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Testimonianzae - p. Trento - dal n.1 al n.................

Ultimo Aggiornamento: 20/03/2010 12:51
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lunedì 18 gennaio 2010
PADRE ALDO TRENTO 11 GENNAIO 2010

...Il cuore della vacanza era contenuto nel messaggio Natalizio di Carròn. Non ci sono state testimonianze ma l'andare a fondo, cercare le ragioni, assimilarle, di ciò che i testimoni fra noi,lì presenti, ci facevano vibrare. Non credevamo ai nostri occhi che vedevano concreto, vivo in Foz de Iguazù, "diventato Betlemme" -come ci disse Padre Alberto- "la Presenza di Gesù". Siamo tornati a casa come i pastori, i magi, con il cuore traboccante di letizia perchè davvero è possibile così. E' possibile guardare l'umano che è in noi come cammino a Gesù, come condizione per lasciarci guardare da Lui.....



Cari Amici,
sono tornato a casa dopo una settimana di vacanze con 900 persone tra adulti e bambini del Brasile, Argentina, Paraguay e due (Padre Alberto e Stefania) dell'Ecuador. La prima volta da quando esiste il movimento in America Latina che tanta gente di paesi diversi si riunisce intorno ad un fatto: l'amicizia di alcuni amici che con affetto e semplicità e decisione hanno preso sul serio cosa significa seguire Carròn, facendo un lavoro nella scuola di comunità.


Quella che per un anno è stato il lavoro affascinante per un gruppetto, in compagnia di Julian De La Morena è diventata una proposta per tutti. Una proposta così bella che è stato sufficiente il "passa-parola" perchè la libertà di 900 persone dicessero "si".Le vacanze sono state la possibilità concreta di rifare ogni giorno il percorso. Partendo dall'umano immerso nella realtà, guidati da questo gruppetto di amici, ognuno ha potutto toccare con mano cosa voglia dire "Tu, oh Cristo, mio". Gesti semplici, adeguati a tutti, in un clima tropicale che il solo muoversi era sudare, tenendo presente le esigenze di tutti, hanno aiutato a vivere guardando in faccia Gesù. I richiami essenziali, precisi di Julian De La Morena, la compagnia di Marcus e Cleuza, ci hanno permesso di non dare nulla per scontato, ma di fare un lavoro. Quel lavoro a cui non eravamo abituati ed educati e di cui Carròn ci è di guida nel modo con cui fa la scuola di comunità. Il cuore della vacanza era contenuto nel messaggio Natalizio di Carròn. Non ci sono state testimonianze ma l'andare a fondo, cercare le ragioni, assimilarle, di ciò che i testimoni fra noi,lì presenti, ci facevano vibrare. Non credevamo ai nostri occhi che vedevano concreto, vivo in Foz de Iguazù, "diventato Betlemme" -come ci disse Padre Alberto- "la Presenza di Gesù". Siamo tornati a casa come i pastori, i magi, con il cuore traboccante di letizia perchè davvero è possibile così. E' possibile guardare l'umano che è in noi come cammino a Gesù, come condizione per lasciarci guardare da Lui. Da sempre si parlava di unità Latina Americana ma solo in questi giorni è accaduto un fatto nuovo, imprevisto, non immaginato: l'unità concreta di popoli diversi (pensate che abisso con l'Argentina...!) è fiorita intorno ad un Avvenimento, il "si" di un piccolissimo gruppo di amici che da un anno si ritrovano assieme a San Paolo ogni 15 giorni per lavorare assieme sulla scuola di comunità. Tutto è così semplice come per i primi che lo seguivano. Il punto è prenderlo sul serio, seguirlo nella modalità con cui si presenta.
Amici che bello partire dalla propria umanità e poter dire "Tu, oh Cristo, mio".
Tornato a casa con il cuore pieno di quella Bellezza, dopo dieci minuti due persone muoiono nella clinica. Ancora una volta quella bellezza "Tu, oh Cristo, mio" vince la stanchezza e mi permette di stare in compagnia dei miei infermieri, brindare con tutto l'affetto che viene da Cristo, l'assistenza necessaria perchè tutto manifesti la Sua Gloria. Spesso mi chiedono: ma non sei stanco? Io rispondo: la stanchezza cammina con la ragione che, si o si, ti compromette con la realtà, per cui ti capita di dormire un'ora in più e dopo sei già sveglio come un grillo. Al contrario, quando non è la ragione a guidarti, quando non è il cuore incarnato nella realtà, è la fantasia, l'immaginazione, i nostri schemi a farle da padroni e la conseguenza è lo stress, che neanche andando a Punta dell'Este o in Sardegna,viene sconfitta. Solo prendendo sul serio il cuore e la realtà ci si stanca, al contrario ci si stressa. Quanto più il cuore lavora tanto più riposa, quanto meno lavora tanto più ci stressiamo. Così sono andato a letto contento e il giorno dopo nella clinica c'e' stata la festa perchè un infermo terminale ha celebrato il suo matrimonio. Che gioia quando si sono detti la cosa più bella che può dire il cuore: "Prometto di amarti e di esserti fedele per sempre". Quel "per sempre" detto dai miei ammalati terminali ci dice la verità più bella di una relazione: l'amore è o non è, e se è, non ha data di scadenza. Si divorzia chi mai si e' sposato (direbbe Chesterton) chi mai ha amato. Anche qui il problema è la vita e il suo significato, anche qui si tratta di fare un cammino come per me, per i miei ammalati, per i 900 amici delle vacanze. Fare una esperienza che ci permetta di dire Tu al Mistero. E come per me, per i miei ammalati, per gli imprevisti, a volte sgradevoli che hanno caratterizzato una vacanza di 900 persone, tutto fa parte di quel lavoro che ci chiede Carròn per poter arrivare a dire:"Tu" a Cristo.
E' un cammino come quello di Santiago e Lourdes (vedi foto) che, grazie al cancro, il loro cuore ha sentito l'urgenza di una definitività nel loro amore, coscienti dei mesi che gli rimangono, che ciò che li unisca con il sacramento è eterno; così come il cuore di un ragazzo che si innamora dice alla sua ragazza: "Ti amo per sempre" - "Tuo per sempre". Siamo sinceri, non c'è cosa più bella di quel "sempre" perchè il cuore è fatto per il "sempre", per "l'eternità".
Padre Aldo
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n. 2

venerdì 18 dicembre 2009
ASILO DE DIOS
Un Dvd per sostenere l’opera di don Aldo Trento in Paraguay. Il Dvd Asilo de Dios sarà in vendita con Tempi a partire da giovedì 17 dicembre*.

di Tempi
Asilo de Dios.
Un DVD per sostenere l’opera di don Aldo Trento in Paraguay

«Se quello che ho visto è Dio, anch’io posso credere in Lui». Il viaggio di un giornalista ateo nella clinica Divina Providencia

Cari amici,
in questo Dvd realizzato da Telefuturo, la più importante tivù del Paraguay, protagonisti della trasmissione sono i malati terminali di Aids e di altre malattie. Tutti “figli di Dio”, che hanno vissuto nella strada e che grazie a tanti amici abbiamo recuperato e seguiamo tenendo presente che il nostro compito è che muoiano come persone umane.
Il giornalista è Humberto Rubin, il più importante giornalista del Paraguay, ateo, che dopo aver realizzato questa trasmissione ha detto: «Se quello che ho visto è Dio, anch’io posso credere in Lui».
Proporre a una persona di comprare il Dvd significa risvegliare la coscienza della propria responsabilità di fronte alla realtà e al destino. Quanto più un uomo è appassionato alla realtà e al proprio destino, tanto più vive il lavoro con gusto, vibrando nella solidarietà verso tutti. Guardare questo Dvd permette di prendere coscienza del perché dell’esistenza, del suo valore, qualunque sia la condizione in cui si svolge, e nel medesimo tempo essere protagonisti di quello che uno fa.Inoltre comprando questo Dvd si aiuta a portare avanti un’iniziativa della Divina Provvidenza, la grande protagonista di tutto. È un modo per far sì che migliaia di bambini, anziani, malati terminali possano essere assistiti ogni giorno (mese o anno) presso le nostre strutture.



L’opera San Rafael è un esempio di come può essere il mondo quando uno apre il suo cuore al Mistero, sentendo il proprio io solidale con gli altri di tutto il mondo.
p. Aldo


Il Dvd Asilo de Dios sarà in vendita con Tempi a partire da giovedì 17 e rimarrà in edicola fino al 31 dicembre*.
Tempi più dvd: 9 euro

Se non trovi il Dvd nelle edicole o vuoi prenotarne più copie, scrivi all’indirizzo e-mail daniele.guarneri@tempi.it.


Metà del ricavato delle vendite sarà devoluto alle opere della Fondazione Centro San Rafael di aiuto alla vita

*solo nelle regioni in cui Tempi è in vendita autonomamente
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n. 3

venerdì 8 gennaio 2010

IL DISCORSO CHE DON ALDO TRENTO HA TENUTO AL MEETING DI RIMINI IL 28 AGOSTO 2008

"Corazón maldito por què palpitas?”, “Cuore maledetto perché batti?”, dice Violeta Parra. E poi: “Gracias alla vida che m’ha dato tanto”. E poco tempo dopo si toglie la vita. Perché incomincio così? Perché vorrei riprendere qui quello che mi ha commosso molti anni fa quando Giussani ha detto: “Vi auguro di non essere mai tranquilli”.




Io giaccio con la verginità
Un bambino fuggito verso Gesù, travolto dal ’68, toccato dall’amore e graziato dalla depressione. Giussani ne ha fatto lo sposo della purezza e il padre degli ultimi
Missionario della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo in Paraguay dal 1989, don Aldo Trento ha sessantadue anni. Bellunese, parroco della chiesa di San Rafael ad Asunción, dal 2004 è responsabile della clinica per malati terminali intitolata a san Riccardo Pampuri. In questo luogo arrivano pazienti in fin di vita, malati di cancro o di Aids, e persone abbandonate a loro stesse, che non hanno più nessuno in grado di accudirle. Il 2 giugno di quest’anno il presidente della Repubblica italiana gli ha conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella della solidarietà. Il testo qui pubblicato è il discorso tenuto al Meeting di Rimini giovedì 28 agosto all’interno del ciclo di incontri intitolati: “Si può vivere così”.




"Corazón maldito por què palpitas?”, “Cuore maledetto perché batti?”, dice Violeta Parra. E poi: “Gracias alla vida che m’ha dato tanto”. E poco tempo dopo si toglie la vita. Perché incomincio così? Perché vorrei riprendere qui quello che mi ha commosso molti anni fa quando Giussani ha detto: “Vi auguro di non essere mai tranquilli”.
Luglio 2008, sono lì con i bebè (che cura nella sua casa in Paraguay e lo chiamano “papà”, ndr) a cui sto dando il biberon. Torna Cristina, la mamma che mi aiuta coi bambini piccoli malati di Aids o violentati, tornano con le pagelle, li metto in girotondo, leggo le pagelle. Lì si va dall’uno al cinque. Uno, uno, uno, uno, tutti uno. Sorrido e gli dico: “Assomigliate a vostro padre che ha sempre avuto problemi di scuola e di risultati, era buono a nulla. ‘Placido si chiamava’ e spera di diventare Santo. Però c’è un motivo che mi fa contento. Perché nella vita la cosa difficile non è passare da uno a cinque, ma da zero a uno, e voi da febbraio a luglio siete passati da zero a uno”. Poi ho spiegato alla mamma cosa volevo dire. Bene, io sono questo ragazzino di sessantadue anni che forse è arrivato a due, per pura grazia divina. Per questo più che parlarvi delle opere, ho scritto in omaggio a Giussani, perché io vivo di lui: è lui, è Dio, è lui dietro tutto quello che potete vedere o leggere.

“Padre Aldo – mi disse Giussani – ho deciso, adesso che stai diventando un uomo, di mandarti in Paraguay”. “Ma come, mio fratello mi ha detto che sarebbe meglio che mi ricoverassi al reparto per esauriti mentali a Feltre, vista la grande depressione che sto vivendo, una malattia inattesa che mi ha tolto la voglia di vivere, che mi ha portato d’improvviso a perdere il gusto della vita, mi ha reso difficile ma non impossibile il nesso con la realtà e, tu, mi vuoi mandare in missione?”. Giussani mi guardò come quella volta che Gesù fissò con tenerezza il giovane ricco, Zaccheo, la Maddalena, Matteo e mi disse: “Ebbene, io ti mando in missione perché solo adesso mi sento sicuro di te. Parti. Ti faranno il biglietto e io ti accompagnerò a Linate con lei e i suoi tre bambini”. Era il maggio del 1989, a Riva del Garda. Ma cosa era successo prima, perché mi accadesse tutto questo? Perché il Giuss mi prendesse per mano e mi dicesse quelle parole? A sette anni la chiamata chiara ad essere tutto di Gesù. Cinquant’anni fa, il 28 luglio 1958, abbandonai la mia famiglia alla quale non chiesi il permesso, semplicemente la posi al corrente della decisione e in autostop fermai un trattore che mi portò in seminario. Mia madre mi guardava sbalordita e incredula dalla finestra e piangeva, e io: “Mamma verrai a trovarmi?”, ed il trattore si avviò lentamente verso un destino in cui era chiara una sola cosa in me, dentro la mia irrequietezza: Gesù mi voleva tutto, tutto per sé.

Molti anni più tardi compresi che tutto questo si chiamava verginità, che è la bellezza, lo stupore, la capacità di commuoversi di fronte alla realtà, paternità, pienezza affettiva. Il seminario: anni difficili, belli e rabbiosi. Finalmente, nel pieno della contestazione del ’68, nel ’71 mi ordinano sacerdote. Dubitavo che mi ammettessero. Ero totalmente di Cristo, ma l’insoddisfazione e il desiderio di un mondo nuovo, l’irrequietezza per un vuoto esistenzialmente e socialmente poco interessante, mi portò a simpatizzare per Potere Operaio. L’ideologia piano piano cercava di riempire quel vuoto, ma il male di vivere già faceva capolino dentro le fibre del mio cuore e si manifestava in ribellione. Così mi spedirono a Salerno, fra i figli dei carcerati, per vedere se entravo nell’ordine, nel politicamente corretto, diremmo oggi. Lì un giorno quattro ragazzini di Battipaglia, come un fulmine, cambiarono la mia vita. Prima avevo partecipato a organizzare uno sciopero contro l’imperialismo del Vietnam e insegnavo la teoria di Paulo Freire invece di religione. Quei ragazzi mi dissero: “Professore non è così che lei cambia il mondo, il mondo cambia se cambia lei, e lei cambia se si lascia amare da Gesù”. Sconvolto da quel momento, una possibilità di vita nuova apparì nell’orizzonte della mia vita: potevo prendere sul serio la mia umanità senza paura, senza censurare niente. Le cose però precipitarono e i miei superiori mi spedirono al nord, vicino a mia madre, per vedere un possibile miracolo nella mia vita. Così mi stabilii a Feltre, in provincia di Belluno. Tutto continuava in una guerra interiore tra l’ideologia e il vuoto esistenziale, la domanda sul perché della vita e una aridità affettiva terribile, perché si era pietrificato il cuore. Si diceva (e l’avevo imparato a memoria): “Il privato non esiste, ciò che conta è il politico”. Due anni durissimi dove solo quella scintilla accesa a Salerno mi dava una fragile speranza.

Però la disperazione cresceva e fu così che un giorno un amico mi invitò ad un’assemblea a Padova con don Giussani. Sul palco, ricordo come adesso, ad un certo momento salì una giovane bella donna, vedova con tre bambini piccoli, lesse il suo dramma e la sua fede di fronte a quanto le era accaduto. Rimasi sconvolto e da quel gennaio ’87 non ebbi più pace. Ero rimasto affascinato. Un fascino che dopo alcuni mesi si trasformò in una grande affezione. Mi sembrava di sognare. Ma date le reciproche condizioni di vita il tutto sfociò in disperazione che diventerà presto una depressione che non mi abbandonerà più. Da quel momento mi spaventai perché non potevo credere che la mia umanità fosse un impasto di desideri, di aspirazione di infinito, di amare e di essere amato, di bellezza e di giustizia e anche di gelosia e di possessività. Ma che fare? Il grido, l’umano è solo grido, mi rese mendicante; mendicante di un rapporto di qualcuno che mi facesse vedere che quell’affetto non solo era incompatibile con quello che ero, con il mio sacerdozio, ma era come il cammino necessario per gustare la bellezza della verginità, il possesso senza possedere, per vincere quel vuoto affettivo riempito per anni dall’anestesia dell’ideologia. E così il 25 marzo 1988, in ginocchio, piangendo, andai da Giussani. Mi accolse come lui sapeva fare, perché nel suo cuore c’era posto per uno come per un milione. Mi abbracciò, mi lasciò piangere, mi dette le caramelle dopo un lungo tempo di singhiozzi e mi disse: “Che bello, adesso finalmente cominci ad essere un uomo! Quanto stai vivendo è una grazia per te, per lei, per i suoi figli, per il movimento e per la Chiesa. Vai e porta loro l’uovo di Pasqua”.

Da quel giorno fino alla sua morte mi tenne con sé. Prima di uscire da quella stanza a Milano mi richiamò indietro e mi disse: “Come sarebbe bello che quest’estate qualcuno ti facesse compagnia!”. Lo guardai e dissi: “Ma Giussani, dove potrei incontrare un uomo, un prete, disposto a condividere l’estate con uno schizzato, un ossesso, con tutto quello che devono fare?”. Mi fissò come Gesù: “Va bene, ti porterò via con me”. Per due mesi, fino alla partenza per il Paraguay, mi tenne con sé, pagandomi tutto e trasferendomi dalla mia prima congregazione alla Fraternità San Carlo. Don Massimo Camisasca (rettore della Fraternità sacerdotale San Carlo ndr) si vide arrivare questo pacco, questo povero uomo, buono a nulla, nelle sue mani e mi accolse. “Prendere sul serio la propria umanità senza censurarla – dice Giussani in “Tracce d’esperienza cristiana” – è la strada necessaria perché riaccada l’incontro con Cristo”. Ma che terribile, che bella la propria umanità così fragile, così povera e grande allo stesso tempo! Mi ha fatto paura il mio io. Non pensavo che l’umano fosse una miscela, un insieme di queste cose belle e disperate, che fosse insieme ironia e disperazione. Così per non perdere quanto amavo, mi accompagnò all’aeroporto e volle che ci fosse quel segno sacramentale dell’amore divino con i suoi tre bambini. Ricordo, quando con gli occhi rossi sul marciapiede di Linate, guardando lei sofferente dissi a Giussani: “E lei?”. La guardò e le disse: “Al prossimo ritiro del Gruppo adulto ti aspetto (il Gruppo adulto, o Memores Domini, è un’associazione che riunisce le persone di Comunione e Liberazione che hanno compiuto una scelta di dedizione totale a Dio vivendo come forma la virtù che la Chiesa chiama verginità, ndr)”.

Era il giorno della natività della Madonna quando giunsi in Paraguay. Passò un anno e il 15 ottobre 1990, giorno del compleanno di Giuss, mi chiamò lui per telefono: “Padre Aldo, chiama lei e dille che il direttivo del gruppo adulto ha deciso di accoglierla nel suo grembo”. Non riuscii neanche ad augurargli “buon compleanno” per la commozione, perché non potevo capire tanta tenerezza sua e tanta umanità. Non poteva fare lui questa cosa? Dirglielo lui! Perché si preoccupa che sia io a dirlo a lei, che stavo a dodicimila chilometri di distanza? Solo un uomo come lui poteva essere capace di amare così. Da quel giorno sono dovuti passare quindici lunghi anni dove solo la compagnia di Padre Alberto, continuità visibile di quella del Giuss, non solo ha impedito che la facessi finita con la vita, diventata insopportabile per l’acuirsi ogni giorno di più della depressione, ma mi ha fatto lentamente capire una cosa essenziale nella vita: solo un grande amore, un grande dolore, dentro la forte tenera amicizia, per quanto fragile, fanno di un io un uomo, cioè un padre. Padre Alberto ha vissuto per dieci anni solo per far compagnia ad un disperato, dibattuto fra la percezione che amare ed essere amato è possibile e la crudeltà della vita che pareva fregarmi. Ma la realtà, l’umano di ognuno, non sono mai nemici dell’io neanche quando ti rendi conto che non ti fanno nessuno sconto. Perché vi garantisco, è terribile prendere sul serio la realtà, la propria umanità. Perché non puoi che gridare, mendicare, consegnarti, come da quando ho sette anni a oggi continuo a gridare. E così ad un certo punto Dio, la realtà mi toglie anche la compagnia di Alberto e rimango solo. Solo col mio dramma, con la mia non voglia di vivere, con la mia stanchezza. L’unico conforto, da quel momento, sarà l’eucarestia che porrò come parroco e signore di tutto.

Da lontano Alberto e Monsignor Pezzi mi guidano ogni giorno: “Aldo, in alto i cuori!”. La chiarezza del destino, pur nella confusione della mente e nell’assenza di ogni emotività; la percezione della distanza come condizione del “già”, di una possibile pienezza affettiva, l’unica che fa di un uomo un uomo; la possibilità di amare virilmente colei che Dio mi aveva posto sul cammino come inizio di un cambiamento: tutto questo si chiama verginità che ha dato origine a quella piccola città della carità che, in compagnia di Paolino ed Ettore, è diventata la comunità di San Rafael in Paraguay. La verginità, ossia la carità, è la pienezza oggi, è come l’albore dell’io a cui è data la grazia di sperimentare adesso quello che ogni ragazzino con la tenerezza che porta dentro dice alla sua ragazzina, quando si innamora: “Tuo per sempre, ti voglio bene per sempre”. In fondo siamo realisti, aveva ragione Camus quando metteva in bocca a Caligola: “Voglio la luna”. O quanto scriveva Carl Marx a sua moglie: “Ciò che fa di me un uomo è il mio amore per te e il tuo per me”.

Si ama, si è padri solo se si è amati, attraversando tutte le belle, drammatiche e ironiche pieghe dell’umano. Io vivo facendo compagnia all’uomo che grida, piccolo, giovane o ammalato terminale che sia. Quanto è nato e creato da Dio, mediante questo povero uomo, è stato da Lui voluto perché io possa fare a tutti quello che Giussani ha fatto a me: compagnia. E’ così che quando ho visto per la prima volta un cadavere per la strada me lo sono preso, l’ho portato a casa, l’ho pulito. E così di giorno in giorno. Ho preso i moribondi, gli abbandonati, quelli putrefatti, delle favelas. E Dio ha creato quell’insieme di opere che oggi vedono impegnate più di 100 persone pagate e centinaia di volontari. L’uomo sano, bello o putrefatto non ha bisogno di consigli, ma di qualcuno che lo tenga per mano. Prendere sul serio il grido che siamo. Dare fiducia a qualcuno che Dio certamente mette sul tuo cammino per indicarti il destino. Accogliere il sacrificio, il dolore, non come una malattia ma come una grazia.

Ricordo un editoriale su un settimanale di molti anni fa, in Paraguay, l’Osservatore della settimana: “La depressione non è una malattia ma una grazia”. Un senatore molto conosciuto si avvicina dopo avermi cercato. Voleva togliersi la vita: questo editoriale lo cambia. Da quel momento diventa un altro. Presiede la commissione Bicamerale. Riesce a mettere tutte le nostre opere nella legge finanziaria. Così un governo del terzo mondo applica un articolo in cui sostiene, finanzia per mille milioni, duecentocinquantamila dollari, un’opera di una realtà che certamente non ha appoggiato il governo attuale. Una cosa impressionante; e così tutto quello che viene dopo. La depressione non è una malattia, è una grazia, perché ti spoglia di tutto. Oggi la chiamano malattia, un tempo la chiamavano purificazione, notte dell’anima, possibilità alla santità: per me è ancora quello. Per questo oggi raccolgo anche i matti. Mi facevano tremendamente paura anni fa, perché mi vedevo un possibile candidato ad essere uno di loro. Oggi li guardo con ironia e rido con loro perché anche nella pazzia ho visto che in tutti c’è un minimo di libertà. Perché ho sperimentato che se non fosse vero questo non esisterebbe Dio, perché non ci sarebbe l’uomo. L’uomo è libero anche quando perde la ragione. Ho la certezza perché l’ho visto su di me.

Voglio dire che realmente il dolore è una grazia che ti permette di essere contento perché ti permette di amare, ti permette di vivere la verginità, che è l’unica e reale e concreta vocazione dell’uomo: la pienezza dell’io. Perché cos’è la verginità? L’io compiuto già come possibilità adesso, come possibilità affettiva. Grazie Gesù per il tanto amore, per il tanto dolore che mi permetti di vivere ogni giorno. Stretto a te sulla croce per poter dire a tutti: “Ti voglio bene per l’eternità, così come io sono voluto bene adesso da te oh Gesù”. Davvero si è compiuta quella promessa. Io a 62 anni sono un uomo contento dentro un inizio di compiutezza che mi fa guardare la morte con serenità. Ho accompagnato a morire più di cinquecento persone in quattro anni. Tutte con il sorriso sulle labbra. Son diventato padre di decine di bambini che non hanno nessuno e mi chiamano papà: “Papà quando torni, perché te ne vai?”. Li metto a letto la sera, li prendo la mattina e li accompagno a scuola. In me si è compiuta, si sta compiendo quella profezia di Giussani: “E’ una grazia per te”. Per lei anche, perché è una donna contenta, per i suoi figli: due consacrati e uno sposato, per il movimento. Credo che l’esperienza che vivo sia un esempio per la Chiesa. Io vivo per quello.

Anche oggi che in Paraguay c’è un governo socialista, il vicepresidente, pur sapendo tutta la battaglia che abbiamo fatto perché non vincesse questo governo, mi ha chiesto: “Padre, posso ogni lunedì alle sei venire a pregare lodi con te?”. Ebbene da quando è stato nominato, il 15 agosto, tutti i lunedì mattina il vicepresidente prega lodi con me e fa un po’ di adorazione. Un miracolo insperato. E’ nato perfino un partito trasversale per i temi della vita, per i temi dei poveri. Perché anche dentro a questa condizione impensata del socialismo del Ventunesimo secolo che vuole svuotare il cristianesimo di Cristo, uno deve lavorare con intelligenza, con amore, con Cristo, partendo da Dio. Anche il vescovo presidente ha detto al Nunzio: “Padre Aldo io lo rispetto, e così i suoi confratelli. Perché di fronte a quello che lì accade non è possibile fare rappresaglie, perché è qualcosa che noi desidereremmo che accadesse in tutto il Paraguay”. Grazie, e pregate per me. (Immagini: Salvador Dalì, “Crocifissione” (1954), olio su tela, Metropolitan Museum of Art New York - don Aldo Trento durante l'incontro al Meeting)

di don Aldo Trento
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n. 4
mercoledì 2 settembre 2009

Aldo Trento: la povertà peggiore è la perdita del senso della vita

A lato, un bel ritratto di padre Aldo, da Fontanavivace, che ringraziamo.
Siamo contenti di questa iniziativa di Tempi, perché uno dei meriti, e certamente non il più piccolo, della testimonianza di Aldo Trento è quello di documentare come dalla fede nasca una posizione culturale radicalmente umana, perfettamente in grado di misurarsi con qualunque altra.



di Aldo Trento

«Un errore è una verità impazzita» diceva Chesterton. Ed è esattamente questo ciò che è accaduto col socialismo del ventunesimo secolo. Ma qual è la verità che è impazzita, e che sta all’origine e alla fine del ben noto “asse del male” che unisce Castro, Chávez, Correa, Morales e Lugo? La risposta non è rintracciabile nelle parole di questi personaggi, nelle loro utopie e nelle astrazioni in cui vivono, ma piuttosto nella premessa antropologica che sta alla base dell’ideologia che si propongono di incarnare. Bisogna chiedersi: che cos’è l’uomo, per questi signori? È solo rispondendo a questa domanda che si può arrivare a comprendere la menzogna che propinano. Essi partono, infatti, da una verità indiscutibile: l’uomo ricerca, desidera, sogna la felicità. È la struttura stessa dell’“io” che grida questa esigenza intima e insostituibile dell’essere umano; perché l'io umano, qualunque cosa faccia inclusa la peggiore, è mosso da questa tensione alla felicità.
La felicità coincide col benessere della persona, con la sua soddisfazione integrale: solo quando un uomo sta bene, è soddisfatto, è felice può definirsi libero. Tutto il cammino dell’umanità nel corso dei secoli si riassume nella bellissima domanda di san Francesco: «Quid animo satis?», che cosa soddisfa realmente il cuore dell’uomo? Ogni movimento filosofico, sociale, politico, qualsiasi ideologia parte da questa esigenza umana. La fortuna del marxismo è coincisa con la sua abilità di illudere la gente con la vana promessa che il paradiso consistesse nell’assalto al Palazzo d’Inverno, come veniva chiamato il Cremlino, residenza degli Zar e simbolo del potere che opprimeva il popolo. E così il grido marxista “proletari di tutto il mondo, unitevi” nasce dall’intelligenza di Karl Marx che percepì l’esigenza, non solo individuale, ma del proletariato del XIX secolo, di essere felice. E di conseguenza, il suo desiderare un mondo nuovo.
“Forza compagni, distruggiamo tutto e costruiamo un mondo nuovo. Forza compagni, afferriamo la falce e il martello e uniti cambieremo questo mondo”. La falce e il martello erano i simboli dell’utopia comunista. Però, se davvero è questa la verità che tutti cerchiamo, – perché il cambiamento, cioè la felicità, è l'anelito che ci definisce nella profondità del nostro essere – perché questa verità è impazzita, cioè si è trasformata in bugia, inganno?
L’illusione che la felicità coincida col benessere economico e sociale della persona, con la risposta alle sue necessità biologiche e psicologiche. Una visione parziale dell'uomo, che censura la verità primordiale dell’“Io”, che è relazione con l’Infinito. Per il marxismo l’uomo è “un tubo digerente”, un ingranaggio del sistema funzionale alla collettività. Per Marx l’uomo non coincide con la persona: a lui non interessava l’individualità ma la funzione che ciascuno ricopre nella salvezza prevista dalla cosiddetta “nuova società socialista”. Ricordo bene quando col cervello annebbiato da questa ideologia gridavamo per le strade “il privato non esiste, quello che conta è il pubblico!”. La visione trascendente dell’uomo, che è poi la dimensione qualitativa dell’Io, era totalmente eliminata, censurata, negata. Da qui l’ateismo di Stato che diede origine ad ogni forma di violenza.
Il socialismo del secolo XXI incarnato da Castro e Chávez altro non è se non il figlio diretto e abortito di questa posizione. E cos’è il chavismo se non l’illusione, nel ventunesimo secolo, di poter rispondere al desiderio di felicità dell’uomo dimenticando la trascendenza di quello stesso uomo? Il populismo, la nuova malattia che affligge la maggioranza dei paesi latinoamericani, altro non è se non un uso strumentale del bisogno ontologico dell’uomo, imponendo un’ideologia di-
sumana, che pretende di risolvere il dramma dell’uomo con l’illusione di un benessere economico, peraltro strutturalmente impossibile, a cui manca una visione integrale della persona. Per di più un benessere a buon mercato, costituito da un sussidio economico che consente a tutti di non morire di fame e favorisce l’assistenzialismo suicida del popolo stesso. Mai i paesi caduti sotto il comunismo hanno conosciuto tanta miseria e infelicità come durante gli anni in cui furono vittime della violenza di questo mostro. Certo avere di cui cibarsi e di cui coprirsi è importante. Ma “non di solo pane vive l’uomo”, perché è relazione con il Mistero. E se non lo incontra, cade nella disperazione. O il benessere dell’uomo è totale, integrale, oppure è un terribile malessere. È ciò che papa Benedetto XVI spiega nella sua enciclica Caritas in Veritate, quando afferma che il nome dello sviluppo è Cristo, e che la povertà peggiore è la perdita del senso della vita che nasce dalla realtà. Perdita a sua volta originata dal fatto che l’uomo ha eliminato Dio dal suo orizzonte.

Pupazzi e fannulloni
La diabolica pretesa che l’uomo, novello Lucifero o Prometeo, possa con le sue mani realizzare il mondo nuovo, possa con le sue forze cambiare il mondo, trasformarlo, risponde al desiderio di felicità che lo definisce. È la prima tentazione, quella in cui caddero Adamo ed Eva e i poveri illusi della Torre di Babele. Cosa pretendono i padri dell’“asse del male”? Di cambiare Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia e Paraguay con le loro proprie mani, sfidando Dio e affermando, in pratica, che ciò che Dio non è riuscito a compiere, essi lo faranno. È la posizione diabolica che Cristo respinse quando fu tentato dal demonio, e che questi signori, al contrario, hanno assunto come pratica di vita e di governo. Non c’è peggior menzogna dell’orgoglio quando si impadronisce dell’essere umano, spingendolo ad autodefinirsi Dio o a sostituirsi a Lui. E il fatto che questi signori non amino la Chiesa, questa Chiesa reale e in comunione col Papa, mostra quanto siano convinti del fatto che nemmeno Cristo e l’annuncio cristiano siano riusciti ad ottenere in America Latina ciò che loro, e soltanto loro, sono in grado di realizzare. Le conseguenze evidenti sono la progressiva perdita di libertà, la paura della diversità, un nazionalismo disperato che rinnega la tradizione, l’assistenzialismo alienante, una classe di fannulloni che vivono al fianco del potere come pupazzi incapaci di un’intelligenza creativa, e il sottosviluppo culturale indispensabile al potere per sussistere. Sarebbe sufficiente un viaggio in Bolivia, per vedere con i propri occhi la miseria del socialismo del secolo XXI.
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n. 5

martedì 26 gennaio 2010
PADRE ALDO TRENTO

.....Noi stiamo assieme ai nostri ammalati solo per aiutarci a guardare in faccia Gesù. Se non fosse per questo, saremmo dei miserabili sadici, perchè senza avrebbero tutte le nostre cure palliative? Amici, qui o siamo desiderosi, tesi al Mistero o è meglio chiudere, perchè ciò che a me interessa è che tutti possiamo dire, sani o ammalati "per me vivere è Cristo"......


26 gennaio 2010

Cari amici,
sono ogni giorno più commosso e grato perchè "tocco con le mani" cosa significa quando Carròn dice che basta dire "si" al Mistero, che basta "guardare in faccia a Gesù". E' tardi mentre vi scrivo ma non posso non comunicare agli amici che il "si" mio a Cristo mi riempie di letizia. Sono pieno di letizia dentro la oscurità che spesso mi avvolge e in cui la mia emotività disastrata è assorbita da quel "Tu che mi fai". Che tenerezza guardare la propria umanità con gli occhi di quel Tu che è infinitamente più potente della mia immaginazione, dei miei fantasmi, delle mie condizioni di salute. "Tu oh Dio mio".


Tu oh Cristo mio che mi dai tutto, tutto ciò che vivo è per la Tua gloria. Come un uomo può dubitare della Sua Presenza? La grida a tutti. Questa sera in pizzeria mentre mangiavo con Sergio Franco, un amico che porta avanti l'opera di Dio, che è il nuovo ospedale, vedo due amici nel tavolo di fronte. Alcune battute e poi ridendo dico loro: "La Provvidenzia ha bisogno delle nostre mani e del nostro portafoglio...!" E loro ridono. Stavo per uscire dalla pizzeria, mi chiamano e mi dicono: " Padre abbiamo comprato un Mercedens Benz biporta capottabile, abbiamo fatto 300 km, ma, per noi piuttosto alti e grassi, ci è scomoda. Abbiamo deciso di dargliela perchè lei faccia una lotteria e il ricavato sia per il nuovo ospedale. Martedì gliela consegnamo."
Gli amici non credevano alle loro orecchie... anche perchè, venendo qui, spesso vedono continuamente come la Provvidenzia opera. Non potrei più vivere se non fosse per gridare a tutti che il problema è solo uno: dire "si" a Cristo. Un'opera o nasce da questo "si" radicale a Cristo o non nasce e, se nasce senza questa consapevolezza, uno può essere il "Bocconiano" più famoso ma non avanza, non cresce. Sapeste quanto mi duole quando sento parlare di economia fra di noi come se Cristo non centrasse niente. Si fanno progetti ma non nascono dalla commozione per dire"Tu, oh Dio mio". Per questo falliscono e anche noi assieme. Tutto è per la gloria di Cristo o è inutile. Si costruisce solo se innamorati di Dio. Vi racconto un fatto: nella parrocchia ci sono alcune piccole imprese create da giovani, educati ogni giorno a guardare Cristo, risposta unica al loro bisogno umano ed anche economico.La pizzeria è gestita da 4 ragazze, che un tempo erano in condizioni terribili umanamente e pensavano di andare in Spagna. L'amore a Dio, sostenuto da noi, ha fatto sì che creassero una società per gestire la pizzeria. Non fu facile ma la educazione, essenziale, che sta alle radici dell'economia e che è la Divina Provvidenzia, ha dato frutti sconvolgenti. Nel 2009 sono entrati 600.000.000 di guaranì, una cifra astronomica per questo paese. E siccome il Padrone della pizzeria, come di tutte le opereprofit e di carità, è si la Divina Provvidenzia, è lei che ha dettato il modo con cui si gestisce il denaro. E si gestisce così: di quello che entra ogni mese, una parte è per lo stipendio (molto buono) dei gerenti (che sono anche quelle 4 ragazze che lavorano), una parte per pagare tutte le spese etc... Del netto, il 40 % va a loro, il 60 % va alla clinica. Così quest'anno hanno dato alla clinica 120.000.000 di guaranì. E così le altre opere, anche se in forma minore. Dire "sì" a Dio, guardare in faccia Dio, è anche gestire così una impresa. Ma questo non sarebbe possibile senza la s. di comunità settimanale che faccio con loro in pizzeria. L'altro giorno nella s.d.c. ho chiesto il libretto del menù. L'ho guardato e gli ho detto: "Il vostro "sì" a Dio è debole perchè vedo che manca la lista dei dolci, è scarno quello dei vini e della birra etc..". Guardare in faccia Dio è la possibilità di guardare la realta a 360°. Infine un ultimo esempio. Nella riunione con i medici dell'ospedale, ho detto loro: "Ma a che cosa serve un ospedale, visto che stiamo lavorando per ultimare il nuovo "Hospice" con 48 letti? Per una sola cosa: che voi e i nostri ammalati terminali possano dire "io sono Tu che mi fai", possano e possiamo entrare in una familiarità totale con Dio. Ma se un medico non aiuta l'uomo a scoprire che è relazione con il Mistero, perchè fa il medico? Senza questa posizione inganniamo l'uomo illudendolo che vivrà 10,20,30, 50 anni di più e poi? Cosa serve rimandare di qualche anno la morte se poi c'è il nulla? Non incontrando il volto del Mistero? Ecco il nuovo ospedale o serve, come l'attuale, perchè noi e i nostri malati possiamo dire "Tu, oh Cristo mio" o è meglio che resti così com'è, ovvero, in costruzione seNoi stiamo assieme ai nostri ammalati solo per aiutarci a guardare in faccia Gesù. Se non fosse per questo, saremmo dei miserabili sadici, perchè senza avrebbero tutte le nostre cure palliative? Amici, qui o siamo desiderosi, tesi al Mistero o è meglio chiudere, perchè ciò che a me interessa è che tutti possiamo dire, sani o ammalati "per me vivere è Cristo". nza terminarlo. Vi ringrazio perchè vedo nei vostri occhi (i pazienti lo testimoniano) una familiarità con Cristo". Vi avrò stancato ma non potevo non raccontarvi la gioia del mio povero "si" quotidiano a Cristo. E, mi sorprende fino alle lacrime, vedere cosa Dio ha fatto e sta facendo di questo asino, di questo povero uomo, che ha bisogno anche di certi farmaci per riposare, di questo "nessuno" che Dio ha scelto per mostrare la Sua misericordia e la Sua Provvidenza. Mi affido alle vostre preghiere, perchè Gesù mi faccia totalmente Suo. Desidero, bramo solo questo. E ditelo alla Madonna che ci dia una mano affinchè il mio sguardo sia tutto lì: "Tu, Dio mio". Io prego per voi, perchè possiate assaporare la dolcezza di Gesù e possiate comunicarla a tutti. "Jesus dulcis memoria"; che bellezza, tutto è racchiuso qui."
P.Aldo



Una nota: oggi a venuto quella della Mercedes e mi ha detto: "Padre le dò un assegno di 58.000 dollari e cosi le tolgo il grattacapo della lotteria". Amici la crisi economica è la crisi della ragione e della fede. Infine per chi volere sapere il cambio dollaro - guaraní è 1 USD = 4600 guarani. E intanto la clinica segue il suo paziente cammino perchè Dio sa che ho 63 anni e non corro più come 20 anni fa. Ma e spettacolare che vedere che ogni giorni mi da il necessario.
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n. 6
01 Marzo 2010
pag. 1 | 2 | 3 | Don Giussani, quegli occhi che sono per me gli occhi di Cristo
Ogni uomo ha bisogno di un testimone che gli permetta di scoprire che è relazione col Mistero, un “Io sono Tu che mi fai”. È quello che Giussani mi ha comunicato col suo sguardo profondo e pieno di amicizia
Leggi: Don Giussani e il suo Dio di carne e ossa (Corradi)

di Aldo Trento
Non sono i libri, nemmeno il più importante di tutti, quello che racchiude la parola di Dio, ciò che determina il cambiamento nella vita di una persona. I farisei conoscevano la Bibbia a memoria, la sapevano interpretare in maniera quasi scientifica, però quando arrivò il Messia non lo riconobbero. Chiunque può fare l’elenco dei libri che ha letto nella vita e che fanno parte della sua esperienza personale, però chi ha avuto la grazia di veder cambiare il corso della sua esistenza a causa di una lettura? Non c’è dubbio che per alcuni possa aver coinciso con l’inizio di una domanda, di una curiosità, di una ricerca, di un desiderio. Ciononostante, per muovere la libertà umana e la grazia divina è sempre stato decisivo l’incontro con un testimone: uno che porta nei suoi occhi la bellezza del viso di Cristo. E sembra che affinché la nostra vita trovi il suo destino, la sua meta, è necessario sperimentare ciò che provarono Giovanni e Andrea duemila anni fa. È necessario, come è stato per me, uno sguardo pieno di tenerezza, un abbraccio colmo di umanità, come lo era quello di Giussani. Lui non mi diede un libro, non si preoccupò di darmi una ricetta o gli strumenti per uscire dalla mia condizione sul ciglio dell’abisso, né mi promise che nel giro di poco tempo sarei emerso dalla mia disperazione. Semplicemente mi guardò come Gesù, dritto in volto, e offrendomi alcune caramelle che aveva su un tavolino del suo studio mi mostrò la bellezza di Cristo, e mi fece percepire che la terribile prova che stavo vivendo, la depressione (che mi sembrava fosse riuscita a rubare la mia libertà), era il modo in cui il Mistero dava inizio a una svolta definitiva nella mia vita: il poter dire: «Tu, o Cristo mio». Fu qualcosa di molto concreto, così come era concreta ogni parola che pronunciava: «Che bello padre Aldo, finalmente diventerai un uomo, e ciò che ti sta capitando è una grazia per tutti. Pensa a come sarebbe bello se quest’estate qualcuno venisse a farti compagnia». Io lo guardai con le lacrime agli occhi e gli dissi: «Ma quale laico, quale prete sarebbe disposto a dividere con me l’abbraccio che tu mi hai dato, ogni giorno, per tutta l’estate?» E lui, immediatamente, si rivolse a me allo stesso modo in cui Gesù quel giorno sulla riva parlò a Giovanni e Andrea: «Ti porterò con me». Fu l’inizio della resurrezione, fu il seme di un albero che oggi è carico di frutti. Il cambiamento avviene per grazia, e grazie a uno sguardo carico di tenerezza: come quello di Gesù a Zaccheo, all’adultera, alla samaritana. L’uomo non ha bisogno di strumenti, per belli che siano, come certi libri o certe musiche, ma ha solo bisogno di uno sguardo. Di un testimone che penetrando nella profondità del suo essere gli permetta di scoprire che è relazione col Mistero, un “Io sono Tu che mi fai”. Questa certezza è quella che Giussani mi ha comunicato con i suoi occhi, col suo sguardo profondo e pieno di amicizia. Non mi ha mai lasciato solo fino alla sua morte. E non perché ce l’avessi davanti, ma perché quegli occhi che fissarono i miei quel 25 marzo 1988 non si sono mai allontanati dai miei. Da quel giorno infatti, l’“Io sono Tu che mi fai” è diventato lentamente carne. Per questo ricordando i cinque anni della sua morte non posso non vibrare di commozione al pensare che oggi, dopo più di ventun anni, la mia relazione con Cristo si è fatta radicale, come radicali sono la fame e la sete di Infinito che porto nel cuore. Ogni giorno che passa significa per me guardare il volto di Cristo, e affermare «Tu, o Cristo mio» all’interno di qualsiasi circostanza e stato d’animo, spesso doloroso. Poter dire “sì” a Cristo, come le amiche che mi hanno inviato queste lettere all’inizio della Quaresima. Le loro non sono parole, sono un volto pieno di dolore, però trasfigurato dalla passione con cui vivono la loro relazione con Cristo, pur vivendo una dolorosissima malattia.
padretrento@rieder.net.py

Carissimo Padre Aldo, non ci conosciamo e non ci siamo mai visti. Ricevo da amici alcune sue e-mail. Sono queste ad avermi costretta a scriverle. Sono malata da vent’anni di tricotillomania (una mania per cui è incontrollabile il bisogno di strappare i capelli). Quello che desidero condividere con lei è il fatto che in quest’ultimo anno sto iniziando a guardare la malattia che mortifica la mia femminilità (e che per questo ho sempre odiato) come l’occasione per fare memoria che «anche i capelli del capo sono tutti contati». Anch’io mi ritengo pazza, ma “pazzamente” desiderosa che Lui mi possegga! Capello dopo capello, questo mi è sempre più chiaro! Ogni tanto chiedo al Buon Dio: «Non sei stanco di passare la giornata a ricontare i miei capelli da capo? Se Tu mi facessi guarire Ti risparmierei un sacco di tempo!». Subito però aggiungo: «Ma se una folta chioma mi facesse dimenticare di Te anche solo per un istante, prenditi tutto, tutti i miei capelli e ogni singolo pelo del mio corpo». pag. 1 | 2 | 3 |
[Modificato da ((Zacuff)) 01/03/2010 21:24]
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Davanti al mondo io posso dirmi certamente malata. Anche davanti agli occhi di Dio lo sono (lo siamo tutti!). Ed è una vera fortuna… del resto, Lui non è venuto per i sani! E proprio come Cristo, anche mio marito, davanti a questa folle mania, mi guarda come una regina. È la Sua precedenza misericordiosa a disarmarmi ostinatamente! Ha deciso di scomodarsi per questa povera donna, un niente, un nulla assoluto che Lui ha reso “TUTTO” con Lui, un TUTT’UNO, proprio UNA COSA SOLA! GRATIS!!! Ma Chi è Costui? Dio mio, che gratitudine! Come al solito, l’Amato mi toglie il respiro! Pazza o equilibrata, malata o sana, tutta Sua, tutta Sua… altro non mi interessa! È per questo che la sento padre e fratello. Preghiamo per lei e per i suoi figli. Un fortissimo abbraccio e grazie del suo “sì”! «Sperando contro ogni speranza».
Lettera firmata

Cari amici, mi rallegro quando venite a trovarmi in ospedale e mi rattristo quando non vi vedo. Siete sempre segno di Cristo, perché la letizia che provo quando venite da me mi è data dal riconoscimento di Lui, mentre la tristezza che provo quando non vi vedo mi è data dalla certezza di Lui: è nostalgia di Colui che ho voglia di rivedere, e non posso provare nostalgia per qualcuno che non esiste. Questo mi fa capire che il Signore, pur essendo presente in tutto e in tutti, continua, anche oggi, come duemila anni fa con gli apostoli, ad avere una preferenza, un luogo che, con grande evidenza, ama in modo particolare. Questo luogo è una compagnia, un gruppo di amici, scelta per facilitare l’abbandonarmi a Lui. Mi stupisce, poi, e mi conforta molto vedere come la mia famiglia si sta abbandonando e consegnando nonostante una grande fatica. La serenità dei bambini e di mio marito mi testimonia che ciò che li determina non è la mia malattia, ma la compagnia di Gesù attraverso alcune persone precise che stanno abbracciando la mia famiglia con l’attenzione verso ogni bisogno, dal fare da mangiare ai bambini, fargli fare i compiti e perfino lavarli e vestirli.
Qualche giorno fa è venuta a trovarmi un’amica. Mi ha detto che desiderava tanto che io ci fossi alle prossime vacanze estive della comunità. Non so perché mi abbia detto questa cosa proprio in questo momento, ma so che un po’ di tempo prima avevo deciso di non fare le vacanze per quest’anno. Dopo quello che mi è successo non voglio più perdere l’occasione di festeggiare Cristo. Noi siamo la sua preferenza e io voglio essere preferita, Lui vive nella nostra compagnia e voglio essere presente quando facciamo festa perché Lui c’è.
Una sera hanno ricoverato una signora che per mancanza di letti ha fatto l’esperienza di rimanere in barella come me nel primo giorno di ricovero. Era accanto a me e stava male. Le ho dato dell’acqua ma non bastava a calmarla. Non mi davo pace, allora le ho proposto di dormire nel mio letto. Io che stavo un po’ meglio avrei preso la barella. Lei non ha accettato e il figlio, stupito, mi ha detto che era la cosa più bella che avesse sentito in tutta la sua vita. Io pensavo ai malati di padre Aldo Trento, lo sguardo e l’amore che lui ha per loro: è la carezza del Nazareno che è per tutti e siamo noi a porgerla.
Dopo qualche giorno è venuto a trovarmi il figlio della signora che nel frattempo aveva avuto un posto letto in un’altra stanza. Mi ha detto: «Prego per te, tu sei nel mio cuore». Una sera che ero sola nell’orario di visita e mi annoiavo un po’, ho chiesto a Gesù: «Vieni a trovarmi, cambia anche forma, non per forza attraverso i miei amici , basta che vieni a trovarmi». Dopo un po’ ho visto entrare dalla porta la signora della barella accompagnata dalla figlia. Si è seduta accanto a me e mi ha fatto compagnia. Gesù risponde subito. pag. 1 | 2 | 3 |
[Modificato da ((Zacuff)) 01/03/2010 21:25]
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Giovedì, in occasione della giornata del malato, è passato un frate per dare l’unzione agli infermi. La signora che era con lui gli aveva detto di non farla a me perché sono giovane. L’infermiera che era di turno, la più dura, fredda, sgarbata, allora lo ha chiamato nuovamente e gli ha detto: «Venga, perché c’è qui una ragazza che sicuramente la desidera». Mentre il frate mi faceva con l’olio santo il segno della croce sulla fronte lei era contenta, con la sua mano sulla mia spalla e mi ha detto: «Hai visto che cosa bella garufina?». Una tenerezza inaspettata.
Io non ho fatto proprio niente per meritare alcunché, sono solo stata male. La cosa più grande è che Lui fa di tutto per stare con me.«Egli moriva in croce per me, mio buon Gesù… mio buon Gesù, non ti partir da me».
Lorena pag. 1 | 2 | 3 |

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n. 8

giovedì 17 settembre 2009
PADRE ALDO TRENTO

....Verso sera chiamo la ragazzina, ancora con il muso duro. L´abbraccio, l´accarezzo, con il cuore che grida: “Signore fa che senta la tua carezza e che non sia definita dalle ferite di un passato pieno di violenza”. Lei è ancora irrigidita ma a un certo punto le dico: “Ascoltami bene quando tornerò dal Brasile, ti prendo come mia segretaria”. D´improvviso mi sorrise, mi diede un bacio e con il cuore sereno sono partito. Al ritorno quando vado a prendere i miei figli per portarli a scuola la ragazzina mi dà un bacio e una letterina ben chiusa in due buste.....


PADRE ALDO TRENTO 16 settembre 2009

Carissimi, “Padre Aldo, tutto il tempo che sei stato assente, i malati, quasi dimenticando il loro dolore, hanno pregato non per loro, ma per te, perché tornasi presto e sano”. Cosi mi hanno detto gli infermieri quando sono tornato in Paraguay. La stessa cosa i bambini:

“Papà adesso non puoi più lasciarci tanto tempo, perché ci manchi tanto”.
Poi mi hanno condotto a vedere l´ultimo fratellino arrivato durante la mia assenza e l’hanno chiamato… Ha due mesi ed è figlio di una bambina di tredici anni che l´ha lasciato ed è sparita. Guardatelo com’è bello!
Uno muore, uno nasce. Ogni settimana c´è la vita che sboccia e incomincia i primi passi, passi già segnati dal dolore dell´abbandono o di ogni tipo di violenza, e c´è la vita che arriva alla sua piena maturità nell´incontro con Cristo. Come vedete siamo, sono ogni istante di fronte al Mistero. Appena tornato, una ragazzina, una delle mie figlie che più ha sofferto, per via di continui abusi sessuali ha avuto una crisi d’isterismo spaventoso. In cinque non riuscivano a tenerla. Per me è stato una cosa da infarto, tanto era violenta.
Ho sentito un dolore lacerante e mi chiedevo il perché di questa reazione. Per un giorno non c´è stato niente da fare: impossibile ogni rapporto, che fare? “Io sono Tu che mi fai”…la mia impotenza, il mio dolore ha subito fatto i conti con questa certezza.
E così, mentre l´avvocato aveva già redatto la domanda al tribunale per denunciare l´accaduto ed eventualmente che io rinunciassi alla patria potestà, io fissavo il Mistero, che mi provocava mediante la realtà a non firmare la nota dell´avvocato. “Io sono Tu che mi fai”, se è vero per me, è vero anche per la mia bambina. E così ho stracciato la nota dell´avvocato.
Verso sera chiamo la ragazzina, ancora con il muso duro. L´abbraccio, l´accarezzo, con il cuore che grida: “Signore fa che senta la tua carezza e che non sia definita dalle ferite di un passato pieno di violenza”. Lei è ancora irrigidita ma a un certo punto le dico: “Ascoltami bene quando tornerò dal Brasile, ti prendo come mia segretaria”. D´improvviso mi sorrise, mi diede un bacio e con il cuore sereno sono partito. Al ritorno quando vado a prendere i miei figli per portarli a scuola la ragazzina mi dà un bacio e una letterina ben chiusa in due buste. A casa leggo: “Perdonami perché non sapevo cosa facevo e non mi comporterò più così. Prego Gesù e la Madonna perché mi aiutino a cambiare. Perdonami, ti voglio tanto bene. In queste tre settimane che non sei stato qui ho sentito la mancanza. Il giorno che sei partito per l´Italia ho sofferto molto. E adesso che sei andato da un´altra parte non so che fare”. La letterina scritta dopo la mia partenza per il Brasile era piena di fiori e stelle con un sole grande. Amici, una volta in più ho toccato con mano che non esiste violenza, circostanza che non possa essere vinta dalla certezza del “Io son tu che mi fai”.
È solo questa esperienza dell´istante vissuto come affermazione del “Tu che mi fai” che non solo mi permette di vivere con letizia, ma anche di educare i miei bambini e di venire fuori dalle situazioni più violente abbiano vissuto o vivono. Non è la psicologia, la psicoanalisi che può fare questi miracoli, ma solo la mia fragile umanità piena di questa certezza. Educare a vivere, educare a morire è comunicare questa certezza che vibra nel mio cuore: “Io sono Tu che mi fai”. Nel tempo questo Tu prende l´io e permette all´io stesso di guardarsi con gli occhi del Tu, cioè con ironia. E uno finalmente gode della propria compagnia. E così si diventa educatori e i bambini incominciano a sorridere e i pazienti terminali guardare in faccia alla morte con letizia.
Ciao P. Aldo
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n. 9

martedì 22 settembre 2009
PADRE ALDO TRENTO

"Vedete quanto qui accadde fuori neanche lo possono immaginare... che una coppia scelga di celebrare il giorno più bello della sua vita cosciente, il matrimonio in un ospedale per ammalati terminali è la vittoria della risurrezione di Cristo, è il mondo nuovo evidente, è il "Tu che mi fai" istante per istante che cambia, rende viva, vibrante capisce e se raccontate ciò che oggi avete visto vi prendono per matti. Ma questo è il cristianesimo, questa è la vittoria di Cristo, è la sconfitta della morte, è il significato salvifico del dolore. Provocato no importa da quale malattia".

21 settembre 2009
Cari amici

Guardate che bello! Non siamo su una rampa che porta a un ristorante , ma alla mia clinica per ammalati terminali dove Miriam, la farmacista della clinica ha deciso sposarsi. Qui sono morti i suoi genitori e lei ha voluto che l'accompagnassi all'altare come papà e poi celebrare il matrimonio . Tutti gli ammalati terminali, che avevano un poco di energia hanno assistito seduti sulle sedie a rotelle. Nella stanza a fianco c èra Lorenzo, appena morto.



In un'altra la piccola Lucia, la bimba senza occhi e naso che fino a sabato sera lottava con la morte. Ha 2 mesi. Nelle altre stanze gli ammalati in coma o molto gravi e i miei bambini Victor (quello senza cranio) Aldo, il mio figlio adottivo con la testa sempre più per la prima volta prende paura, per me invece è solo una grande ostia bianca che adoro, come ogni ammalato 3 volte al giorno.

Poi c’era il personale medico, paramedico, etc. vestiti a festa. Infine alcuni dei miei bambini della casita di Betlemme, dove ieri è arrivata la figlia di Fabiana di due anni che abbiamo recuperato a 400 km di qui... anche lei con l’aids. Ma bella come il sole. Tristemente non ha riconosciuto la mamma Fabiana, che lascio a voi immaginare el dolore. Fabiana 19 anni, oltre all’aids, le hanno trovato anche un cancro nella testa. È sofferente non sta più in piedi, il suo volto quasi sfigurato. Eppure che testimonianza ha dato a Carron e tutti noi lunedi scorso!

Segue commovendoci per la letizia, nel dolore più atroce, che ci trasmette una letizia che permette non solo agli ammalati di celebrare il matrimonio prima di morire ma anche ai sani. "Miriam perchè hai scelto di sposarti qui, fra ammalati terminali ed oggi anche un morto?". Le ho chiesto: "perchè qui sono felice, perchè qui è il trionfo della vita, qui c'e Gesù, ci siete voi i miei amici, qui sono di cielo". Dopo queste parole che potevo dire?

"Vedete quanto qui accadde fuori neanche lo possono immaginare... che una coppia scelga di celebrare il giorno più bello della sua vita cosciente, il matrimonio in un ospedale per ammalati terminali è la vittoria della risurrezione di Cristo, è il mondo nuovo evidente, è il "Tu che mi fai" istante per istante che cambia, rende viva, vibrante capisce e se raccontate ciò che oggi avete visto vi prendono per matti. Ma questo è il cristianesimo, questa è la vittoria di Cristo, è la sconfitta della morte, è il significato salvifico del dolore. Provocato no importa da quale malattia".

E mentre dicevo queste cose arriva Rosetta, la bella diciassettenne, metastasi generale, una gamba amputata, l'altra con un ginocchio come un pallone per il cancro e sorda, mi vede, mi sorride. Alzo il pollice destro, come quando voglio sapere come sta, e lei mi risponde sorridendo allo stesso modo. Terminata la cerimonia, tutti alla festa nella sala dell'ospedale, ed io vado a recitare il breviario nella cella mortuaria dove c'è Lorenzo, ormai freddo che mi aspetta. Gli do un bacio, la fronte è proprio fredda, ha gli occhi ancora un po' aperti, con amore gli premo le palpebre e si chiudono al mondo per sempre, ma ora contemplano quel mio "Tu che mi fai".

Sto solo con lui, anche perchè non ha nessuno. Noi siamo la sua famiglia. Provo una grande pace, una letizia, come sempre quando sto solo con un cadavere. Ma non è il cadavere a darmi la pace ma la certezza di quanto diciamo in modo distratto nel "Credo": "Credo la risurrezione della carne, la vita eterna, amen". In fondo la clinica è nata perchè ho preso sul serio anche questo dogma della nostra fede.. ed è quello più dimenticato da tutti, anche dai preti.

Ciao, P. Aldo
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n. 10

domenica 6 settembre 2009
PADRE ALDO TRENTO 5 SETTEMBRE 2009
Cari amici,

Eccomi di ritorno. La sorpresa commuovente e’ che ad aspettarmi c’erano i miei figli della Casetta di Betlemme, fatti entrare grazie al vicepresidente nella sala vip, situata dentro all’aereoporto, prima della polizia di frontiera, dove nessuno entra senza un permesso speciale. Pensate cosa ha voluto dire per me scendere dall’aereo e vedere i miei figli, tutti bene vestiti ad accogliermi. E poi la piccina, la piu’ piccola di due anni, Rosetta, con le braccia aperte camminare verso di me e saltarmi tra le braccia. Alla partenza per l’Italia non camminava ancora. Tutti assime sul furgone felici, con la Rosetta in braccio, siamo arrivati a casa dove mi aspettavano i bebe’. Sono bellissimi. Un pomeriggio di festa.
Ma poi da due ore gli ammalati mi stavano aspettando nella clínica, tutti in circolo. La Hermania Sonia con l’arpa e loro con tutto il personale a cantarmi la canzone che piu’ mi piace e che da 20 anni e’ come se l’ascoltassi per la prima volta “Quando ero pequeño”. Infine l’incontro con Cinzia, una bella donna giovane che non voleva morire prima che arrivassi. L’ho abbracciata, tenendo la sua testa fra le mie braccia. Due ore dopo moriva, con un sorriso pieno di paradiso. Ieri l’ho passato incontrando il mio popolo di ammalati, moribondi, anziani e bambini, e abbracciandoli uno per uno e inginocchiandomi davanti ai moribondi, vedendo in loro Gesu’ morente. Guardando ognuno, vedevo la contemporaneita’ di Cristo, in loro cambiati, cambiati perche’ stanno davanti al dolore con gli occhi fissi nel Mistero.
Poi nella notte la polizia mi ha portato una bambina, abbandonata e violentata. A guardare un uomo tremava, per cui aveva terrore anche di me. Pero’, sono convinto che il “Io sono Tu che mi fai” dentro alcuni giorni le permettera’ di venire in braccio.

Grazie per quanto avete fatto per me nel mio soggiorno in Italia.
Prego per tutti

Padre Aldo
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14/03/2010 14:33

n. 11
09 Marzo 2010
È il nostro peccato che ci ha permesso di incontrare Cristo
Il moralismo e la misericordia
di Aldo Trento

Caro Padre Aldo, ho letto attentamente il suo articolo sulla confessione. Ci sono un paio di punti che mi hanno colpito. Il primo è che lei parla sempre della misericordia di Dio e di perdono. Io sono cresciuta con l’idea di un Dio giusto, che premia e castiga. È un’idea difficile da cancellare. Lentamente ci sto riuscendo, anche se rimane in me il timore del Purgatorio. Temo le macchie che hanno lasciato i molti peccati da me commessi, mi rendono difficile credere in un perdono assoluto. Devo ricevere il mio castigo, sarebbe la cosa giusta. Alcuni mi dicono: «Tu salirai al cielo», ma io credo che tutto ciò che facciamo per amore non ha valore, perché fatto senza spirito di sacrificio. Non mi costa. Invece, quello che mi costa fatica, non lo faccio.
Il secondo punto riguarda il suo modo di confessarsi. Mi hanno sempre insegnato a elencare uno a uno i peccati commessi: quante volte, quando, con tutti i dettagli. Ma alla mia età i peccati sono più di omissione che di azione. E sono sempre gli stessi. È difficile confessarsi a un sacerdote che aspetta che tu gli reciti una lista. E la memoria non aiuta. Infatti io mi preparo a casa: prendo il mio libro La confessione e individuo i miei errori, poi quando sono nel confessionale leggo. Una cosa molto routinaria, così come i consigli che mi dà il sacerdote. Ciononostante, ho sempre nel cuore un desiderio di perdono, di purificazione: parlo con Dio in qualsiasi momento e gli chiedo forza, temperanza, chiedo perdono per tutto ciò che non faccio, o che faccio male.
Una confessione senza elenco, solo per chiedere l’assoluzione, illustrando errori generici, in fondo sempre gli stessi? È una prospettiva nuova per me. Anni fa qualcuno mi disse, per confortarmi, che la legge è fatta per l’uomo, e non l’uomo per la legge. Ma quanti modi ci sono di intendere il cattolicesimo?
Lettera firmata

Carissima, ti ringrazio perché mi consenti di chiarire un tema che è essenziale nel cammino della fede cattolica.
1. Dio è amore. Il nostro Papa ha dedicato la sua prima enciclica proprio a questo concetto. Il Dio “castigatore” forma parte di quell’eredità educativa portata in America Latina dai missionari provenienti dalla Spagna e da altri paesi, vittime dell’ideologia calvinista, giansenista, e anche di una corrente teologica che interpreta la riforma tridentina come affermazione giuridico-morale della fede più che la fede come riconoscimento di un Avvenimento, di Cristo, incontrando il quale la tua vita cambia.
Anche da un punto di vista storico, a partire dal termine del Medio Evo, con la sua visione unitaria dell’uomo frutto della coscienza che l’ontologia umana è relazione con il Mistero, si impose una divisione tra la fede e la vita e di conseguenza prese piede un cristianesimo moralista, ridotto a un’etica e a un sistema di valori ad essa connesso. Un’eredità che avrebbe preso ancora più forza nel XX secolo e in questi anni. Grazie a Dio gli ultimi Pontefici hanno ripreso e proposto con forza quello che è sempre stato presente nella santità della Chiesa, cioè che il cristianesimo è un fatto, una Presenza che cambia la vita.
Il rapporto Dio-uomo è un rapporto d’amore, carico unicamente di misericordia. Non solo, ma quello umano è l’unico cammino possibile per arrivare a Cristo. Il peccato della Maddalena, quello dell’adultera, è ciò che ha permesso a quelle due donne di incontrare Cristo. Purtroppo noi siamo stati educati a vedere la nostra umanità, i nostri limiti come obiezione a Cristo, come scandalo. Da qui la posizione moralista e volontarista: il famoso proposito che ha sostituito la grazia.
Pensiamo all’Atto di dolore quando finiva con il compromesso della volontà di non peccare più. Intanto il “perdono” ambrosiano recitava così: «O Gesù d’amore acceso non ti avessi mai offeso, ma con la Tua Santa Grazia non ti voglio offendere più». Per grazia di Dio dopo il Concilio è cambiato anche l’Atto di dolore aggiungendo «con il tuo santo aiuto». Il complesso del volontarismo di certe correnti protestanti è ancora radicato nella nostra mentalità, con le conseguenze del timore, dell’ira e dell’allontanamento dalla Chiesa da parte di molte persone.

(continua)
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14/03/2010 14:35

Il timore di Dio è la coscienza semplice, come quella di un bambino con sua madre, che Dio mi ama e si è fatto carne in Cristo, proprio grazie ai nostri peccati. Nel Preconio pasquale si recita: «Felice colpa di Adamo, che meritò un così grande Salvatore!».

Dal VI al VII comandamento
2. Il modo di confessarsi. Come ho scritto chiaramente in questa rubrica, gli scrupoli morali non sono compatibili con la confessione e la confessione non è il cestino dove gettare la spazzatura della nostra vita. Personalmente sono stato educato nel moralismo più fastidioso, quello per il quale tutto era peccato e l’inferno era lì pronto ad aprirsi sotto ai nostri piedi da un momento all’altro. Inoltre quando si trattava del sesto e del nono comandamento (non commettere atti impuri e non desiderare la donna d’altri, ndr) uno diventava matto, perché qualsiasi cosa era peccato grave, a prescindere dalle tre condizioni per cui un peccato è da ritenersi tale. Non perché non ci dicessero le tre condizioni che rendono mortale un peccato, ma perché per certi educatori era più importante la materia della libertà. È un po’ quello che capita oggi col settimo comandamento (non rubare, ndr).
La confessione è l’abbraccio misericordioso del Padre. Uno si confessa solo perché ha bisogno di questo abbraccio. Se io mi confesso ogni settimana o anche più spesso non è certo per sgravarmi di un peso, ma perché ho bisogno di essere abbracciato, ho bisogno di udire le parole: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». È chiaro che poi documento quelle debolezze che evidenziano il mio allontanarmi da Cristo, quelle fragilità che testimoniano che Cristo non è l’Unicum per il quale vivo. Al confessore dico l’essenziale, e se lui mi chiede di più per aiutarmi a riconoscere la misericordia di Dio gli rispondo con umiltà, come il sacramento della confessione esige. Però non mi passa neanche per la testa di fare una lista lunga quanto un lenzuolo con tutti i dettagli negativi della mia vita, se fosse così avrei bisogno di una calcolatrice e di un personal computer. La confessione è allegria, grazia, festa, perché uno riconosce di essere peccatore e i suoi peccati, mortali o veniali che siano… Ma non è confessione il tormento che molti vivono, o gli scrupoli che uno sopporta come una malattia, a causa di un’educazione che l’ha portato ad avere timore dell’umano.
Quindi, signora, si cerchi un confessore intelligente, che non sia curioso, ma che sappia essere essenziale, che le permetta di sperimentare l’abbraccio del figliol prodigo. Io vado a confessarmi cantando e torno col cuore che trabocca di allegria. Lei dovrebbe vivere la confessione nella stessa maniera.
padretrento@rieder.net.py
[Modificato da ((Zacuff)) 14/03/2010 14:35]
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20/03/2010 12:46

 

È il nostro peccato che ci ha permesso di incontrare
Cristo

Il moralismo e la misericordia

di Aldo Trento
Caro Padre Aldo, ho letto attentamente il suo articolo sulla confessione. Ci sono un paio di punti che mi hanno colpito. Il primo è che lei parla sempre della misericordia di Dio e di perdono. Io sono cresciuta con l’idea di un Dio giusto, che premia e castiga. È un’idea difficile da cancellare. Lentamente ci sto riuscendo, anche se rimane in me il timore del Purgatorio. Temo le macchie che hanno lasciato i molti peccati da me commessi, mi rendono difficile credere in un perdono assoluto. Devo ricevere il mio castigo, sarebbe la cosa giusta. Alcuni mi dicono: «Tu salirai al cielo», ma io credo che tutto ciò che facciamo per amore non ha valore, perché fatto senza spirito di sacrificio. Non mi costa. Invece, quello che mi costa fatica, non lo faccio.
Il secondo punto riguarda il suo modo di confessarsi. Mi hanno sempre insegnato a elencare uno a uno i peccati commessi: quante volte, quando, con tutti i dettagli. Ma alla mia età i peccati sono più di omissione che di azione. E sono sempre gli stessi. È difficile confessarsi a un sacerdote che aspetta che tu gli reciti una lista. E la memoria non aiuta. Infatti io mi preparo a casa: prendo il mio libro La confessione e individuo i miei errori, poi quando sono nel confessionale leggo. Una cosa molto routinaria, così come i consigli che mi dà il sacerdote. Ciononostante, ho sempre nel cuore un desiderio di perdono, di purificazione: parlo con Dio in qualsiasi momento e gli chiedo forza, temperanza, chiedo perdono per tutto ciò che non faccio, o che faccio male.
Una confessione senza elenco, solo per chiedere l’assoluzione, illustrando errori generici, in fondo sempre gli stessi? È una prospettiva nuova per me. Anni fa qualcuno mi disse, per confortarmi, che la legge è fatta per l’uomo, e non l’uomo per la legge. Ma quanti modi ci sono di intendere il cattolicesimo?

Lettera firmata

Carissima, ti ringrazio perché mi consenti di chiarire un tema che è essenziale nel cammino della fede cattolica.
1. Dio è amore. Il nostro Papa ha dedicato la sua prima enciclica proprio a questo concetto. Il Dio “castigatore” forma parte di quell’eredità educativa portata in America Latina dai missionari provenienti dalla Spagna e da altri paesi, vittime dell’ideologia calvinista, giansenista, e anche di una corrente teologica che interpreta la riforma tridentina come affermazione giuridico-morale della fede più che la fede come riconoscimento di un Avvenimento, di Cristo, incontrando il quale la tua vita cambia.
Anche da un punto di vista storico, a partire dal termine del Medio Evo, con la sua visione unitaria dell’uomo frutto della coscienza che l’ontologia umana è relazione con il Mistero, si impose una divisione tra la fede e la vita e di conseguenza prese piede un cristianesimo moralista, ridotto a un’etica e a un sistema di valori ad essa connesso. Un’eredità che avrebbe preso ancora più forza nel XX secolo e in questi anni. Grazie a Dio gli ultimi Pontefici hanno ripreso e proposto con forza quello che è sempre stato presente nella santità della Chiesa, cioè che il cristianesimo è un fatto, una Presenza che cambia la vita.
Il rapporto Dio-uomo è un rapporto d’amore, carico unicamente di misericordia. Non solo, ma quello umano è l’unico cammino possibile per arrivare a Cristo. Il peccato della Maddalena, quello dell’adultera, è ciò che ha permesso a quelle due donne di incontrare Cristo. Purtroppo noi siamo stati educati a vedere la nostra umanità, i nostri limiti come obiezione a Cristo, come scandalo. Da qui la posizione moralista e volontarista: il famoso proposito che ha sostituito la grazia.
Pensiamo all’Atto di dolore quando finiva con il compromesso della volontà di non peccare più. Intanto il “perdono” ambrosiano recitava così: «O Gesù d’amore acceso non ti avessi mai offeso, ma con la Tua Santa Grazia non ti voglio offendere più». Per grazia di Dio dopo il Concilio è cambiato anche l’Atto di dolore aggiungendo «con il tuo santo aiuto». Il complesso del volontarismo di certe correnti protestanti è ancora radicato nella nostra mentalità, con le conseguenze del timore, dell’ira e dell’allontanamento dalla Chiesa da parte di molte persone.
Il timore di Dio è la coscienza semplice, come quella di un bambino con sua madre, che Dio mi ama e si è fatto carne in Cristo, proprio grazie ai nostri peccati. Nel Preconio pasquale si recita: «Felice colpa di Adamo, che meritò un così grande Salvatore!».

Dal VI al VII comandamento
2. Il modo di confessarsi. Come ho scritto chiaramente in questa rubrica, gli scrupoli morali non sono compatibili con la confessione e la confessione non è il cestino dove gettare la spazzatura della nostra vita. Personalmente sono stato educato nel moralismo più fastidioso, quello per il quale tutto era peccato e l’inferno era lì pronto ad aprirsi sotto ai nostri piedi da un momento all’altro. Inoltre quando si trattava del sesto e del nono comandamento (non commettere atti impuri e non desiderare la donna d’altri, ndr) uno diventava matto, perché qualsiasi cosa era peccato grave, a prescindere dalle tre condizioni per cui un peccato è da ritenersi tale. Non perché non ci dicessero le tre condizioni che rendono mortale un peccato, ma perché per certi educatori era più importante la materia della libertà. È un po’ quello che capita oggi col settimo comandamento (non rubare, ndr).
La confessione è l’abbraccio misericordioso del Padre. Uno si confessa solo perché ha bisogno di questo abbraccio. Se io mi confesso ogni settimana o anche più spesso non è certo per sgravarmi di un peso, ma perché ho bisogno di essere abbracciato, ho bisogno di udire le parole: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». È chiaro che poi documento quelle debolezze che evidenziano il mio allontanarmi da Cristo, quelle fragilità che testimoniano che Cristo non è l’Unicum per il quale vivo. Al confessore dico l’essenziale, e se lui mi chiede di più per aiutarmi a riconoscere la misericordia di Dio gli rispondo con umiltà, come il sacramento della confessione esige. Però non mi passa neanche per la testa di fare una lista lunga quanto un lenzuolo con tutti i dettagli negativi della mia vita, se fosse così avrei bisogno di una calcolatrice e di un personal computer. La confessione è allegria, grazia, festa, perché uno riconosce di essere peccatore e i suoi peccati, mortali o veniali che siano… Ma non è confessione il tormento che molti vivono, o gli scrupoli che uno sopporta come una malattia, a causa di un’educazione che l’ha portato ad avere timore dell’umano.
Quindi, signora, si cerchi un confessore intelligente, che non sia curioso, ma che sappia essere essenziale, che le permetta di sperimentare l’abbraccio del figliol prodigo. Io vado a confessarmi cantando e torno col cuore che trabocca di allegria. Lei dovrebbe vivere la confessione nella stessa maniera.
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[Modificato da ((Zacuff)) 20/03/2010 12:47]
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opss l'avevo già postato questo post.
Daniele cancella questo post dai
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