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“Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”.

Ultimo Aggiornamento: 09/05/2010 11:23
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Alla Pontificia Università Lateranense un convegno teologico sull'identità del sacerdote nella Chiesa contemporanea

Tra vocazione spirituale e ruolo sociale


"Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote" è il tema del convegno teologico internazionale organizzato dalla Congregazione per il Clero che si tiene l'11 e il 12 marzo presso la Pontificia Università Lateranense. I lavori sono strutturati in tre sessioni, due dedicate all'identità del sacerdote e al rapporto con la cultura contemporanea e una terza incentrata sul celibato e sulla liturgia. A presiedere i tre momenti saranno il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Introduce i lavori il cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero. Pubblichiamo stralci di alcune delle relazioni della prima giornata.
 

di Willem Jacobus Eijk
Arcivescovo di Utrecht

Si sente spesso dire che l'identità sacerdotale ha cominciato a vacillare in seguito al concilio Vaticano ii. Avendo il concilio riscoperto il laico e avendogli attribuito una vocazione e una missione, sarebbe sorta la domanda su cosa fosse la specificità del sacerdozio. Dubito che la confusione fra l'identità del prete e quella del laico sia stata davvero il risultato del concilio. Ci sono molti segnali per dire che questa crisi era cominciata prima.
Un libro sull'argomento, scritto fra gli altri dal preside del seminario minore dell'arcidiocesi di Utrecht, monsignor Ramselaar, è stato pubblicato nel 1947 sotto il titolo significativo Onrust in de zielzorg ("fermento nella cura delle anime"). Dal volume si evince che lo "tsunami" avvenuto nella Chiesa nei Paesi Bassi negli anni Sessanta del secolo scorso, era percettibile già nella seconda meta degli anni Quaranta. Inoltre il libro contiene una severa critica ai sacerdoti.

 In primo luogo viene rimproverato ai preti di occuparsi troppo di cose che non appartenevano al proprio compito. Nella rete delle organizzazioni cattoliche i sacerdoti erano le figure centrali, mentre i laici cominciavano a rivendicare una propria autonomia e volevano ricoprire ruoli di guida nelle organizzazioni cattoliche. In secondo luogo, si rimproverava ai preti di non vivere abbastanza la propria identità sacerdotale. Si trovava il loro agire troppo profano. I laici, pur apprezzando il loro impegno, percepivano nei preti la mancanza del contenuto spirituale. La secolarizzazione, che fra i cattolici olandesi era cominciata più tardi che negli altri Paesi dell'Europa occidentale, si infiltrava lentamente a partire dagli anni Venti del secolo scorso. Questo sviluppo aveva ripercussioni anche sulla figura del sacerdote. Secondo il citato preside del seminario minore, fra parecchi preti il senso del mistero andava diminuendo nell'immediato dopoguerra. Lo stesso fenomeno si manifestava in altri Paesi, come risulta da un articolo della scrittrice tedesca Ida Görres pubblicato nel 1946 dalla rivista "Frankfurter Hefte":  "Sempre ci si scontra con la domanda che tormenta:  perché vi sono così pochi preti che nel loro agire riflettono almeno qualche raggio di una frequentazione quotidiana con Dio, con cui il laico che desidera un cibo spirituale, può intrattenere una conversazione spirituale? Perché sono tanto rare le canoniche in cui c'è un'atmosfera spirituale?".

Bisogna concludere che il prete irradiasse poco la sua identità intrinseca, quella sacramentale di uomo che rappresenta Cristo in persona. Al contrario, molti preti risultavano essere affezionati alla loro identità estrinseca, cioè alle funzioni di leader nella società profana e delle organizzazioni cattoliche. Una delle cause va ricercata nella crescente difficoltà di dedicarsi alla cura delle anime, attività insidiata dalla secolarizzazione.

Un aspetto interessante è l'influenza che tutto questo aveva sui seminaristi in quell'epoca. Molti di questi avranno conosciuto, almeno teoricamente, il senso del sacerdozio, ma va considerato che per molti giovani l'unica possibilità di studiare era rappresentata dall'ingresso in seminario. I seminari olandesi avevano moltissimi studenti alla fine degli anni Cinquanta. Tuttavia in seguito alla crescita rapida del benessere economico in molti si rivolsero alle scuole pubbliche e a metà degli anni Sessanta i seminari si svuotavano rapidamente. Nello stesso periodo, assieme ad altre figure considerate autorevoli come notai e medici, anche i preti hanno perso autorevolezza. Tuttavia, mentre il medico e il notaio mantenevano la loro identità, quella del sacerdote attraversava una crisi profonda. Bisogna segnalare però che questa crisi riguardava soprattutto la sua attività sociale e dipendeva dai cambiamenti culturali dell'epoca.

A partire da queste considerazioni dovremmo pensare che il concilio Vaticano ii ha portato nella vita della Chiesa una discontinuità? Ciò che il concilio sul piano pastorale ha fatto è il necessario aggiornamento della vita e della prassi della Chiesa ai cambiamenti culturali, mantenendo fermo il depositum fidei. Pur fissando l'attenzione sulla partecipazione dei laici al sacerdozio comune (Lumen gentium n. 34), il Vaticano ii ha mantenuto pienamente la dottrina concernente l'identità intrinseca del prete, accentuando la differenza specifica del sacerdozio particolare. Il concilio ha affermato esplicitamente che il sacerdozio comune e quello ministeriale o gerarchico differiscono "essenzialmente e non solo di grado".

Il concilio non ha introdotto una discontinuità nell'identità del prete. C'è stata comunque una tale discontinuità, fuori del contesto del concilio, in due fasi diverse. La prima è stata una modifica graduale del modo in cui i preti vivevano la loro identità intrinseca, fenomeno che si è manifestato almeno nell'Europa del nord-ovest negli anni Quaranta del secolo scorso. Nella seconda fase l'immagine sociale che il prete aveva fino alla fine degli anni Cinquanta, è venuta meno rapidamente nell'epoca rivoluzionaria degli anni Sessanta. Bisogna dunque concludere che grazie al concilio Vaticano ii è stata salvaguardata la continuità dell'identità intrinseca del prete. Il concilio, fissando i paletti giusto in tempo, ha evitato che la crisi avesse minato in modo ancora più grave l'identità del sacerdote. Trovare un equilibrio fra la sua identità spirituale e il proprio ruolo in un dato contesto sociale e culturale rimarrà sempre una sfida per il prete.

Senza la Chiesa, senza la sua Tradizione e senza il suo magistero, guidati dalla Spirito Santo, molti elementi del depositum fidei non sarebbero stati chiariti e perfino sarebbero stati perduti. Da questa prospettiva si deve considerare anche il concilio Vaticano ii. Garantire la continuità dell'identità del prete è essenziale, sia per il modo in cui i preti vivono il loro sacerdozio, sia per il modo in cui i seminaristi saranno formati, sia per il modo in cui si dà corpo alla pastorale vocazionale. Riguardo a quest'ultima bisogna evitare tentativi di forzare vocazioni sacerdotali, fissando l'attenzione sulla identità estrinseca del sacerdote, un errore evitato troppo poco nel passato. Riguardo alla formazione sacerdotale bisogna sapere quali preti vogliamo avere. Non vorrei sottostimare la importanza del ruolo sociale dei preti, i quali pur "in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio" non rimangono "separati da questo stesso popolo o da qualsiasi uomo" con cui vivono e per cui lavorano in una data epoca e cultura (Presbyterorum ordinis n. 3). Tuttavia, intendiamo formare futuri preti in primo luogo in base alla identità spirituale. I sacerdoti sono quotidianamente esposti alla pressione, alle tensioni e alle delusioni connessi alla proclamazione del Vangelo nella nostra società poco aperta alla fede cristiana. Perciò c'è dopo l'ordinazione sempre il rischio di far prevalere il ruolo sociale su quello spirituale. Per prevenire un conflitto personale i preti devono curare il più possibile il loro rapporto con Cristo Sacerdote, Maestro e Pastore.



(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2010)
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