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Necessità e natura della Conversione degli Ebrei

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2010 17:36
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17/03/2010 18:31

Necessità e natura della Conversione degli Ebrei

La nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano: un tentativo di analisi teologica.


I parte

Necessità e natura della Conversione degli Ebrei


1. Lo Status quaestionis.

Le difficoltà maggiori del dialogo inter-religioso tra la Chiesa Cattolica e gli Ebrei non riguardano né la negazione della Shoah - che nessun cattolico sano di mente nega -, né il riconoscimento dello Stato di Israele – il cui stato di fatto, pur unito a riserve sui trattamenti riservati talvolta ai palestinesi cristiani e non, oggi nessuno contesta -, né le critiche al Pontificato di Pio XII (più conseguenza che causa di dissapori).

La difficoltà maggiore è data dalla questione se il Cattolicesimo e l’Ebraismo possano essere considerate due vie parallele di salvezza o meno; se per un cattolico gli Ebrei si debbano convertire o arrivare al Cattolicesimo, oppure possano o debbano rimanere nella loro religione.

La scelta della seconda soluzione comporterebbe la fine della missio ad Hebreos.


In questi termini, in riferimento al problema teologico, si esprimeva già - non so con quali auspici di soluzione - il Cardinale Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (e recentemente tornato agli onori della cronaca per la frattura al femore durante l’aggressione al Papa la sera del 24 dicembre 2009):

"Fino a quando la teologia non avrà risposto in modo chiaro e sereno al problema del riconoscimento da parte della Chiesa della vocazione permanente del popolo ebraico, il dialogo ebraico-cristiano rimarrà superficiale ed amichevole, pieno di restrizioni mentali” [1].

Il Rabbino Riccardo Di Segni poneva, qualche anno fa, la stessa questione in questo modo:

“Il dato che segnalo, è che a 39 anni dalla Nostra aetate (…) non mi è parso di vedere - e sarei lieto se qualcuno mi potesse contraddire - un solo articolo di un cattolico dove si dicesse che i tempi sono cambiati e che un rabbino che si converte al cristianesimo non è più un obbiettivo e un ideale per la Chiesa Cattolica”[2].

E ancora, recentemente, Il Card. Kasper ribadiva il medesimo concetto

“Con questo si affronta la questione teologica più fondamentale dell'attuale dialogo ebraico-cristiano: c'è una sola alleanza o ci sono due alleanze parallele per ebrei e cristiani?”[3]

Dunque il vero problema è il seguente: se oggi incontriamo un nuovo Ratisbonne, che viene a chiedere il Battesimo, gli dobbiamo dire: “Bravo, vieni che ti battezzo”, oppure: “Torna pure alla Sinagoga; dopo il Concilio abbiamo capito che puoi rimanere tranquillamente Ebreo”? E, ammesso che giustamente desideriamo che il maggior numero possibile di Ebrei entri nella Nuova Alleanza, dobbiamo darci da fare anche per cercare di convincere gli Ebrei stessi, annunciare loro Gesù Cristo, oppure dobbiamo limitarci ad una silenziosa testimonianza?

Il problema è acuito dalla forte pressione, esercitata tanto da Ebrei quanto da sedicenti cattolici, per una soluzione che vada in quest’ultimo senso: così scriveva qualche giorno fa Riccardo Cascioli:

“Lunedì 18, ad esempio, nel Giornale Radio di Radio 2 alle 7.30, lo storico Alberto Melloni ha affermato che il fatto più importante della visita è la chiara rinuncia alla conversione degli ebrei da parte della Chiesa, cosa che discenderebbe dalla affermazione della irrevocabilità dell’Alleanza tra Dio e il popolo di Israele. Il giorno successivo è toccato al presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, chiedere – come ulteriore passo nel cammino di avvicinamento tra ebrei e cristiani – una rinuncia esplicita alla conversione degli ebrei che, secondo lui, è già implicita”[4].


2. La risposta nei documenti ufficiali.


Benché la pressione mediatica presenti come dominante l’idea che Ebraismo e Cristianesimo siano due vie parallele di salvezza, i documenti ufficiali parlano chiaro:

“Chiesa ed ebraismo non possono essere presentati dunque come due vie parallele di salvezza e la chiesa deve testimoniare il Cristo redentore a tutti”[5].

Né si può far risalire al Concilio la teoria delle due vie parallele; una retta oggettiva interpretazione del testo conciliare ci viene proprio dal rabbino Di Segni:

“C’è una frase nella Nostra aetate che non viene quasi mai citata, ma rivela il nodo del problema: "E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio..." dice il documento. È in qualche modo una ripresa dell’antico tema del verus Israel, che nella sua formulazione conciliare lascia aperto il problema: se "nuovo" popolo di D. significa che il vecchio non lo è più, o se insieme vecchio e nuovo hanno un ruolo nella salvezza. Il card. Bea, coraggioso difensore del documento conciliare, (…) non aveva dubbi su questo punto: spiegava che "naturalmente è vero che il popolo ebraico non è più il popolo di D. nel senso di istituzione di salvezza per l’umanità"”[6]

Inoltre il rabbino capo di Roma fa notare come anche l’allora Card. Ratzinger sembrava anche lui “seguirne la dottrina (…) quando afferma che:


“Nell’Antico Testamento [il popolo di D.] era il popolo d’Israele, da Cristo in avanti il nuovo popolo è quello dei suoi seguaci”[7].


D’altronde, il Cardinale Ratzinger stesso si era espresso in modo inequivocabile prima di essere eletto Papa: dopo aver ribadito che “Israele ha ancora un tratto di cammino da compiere”, alla domanda “Questo significa che gli Ebrei devono o dovrebbero riconoscere il Messia ‘?”, il futuro pontefice rispondeva “Noi crediamo di sì”[8].



3. Ancora lo scontro tra le “due ermeneutiche”.

Benedetto XVI si trova, anche per quanto riguarda la teologia dell’ebraismo, a dover dare energici colpi di timone per raddrizzare la rotta che l’ermeneutica della rottura vuole vanamente far prendere alla Chiesa.

I problemi di questa correzione di rotta sono enormi: da un lato un Pontefice romano non può che confermare i suoi fratelli ribadendo la verità, senza sconti; da un altro però bisogna non urtare la sensibilità degli Ebrei, al fine di non pregiudicare il dialogo con essi. Per un ebreo, la conversione dall’ebraismo ad altra religione è cosa gravissima[9].

Con l’espressione dialogo da non pregiudicare non intendo cedimento dottrinale, ma la realizzazione di quanto lo stesso Benedetto XVI si auspicava nel Discorso tenuto nella Sinagoga di Colonia:


“Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani. Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo (cfr Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune”[10].

4. La verità senza sconti.


Il papa ha parlato chiaro; ermeneutica della Riforma non vuol dire assolutamente ritorno al passato, ma progredire senza rotture con lo stesso passato.

E allora, insieme a tanta pazienza e carità mostrata dal Papa in varie circostanze, il termine conversione, riferito agli Ebrei, è riapparso in un documento del magistero.

Infatti, ancor prima della tanto contestata preghiera “pro Iudeis” per la forma straordinaria del rito romano - preghiera a cui non è stata tolta l’indicazione rubricale Pro conversione Iudeorum[11] -, il Papa diceva:

”Con la loro stessa esistenza i Dodici - chiamati da provenienze diverse - diventano un appello a tutto Israele perché si converta e si lasci raccogliere nell'alleanza nuova, pieno e perfetto compimento di quella antica”[12].


La benefica influenza di questa impostazione comincia anche a vedersi nei documenti di alcuni episcopati.

Non si possono che valutare positivamente le ultime prese di posizione - quasi una metamorfosi - dei Vescovi statunitensi.

Se nelle “riflessioni cattoliche” del documento congiunto del 12-8-2002 Reflections on Covenant and Mission[13] si arrivava a dichiarare che “gli Ebrei già si trovano in una situazione di alleanza salvifica con Dio” [14], abbiamo, quasi sette anni dopo (19-6-2009) - meglio tardi che mai - una Nota dottrinale importantissima dello stesso episcopato nord-americano: A Note on Ambiguities Contained in «Reflections on Covenant ond Mission».

In questo documento si dichiara che, sebbene la partecipazione cristiana al dialogo inter-religioso “non include normalmente l’esplicito invito al Battesimo e all’entrata nella Chiesa, l’interlocutore cattolico offre sempre la testimonianza per la sequela di Cristo, alla quale tutti sono implicitamente invitati”; e ancora viene detto che alcune affermazioni del documento in questione “porterebbero erroneamente a trarre la conclusione che gli Ebrei hanno l’obbligo di non diventare Cristiani e che la Chiesa avrebbe un corrispondente obbligo di non battezzare gli Ebrei”[15].

La recente affermazione del Card. Bagnasco, secondo cui “la Conferenza Episcopale Italiana ribadisce che non è intenzione della Chiesa Cattolica operare attivamente per la conversione degli ebrei”[16], va intesa - se vogliamo salvarne l’ortodossia - non in senso assoluto; ma nel senso che non si deve fare proselitismo in modo scorretto; oppure nel senso delle dichiarazioni dei Vescovi statunitensi, che distinguono il dialogo inter-religioso dall’invito al Battesimo, senza però dichiararli incompatibili.

5. La nuova preghiera pro Iudeis.


E adesso, dopo aver visto la cornice in cui si colloca la nuova preghiera pro Iudeis, entriamo finalmente in medias res. E cominciamo proprio dal titolo rubricale Pro conversione Iudeorum.

Che importanza dare a un titolo rubricale? Niente di più di ciò che è, ma neppure niente di meno, considerando che nel Messale del 1965 il titolo era stato tolto[17], cosa che non viene fatta nella prima riforma che il Messale del 1962 subisce in quanto tale.


6. In che senso si deve parlare di Conversione degli Ebrei ?

Certamente l’espressione conversione è pertinente agli Ebrei, e rimane ancora valida in sé, perché in questo senso è propria della Tradizione della Chiesa ed è presente nella S. Scrittura.

“Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto”[18].


Però dobbiamo ben intendere questa parola, perché la conversione degli Ebrei non è della stessa specie della conversione di un peccatore in generale o di un pagano o di un eretico: si tratta una conversione differente rispetto alla conversione da altre specie di incredulità[19].

La parola conversione indica comunque l’abbandono di una strada sbagliata, e l’ingresso in una via giusta.

Qual è dunque il costitutivo formale dell’incredulità degli Ebrei, cioè il terminus a quo della loro conversione?

Lasciamo la parola a San Tommaso d’Aquino: troviamo una magnifica risposta a questa domanda nella Somma Teologica, I-II, q. 104, art. 4, co.; il titolo dell’articolo è il seguente: Se dopo la passione di Cristo si possano osservare le cerimonie legali senza peccato mortale (… de duratione caeremonialium praeceptorum … utrum sit peccatum mortale observare ea post Christum). Esaminiamo ora il corpo dell’articolo:

“Tutte le cerimonie sono altrettante professioni di quella fede, che costituisce il culto interiore di Dio. Ora, l'uomo può professare la sua fede interiore con gli atti e con le parole: e in entrambi i casi, se professa della falsità, pecca mortalmente. E sebbene la fede che noi abbiamo del Cristo sia identica a quella che di lui avevano i Patriarchi, tuttavia poiché essi precedettero il Cristo, mentre noi siamo a lui posteriori, la medesima fede viene espressa con verbi differenti. Essi infatti dicevano: "Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio", usavano cioè verbi al futuro: invece noi ci serviamo del passato nell'esprimere la stessa cosa, dicendo che "concepì e partorì". Allo stesso modo, le cerimonie dell'antica legge indicavano il Cristo che doveva ancora nascere e patire: mentre i nostri sacramenti lo indicano già nato e immolato. Perciò, come peccherebbe mortalmente chi adesso, nel professare la fede, dicesse che Cristo deve nascere, cosa che gli antichi invece dicevano con tutta pietà e verità; così peccherebbe mortalmente chi osservasse ancora le cerimonie che gli antichi osservavano con pietà e con fede. Ciò corrisponde a quanto scrive S. Agostino: "Ormai non c'è più la promessa che Cristo deve nascere, patire e risorgere, come quei sacramenti in qualche modo ricordavano; ma c'è l'annunzio che egli è nato, ha patito ed è risorto, come dichiarano apertamente i sacramenti usati dai cristiani"[20].

Innanzi tutto notiamo che l’Aquinate afferma che la fede che noi abbiamo del Cristo è identica a quella che di lui avevano i Patriarchi; e questo non si può dire di nessuna altra forma di incredulità: e per questo che la conversione degli Ebrei è una conversione specifica.

Allora da che cosa è necessaria la conversione? Dal dichiarare come ancora da venire gli eventi salvifici che si sono già realizzati nella storia.

Altrove lo stesso Aquinate – citando S. Agostino, afferma che l’antico popolo dell’Alleanza era tutto prefigurativo: “la vita stessa di quel popolo era profetica, e figurativa del Cristo”[21]: l’incredulità, da cui è necessaria la conversione, è il misconoscere che il tutto essere prefigurativo del popolo dell’Antica Alleanza si è ora compiuto in Gesù Cristo.

In base a quanto detto, parafrasando il testo di San Tommaso pecca mortalmente – e quindi necessita, oggettivamente, di una vera e propria conversione - chi adesso, nel professare la fede, dice che Cristo deve nascere (anziché è nato), cosa che gli antichi ebrei invece dicevano con tutta pietà e verità.

Dopo aver visto il terminus a quo della conversione degli Ebrei, vediamo ora il terminus ad quem.

Questo termine è indicato nella nuova preghiera pro Iudeis: “ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum”; la preghiera è perfettamente conforme con quanto afferma San Tommaso, nel commentare 2 Cor 3,16 (“ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto”):

“affinché questo [velo] sia tolto, non resta altro da fare che convertirsi, ed è quanto egli dice: «quando ci sarà la conversione», ossia di qualcuno di loro a Dio mediante la fede in Cristo, con la stessa conversione «quel velo sarà tolto»”[22].


7. Conversione o compimento?

Dopo aver affermato la giustezza e la liceità dell’espressione conversione degli Ebrei, vediamo ora se, in alcuni casi, non sia meglio dire che gli Ebrei devono arrivare a Gesù Cristo; cioè se, talvolta, il riconoscimento soggettivo di Gesù Cristo da parte di un singolo ebreo non sia piuttosto un compimento e un coronamento che una conversione.

Queste espressioni (compimento e un coronamento) risalgono al … Vaticano I, seppure non compaiano in un decreto ufficiale (sì avete letto bene Vaticano I e non Vaticano II).
Si tratta del Postulatum pro Hebreis, cioè una petizione che i sacerdoti Augustin e Joseph Lémann (due dei più illustri ebrei convertiti francesi del XIX secolo, che dedicarono poi la loro vita per la conversione del loro popolo), presentarono ai padri conciliari perché la sottoscrivessero[23]: il postulatum chiedeva al Santo Padre e al Concilio di rivolgersi agli Ebrei con un invito del tutto paterno (paterna quadam invitatio), perché questi credessero in Gesù Cristo. Questo testo raccolse l’adesione di ben cinquecentodieci Padri conciliari: i fratelli Lémann non andarono oltre nella raccolta, per non superare il numero delle firme di coloro che richiedevano la proclamazione del dogma dell’infallibilità papale (cinquecentodiciotto). Pio IX fu entusiasta dell’iniziativa e promise che sarebbe stata messa in agenda per la successiva sessione del Concilio (che non poté tuttavia proseguire, a causa dell’invasione dei Piemontesi).

Ecco alcuni stralci del postulatum:

“I sottoscritti Padri, con umile e pressante preghiera, chiedono al Sacro Ecumenico Sinodo Vaticano che si degni di compiere un primo passo, con un invito del tutto paterno, nei confronti del sofferentissimo popolo ebreo: cioè di esprimere l’auspicio che essi, stremati da una lunga e vana attesa, si appressino infine, sollecitamente, al Messia Salvatore nostro, veramente promesso ad Abramo e preannuziato da Mosé: in questo modo non mutando, ma compiendo e coronando la religione Mosaica”[24].

Quanto sottoscritto dalla totalità dei Padri del Vaticano I, corrisponde ai sentimenti di Eugenio Zolli, ex rabbino capo di Roma: scrive a proposito Judith Cabaud:

«Quando gli chiedevano perché aveva rinunciato alla Sinagoga per entrare nella Chiesa, [Zolli] rispondeva: "Ma io non vi ho rinunciato. Il cristianesimo è il compimento della Sinagoga. La Sinagoga infatti era una promessa e il cristianesimo è il compimento di questa promessa. La Sinagoga indicava il cristianesimo; il cristianesimo presuppone la Sinagoga. Vedete, dunque, che l'una non può esistere senza l'altra. In realtà io mi sono convertito al cristianesimo vivente"»[25].

Dobbiamo quindi tenere presente che se, oggettivamente parlando, le cose stanno esattamente come le ha spiegate l’Angelico (cioè la negazione del compimento delle promesse antiche costituisce una colpa grave), non possiamo dire che tutti gli Ebrei dopo la venuta di Gesù Cristo siano nello stato soggettivo di peccato.

Per capire questi concetti, pensiamo a quegli Ebrei che frequentavano la sinagoga dopo la Resurrezione di Cristo, e ai quali Paolo insegnava nelle sinagoghe, argomentando che Gesù era il Cristo. L’Ebreo che aveva solo vagamente sentito parlare di Gesù Cristo e, soppesando le argomentazioni di San Paolo, accettava il Battesimo, non si è propriamente convertito (a differenza dei neofiti pagani), cioè non è passato da una falsa religione a quella vera, ma ha compiuto e coronato la sua religione.

Ma ora leggiamo un brano dagli Atti degli Apostoli:

“Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: "Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio". Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà.”[26].

Ora, soggettivamente, ciò che accadde a Tessalonica pochi anni dopo la Resurrezione di Gesù, può accadere anche oggi.

Mi si potrebbe obiettare: “Ma sono duemila anni che gli Ebrei conoscono Gesù Cristo; ormai ne hanno sentito parlare abbastanza”.

Ricordiamo che è dottrina tradizionale che l’obbligo di assentire alla vera fede c’è quando la singola persona è in condizioni soggettive – conosciute solo da Dio – di poter emettere il cosiddetto giudizio di credendità, cioè quando, come direbbe San Tommaso, vede che deve credere[27].

Non basta, per dovere credere, che una persona conosca la verità, ma è necessario che questa verità sia credibile per lui: cioè la credibilità gli deve essere evidente di certezza morale[28]. La grazia soprannaturale, causa radicale dell’atto di fede, non può che appoggiarsi questa certezza.
L’acquisizione di questa certezza è quasi sempre il termine di un lungo cammino. E la buona teologia ci dice che quando c’è la retta intenzione ci si può salvare in virtù della fede implicita, facendo parte dell’”anima della Chiesa”.
Ciò non significa affermare che automaticamente e necessariamente tutti gli Ebrei misconoscono Gesù Cristo senza colpa: come ogni cristiano può rendere vana per lui la grazia di Dio, anche un ebreo può perderla.
D'altra parte, sempre secondo san Tommaso - che ben riformula un adagio teologico medioevale -, “Dio non nega la grazia a chi, mosso da Dio stesso, fa tutto quello che può”[29].
E solo Dio ha le bilance per scrutare i cuori di ciascuno, Ebrei, Cristiani e chi altro; quindi solo Dio sa se un singolo ebreo rifiuta Cristo con o senza colpa. Solo se una verità viene infatti conosciuta come credibile, può e deve essere creduta. E, benché la Verità Cattolica sia oggettivamente credibile, possono esistere condizioni soggettive (la storia personale di ognuno) per cui essa è incolpevolmente rifiutata.

Scriveva Giovanni Paolo II:

“È evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose.
Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione”[30].

Queste sono le premesse delle teologia cattolica, che hanno ispirato anche Dante, quando scriveva:

“Ma vedi molti gridan «Cristo Cristo!»
che saranno in giudizio assai men prope
a lui che tal che non conosce Cristo”[31].

E tra questi, chi può dire che non ci siano tanti Ebrei?

Conclusione.


Alla luce di quanto detto, possiamo dire che la conversione degli Ebrei è sempre necessaria ed è una categoria della teologia cattolica. Ma ciò che è vero sul piano oggettivo, da un punto di vista soggettivo può essere un arrivo anziché un cambiare strada, un andare avanti anziché tornare indietro (come invece, etimologicamente, il termine conversione significa)

Nella valutazione morale soggettiva della singola persona, il crinale del passaggio dalla prima alla seconda fase della vera religione rivelata non è - quasi meccanicamente - il momento in cui si è squarciato il velo del tempio, ma il momento in cui un ebreo è in grado di compiere il giudizio di credendità, cioè quando è in condizione di vedere che bisogna credere.

L’ebreo peccherebbe se impugnasse la verità conosciuta: cosa che Gesù ha rimproverato ad alcuni scribi e farisei del suo tempo (Cf. Gv 9): allora sì che sarebbe necessaria una conversione dalla cecità spirituale e dall’aver professato colpevolmente come ancora da realizzarsi i misteri della nostra salvezza già realizzati.

E qui bisogna da un lato evitare una teoria simil-cristiani-anonimi applicata agli Ebrei: cioè dire che ogni Ebreo è trascendentalmente credente in Cristo anche se non lo sa o se non ne vuole sapere mezza. D’altra parte bisogna evitare di dire che tutti gli Ebrei che oggi rifiutano il Cristianesimo e non riconoscono Gesù come Messia sono – ipso facto – in stato di colpa grave.

E questa non è una novità post-conciliare: non basta sapere che Cristo c’è per essere obbligati a credere in lui, ma bisogna avere tutti gli elementi, anche soggettivi, per potere e quindi dover credere. Tanti Ebrei convertiti hanno riconosciuto Gesù al termine di un lungo cammino, e non si può dire che non fossero uniti a Cristo se non al momento materiale del Battesimo.

È evidente che la prima pietra del dialogo inter-religioso è la convinzione che l’interlocutore sia animato da buone intenzioni (anche se è chiaro che solo Dio sa questo), e che egli sta facendo quello che san Tommaso definisce quod in se est, tutto quello che può da parte sua.

E allora un ebreo di oggi, a cui viene rivolto l’annuncio cristiano, si trova in un stato di sincronia con l’ebreo della sinagoga a cui San Paolo annunciava il Vangelo “potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco”[32]. E nel caso un ebreo riconosca Gesù Cristo, nelle fede, come salvatore di tutti gli uomini, in primis non si converte, ma corona la sua fede.

Quanto affermo è ben lontano dalle affermazioni secondo le quali non deve essere annunciato il Vangelo agli Ebrei. D’altra parte possiamo vedere quanto danno arrechi alla battaglia della Tradizione un antisemitismo stupido da duri e puri, che considera tutti gli Ebrei di oggi maledetti, decidi etc.

Vorrei citare alcune parole rivolte ad un ebreo non ancora convertito, da parte di San José Maria Escriva de Balaguer (che ha sempre detto la Messa di San Pio V, anche dopo la riforma liturgica):

“Io amo moltissimo gli Ebrei, perché sono follemente innamorato di Gesù, che è Ebreo; non dico era, ma è: Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula. Gesù Cristo è vivo ed è un ebreo proprio come te. E il secondo amore della mia vita è una donna ebrea, Maria Santissima, la Madre di Gesù; perciò rivolgo lo sguardo verso di te con grande affetto”[33].


* * *

La prossima tappa del nostro cammino di approfondimento della nuova preghiera per la conversione degli Ebrei sarà chiederci quando dobbiamo sperare questa medesima conversione. Si può sapere qualcosa di quando accadrà? Sarà solo contemporanea alla seconda venuta di Gesù Cristo, oppure avverrà nelle ultime fasi del tempo della storia che stiamo vivendo? E del piccolo resto d’Israele, che continuamente arriva nella Chiesa, dai tempi della predicazione di San Paolo nelle sinagoghe fino ai giorni nostri, quale cura pastorale si deve avere?

A Dio piacendo, proverò a pubblicare qualcosa prossimamente.

Don Alfredo Morselli
Stiatico di San Giorgio di Piano,
15 marzo 2010.


[1] A. Cagiati. ( a c. di), La salvezza viene dagli ebrei (Gv.4,22). Prospettive cristiane di dialogo. Carucci
 ed. 1987, p. 15, cit. in Lea Sestrieri, «50 anni di dialogo ebraico cristiano», www.nostreradici.it/50anni_dialogo.htm, sito visitato il 26 gennaio 2010.

[2] Riccardo Di Segni, «Percorsi fatti e questioni aperte 
nei rapporti ebraico cristiani oggi», Roma, 19 ottobre 2004, 5 Cheshwan 5765, presso la Pontificia Università Gregoriana, www.nostreradici.it/dialogo-DiSegni.htm.

[3] W. Kasper, «La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei», L’Osservatore Romano, 10-4-2008, nota 5.

[4] R. Cascioli, “La conversione degli ebrei è ancora attuale?”, in tinyurl.com/y8eugkk; sito visitato il 1 marzo 2010.

[5] Segretariato per l'Unione dei Cristiani (Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo), Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi cattolica (24 giugno 1985), I, 7.

[6] Riccardo Di Segni, Ibidem.

[7] Il Tempo, 27-2-2004, pag. 7.

[8] J. Raztinger, Dio e il mondo: Essere cristiani nel nuovo millennio, in colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p. 133.

[9] Cf. ad esempio, R. Di Segni, “Problemi culturali delle conversioni”, in tinyurl.com/ykc8jj4, visitato il 1 marzo 2010. In occasione visita alla Sinagoga di Roma (13-1-1986) da parte di Giovanni Paolo II fu posta da parte ebraica la condizione che non fosse presente nessun convertito dall’Ebraismo: cf. R. Neudecker, I vari volti del Dio unico, Genova: Marietti, 1990, p. 54. Inoltre, lo stesso Di segni ha dichiarato che “Su questo mutamento del testo tutti i rabbini del mondo hanno dichiarato la loro preoccupazione, seppur con diversi livelli di allarme”. «Ebrei e cattolici. Dialogo o conversione?» Colloquio di Lia Tagliacozzo con Riccardo Di Segni, in tinyurl.com/ygcrl9t, visitato il 14 marzo 2010.
[10] 19 agosto 2005.

[11] La Nota della Segreteria di Stato riguardante le nuove disposizioni del Santo Padre Benedetto XVI per le celebrazioni della liturgia del venerdì santo (4-2-2008), dispone la sostituzione del testo della preghiera, e non dei titoli rubricali, di cui non si fa alcuna menzione e che perciò rimangono immutati. Cf. tinyurl.com/yb5x846, visitato l’ 8 marzo 2010.

[12] Benedetto XVI, Udienza Generale, Piazza San Pietro,
 Mercoledì, 15 marzo 2006

[13] Reflections on Covenant and Mission, Consultation of The National Council of Synagogues and The Bishops Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs, USCCB, August 12, 2002. Un timido comunicato di pochi giorni dopo smentiva che le riflessioni cattoliche fossero una presa di posizione dell’intera Conferenza Episcopale degli Stati Uniti: “Press Release from the USCCB Office of Communications, August 16, 2002 [...] Cardinal Keeler, the U.S. Bishops' Moderator for Catholic-Jewish relations, said that the document, entitled Reflections on Covenant and Mission, does not represent a formal position taken by the United States Conference of Catholic Bishops (USCCB) or the Bishops' Committee for Ecumenical and Interreligious Affairs (BCEIA). The purpose of publicly issuing the considerations which it contains is to encourage serious reflection on these matters by Jews and Catholics in the U.S.” Cf. tinyurl.com/nxu4gl, visitato il 1 marzo 2010.

[14] “Thus, while the Catholic Church regards the saving act of Christ as central to the process of human salvation for all, it also acknowledges that Jews already dwell in a saving covenant with God”.

[15] "Though Christian participation in interreligious dialogue would not normally include an explicit invitation to baptism and entrance into the Church, the Christian dialogue partner is always giving witness to the following of Christ, to which all are implicitly invited"; e ancora “since this line of reasoning (alcune affermazioni del documento “Reflections on Covenant ond Mission") could lead some to conclude mistakenly that Jews have an obligation not to become Christian and that the Church has a corresponding obligation not to baptize Jews”; il corsivo è nostro.

[16] “22-9-2009, cf. tinyurl.com/yzfvelf, visitato il 14 marzo 2010.

[17] Variationes in Ordinem hebdomadae sanctae inducendae, (9 marzo e 19 marzo 1965).

[18] 2 Cor 3, 15-16: ἀλλ' ἕως σήμερον ἡνίκα ἂν ἀναγινώσκηται Μωϋσῆς κάλυμμα ἐπὶ τὴν καρδίαν αὐτῶν κεῖται: ἡνίκα δὲ ἐὰν ἐπιστρέψῃ πρὸς κύριον, περιαιρεῖται τὸ κάλυμμα.

[19] “… si infidelitas attendatur secundum comparationem ad fidem, diversae sunt infidelitatis species et numero determinatae”; San Tommaso d’Aquino, S. Th., IIª-IIae q. 10 a. 5 co.

[20] [38138] Iª-IIae q. 103 a. 4 co. 
Respondeo dicendum quod omnes caeremoniae sunt quaedam protestationes fidei, in qua consistit interior Dei cultus. Sic autem fidem interiorem potest homo protestari factis, sicut et verbis, et in utraque protestatione, si aliquid homo falsum protestatur, peccat mortaliter. Quamvis autem sit eadem fides quam habemus de Christo, et quam antiqui patres habuerunt; tamen quia ipsi praecesserunt Christum, nos autem sequimur, eadem fides diversis verbis significatur a nobis et ab eis. Nam ab eis dicebatur, ecce virgo concipiet et pariet filium, quae sunt verba futuri temporis, nos autem idem repraesentamus per verba praeteriti temporis, dicentes quod concepit et peperit. Et similiter caeremoniae veteris legis significabant Christum ut nasciturum et passurum, nostra autem sacramenta significant ipsum ut natum et passum. Sicut igitur peccaret mortaliter qui nunc, suam fidem protestando, diceret Christum nasciturum, quod antiqui pie et veraciter dicebant; ita etiam peccaret mortaliter, si quis nunc caeremonias observaret, quas antiqui pie et fideliter observabant. Et hoc est quod Augustinus dicit, contra Faustum, iam non promittitur nasciturus, passurus, resurrecturus, quod illa sacramenta quodammodo personabant, sed annuntiatur quod natus sit, passus sit, resurrexerit; quod haec sacramenta quae a Christianis aguntur, iam personant.

[21] “… vita illius populi prophetica erat, et Christi figurativa”: Summa Theologiae, Iª-IIae q. 100 a. 12 co. Ecco il testo esatto di S. Agostino (Contra Faustum, 22, 24), citato a senso da S. Tommaso: “Qua in re hoc primum dico, illorum hominum non tantum linguam, verum etiam vitam fuisse propheticam; totumque illud regnum gentis Hebraeorum, magnum quemdam, quia et magni cuiusdam, fuisse prophetam. Quocirca quod ad eos quidem attinet, qui illic erant eruditi corde in sapientia Dei, non solum in iis quae dicebant, sed etiam in iis quae faciebant; quod autem ad caeteros ac simul omnes illius gentis homines, in iis quae in illis vel de illis divinitus fiebant, prophetia venturi Christi et Ecclesiae perscrutanda est. Omnia enim illa, sicut dicit Apostolus: Figurae nostrae fuerunt” (trad.: Su tale argomento, dico in primo luogo che di quegli uomini fu profetica non solo la lingua, ma anche la vita, e che l'intero regno del popolo ebraico fu in qualche modo un grande profeta, in quanto profetizzò qualcuno di grande. Riguardo dunque a coloro che lì avevano il cuore istruito nella sapienza di Dio, bisogna cercare la profezia di Cristo che stava per venire e della Chiesa non solo in ciò che dicevano, ma anche in ciò che facevano; riguardo invece agli altri e ai componenti di quel popolo presi nell'insieme, essa va cercata nei fatti che per volere di Dio accadevano fra loro o rispetto a loro. Tutte quelle cose, infatti, come dice l'Apostolo, avvennero come figure per noi”.

[22] Super II Cor., cap. 3 l. 3 “Et ideo, ad hoc ut removeatur, nihil restat, nisi quod convertantur, et hoc est quod dicit cum autem conversus fuerit, scilicet aliquis eorum ad Deum per fidem in Christum, ex ipsa conversione auferetur velamen”.

[23] Storia e testi di questa vicenda in: Joseph et Augustin Lémann, La cause des restes d'Israel introduite au concile oecuménique du Vatican sous la bénédiction de S.S. le pape Pie IX, Lyon: Vitte, 1912. Per la storia dei fratelli Lémann, vedi Théotime de Saint Just, Les frères Lémann. Juifs Convertis, Paris, 1937.

[24] “A Sacra œcumenica Synodo Vaticana infra scripti Patres humillima instantique postulant prece ut et miserrimam Hebreorum gentem paterna quadam invitatione dignetur prœvenire : scilicet votum exprimere, ut tandem longissima inutilique expectatione lassati, ad Messiam Salvatorem nostrum vere promissum Abrahae et a Mose praenuntiatum festinent accedere : sic perficientes coronantesque religionem Mosaicam, non mutantes”. Cf: Ibidem, pp. 91-92.

[25] Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli, rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, prefazione di Vittorio Messori, Cinisello Balsamo (MI): San Paolo, 2002, p. 98.

[26] At 17,1.

[27] "…non enim crederet nisi videret ea esse credenda"; S. Th. II-II, 1, 4, 2.


[28] Scrive Cajetanus “Stat enim unum et idem dictum, ab un videri in ratione credibilis, et ab alio non: ex eo enim quod evidentia ista non convenit credibili ex parte rei semper, sed quandoque ex parte nostri, ideo variatur in diversi set exigit aliquam conditionem objecti relative ad nos”. Cit. da A. Gardeil, in «Credibilité», Dictionnaire de Théologie Catholique, III/2, col. 2284.

[29] “… facienti quod in se est - secundum quod est motus a Deo - Deus non denegat gratiam”; cf S. Th. Iª-IIae q. 109 a. 6 ag 2 e ad 2.

[30] Lettera Enciclica Redemptoris Missio, 10.

[31]Paradiso, XIX, 106-108.

[32] Rom 1, 16.


[33] Testo estratto da un video; vedi www.opusdei.us/art.php?p=24902.

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19/03/2010 11:00

La santa speranza della conversione degli Ebrei.

La nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano: un tentativo di analisi teologica.


Parte II


La santa speranza della conversione degli Ebrei.


Non temere, perché io sono con te;
dall'oriente farò venire la tua stirpe,
dall'occidente io ti radunerò.
Dirò al settentrione: “Restituisci”,
e al mezzogiorno: “Non trattenere;
fa' tornare i miei figli da lontano
e le mie figlie dall'estremità della terra”


(Is 43, 5-6)


Ritornano a sera (Sal 58,7)


Verrà un mattino in cui saranno saziati col pane di vita e di sapienza, quando tutte le genti saranno entrate e tutto Israele sarà salvato. Alla fine del mondo infatti Israele si convertirà: il salmista parla di questa conversione quando dice “Ritorneranno a sera”. La “sera” qui è la fine del mondo, che diverrà mattino per i Giudei convertiti, illuminandoli coi primi raggi della grazia.


(Baldovino di Ford )[1]




1. Lo status quaestionis.


Dopo aver visto che è necessario credere che gli Ebrei si debbano convertire, e che cosa intende con il termine conversione degli Ebrei stessi, ci chiediamo ora quando dobbiamo sperare che questa conversione accada.

Non pretendo certo di indicarne con precisione i modi e il momento: in questo sottoscrivo in pieno quanto diceva l’allora Card. Joseph Ratzinger, nei suoi colloqui con Peeter Seewald:




“... il come e il quando dell’unificazione di Ebrei e pagani, della ricostituzione di un unico popolo di Dio, sta nella mani di Dio”[2].



Il problema sorge dal fatto che non mancano tentativi tendenti ad escatologizzare la conversione degli Ebrei; cioè a differirla in tempi finali oltre i tempi di questa storia, che, invece, come diceva S. Giovanni Apostolo è già “l’ultima ora”[3], e, come spiegava S. Agostino: “un'ora assai lunga ma è pur sempre l'ultima”[4].




2. Le affermazioni del Card. Walter Kasper


Mi riferisco ad alcune affermazioni del Card. Walter Kasper, in un articolo sull’Osservatore Romano, pubblicato nel 2008.
Ci sono due asserti che meritano di essere presi in esame.


Il primo, nel corpo dell’articolo, suona:




“Solo Colui che ha indurito la maggior parte d'Israele, può anche scioglierne l'indurimento. Lo farà, quando «il liberatore» uscirà da Sion ([Rom]11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12)”[5].



Il Card. Kasper si riferisce a Rom 11, 26-27, dove viene detto:




"Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà l'empietà da Giacobbe.
Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati "(Is 59, 20-21).



Secondo Kasper, il liberatore è Gesù Cristo alla sua seconda venuta: e questa è un’affermazione in parte non provata, e in parte errata.


L’affermazione è non provata perché è tutto da dimostrare che il liberatore sia Gesù Cristo: in San Paolo, il verbo ruesthai (liberare con forza, da cui il liberatore, o ruomenos) viene usato sia con Gesù Cristo (1 Ts 1, 10; 2 Ts 3,29) che con Dio (2 Cor 1, 10; Col 1, 13).


Inoltre, molto probabilmente qui con il liberatore si deve intendere Dio per mezzo di Gesù Cristo: cf. Rom 2, 16 (“Dio giudicherà i segreti degli uomini … per mezzo di Cristo Gesù”) e 7, 24-25 (“Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!”).


La affermazione è errata perché l’ipotesi di un liberatore escatologico per l’Israele etnico va contro una condizione imprescindibile perché i rami di olivo recisi (gli Israeliti infedeli) siano re-innestati: che non permangano nella incredulità, cioè che accettino Gesù Cristo come Messia: leggiamo infatti poco prima, in Rom 11, 23:




“Anch'essi, se non persevereranno nell'incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo!”



Non perseverare nell’incredulità significa avere fede, e la fede non è cosa da evento escatologico, ma da tempo prima dell’evento escatologico; la fede è solo dell’uomo viatore, perché dopo o c’è la visione beatifica, o la dannazione.


Anche gli Ebrei dovranno mettere olio nella lampada prima che si chiudano le porte[6]!


Ma ancora più discutibile è una seconda affermazione dello stesso Card. Kasper, offerta in una nota del medesimo articolo:




“Nel senso dell'apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l'entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l'unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato”[7].



Che dire: che ci vuole un bel coraggio a pensare che San Paolo possa disgiungere Cristo dalla Chiesa!


Inoltre il Card. Kasper si arrampica sugli specchi dicendo che non ci sarà più una Chiesa visibile, ma poi parla di ebrei e pagani divenuti credenti.


I credenti sono solo in questa vita e in questa storia, perché dopo non c’è più la fede: quando la Chiesa non sarà più visibile, ma sarà sotto la specie di Gerusalemme celeste, non ci saranno più credenti, ma comprensori!


Come spiegare le suddette affermazioni del Card. Kasper? Egli aveva dichiarato nel 2001:




“La sola cosa che desidero dire è che il documento Dominus Iesus non afferma che tutti debbano diventare Cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio - che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo - è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l'Ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse”[8].



e nel 2002:




“Questo non significa che gli Ebrei per essere salvati devono diventare cristiani: se questi seguono la loro coscienza e credono nelle promesse di Dio e le comprendono nelle loro tradizioni, essi sono il linea con il piano di Dio, che per noi perviene al suo compimento storico in Gesù Cristo”[9].



È evidente come il Cardinale Kasper simpatizzi per la tesi della duplice via di salvezza; e allora escatoligizzando, spingendo fuori dalla storia - da questa pur lunga ma ultima ora - la conversione degli Ebrei, cerca vanamente di far rientrare dalla finestra quello che la nuova preghiera pro Iudeis ha cacciato dalla porta.




3. La speranza della conversione degli Ebrei


Essendo debitori della carità nei confronti dei chiunque, Ebrei compresi, la carità ci spinge a sperare nella loro conversione prima della seconda venuta di Gesù Cristo.


Scrive San Tommaso:




“... la speranza riguarda direttamente il proprio bene, non già quanto può interessare altri. Però, presupposta l'unione affettiva con altri, uno può desiderare e sperare qualche cosa per essi come per se medesimo. In tal senso uno può sperare ad altri la vita eterna, in quanto è unito ad essi con l'amore. E come è identica la carità con la quale uno ama Dio, se stesso e il prossimo, così è identica la virtù della speranza con la quale si spera per sé e per altri”[10].






4. “Allora tutto Israele sarà salvato”


È comune sentire della tradizione della Chiesa che gli Ebrei si convertiranno prima della fine del mondo, e allora ci sarà ciò che San Paolo chiama Tutto Israele.


Scrive S. Agostino:


“È assai ricorrente nelle parole e nei sentimenti dei fedeli che i Giudei, nell'ultimo tempo prima del giudizio, crederanno nel Cristo vero, cioè nel nostro Cristo...”[11]


Quanto scrive il grande Vescovo di Ippona non è altro che l’interpretazione più semplice e corretta dei capitolo XI della lettera ai Romani, dove ci viene rivelato il mistero del sapiente e misericordioso piano di Dio per cui, prima della fine del mondo, tutto Israele sarà salvato[12].


Cosa significa questa espressione? Vale la pena cercare di spiegarla, anche perché viene usata nella nuova preghiera pro Iudeis.


Diamo ora una breve explicatio terminorum:


Israele etnico: i discendenti di Giacobbe; quelli, per intenderci, di cui San Paolo diceva:




“Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne”[13].



A questo Israele sono state fatte le promesse irrevocabili:




“Essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen”[14].



Il resto di Israele: una minoranza rispetto a tutto l’Israele etnico, che ha creduto in Gesù Cristo: la Madonna, gli Apostoli, i primi discepoli giudeo-cristiani: di questi San Paolo dice:




"E quanto a Israele, Isaia esclama:
Se anche il numero dei figli d'Israele
fosse come la sabbia del mare,
solo il resto sarà salvato"[15].



Questo resto continua ad esistere come tale:




“Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia”[16].



Questo resto è formato dal numero relativamente piccolo degli Ebrei che continuamente si convertono: Zolli, Edith Stein, Padre Liebermann, Ratisbonne, i fratelli Lémann, etc. etc.


Israele tout-court: i credenti in Cristo, provenienti tanto dall’Israele etnico, quanto dalla gentilità: di questi l’Apostolo dice: “Infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele”[17] e “i figli della promessa sono considerati come discendenza”[18]. L’Israele tout-court comprende dunque il relativamente piccolo resto dell’Israele etnico che ha creduto e i figli della promessa.


Tutto Israele: prima della fine del mondo l’Israele etnico, non perseverando nell’incredulità, verrà reinnestato e allora avremmo Tutto Israele, cioè quella totalità a cui mira il piano salvifico di Dio: tutto Israele sarà salvato



5. Un primo bilancio.


Adesso siamo già in grado di comprendere la profondità teologica della nuova preghiera


Oremus et pro Iudaeis


Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum...


Viene ribadita la necessità della grazia che illumini i cuori degli Ebrei, senza parlare di accecamento, e quindi togliendo dei termini che potrebbero dispiacere agli Ebrei stessi. Si tratta forse di ipocrisia? No, perché anche noi pagani ci consideriamo ciechi e bisognosi di luce. Il cieco nato del Vangelo di San Giovanni è figura dei pagani. Siamo assieme racchiusi sotto il peccato per ottenere misericordia.

Baldovino di Ford (1120-1190), abate di Ford e poi successore di San Tommaso Beckett a Canterbury, descrive mirabilmente l’illuminazione del cuore degli Ebrei al momento della loro conversione: si tratta di un commento al versetto “Ritornano a sera” (Sal 58,7); viene quasi da pensare che chi ha redatto la preghiera potesse avere in mente questo brano:




“Verrà un mattino in cui saranno saziati col pane di vita e di sapienza, quando tutte le genti saranno entrate e tutto Israele sarà salvato. Alla fine del mondo infatti Israele si convertirà: il salmista parla di questa conversione quando dice “Ritorneranno a sera”. La “sera” qui è la fine del mondo, che diverrà mattino per i Giudei convertiti, illuminandoli coi primi raggi della grazia”[19].



... ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum.


Vengono così escluse le vie parallele di salvezza: tutti si salvano riconoscendo Gesù come Cristo Salvatore. Non si prega solo perché gli Ebrei siano salvati da Gesù Cristo: se fosse così si lascerebbe aperte una pur ingiustificata seconda via; ma si prega proprio perché gli Ebrei riconoscano Gesù Cristo. E sarebbe assurdo pregare perché lo conoscano solo alla fine e non adesso.


Oremus. Flectamus genua. Levate.


Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant...


Una altro passo di San Paolo che esclude le due vie parallele di salvezza: Dio vuole che non solo gli uomini siano salvi, ma che giungano alla conoscenza della verità[20], secondo la preghiera di Gesù: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo[21].


E come potrebbe il buon Dio predisporre positivamente un piano di salvezza alternativo in cui alcuni fratelli verrebbero lasciati in uno stato di non conoscenza della verità?


... concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen.


Ecco la richiesta finale: il Corpo di Cristo che ha raggiunto - secondo il beneplacito divino - la sua pienezza, che comprende tutti i popoli, di cui nessuno si può vantare davanti a Dio, ma tutti sono salvi per la sua sola misericordia.



4. Le ragioni di questa speranza
Come è possibile sperare nella conversione degli Ebrei, quando umanamente parlando, sembra che ciò sia tra le cose più improbabili di questo mondo?


Tra o possibili argomenti, ne vorrei menzionare due: il primo è la conversione di San Paolo, avvenuta proprio nel suo massimo slancio persecutorio nei confronti della Chiesa.
Dio conosce il momento favorevole per tutti, Ebrei compresi.




5. L’Alleanza mai revocata

Il secondo argomento è, niente meno, quello che viene usato dai sostenitori delle due vie parallele per suffragare le loro tesi: la cosiddetta Alleanza mai revocata: i sostenitori delle due vie si fanno forza anche delle parole di Giovanni Paolo II, in particolare dell’espressione “Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato” (Mainz, 17-11-1980) e di Alleanza “mai revocata” (Miami, 11-9-1987).


Il giro mentale di tutti coloro che sostengono le due vie è il seguente: visto che l’antica Alleanza non è stata mai revocata, allora gli Ebrei possono vivere in questa alleanza, giacché essa ha sempre un suo valore.


In realtà il contenuto del concetto ”Alleanza mai revocata” non è la permanenza di ciò che con Cristo è “prossimo a scomparire” (Eb 8, 13)[22], trovando compimento in Cristo stesso “termine della legge” (Rom 10, 4); ma sono le promesse di Dio all’Israele etnico, le quali, siccome “la parola di Dio non è venuta meno” (Rom 9, 6), permangono.


Il Messia è offerto prima all’Israele etnico (Cf. Rom 1, 16), e questa offerta da parte di Dio rimane nonostante il rifiuto della maggior parte dell’Israele etnico stesso. Questa tensione verso Gesù che l’Israele etnico ha ricevuto da Dio nella Antica Alleanza, inerisce a tal punto nello stesso Israele che, prima della fine del mondo, esso riconoscerà il Messia e formerà con tutti i credenti in Cristo un unico “tutto Israele”.


Una promessa di Dio, anche se non accolta, non sparisce: San Tommaso, commentando la lettera ai Romani, circa le promesse di Dio di reinnestare l’Israele etnico, dice a questo proposito:




“Ciò che Dio promette, già lo dà in qualche modo: e coloro che sceglie, già in qualche modo li fa oggetto di vocazione”[23].



Quindi Dio mantiene l’Israele etnico relazionato a Gesù Cristo, in attesa di poterlo “reinnestare di nuovo” (cf. Rom 11,23), nonostante l’attuale rifiuto: in questo senso l’Alleanza “non è revocata”.

E non si può affermare che l’Antica Alleanza in quanto tale può essere ora una via di salvezza, perché se è vero l’Antica Alleanza non è mai stata revocata, non si può dire che non è mai stata rifiutata: giacché, siccome “Cristo è fine della legge” (Rom 10, 4), chi rifiuta Cristo di fatto rifiuta tutta la legge. E non può essere una via di salvezza il sostanziale rifiuto della Antica Alleanza, che, se non fosse rifiutata, sfocerebbe inevitabilmente nella fede in Gesù Cristo.



6. Due argomenti portati da San Tommaso


L’Aquinate offre, nella sua Lectiones sopra l’Epistola ai Romani, diversi argomenti per poter sperare nella salvezza degli Ebrei. Non è possibile trattarne in breve (ci vorrebbe uno studio apposito), e quindi rimando il lettore ad attingere direttamente ai testi del Dottore Angelico.
Tuttavia ritengo utile riportare due frasi che mostrano come il principio dell’Alleanza mai revocata è un motivo per sperare nella conversione degli Ebrei e non l’argomento che possa giustificare una via di salvezza parallela.

La prima frase è questa:


“se sono carissimi al Signore è ragionevole che siano salvati”[24].


Per spiegare la portata di questa affermazione, faccio un esempio: i giansenisti avevano coniato il concetto di gratia actualis parva: si tratterebbe di grazia che da un lato non è così efficace da vincere la concupiscenza dell’uomo e quindi non gli permette di compiere l’atto salutare; però questa grazia tutelerebbe Dio da qualsiasi forma di accusa di essere ingiusto, perché questa grazia in sé sarebbe sufficiente, e l’uomo condannato niente potrebbe obiettare alla giustizia di Dio. Che Dio ci liberi da queste grazie!

Ho fatto questo esempio perché la sostanza della tesi tomista è che le promesse di Dio fatte ai Padri non sono grazie da nulla, tipo le grazie attuali parvae dei giansenisti. La rivelazione ci dice che quella grazia particolarissima e abbondantissima costituita dalle promesse ai Padri comunque porterà frutto: “se sono carissimi al Signore è ragionevole che siano salvati”.


Ma non basta agli Ebrei essere carissimi a Dio per essere salvati; l’Alleanza mai revocata non esime gli Ebrei dall’atto fede in Gesù Cristo. E così siamo giunti a una seconda affermazione dell’Aquinate:




“lo stesso dono temporale di Dio e la vocazione temporale di Dio non vengono ad essere indisponibili per un mutamento di Dio che si pente, ma per il mutamento del’uomo che trascura la grazia di Dio”[25].



Nel nostro caso, il mutamento del’uomo che trascura la grazia di Dio è rifiuto di Cristo da parte degli Ebrei: bisogna quindi che gli Ebrei non permangono in questo loro mutamento (la cosiddetta via parallela), per poter essere nuovamente reinnestati.


Conclusione


Il Cristiano, come Paolo, sa che non potrà accogliere il Salvatore che “verrà a giudicare i vivi e i morti” se non finalmente riunito all’Israele etnico.
L’ultima invocazione “Maranatà” (“Vieni Signore nostro”), che farà la Chiesa prima della Parusia, sarà di “tutto Israele”.
Abbiamo visto che la carità ci porta a sperare, e quindi a darci da fare per la salvezza nostra e degli Ebrei insieme a noi, nel “Tutto Israele”; e il tutto cercando che ciò avvenga quanto prima.
L’Alleanza mai revocata non è motivo perché non ci diamo premura per gli Ebrei, ma è - al contrario - la ragione della speranza della loro conversione.
Se la salvezza appartiene alla fase escatologica della storia, le condizioni per acquistare la salvezza (la fede in Gesù Cristo), per tutto Israele (noi e loro), appartengono alla fase apocalittica della storia stessa, cioè a quest’ora, a questa lunghissima ma pur ultima ora. Non possiamo attendere, noi e loro, altro tempo per credere ed essere giustificati: Hic Rhodus, hic salta.



La prossima tappa di questo commento alla preghiera pro Iudeis del venerdì santo verterà sul tema della cossiddetta missio ad Haebreos: vale anche per gli Ebrei di oggi quanto San Paolo dice: “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?”[26]. E se bisogna annunciare Cristo agli Ebrei, in che modo?


Se Dio vorrà, presenterò, nei prossimi giorni, alcune altre riflessioni su questo blog.








[1] Baldovino di Ford, Tractatus de Sacramento altaris, S.C. 94, 423. cit in Dom Jean-Claude Nesmy (a c. di), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, ed. it. a c. di Paolo Pinelli e Luisa Volpi, Torino 1983, p. 260.


[2] J. Ratzinger, Dio e il mondo: Essere cristiani nel nuovo millennio, in colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p. 134.


[3] 1 Gv 2, 18.


[4] “Ipsa novissima hora diuturna est; tamen novissima est”; In Ep. Johannis. 3, 3.


[5] W. Kasper, «La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei», L’Osservatore Romano, 10-4-2008.


[6] Cf. Mt 25, 1-13.


[7] Ibidem, nota 6.


[8] “The only thing I wish to say is that the Document Dominus Iesus does not state that everybody needs to become a Catholic in order to be saved by God. On the contrary, it declares that God’s grace, which is the grace of Jesus Christ according to our faith, is available to all. Therefore, the Church believes that Judaism, i.e. the faithful response of the Jewish people to God’s irrevocable covenant, is salvific for them, because God is faithful to his promises.” Walter KAsper, «Dominus Jesus» New York, 1 maggio 2001
, Sessione "Scambio d'informazioni" sulla Dominus Jesus. Testo reperito al sito: tinyurl.com/ycprvnk; trad it al sito tinyurl.com/yh4o8ba, visitati il vistato il 16 marzo 2010.


[9] “This does not mean that Jews in order to be saved have to become Christians; if they follow their own conscience and believe in God's promises as they understand them in their religious tradition they are in line with God's plan, which for us comes to its historical completion in Jesus Christ”. Walter Kasper, «The Commission for Religious Relations with the Jews: A Crucial Endeavour of the Catholic Church», conferenza preso il Boston College, 6-11-2002. Testo reperito al sito: tinyurl.com/yfzroj3, vistato il 16 marzo 2010.


[10] ”... spes directe respicit proprium bonum, non autem id quod ad alium pertinet. Sed praesupposita unione amoris ad alterum, iam aliquis potest desiderare et sperare aliquid alteri sicut sibi. Et secundum hoc aliquis potest sperare alteri vitam aeternam, inquantum est ei unitus per amorem. Et sicut est eadem virtus caritatis qua quis diligit Deum, seipsum et proximum, ita etiam est eadem virtus spei qua quis sperat sibi ipsi et alii” S. Th. IIª-IIae q. 17 a. 3 co..


[11] “...ultimo tempore ante iudicium Iudaeos in Christum verum, id est in Christum nostrum, esse credituros, celeberrimum est in sermonibus cordibusque fidelium...” De Civ. Dei, XX, 29.


[12] Rom 11, 26


[13] Rom 9, 3.


[14] Rom 9, 3.


[15] Rom 9,27.


[16] Rom 11, 5.


[17] Rom 9, 6.


[18] Rom 9, 8.


[19] Baldovino di Ford, Tractatus de Sacramento altaris, S.C. 94, 423. cit in Dom Jean-Claude Nesmy (a c. di), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, ed. it. a c. di Paolo Pinelli e Luisa Volpi, Torino 1983, p. 260.


[20] 1 Tim 2, 4.


[21] Gv 17, 3.


[22] Eb 8,13: “Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire”.


[23] “... quod Deus promittit, iam quodammodo dat: et quos elegit, iam quodammodo vocat”; Super Rom., cap. 11, l. 4, 926.


[24] “...Si autem sunt Domino charissimi, rationabile est quod a Deo salventur”; Super Rom., cap. 11 l. 4 (923).


[25] “Et tamen ipsum temporale Dei donum et temporalis vocatio, non irritatur per mutationem Dei quasi poenitentis sed per mutationem hominis, qui gratiam Dei abiicit”; Super Rom., cap. 11 l. 4 (926).


[26] Rom 10, 14.

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27/03/2010 17:24

L’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo

 

"Tutto Israele"

Commento della nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano

III parteL’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo“i monti Sion” Sal 47 (48), 6.“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno.[...] Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”S. Agostino, Enarr. in Ps. XLVII, 3.1. Perché annunciare?Se gli Ebrei, come tutti, dovranno credere in Gesù Cristo, è chiaro che bisogna che qualcuno glielo annunci, giacché non si può amare ciò che non si conosce.Sia Gesù che gli Apostoli hanno rivolto la buona novella per primi agli Ebrei; e, poi, in una via in un certo modo subordinata, ai pagani.Non si vede perché dobbiamo fare diversamente da quanto ha fatto Gesù o da quanto ha fatto San Paolo.Inoltre, siccome gli Ebrei sono un popolo particolare, è necessario un annuncio particolare.2. Proselitismo?Innanzi tutto sgomberiamo il campo da possibili obiezioni con una buona explicatio terminorum.La parola proselitismo ha assunto una connotazione negativa: siamo i primi a voler escludere ogni mancanza di rispetto, ogni forzatura nella conversione, ogni invadenza nella presentazione degli argomenti.E questa non è una novità post-conciliare: è vero che, per via della mentalità di intere epoche e non solo dei Cristiani, possono essersi verificati eccessi nella predicazione del Cristianesimo agli Ebrei. Ma è anche vero, ad esempio, che nei tanti conventi dove si sono rifugiati gli Ebrei durante la II guerra mondiale, non è stato fatta nei loro confronti nessuna opera di persuasione: sono stai sempre rispettati al massimo, né è mai stata loro posta alcuna condizione per essere aiutati, e questo anche rischiando la vita.Se proselitismo dovesse indicare un pur minimo allontanamento dai criteri che hanno ispirato una simile condotta, siamo i primi ad essere anti-proselitismo.

Se invece, nel desiderio che abbia il suo compimento la realizzazione storica del tutto Israele, con grande carità, proponessimo, in occasioni opportune e in modo gentile e garbato, ai nostri fratelli Ebrei di riflettere sulla persona di Gesù Cristo - collaborando nel frattempo su orizzonti che oggettivamente ci sono comuni (ad esempio difendendo i dieci comandamenti nelle legislazioni mondiali) -, non vedo nulla di male: anzi, per noi cristiani questo è un dovere.

3. Un annuncio particolare.Posta la particolare forma di conversione che compete agli Ebrei, che non mutano, ma perfezionano e coronano la loro religione, anche l’annuncio deve essere specifico: non è certo una missio ad gentes.Allora quale annuncio? Proverò a proporne un’icona e una linea teoretica.
 3.1 Un’icona dell’annuncioCome icona di questo annuncio, mi sembra conveniente proporre - nel contesto della parabola del figliol prodigo[1] - la sollecitudine del buon Padre, che cerca di fare entrare nella festa il figlio maggiore; e faccio questo sulle orme si S. Agostino, che ci offre un’interpretazione meravigliosa del finale di questa parabola, nel commento al salmo 47.Dapprima il vescovo di Ippona si chiede come mai, al versetto 3, si parla dei monti di Sion e non di un monte, come è nella realtà.Ne conclude che i due monti sono gli Ebrei e i gentili uniti nell’unica pietra angolare:

“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno”.

S. Agostino sente quasi già realizzato questo evento, a tal punto che vola alla parabola del figliol prodigo, modificandola:

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”[2].

Perché modificandola? Perché S. Luca lascia la parabola incompiuta: essa termina con l’esortazione del Padre al figlio maggiore ad entrare nella festa; ma non ci dice se il figlio maggiore accoglie l’invito (secondo molti autori cristiani, particolarmente S. Agostino, il figlio maggiore rappresenta il popolo ebraico; il dissoluto e freddo calcolatore figlio rappresenta i popoli pagani).Il Vescovo di Ippona, in un vero slancio di amore, vede già compiuta la speranza del buon Padre.Gli elementi per vedere nella parabola del figliol prodigo un’allegoria dell’ingresso degli Ebrei nella nuova alleanza non mancano:

“Suo padre allora uscì...”:

Notiamo bene uscì, perché gli Ebrei non sono ancora dentro la Nuova Alleanza;

“... a supplicarlo ...”:

ecco il modello dell’annuncio agli Ebrei: una supplica amorevole e paziente.

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo...”:

l’alleanza antica non è revocata, tu sei sempre figlio, le promesse non ti sono tolte…

“… ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”:

... ma ormai la nuova alleanza è conclusa, la Vittima immolata, anche i pagani sono figli, perché il pagano è tuo fratello, affrettati ad entrare dove c’è la festa (la nuova Alleanza)”Quale fine vede S. Agostino per la parabola?

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre”.

Tutto l’apostolato nei confronti degli Ebrei si può riassumere come la condivisione della sollecitudine e della misericordia del Padre nei confronti del Figlio maggiore, unita alla speranza mostrataci da S. Agostino.3.2 Una linea teoretica.La Rivelazione stessa ci mostra come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei; vorrei esaminare, in un brano già preso in esame precedentemente, la condotta di San Paolo presso la Sinagoga di Tessalonica:

“Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”. Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà.”[3].

Riprendo questo brano perché il discorso di San Paolo nella sinagoga di Tessalonica è del tutto simile alla spiegazione della Sacra Scrittura che Gesù risorto svolge il giorno di Pasqua, prima ai discepoli di Emmaus e poi agli “undici e agli altri che erano con loro”[4].3.2.1 Scholion: L’esegesi midrashica di Gesù modello dell’annuncio cristiano agli Ebrei[5].È indispensabile, a questo punto del nostro studio, fare alcune considerazioni circa il midrash, cioè circa l'approccio culturale ebraico alla Sacra Scrittura[6].Ai tempi di Gesù, era opinione che il significato della Scrittura non si limitasse al senso più ovvio, al significato immediato del testo: scrivono a questo proposito A.C. Avril - P. Lenhardt:

«È degno di nota il fatto che la tradizione di Israele, nell’epoca del nuovo testamento, non conosca la parola “senso”, ma solamente i termini mishma’ (“la cosa udita”) o shammua’ (“ciò che si ode”), i quali designano il senso della Scrittura in prima audizione. Non si tratta di ciò che noi chiamiamo il "senso letterale", vale a dire il senso che il testo ha per il suo autore. Il mishma’ è senza dubbio il senso più ovvio; ma proprio in quanto tale esso né viene considerato come il senso più sicuro, né come quello migliore. Esso appare al contrario come sospetto, o per lo meno come provvisorio e da sottoporre a verifica»[7]

«…si ammette che la Scrittura non possa limitarsi a dare un unico senso, ma richieda necessariamente una molteplicità di interpretazioni: solo attraverso una tale molteplicità - purché sempre compatibile con l’insieme della Verità rivelata - si può arrivare a cogliere l’infinita potenza ed efficacia rivelativa della Parola di Dio.»[8]

Alla luce di quanto sopra, appare chiaro che, per un ebreo, ciò che “si udiva” leggendo la S. Scrittura, doveva essere interpretato; era necessario “aprire” la S. Scrittura, ricercandone i molteplici significati[9]; il midrash non é altro che la “ricerca” che “apre” il senso della Scrittura.Per meglio comprendere il significato dell’espressione “aprire [il senso del]le Scritture”, ci può essere utile esaminare Lc 24, 25-32:

"[25] [Gesù] disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! [26] Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». [27] E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. [28] Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. [29] Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. [30] Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. [31] Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. [32] Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava [lett. ci apriva][10] le Scritture?»".

In questa pericope, possiamo osservare come è Gesù stesso che fa il midrash, che "apre" il senso della S. Scrittura (ci apriva le Scritture). All’apertura del senso della Scrittura corrisponde l’apertura degli occhi (si aprirono loro gli occhi) e il riconoscimento di Gesù Cristo (lo riconobbero).Possiamo constatare che l'oggetto del midrash non é soltanto la S. Scrittura, ma sono anche gli eventi storici, in particolare quelli concernenti Gesù; esaminiamo ora anche i versetti precedenti: Lc 24, 18-20:

" [18] uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». [19] Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; [20] come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso»".

Se osserviamo le espressioni tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno al v. 19 e ciò che si riferiva a lui al v. 27, vediamo che l'esegesi del testo biblico operata da Gesù non è stata altro che mostrare come i fatti accaduti in Gerusalemme e conosciuti da tutti fossero già conte­nu­ti in tutto l’Antico Testa­men­to. Si vede chiaramente che non è la vita di Gesù che viene rivestita di un mito, ma è l'antico Testamento - con un processo diametralmente opposto a quello ipotizzato da Bultmann - che viene demitizzato: l'Antico Testamento aveva narrato - unico caso di un biografia scritta prima che il protagonista fosse nato - la vita di Gesù: come? La storia della salvezza è significativa della vita di Cristo.Dice bene San Tommaso che:

"l'autore della sacra Scrittura è Dio. Ora, Dio può non solo adattare parole per esprimere una verità, ciò che può anche l'uomo; ma anche le cose stesse. Quindi, se nelle altre scienze le parole hanno un significato, la Sacra Scrittura ha questo in proprio: che le cose stesse indicate dalla parola, alla loro volta ne significano un'altra"[11].

Questo è il senso spirituale della Sacra Scrittura.Nella Scrittura le cose, ovvero i fatti narrati cominciando da Mosé e dai profeti, significano Gesù Cristo: se vogliamo usare una bella espressione di Eliáde, secondo cui “il mito trasforma l'evento in categoria”[12], è l'Antico Testamento che sta dalla parte del mito, ove gli eventi sono in qualche modo categorie universali, contenendo principalmente Nostro Signore Gesù Cristo, sempre lo stesso ieri, oggi e nei secoli.Non è dunque l'esperienza dei primi cristiani che crea arbitrariamente un fatto; ma la storia, a tutti nota e da tutti ritenuta certa, con tanto di testimoni[13], viene confrontata con l'Antico Testamento. Questo tipo di ermeneutica porta a constatare anche come Dio è fedele nel compiere le sue promesse.Per usare un'espressione di San Paolo, il midrash cristiano é la ri­cer­ca, all’interno della S.Scrittura, confrontata con la vi­ta di Cristo, di come, in Gesù, tutte le promesse di Dio sono diventate "sì".[14]Vorrei citare ora un brano di Sant'Agostino, che espone questo concetto da par suo:

"Sia viva l'anima vostra e si ridesti volgendosi a Dio! Sta di fatto che Dio ha stabilito il tempo per le sue promesse ed ha stabilito il tempo per adempiere ciò che aveva promesso. Il tempo delle promesse fu quello che va dai Profeti fino a Giovanni Battista; quello, invece, che di là procede in avanti fino alla fine, è il tempo dell'adempimento delle promesse. Ed è fedele Dio, il quale si è fatto nostro debitore, non perché ha ricevuto qualcosa da noi, ma perché a noi ha promesso cose tanto grandi. Gli parve poco la promessa, ed allora Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l'ordine dei pagamenti. Dunque il tempo dei profeti era di predizione delle promesse.
Si doveva dunque preannunciare con profezie che l'unico Figlio di Dio sarebbe venuto tra gli uomini, avrebbe assunto la natura umana e sarebbe così diventato uomo e sarebbe morto, risorto, asceso al cielo, si sarebbe assiso alla destra del Padre; egli avrebbe dato compimento tra i popoli alle promesse e, dopo questo, avrebbe anche compiuto la promessa di tornare a riscuotere i frutti di ciò che aveva dispensato, a distinguere i vasi dell'ira dai vasi della misericordia, rendendo agli empi ciò che aveva minacciato, ai giusti ciò che aveva promesso. Tutto ciò doveva essere preannunziato, perché altrimenti egli avrebbe destato spavento. E così fu atteso con speranza perché già contemplato nella fede"
[15].

I vangeli dunque non sono altro il confronto di fatti storici realmente accaduti con l'Antico Testamento e la constatazione della veridicità e del compimento delle promesse di Dio[16].3.2.2 L’esegesi midrashica di San Paolo, modellata su quella di Gesù.Nella Sinagoga di Tessalonica, San Paolo, parlando ad Ebrei, non fa altro, alla stregua di Gesù, che confrontare la Scrittura con la storia: gli scritti ispirati raccontano Gesù, il Cristo, che doveva morire e risorgere:Confrontiamo, in uno schema sinottico, i versetti chiave dei brani esaminati:Lc 24, 25-27 passim:

Disse loro: "... Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui

Lc 24, 44-48 passim:

“bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno... Di questo voi siete testimoni.

At 17, 1-3 passim:

“c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”.

3.2.3 L’opinione di Jacob NeusnerA sostegno della tesi per cui nei vangeli – e quindi anche nella predicazione paolina - ritroviamo tutte le caratteristiche del più genuino midrash, riporto quanto afferma uno dei maggiori studiosi ebrei di questo fenomeno culturale, Jacob Neusner:

“Ciò che noi abbiamo in tutto il Nuovo Testamento, come pure nella biblioteca essena di Qumran, è un'esegesi del tutto peculiare: una lettura dei versetti dell'antica Scrittura alla luce di uno schema verificabile di eventi concreti: L'esegeta mette in relazione le Scritture dal passato a cose che sono successe nei suoi giorni. La sua forma [letteraria] serve a questo scopo”[17].

3.3.4 Una prima conclusioneSe ci chiediamo come annunciare Gesù come Cristo agli Ebrei, la rivelazione stessa ci dice di confrontare la storia con le profezie dell’Antico Testamento: queste si riassumono sostanzialmente in un unico enunciato: Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti: Gesù è il Cristo.San Paolo, ben lontano dall’aspettare che intervenga il buon Dio alla fine del mondo[18], fin da subito, nelle sinagoghe, predica la buona novella anche agli Ebrei.E la Chiesa non può che seguire l’esempio del suo Divino Maestro e degli gli Apostoli.4. Le difficoltà pratiche.Non è sufficiente però dare una risposta teorica alla domanda che ci eravamo posti su come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei. Mi si potrebbe obiettare che mai gli Ebrei accetterebbero il dialogo con chi dichiara apertamente di volerli convertire (il che per loro costituisce una apostasia).Rispondo che già in partenza sappiamo che il dialogo è difficilissimo, in quanto l’articulum stantis aut cadentis è Gesù Cristo.Allora come può andare avanti il dialogo?In primo luogo bisogna tenere presente che il dialogo inter-religioso è cosa diversa dall’apostolato.Una soluzione molto equilibrata è quella proposta dall’episcopato statunitense, dove viene distinto il dialogo inter-religioso dall’annuncio evangelico[19]. Senza negare che i cattolici hanno costituzionalmente nel cuore il desiderio che tutti gli uomini conoscano Gesù Cristo, non è obbligatorio per noi sempre e in ogni occasione proclamare formalmente il kerygma (anche se il buon esempio è già una forma di missione).Posto dunque che i Cristiani credono in Gesù Cristo che è già venuto, e gli Ebrei lo aspettano ancora, senza nascondere o dimenticare questa differenza, non sarà possibile trovare tanti punti comuni e tanti obiettivi pratici da perseguire congiuntamente?Riporto un passo del discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma

“In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra. I passi compiuti in questi quarant'anni dal Comitato Internazionale congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista della Santa Sede e del Gran Rabbinato d'Israele, sono un segno della comune volontà di continuare un dialogo aperto e sincero”[20].

Una simile soluzione, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, è ben più dignitosa di un compromesso pasticciato - conversione sì ma alle calende greche - e di cui gli Ebrei stessi non sono entusiasti[21].Nel frattempo si può progredire nella conoscenza e nella stima reciproca; fermo restando che una simile amicizia può realmente aiutare a togliere tra i cristiani ogni traccia di anti-semitismo e di anti-giudaismo (anticamera dell’antisemitismo). È chiaro che i cattolici non possono essere anti-giudaici, perché chi ama non è anti, ma pro.5. Ciò che può cominciare ad unirci.Una posizione cattolica nel dialogo tra ebrei e cristiani come descritta sopra, è assolutamente anti-relativista. Senza imporre niente a nessuno, pur fatto salvo il dovere di ogni uomo di cercare la verità, il presupposto è che la verità esiste e che può essere raggiunta dall’intelletto umano, in questa e nell’altra vita, con diversi gradi di evidenza.Se il relativismo tenta di insinuarsi nella fede cattolica e cerca di spingere i cristiani verso un cristianesimo senza Cristo, non è forse vero che propone agli Ebrei un Ebraismo senza Mosè?E il relativismo non è un buon alleato del popolo ebraico.Ponzio Pilato, che si chiedeva, per conto di tutti i relativisti della storia, “che cos’è la verità?”[22], non è forse il rappresentate di quella Roma che ha sì condannato Gesù Cristo, ma che ha distrutto il secondo tempio (e la distruzione del tempio è – in un certo senso – un prologo della Shoa)?Ancora adesso l’alleanza con il relativismo costituisce una tentazione per la Sinagoga.È in atto anche in Italia una certa propaganda del noachidismo, che consiste nel proporre ai non ebrei l’osservanza di sette precetti[23], dati da Dio ad Adamo e a Noè - quindi prima dell’alleanza con Abramo e dell’elezione di Israele.Non manca chi propone ai Cristiani una conversione a questa nuova mentalità noachica[24].La propaganda del noachidismo potrebbe essere un punto di incontro con la pseudo-religiosità massonica e il suo ideale di religione universale basata su un minimo comune denominatore che unisca gli uomini nella tolleranza reciproca[25].E infatti il Rabbino Di Segni, il 26 maggio 2003, in visita a Villa Medici, sede del Grand’Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, illustrò proprio “Il Patto Noachita”.Giuseppe Abramo, Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia, commentò così l’intervento del rabbino:

“non si può non nominare lo straordinario respiro cosmico dell’ebraismo, nel momento in cui questa dottrina, lungi dall’affermare l’esistenza di una religione giusta, che escluda le altre, promette salvezza a chiunque accetti spontaneamente e sinceramente i Sette Precetti dei Figli di Noè. È la stessa apertura alla tolleranza che, insieme al trinomio caro a noi Massoni (libertà, uguaglianza e fratellanza) guida e regola i lavori massonici”[26].

Ma è questa una via redditizia per gli Ebrei?È molto meno rischioso per gli Ebrei confidare in chi avrà sempre l’obbligo immutabile, il supremo comandamento del Maestro, di dare la vita per loro, piuttosto di chi oggi li può considerare alleati (secolarizzati) e domani nemici da distruggere. Pilato docet.In base a quanto detto, gli Ebrei devoti e non secolarizzati potranno trovare un punto di unione con i Cristiani, per difendersi dalla minaccia del relativismo.6. Ciò che alla fine ci unirà.Benedetto XVI, in visita ad Auschwitz, ha fornito l’interpretazione teologica cattolica dello sterminio degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale:

“I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: "Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello" si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo - a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”[27].

Alla luce di quanto il Papa afferma, se è dovere di noi cristiani ricordare la Shoa, anche gli Ebrei non possono esimersi dal considerare come i cristiani sono stati in passato e sono ancora oggi la comunità più perseguitata della terra, dalla fondazione della nostra santa religione fino alla fine del mondo.In altre parole, insieme abbiamo sperimentato l’odio di satana e l’odio del mondo, che vogliono cancellare ogni “testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo” e “strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”.Vengono in mente le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica, che descrive, con parole simili, i tempi dell’anticristo:

“Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”[28].

Come non vedere affinità tra “la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte” e “l’impostura religiosa ... in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio”?Siccome “l’uomo nella prosperità non comprende”[29], non saranno forse i tempi di una comune e feroce persecuzione a farci riflettere e a farci deporre ogni pregiudizio?Allora, quando “uscirà da Sion il liberatore”[30], incontrerà i pochi cristiani che non si saranno fatti trascinare dal’apostasia generale e gli Ebrei, che, a quel punto, nella totalità morale, riconosceranno Gesù Cristo e saranno reinnestati: e allora...

“Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!”[31]

e così...

“Allora tutto Israele sarà salvato”[32].

7. Conclusioni generaliHo cercato di commentare la nuova preghiera pro Iudeis, tendo conto del dibattito teologico su Israele in campo cattolico e dei problemi del dialogo inter-religioso ebraico cristiano.La nuova preghiera è discreta, toglie alcune espressioni delle preghiere del passato che sono lecite, in quanto tratte dalla Scrittura, ma che potrebbero essere dure per l’interlocutore.Pur con questa discrezione, la preghiera appare inconciliabile con la teoria delle due vie di salvezza parallele (teoria quantitativamente dominante presentata dai media come svolta conciliare), e si pone in continuità con il passato.Viene richiamata la necessità che gli Ebrei riconoscano Gesù Cristo e che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità: quindi si esclude una via di salvezza senza la conoscenza della verità, che per noi non è una teoria, ma una Persona: Gesù Cristo.Il titolo rubricale Pro conversione Iudeorum, lasciato nella micro-riforma della Messa di San Pio V, sancisce l’attualità e la liceità della categoria teologica conversione degli Ebrei (anche se abbiamo visto come questa conversione ha una sua specificità e possa considerarsi, da un punto di vista soggettivo, un arrivo o un coronamento).L’interpretazione del Card. Kasper, che sposta la conversione degli Ebrei oltre la fase apocalittica della rivelazione, appare come un arrampicarsi sugli specchi, e lascia gli Ebrei stessi insoddisfatti.Oltretutto questa spiegazione lascia in una sorta di limbo il piccolo ma continuo numero di Ebrei che si convertono, che annovera già santi e martiri, e di cui San Paolo dice che “anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia”[33].È inaccettabile anche l’affermazione che agli Ebrei non va annunciato Gesù Cristo: gli Ebrei sono stati i primi destinatari del Vangelo - sia da parte di Nostro Signore, sia da parte degli Apostoli - e la Chiesa non può percorrere altre strade.Quale dialogo possibile con queste premesse?Senza nascondere il desiderio e l’auspicio che tutti gli uomini credano in Gesù Cristo, si può distinguere operativamente il dialogo inter-religioso dall’apostolato.Rimangono molte cose nelle quali si può lavorare assieme; queste sono state descritte mirabilmente nell’ultimo discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. Il lavoro comune accrescerà la conoscenza e la stima reciproca, demolendo piano piano tanti pregiudizi.Il discorso del Papa ad Auschwitz assume una certa valenza profetica: Ebrei e Cristiani sono oggetto di un feroce odio satanico che ha le caratteristiche dell’odio dell’anticristo. Constatare come siamo assieme perseguitati e per la stessa ragione (la diabolica volontà cancellare ogni “testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo”) potrà far maturare cose meravigliose. Essendo la minaccia relativista la premessa di questi eventi, se la Sinagoga riuscirà a fuggire la tentazione dell’alleanza con la Loggia, già fin d’ora la difesa dal comune nemico (il relativismo) potrebbe dare a entrambi maggior consapevolezza del nostro misterioso stato di fratelli.Prima di concludere, vorrei elogiare un Vescovo coraggioso, che non ha avuto timore di andare contro-corrente: si tratta di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Lugi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro. Così il giornalista Riccardo Cascioli riassume un articolo dello stesso Mons. negri sulla rivista Studi Cattolici:

“Non si capisce perciò come alcuni cattolici possano sostenere che «la missione valga per tutti gli uomini meno che per qualche categoria (per esempio gli islamici e gli ebrei)». O che «la singolarità del rapporto tra Israele e Chiesa è quello del peculiare percorso salvifico ebraico, per cui rispetto all’ebraismo non può esserci missione istituzionalizzata da parte cristiana».

«Per un’autentica coscienza della fede – chiosa il vescovo di San Marino – questo risulta inconcepibile: come se ci fosse una via alla salvezza che prescinde dall’avvenimento di Cristo, dall’incontro con Lui, dalla sequela di Lui e dalla conversione a Lui, così come è presente misteriosamente, fino alla fine dei tempi, nella sua Chiesa che è il suo Corpo e il suo Sacramento»”[34].

Che Maria, Madre ebrea di Gesù ebreo, aiuti il dialogo tra i discepoli e i consanguinei del suo Figlio. Amen!

Don Alfredo Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano, 24-3-2010


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NOTE



[1] Cf. Lc 15, 11-32; “La parabola del padre misericordioso, che invita il figlio maggiore ad aprire il suo cuore al prodigo, non suggerisce direttamente l'applicazione, che talvolta è stata fatta, alle relazioni tra ebrei e Gentili (il figlio maggiore rappresenterebbe gli ebrei osservanti, poco inclini ad accogliere i pagani, considerati peccatori). È possibile tuttavia ipotizzare che il contesto più ampio dell'opera di Luca lasci una possibilità a questa applicazione, a causa della sua insistenza sull'universalismo”: Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre scritture nella Bibbia cristiana (2001), § 74.

[2]
S. Agostino, Enarr. in Ps. XLVII, 3.

[3]
At 17, 1-4.

[4]
Lc 24, 13-48.

[5]
Riprendo qui alcune osservazioni già pubblicate nel mio libro La negazione della storicità dei Vangeli. Storia, cause e rimedi, Seriate 2006, p. 47.

[6]
Cf. R. Le Déaut, “A propose d’une définition de midrash”, Biblica 50 (1969), 395-413, e A.C. Avril - P. Lenhardt, La lettura ebraica della scrittura, Magnano: Qiqaion, 1984.

[7]
A.C. Avril - P. Lenhardt, La lettura ebraica, p. 63.

[8]
A.C. Avril - P. Lenhardt, La lettura ebraica, p. 63.

[9]
Ecco alcuni passi della Mishnah che chiariscono come un ebreo percepiva la pluralità dei significati della Scrittura: «Abbajé dice: Siccome la Scrittura dice: “Una cosa ha detto Dio, due ne ho udite; è questa la potenza di Dio” (Sal. 62.12), (se ne deve dedurre che) un solo passo scritturistico dà luogo a dei sensi molteplici…»; cf. b.Sanhedrin 34a, cit. in A.C. Avril - P. Lenhardt:, La lettura ebraica, p. 108; «Rabbì Jochana dice: Che cosa significa ciò che sta scritto: “Il Signore ha dato una parola, annunci per un’armata numerosa” (Sal. 68.12)? Ogni parola che usciva dalla bocca della Potenza sul monte Sinai si divideva in settanta lingue. É stato insegnato nella scuola di Rabbì Ishmael: “Non é forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roc­cia?” (Ger. 23.29). Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure ogni parola che usciva dalla bocca della Potenza si divideva in settanta lingue.»; cf. b.Shab­bat 88b, cit. in La lettura ebraica, p. 109.

[10]
ὡς διήνοιγεν ἡμῖν τὰς γραφάς”.

[11]
"…auctor sacrae Scripturae est Deus, in cuius potestate est ut non solum voces ad significandum accommodet (quod etiam homo facere potest), sed etiam res ipsas. Et ideo, cum in omnibus scientiis voces significent, hoc habet proprium ista scientia, quod ipsae res significatae per voces, etiam significant aliquid", S. Th., Iª q. 1 a. 10 co.

[12]
Cit. in: Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano, Roma: Città Nuova - Libreria Editrice Vaticana, 1985, p. 36/1.

[13]
Lc 24, 48: “Di questo voi siete testimoni”.

[14]
Cf. 2 Cor. 1, 20.

[15]
S. Agostino d'Ippona, Enarrationes in Psalmos, 109, 1. 3.

[16]
A sostegno della tesi per cui nei vangeli ritroviamo tutte le caratteristiche del più genuino midrash, riporto
quanto afferma uno dei maggiori studiosi ebrei di questo fenomeno culturale, Jacob Neusner: "Ciò che noi abbiamo in tutto il Nuovo Testamento, come pure nella biblioteca essena di Qumran, è un'esegesi del tutto peculiare: una lettura dei versetti dell'antica Scrittura alla luce di uno schema verificabile di eventi concreti: L'esegeta mette in relazione le Scritture dal passato a cose che sono successe nei suoi giorni. La sua forma [letteraria] serve a questo scopo" ("What we have in all of the New Testament Gospel, as in the Essene library of Qumran, is an entirely distinctive sort of exegesis: a reading of the verses of ancient Scipture in light of an avaible scheme of concrete events. The exegete relates Scriptures from the past to thing that have happened in his own day. His form serves that goal"); Jacob Neusner, What is a midrash?, Philadelphia: Fortress Press, 1987, p. 40.


[17]
“What we have in all of the New Testament Gospel, as in the Essene library of Qumran, is an entirely distictive sort of exegesis: a reading of the verses of ancient Scipture in light of an avaible scheme of concrete events. The exegete relates Scriptures from the past to thing that have happened in his own day. His form serves that goal”; Jacob Neusner, What is a midrash?, Philadelphia: Fortress Press, 1987, p. 40.

[18]
"Come purtroppo suggerisce indebitamente il Card. Kasper, stravolgendo San Bernardo: “Per sostenere quest'interpretazione ci si può riferire a un testo di san Bernardo di Chiaravalle, che dice che non siamo noi a doverci occupare degli ebrei, ma che Dio stesso se ne occuperà”.

[19]
Cf. La Nota dottrinale della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti A Note on Ambiguities Contained in «Reflections on Covenant ond Mission», del 19-6-2009, precedentemente citata.

[20]
Visita alla Comunità Ebraica di Roma, Parole del Santo Padre Benedetto XVI, Sinagoga di Roma , Domenica, 17 gennaio 2010; testo ripreso dal sito WEB della Santa Sede: tinyurl.com/ycb52o4.

[21]
Riccardo di Segni, intervistato da Avvenire, alla domanda: “Tutto chiarito invece sulla questione della preghiera del venerdì santo alla quale lei accennava prima?”, ha risposto: “Sull'argomento direi che è stato raggiunto un armistizio "politico", più che una pace vera. Nel senso che è stato chiarito dalle più alte autorità della Chiesa che la conversione non si riferisce all'immediato, ma è trasferita alla fine dei tempi”; “Di Segni: «Indietro non si torna»”, Avvenire, 16 gennaio 2010, cf. tinyurl.com/yh9fqg7.

[22]
Gv 18, 38.

[23]
I precetti noachici sono: 1. Non adorare gli idoli
2. Non profanare il Nome
3. Non uccidere
4. Non commettere atti sessuali proibiti
5. Non rubare
6. Perseguire la giustizia
7. Non essere crudele con gli animali: per una prima infarinatura, vedi il Sito noachide, www.benenoach.info/dblog/articolo.asp?articolo=3.

[24]
Scrive Marco Morselli: “Rav Elia Benamozegh in un’opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni cristiane sono concordi nel riconoscere che l’opera della redenzione rimane incompleta, questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole, e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml 3,24). Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è neppure un’unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i cristiani a farsi ebrei. Vi è un’unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere all’incontro con Lui”. Il dialogo ebraico-cristiano da un punto di vista ebraico, conferenza del Prof. Marco Morselli pronunziata a Roma il giorno 10 marzo c.a. -Via Aurelia 476 - nell’Aula Magna dei Fratelli delle Scuole Cristiane; cf. tinyurl.com/y9x7yva, visitato il 24 marzo 2010.

[25]
“l’alleanza noachide non prescrive nessuna cultura, nessuna religione, nessun mito, nessun rito, è compatibile con tutte le culture e con tutti i diversi modi di essere umani”; Ibidem.

[26]
“Il rabbino capo Di Segni incontra il Grande Oriente”, Erasmo Notizie, bollettino di informazione del Grand’Oriente d’Italia, anno V - Numero 11 - 15 giugno 2003, p. 2. Inoltre negli scritti di Maimonide si trovano delle considerazioni, a proposito dei sette precetti noachici, che calzano a pennello con il pensiero massonico: egli dichiara che i non-Ebrei che osservano le sette leggi riconoscendone l'origine Divina sono chiamati Chasidei Umot HaOlam, ovvero "i Giusti tra le nazioni del mondo", mentre coloro che le osservano soltanto per motivi razionali, avendo riconosciuto la loro validità tramite l'intelletto, sono Chochmei Umot HaOlam, cioè uomini saggi. Hilchot Melachim 8:11, cit. in Informazioni e approfondimenti sui precetti Noachidi, tinyurl.com/ygm22gw, visitato il 24 marzo 2010.

[27]
Benedetto XVI, Discorso durante la visita al campo di Auschwitz, 28 maggio 2006. Citazione dal sito WEB della Santa Sede: tinyurl.com/3cjqe4, visitato il 24 marzo 2010.

[28]
CCC 675. Riporto anche il seguito, per comodità e giovamento del lettore:

“676 Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso».


677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest'ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell'ultimo giudizio dopo l'ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa”.


[29]
Sal 49, 13.

[30]
Is 59,20 cit. in Rm 11, 26.

[31]
Rm 11, 12.

[32]
Rm 11, 26.

[33]
Rm 11, 5.

[34]
R. Cascioli, “La conversione degli ebrei è ancora attuale?”, in http://tinyurl.com/y8eugkk ; sito visitato il 1 marzo 2010.



[35]
Intervista di Giuseppe Rusconi a Roccardo di Segni; Il Consulente RE online,


http://www.ilconsulentere.it/stampaArticolo.php?id=244, visitato il 23 marzo 2010.



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[Modificato da S_Daniele 27/03/2010 17:36]
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