stessoOsborne, in una nota del 28 dicembre 1942[17]. Il dissenso tra Vaticano e Santa Sede riguarda il possibile bombardamento di Roma[18]. Eden aveva risposto alle lamentele vaticane contro un eventuale bombardamento incaricando il Ministro di Sua Maestà in Vaticano, Osborne, di dire al Papa che il Governo inglese non avrebbe esitato a bombardare Roma, se lo avesse ritenuto utile e conveniente per il corso della guerra. Ogni sforzo, tuttavia, sarebbe stato fatto per preservare nella sua integrità la Città del Vaticano. Al che il Papa aveva obiettato che la richiesta era fatta per Roma, non per la sola Città del Vaticano.

Osborne che chiede al Papa una parola chiara, proprio mentre i tedeschi scrivono che il Papa è stato fin troppo chiaro verso di loro: questa è la situazione.

Strana che questa «ambiguità» o pavidità di Pio XII si trovi comprovata, proprio all’indomani del radiomessaggio natalizio del 1942, da queste parole:

«Prego far sapere oralmente Rabbino Rosenberg New York, essere giunto Santo Padre appello della Unione rabbini ortodossi America et Canada, assicurando che, al riguardo, Santa Sede ha fatto et fa quanto può»[19].

E appelli del genere si moltiplicano[20]; come si motiplicano, da parte ebraica, le espressioni di riconoscenza nei confronti di Pio XII.

5.2 E che cosa dice Osborne, nel secondo documento, quello del 31 dicembre 1942? Narra la reazione euforica dei suoi colleghi al radiomessaggio del 1942. Fra l’altro, tornato sui termini usati nel radiomessaggio del 1942, Osborne si sente dire dal Papa «di aver condannato la persecuzione degli ebrei», senza che lui possa dargli torto.

Condanna indiretta? Non specifica? Non avremmo riserve a giudicarla anche tale se non sapessimo delle reazioni tedesche: a Berlino si pensa, delle parole del Papa, l’esatto contrario di ciò che pensano gli inglesi. E tanto basta.

5.3 Non comprendiamo poi l’esatto valore di documenti come le Note sulla Cooperazione con il Vaticano di Sir Charles Hambro, che Casarrubea eCereghino sbandierano con innocente candore.

Hambro non era un “vaticanista”, non conosceva assolutamente nulla dell’azione della Santa Sede, e tanto meno del lavoro di Osborne in Vaticano. Nel momento in cui egli redige il suo memorandum, sta lavorando in una “Commissione per il sabotaggio dell’acqua pesante” in Norvegia; è nell’Esecutivo del SOE ed è incaricato dei contatti con il suo omologo americano, il capo dell’Office of Strategic Services (OSS: l’antesignano della CIA), il colonnello Donovan.

Nel 1943 Hambro viene ai ferri corti con Donovan (ma anche coi servizi segreti francesi) non solo perché «i navigati funzionari dell’intelligence britannica e del SOE trovavano difficile – se non impossibile – trattare alla pari i giovanotti americani» [21], ma anche per divergenze gravissime su questioni legate all’impostazione delle iniziative in Medio Oriente. Per il resto Hambro si occupa di gestione delle materie prime, ma soprattutto delProgetto Manhattan[22].

Ma ecco un’altra gustosa diversione sull’agente britannico. Charles Hambro, a quanto pare, fu anche un agente segreto alquanto credulone. Egli prestò cieca fede, come altri suoi colleghi dell’intelligence britannica, alla bizzarra teoria di un ungherese, Luis de Wohl (poi assunto dal SOE per far opera di propaganda e tenere conferenze in America), secondo cui Hitler prendeva ogni sua decisione strategica basandosi sull’astrologia, e solo dopo aver consultato il suo astrologo personale, Karl Ernst Krafft[23]. Questo tanto per colorire il personaggio.

Senza tema di smentita, dunque, quando scrive di Vaticano, Hambro si dimostra una penna saccente e in libertà. Ne sa poco, e quel poco che sa, lo sa male.

Solo un talebano alla rovescia (ossia convinto della giustezza del martirio…altrui) può infatti scrivere che «a nostro avviso, un certo livello di martirio sarebbe politicamente utile alla Chiesa cattolica, se ciò servisse a riconquistare la fiducia di Paesi come la Polonia». Follia allo stato puro, condita da furore anticattolico; a riprova di quanto Hambro conosca assai poco e assai male il quadro diplomatico e operativo della Santa Sede e di tutta la Chiesa cattolica in favore delle vittime di guerra (specialmente in Polonia).

Che cosa prova quindi quel documento? Che il Governo britannico tenne conto delle elucubrazioni di Hambro? No di certo.

E infatti Casarrubea e Cereghino ci informano che «qualche giorno dopo il Foreign Office decide di accantonare il piano del SOE [cioè diHambro]». Cadogan è molto scettico su tutta l’operazione, e inoltre bisognerebbe consultare Osborne. E Osborne si mostra del pari scettico.

Quindi l’operazione viene accantonata, anche perché , dato che non si sa chi dovrebbe essere l’alto contatto di Hambro in Vaticano per attuare il suo piano; ed è chiaro che il Foreign Office ritiene l’operazione del tutto irrealizzabile.

Ma questo che cosa proverebbe contro Pio XII?

5.4 E veniamo al riassunto delle opinioni di Weizsäcker, prese dagli archivi americani.

Per la quarta volta Casarrubea e Cereghino non si accorgono che il documento da loro “trovato” è stato già pubblicato, e da tempo. In questo caso, lo ha pubblicato il sottoscritto, esattamente nel 2002[24].

Ma non interessa questo, ora, essendo acclarata la scarsa dimestichezza che i due “studiosi” hanno con le fonti.

Interessano invece altre considerazioni.

Il documento è tratto dalle carte di Fritz Kolbe, un piccolo funzionario del ministero degli esteri tedesco, che decide di passare segretamente al nemico americano, al quale trasmette tantissima documentazione, poi denominata e archiviata con l’iniziale del suo cognome (Kappa).

Kolbe prende il nome in codice di “George Wood” e rende i suoi servigi senza scopi di lucro, retto solamente dalla convinzione che sia ormai necessario abbattere la dittatura hitleriana. La sua credibilità aumenta grazie alle rivelazioni su un caso di fuga di notizie dall’ambasciata britannica ad Ankara, in favore di quella tedesca (“caso Cicero”). Insomma una top-spy story.

Veniamo al documento: tanto per cambiare, Casarrubea e Cereghino ne tagliano parti interessanti. Riecco pertanto il documento in tutto il suo splendore:

«Il Papa è giunto a una decisione circa il suo messaggio natalizio, quest’anno più lungo del normale, e perlomeno ha deciso di tenerne uno. Spera che i nazisti manterranno il fronte militare sul fronte russo ed è ansioso per una pace al più presto possibile, poiché altrimenti il comunismo sarebbe il solo vincitore emergente dalle devastazioni militari. Il sogno del Papa è quello di un’unione dei vecchi paesi civilizzati dell’Occidente con l’isolamento del bolscevismo verso est nello stesso modo in cui Papa Innocenzo XI unificò il continente contro i musulmani e liberò Budapest e Vienna. Egli continua senza successo nei suoi tentativi d’influenzare le potenze occidentali lungo queste linee. I governi britannico e americano non presterebbero ascolto alle sue proposte. Il Vaticano era estremamente contrariato dai risultati delle Conferenze del Cairo e di Teheran. Il Papa sta cercando ancora di vedere se può proseguire nella sua opera per influire sulle potenze occidentali e come dovrebbe procedere. Egli è tenace, maestremamente sensibile laddove il suo prestigio è messo in gioco. Il motivo politico del suo messaggio natalizio sarà distogliere le potenze occidentali dalla formula della resa incondizionata. Egli progetta nel suo messaggio un appello diretto alle coscienze dei popoli, trascurando i loro ostinati governi, nella speranza che i popoli d’America e di Gran Bretagna ne afferrino il senso»[25].

Ora: il quadro schizzato da Kolbe nel suo dispaccio segreto a Washington (presumibilmente frutto di contatti con Weizsäcker) non era del tutto accurato.

Non può trovare conferma, ad esempio, una presunta speranza del Papa che Germania e Russia sovietica continuino a combattere, facendo la prima da baluardo contro l’avanzare del bolscevismo in Europa. Infatti, il testo del discorso (nella parte tagliata da Casarrubea e Cereghino) è un continuo appello alla «pace incondizionata».

In secondo luogo, Pio XII è certamente sospettoso nei confronti di Mosca, soprattutto nella questione della presunta “libertà religiosa” concessa in Unione Sovietica (va ricordato che a Mosca non c’era Gorbaciov, ma un certo Stalin). I documenti ci dicono tuttavia che Washington non comprende a fondo, anche se forse li condivide, questi sospetti, motivati anche dal fatto che i russi hanno sparso la voce di un imminente accordo tra Pio XII e Stalin; così generando comprensibile apprensione nei polacchi[26].

Vero. Gli agenti segreti operanti in Vaticano sanno che il Papa non si fa illusioni sul futuro della libertà religiosa in Russia, libertà che peraltro tocca più da vicino gli ortodossi; ma, dal canto loro, essi sopravvalutano l’apertura di Stalin verso la Chiesa ortodossa russa[27].

Visti i fatti, aveva ragione Pio XII a dubitare della pax religiosa di Stalin; e avevano naturalmente torto gli agenti americani a prestarvi fede. Non ci sembra di poco conto.

5.5 Esaminiamo ora quella che riteniamo a tutti gli effetti una “fola” storiografica: il Papa temeva una vittoria sovietica d pertanto contemplava con favore uno scenario dell’atea Russia debellata da Hitler.

Casarrubea e Cereghino imbastiscono questa teoria citando specialmente dei documenti tedeschi. Prima di vedere che cosa citano, una premessa.

Nel corso della loro missione in Vaticano, i due ambasciatori tedeschi, von Bergen e von Weizsäcker (specialmente il secondo) hanno un solo scopo: quello di accattivarsi le simpatie del Führer da una periferia diplomatica, qual’era per la Germania il Vaticano (Weizsäcker, che non era nazista, vi era stato mandato praticamente in esilio, dopo essere stato addirittura vice-ministro degli esteri). Dimostrare insomma, da quel recesso isolato, circondato dall’Italia fascista prima, e dall’Italia occupata dai nazisti poi, che la loro missione inanellava una serie di successi diplomatici. Vi torneremo fra un momento.

Sia chiaro che qui non è in discussione l’anticomunismo di Pio XII, o la sua paura di Stalin (di Stalin…non di Gorbaciov); qui è in discussione la tesi secondo cui, per questa semplice ragione, Pio XII auspicasse la vittoria di Hitler sui sovietici e la collaborazione fra Potenze democratiche e Germania hitleriana.

Questa, va detto a chiare lettere, è fantastoria: un approccio semplicistico che troppi documenti smentiscono.

Per non citare che due soli esempi, prendiamo i documenti d’archivio britannici.

Il primo documento è un telegramma del 28 ottobre 1942, dell’ambasciatore britannico in Spagna, Sir Samuel Hoare, a Eden. Reduce da un colloquio col Ministro degli esteri spagnolo, Serrano Suñer (la Gran Bretagna intratteneva durante la guerra, com’è noto, normali relazioni diplomatiche col Regime franchista), Hoare così riportava le parole dette da Pio XII al ministro spagnolo, circa l’ipotesi di una vittoria tedesca: «Se i tedeschi vincono, ne conseguirà il più grande periodo di persecuzione che i cristiani avranno conosciuto»[28].

L’altro documento è un promemoria del Foreign Office; anzi, per essere più precisi, è un’interpretazione di Osborne alla seconda enciclica di Pio XII, la Mystici Corporis del 29 giugno 1943. Inviando questa enciclica, anche nel suo testo latino[29], Osborne osservava che alcuni passaggi dell’introduzione erano senza dubbio diretti contro la Germania nazista[30].

Strano modo di compiacere i tedeschi crociati contro i russi, questo di Pio XII («Vedo la crociata, non vedo i crociati», avrebbe detto sarcasticamenteMons. Tardini all’ambasciatore tedesco); ma c’è di più.

Proprio il giorno della promulgazione della Mystici Corporis, il 29 giugno 1943, il Vaticano riceve il seguente messaggio dal Gran Rabbino d’Egitto:

«Gli ebrei egiziani esprimono profonda gratitudine alla Santa Sede per la generosa caritatevole attività continuamente esercitata per la protezione dei loro correligionari europei e per l’alleviamento delle loro sofferenze». Gli ebrei egiziani chiedevano quindi l’aiuto del Papa per gli ebrei internati nel campo di Ferramonti, affinché rimanessero in Italia; lo facevano rivolgendosi alla Santa Sede, «che gli ebrei del mondo considerano il loro protettore storico nell’oppressione»[31].

Di documenti di questo tipo se ne potrebbero citare a iosa. Sono di fonte ebraica, sono conservati in originale, sono pubblicati nella raccolta vaticana, e mai hanno provocato polemiche o smentite da parte di alcuno.

Strano modo vaticano di compiacere i tedeschi, si diceva. Dato che gli archivi britannici, proprio in questo periodo, riportano anche le «proteste del Papa contro il trattamento degli ebrei in Italia settentrionale»[32].

Ciò detto, esaminiamo brevemente le povere pezze d’appoggio di Casarrubea e Cereghino per dimostrare la loro tesi.

L’ambasciatore in Vaticano Diego von Bergen, il 24 giugno 1941, racconta che «un attendibile confidente» gli ha detto che «una personalità di spicco della Segreteria di Stato» ha a sua volta detto che «l’invasione tedesca della Russia non ha meravigliato il Vaticano». A parte il gioco al rimpiattino delle fonti («io dico che tu hai detto che lui ha detto»), tutto ciò che cosa significa?

Sempre von Bergen aggiunge che la Santa Sede ritiene che l’attacco tedesco alla Russia dovrebbe chiarire il nuovo assetto europeo, essendosi anzi temuto che il bolscevismo rimanesse incolume e con accresciuta potenza in Europa. La sconfitta sovietica, insomma, dovrebbe indebolire l’influenza bolscevica nel mondo.

E siamo, per Casarrubea e Cereghino, a cinque casi d’ignoranza delle fonti.

Perché, se avessero visto bene i microfilm ai National Archives di Washington[33], o semplicemente consultato un volume uscito nel 1969[34], i due si sarebbero accorti che von Bergen racconta anche altro.


 
Ecco il documento di Bergen:
«Nelle alte sfere del Vaticano, si è fatto capire, in risposta alla questione sui motivi di questa riserva [ossia: sul fatto che il Papa, come scrive a Bergenl’allora vice ministro degli esteri tedesco von Weizsäcker, mantiene delle riserve sulla guerra dell’Asse contro la Russia, non unendosi alla “crociata”, con grande disappunto di Hitler] che a giudicare dalla piega presa dagli eventi in Germania e nei territori caduti nelle nostre mani, la Chiesa cattolica e anche il cristianesimo [ossia anche i protestanti e gli ortodossi, ndr] devono temere, dopo la caduta del bolscevismo, di cadere di male in peggio (ossia di cadere, per così dire, dalla padella nella brace). Se ora il Papa prende la parola contro il bolscevismo, contro il quale la Santa Sede si è più volte spiegata a fondo, dovrebbe prendere anche posizione contro le misure anticlericali e contro le tendenze anti-cristiane della Germania. Il silenzio del Papa è la prova migliore che egli vorrebbe evitare tutto ciò che potrebbe arrecare un torto alla Germania. Una personalità in alto loco, vicina al governo italiano e a cui la mentalità vaticana è familiare, mi ha spiegato [che il papa non ha parlato pubblicamente in favore della “crociata” anti-bolscevica] per non fare un torto alla Germania e ai suoi alleati in questa fase decisiva per le sorti del mondo. Andare oltre e prendere pubblicamente e chiaramente partito in questa battaglia contro la Russia sovietica gli era stato reso impossibile dalla Germania».
Se Casarrubea e Cereghino davvero avessero conosciuto le fonti, si sarebbero poi accorti che la «personalità in alto loco» che dice a Bergen che il Papa non vuol far torto alla Germania non era affatto un monsignore o un cardinale magari vicino al Papa, e di cui quindi rifletteva il pensiero; la «personalità in alto loco» non era affatto un alto papavero della Segreteria di Stato, ma niente meno che l’ambasciatore fascista in Vaticano,Bernardo Attolico. Quindi un collega dell’Asse.
Riassumendo:
a)      von Weizsäcker scrive da Berlino a von Bergen: Hitler è infuriato perché la Santa Sede non dice una parola sulla crociata antibolscevica;
b)     von Bergen presenta la cosa in Vaticano e gli si risponde: se l’URSS cadesse sconfitta dalla crociata antibolscevica di Hitler, cadrebbe dalla padella alla brace, e sarebbe peraltro costretta a denunciare anche l’anticristianesimo nazista. E ‘ esattamente la situazione su cui Pio XII eOsborne concorderanno anche alla fine del 1944.
c)      von Bergen sente Attolico e questi lo insuffla di informazioni frutto di elucubrazioni ideologiche
d)     von Bergen sa che si gioca la sua carriera su questo tentativo di far aderire il papa alla crociata contro Mosca; confeziona quindi un dispaccio in cui il suo insuccesso non sia troppo evidente.
Ecco dunque spiegata la deformazione delle informazioni e della realtà di von Bergen nei suoi dispacci
Le sue asserzioni sono peraltro smentite dal verbale di un colloquio fra monsignor Montini e Tittman, del 28 giugno 1941. Tittman riporta in Vaticano la notizia pubblicata dal giornale nazista Deutsches Nachtrichten Büro (rivelatasi poi infondata)[35], secondo cui i vescovi tedeschi sosterrebbero la lotta di Hitler al bolscevismo. La Santa Sede condivide? No che non condivide: «Si risponde: si ignora il fatto; al quale certo la Santa Sede è estranea»[36].
Che Pio XII desiderasse la sconfitta dell’Unione Sovietica per mano della Germania è poi smentito dall’operazione condotta dagli americani, per ottenere il sostegno della Santa Sede, e quindi anche dei cattolici americani, all’idea di assistere militarmente Mosca. Questa operazione, che passò attraverso i vescovi americani, è molto documentata; e consistette nel far chiedere al Papa (da parte del Presidente americano) quale fosse l’interpretazione da dare all’enciclica anticomunista di Pio XI del 1937, la Divini Redemptoris. Pio XII fece rispondere che, pur confermando la condanna del comunismo e del bolscevismo, nulla di quell’enciclica era applicabile al conflitto bellico in atto, e poi che essa non poteva essere interpretata contro il popolo russo, per il quale il Papa stesso nutriva profondo e paterno affetto. «La Santa Sede – disse il 10 settembre 1941 il Cardinal Maglione a Myron Taylor – ha condannato e condanna il comunismo. Non ha mai avuto una parola, né può averla, contro il popolo russo. Ha pure condannato le dottrine naziste [il riferimento era all’altra enciclica, quasi contemporanea, Mit brennender Sorge, ndr]. Chi può direche il Santo Padre sia avverso e non sia invece molto amico del popolo russo? […] Del resto se si presentasse l’occasione di fare discretamente la distinzione tra comunismo e popolo russo, tra nazismo e popolo germanico, la gerarchia potrebbe farlo con autorità, sicura di non andare contro l’insegnamento pontificio»[37].
Condannare l’errore senza condannare l’errante. Fu così possibile a Roosevelt mettere in campo un programma di assistenza all’Unione Sovietica anche con il benestare dei cattolici americani.
Questa operazione è documentata, e se ne ha riprova nel diario di Harold Tittman[38].
Strano modo di “tifare” per Hitler contro Stalin, questo di Pio XII: considerando anche la nota di protesta che sempre von Bergen presenta al Papa, quello stesso giugno 1941. Oggetto? L’indignazione tedesca per le trasmissioni anti-tedesche (e filo-polacche) della Radio Vaticana[39].
Casarrubea e Cereghino poi citano un informativa inviata a von Bergen da Berlino il 10 dicembre 1942. Essa parla di un colloquio con MyronTaylor, secondo cui questi propone al Papa una trattativa di pace con la Germania, in caso di fallimento dell’offensiva prevista per la primavera del 1943. E che il Papa abbia proposto a Taylor «un accordo di base con la Germania», nel caso in cui Hitler avesse mano libera sul fronte russo.
Che Bergen si sia inventata una “bufala” per compiacere i superiori ce lo dicono le carte di Taylor, e in particolar modo i verbali delle sue conversazioni con Pio XII del 21 e 22 settembre 1942: né gli Stati Uniti pensano a una pace separata con la Germania; né il Papa sta pensando a frapporre a qualsiasi costo i suoi buoni uffici per dar modo a Hitler di distruggere l’Unione Sovietica.
Poco ci dice invece il documento del 23 febbraio 1943 (fra l’altro, proprio in questo periodo Hitler è arrabbiato col Papa per il suo radiomessaggio natalizio del 1942): raccogliticce sono le informazioni, e prive di alcuna rilevanza. Così come scarsa rilevanza ha il pensiero del Card. Spellman, che riflette l’illusione americana secondo cui Stalin, dopo la guerra, assicurerebbe la libertà religiosa in Unione Sovietica. Inesatta è poi la pretesa (smentita dalle fonti) che vi siano in quel periodo dei «piani inglesi per la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina»: ipotesi beninteso respinta dalla Santa Sede; ma anche respinta anche dai dirigenti britannici, che hanno ancora il Mandato su quei territori.
Nemmeno von Weizsäcker, esiliato in Vaticano come successore di von Bergen, si rivela un ambasciatore più attendibile. Anche lui aspira, per motivi personali, a presentare i rapporti tedesco-vaticani come un giardino di delizie.
Egli scrive il 3 settembre 1943 che il Vaticano teme che gli alleati aprano la strada al bolscevismo in Europa: e allora? Il Papa è preoccupato anche per le sorti dell’Italia. E allora?
Ma poi la chicca: «Da una trascrizione attendibile di un colloquio sostenuto da un pubblicista politico italiano con il papa», Bergen apprende che Pio XII ha parlato della Germania come un grande popolo che ha versato il suo sangue sul fronte russo e che non può pensare che tale russo possa essere travolto e la Germania sconfitta.
A parte la stranezza di un Papa come Pio XII che si mette a ricevere un giornalista, a cui manifesta i suoi più intimi pensieri sulla pace e sulla guerra, sulla Germania e sulla Russia, nessun documento avvalora ciò che Weizsäcker scrive.
Anzi. Weizsäcker, nel corso della sua missione diplomatica in Vaticano, si rende responsabile di una omissione: quella decisiva.
Accade quel tragico 16 ottobre 1943, quando viene convocato in Vaticano, una volta che il Papa ha saputo della razzia degli ebrei romani. Il Cardinal Maglione esterna all’ambasciatore le sue rimostranze, chiede che il rastrellamento cessi immediatamente, altrimenti la Santa Sede sarebbecostretta a protestare e si affiderebbe alla Provvidenza per le conseguenze. Weizsäcker promette di impegnarsi ma chiede al Vaticano di non riferire a Hitler di questo colloquio. Il Vaticano lo lascia libero di comunicare o no a Berlino la conversazione, purché la razzia abbia subito fine[40].
Ecco perché di questa conversazione non si troverà traccia negli archivi tedeschi: l’ambasciatore tedesco in Vaticano ne tacque. Sicché si trovano solo due telegrammi posteriori, che riflettono solo la sua ansia di dire che con il Papa, anche dopo la razzia degli ebrei romani, in fondo va tutto bene e che il Vaticano non farà niente[41].
Vi è quindi un “silenzio di von Weizsäcker” mai seriamente indagato dalla storiografia. Tanto più che il suo collega Osborne, come abbiamo visto, nel suo dispaccio del 31 ottobre 1943 conferma pienamente gli eventi del 16 ottobre precedente, così come emergono dai documenti vaticani.
Come ha scritto Jacques Nobécourt, non certo tenero verso Pio XII, i documenti tedeschi inviati dal Vaticano «manipolavano in larga misura la realtà, trasmettendo interpretazioni più che informazioni […]. Nulla a che vedere con le preoccupazioni e le iniziative intraprese nello stesso momento dalla Santa Sede, relative alle persecuzioni religiose in Germania e nei territori occupati. Weizsäcker, successore di Bergen, seguì la stessa strada: evitare a ogni costo la rottura tra il suo governo e la Santa Sede, perseguendo quella che definiva “una politica di mutua non interferenza”. A beneficio del papa, cancellava i punti più spigolosi delle istruzioni ricevute, e per calmare Berlino, dipingeva un Pio XII spaventato dall’idea del crollo del Reich, “baluardo contro il bolscevismo”, e che auspicava un’alleanza generale in funzione antisovietica. Mosso da ottime intenzioni, e in pari tempo desideroso di non mettersi in cattiva luce a Berlino, Weizsäcker travestì i messaggi di cui era latore, al punto da meritarsi il seguente giudizio: i suoi rapporti vanno considerati “tra i documenti più consapevolmente truccati nella storia della diplomazia moderna”»[42].
6. Conclusioni
Quando si vuol fare polemica, le conclusioni sono sempre provvisorie. Ci limiteremo a dire che, da quanto emerge in precedenza, non esiste soltanto una questione storiografica relativa al “silenzio di Pio XII”. Ne esiste anche un’altra: quella relativa al “silenzio su Pio XII”, ovvero alla omissione deliberata di documenti che sconfessano le più deteriori teorie (Pio XII filonazista, antisemita e al carro della crociata antibolscevica di Hitler).
Casarrubea e Cereghino sono solo la più recente dimostrazione, e nemmeno la più importante, di questo silenzio “su” Pio XII, e di come si possa fare un uso assai approssimativo delle fonti storiografiche, senza guardare i contesti e senza alcun riguardo a una metodologia che sia degna di questo nome.
Del resto, in linea generale, non si tratta che della solita lotta, cui si assiste da tempo in campo storiografico, tra verità vere e verità supposte. E capita non di rado che alle verità vere si preferiscano le supposte.


 

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