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Necessità e natura della Conversione degli Ebrei

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2010 17:36
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19/03/2010 11:00

La santa speranza della conversione degli Ebrei.

La nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano: un tentativo di analisi teologica.


Parte II


La santa speranza della conversione degli Ebrei.


Non temere, perché io sono con te;
dall'oriente farò venire la tua stirpe,
dall'occidente io ti radunerò.
Dirò al settentrione: “Restituisci”,
e al mezzogiorno: “Non trattenere;
fa' tornare i miei figli da lontano
e le mie figlie dall'estremità della terra”


(Is 43, 5-6)


Ritornano a sera (Sal 58,7)


Verrà un mattino in cui saranno saziati col pane di vita e di sapienza, quando tutte le genti saranno entrate e tutto Israele sarà salvato. Alla fine del mondo infatti Israele si convertirà: il salmista parla di questa conversione quando dice “Ritorneranno a sera”. La “sera” qui è la fine del mondo, che diverrà mattino per i Giudei convertiti, illuminandoli coi primi raggi della grazia.


(Baldovino di Ford )[1]




1. Lo status quaestionis.


Dopo aver visto che è necessario credere che gli Ebrei si debbano convertire, e che cosa intende con il termine conversione degli Ebrei stessi, ci chiediamo ora quando dobbiamo sperare che questa conversione accada.

Non pretendo certo di indicarne con precisione i modi e il momento: in questo sottoscrivo in pieno quanto diceva l’allora Card. Joseph Ratzinger, nei suoi colloqui con Peeter Seewald:




“... il come e il quando dell’unificazione di Ebrei e pagani, della ricostituzione di un unico popolo di Dio, sta nella mani di Dio”[2].



Il problema sorge dal fatto che non mancano tentativi tendenti ad escatologizzare la conversione degli Ebrei; cioè a differirla in tempi finali oltre i tempi di questa storia, che, invece, come diceva S. Giovanni Apostolo è già “l’ultima ora”[3], e, come spiegava S. Agostino: “un'ora assai lunga ma è pur sempre l'ultima”[4].




2. Le affermazioni del Card. Walter Kasper


Mi riferisco ad alcune affermazioni del Card. Walter Kasper, in un articolo sull’Osservatore Romano, pubblicato nel 2008.
Ci sono due asserti che meritano di essere presi in esame.


Il primo, nel corpo dell’articolo, suona:




“Solo Colui che ha indurito la maggior parte d'Israele, può anche scioglierne l'indurimento. Lo farà, quando «il liberatore» uscirà da Sion ([Rom]11, 26). Costui, secondo il linguaggio paolino (cfr 1 Tessalonicesi, 1, 10), non è nessun altro se non il Cristo che ritorna. Ebrei e pagani, infatti, hanno lo stesso Signore (10, 12)”[5].



Il Card. Kasper si riferisce a Rom 11, 26-27, dove viene detto:




"Allora tutto Israele sarà salvato, come sta scritto:
Da Sion uscirà il liberatore,
egli toglierà l'empietà da Giacobbe.
Sarà questa la mia alleanza con loro
quando distruggerò i loro peccati "(Is 59, 20-21).



Secondo Kasper, il liberatore è Gesù Cristo alla sua seconda venuta: e questa è un’affermazione in parte non provata, e in parte errata.


L’affermazione è non provata perché è tutto da dimostrare che il liberatore sia Gesù Cristo: in San Paolo, il verbo ruesthai (liberare con forza, da cui il liberatore, o ruomenos) viene usato sia con Gesù Cristo (1 Ts 1, 10; 2 Ts 3,29) che con Dio (2 Cor 1, 10; Col 1, 13).


Inoltre, molto probabilmente qui con il liberatore si deve intendere Dio per mezzo di Gesù Cristo: cf. Rom 2, 16 (“Dio giudicherà i segreti degli uomini … per mezzo di Cristo Gesù”) e 7, 24-25 (“Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!”).


La affermazione è errata perché l’ipotesi di un liberatore escatologico per l’Israele etnico va contro una condizione imprescindibile perché i rami di olivo recisi (gli Israeliti infedeli) siano re-innestati: che non permangano nella incredulità, cioè che accettino Gesù Cristo come Messia: leggiamo infatti poco prima, in Rom 11, 23:




“Anch'essi, se non persevereranno nell'incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo!”



Non perseverare nell’incredulità significa avere fede, e la fede non è cosa da evento escatologico, ma da tempo prima dell’evento escatologico; la fede è solo dell’uomo viatore, perché dopo o c’è la visione beatifica, o la dannazione.


Anche gli Ebrei dovranno mettere olio nella lampada prima che si chiudano le porte[6]!


Ma ancora più discutibile è una seconda affermazione dello stesso Card. Kasper, offerta in una nota del medesimo articolo:




“Nel senso dell'apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l'entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l'unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato”[7].



Che dire: che ci vuole un bel coraggio a pensare che San Paolo possa disgiungere Cristo dalla Chiesa!


Inoltre il Card. Kasper si arrampica sugli specchi dicendo che non ci sarà più una Chiesa visibile, ma poi parla di ebrei e pagani divenuti credenti.


I credenti sono solo in questa vita e in questa storia, perché dopo non c’è più la fede: quando la Chiesa non sarà più visibile, ma sarà sotto la specie di Gerusalemme celeste, non ci saranno più credenti, ma comprensori!


Come spiegare le suddette affermazioni del Card. Kasper? Egli aveva dichiarato nel 2001:




“La sola cosa che desidero dire è che il documento Dominus Iesus non afferma che tutti debbano diventare Cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio - che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo - è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l'Ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse”[8].



e nel 2002:




“Questo non significa che gli Ebrei per essere salvati devono diventare cristiani: se questi seguono la loro coscienza e credono nelle promesse di Dio e le comprendono nelle loro tradizioni, essi sono il linea con il piano di Dio, che per noi perviene al suo compimento storico in Gesù Cristo”[9].



È evidente come il Cardinale Kasper simpatizzi per la tesi della duplice via di salvezza; e allora escatoligizzando, spingendo fuori dalla storia - da questa pur lunga ma ultima ora - la conversione degli Ebrei, cerca vanamente di far rientrare dalla finestra quello che la nuova preghiera pro Iudeis ha cacciato dalla porta.




3. La speranza della conversione degli Ebrei


Essendo debitori della carità nei confronti dei chiunque, Ebrei compresi, la carità ci spinge a sperare nella loro conversione prima della seconda venuta di Gesù Cristo.


Scrive San Tommaso:




“... la speranza riguarda direttamente il proprio bene, non già quanto può interessare altri. Però, presupposta l'unione affettiva con altri, uno può desiderare e sperare qualche cosa per essi come per se medesimo. In tal senso uno può sperare ad altri la vita eterna, in quanto è unito ad essi con l'amore. E come è identica la carità con la quale uno ama Dio, se stesso e il prossimo, così è identica la virtù della speranza con la quale si spera per sé e per altri”[10].






4. “Allora tutto Israele sarà salvato”


È comune sentire della tradizione della Chiesa che gli Ebrei si convertiranno prima della fine del mondo, e allora ci sarà ciò che San Paolo chiama Tutto Israele.


Scrive S. Agostino:


“È assai ricorrente nelle parole e nei sentimenti dei fedeli che i Giudei, nell'ultimo tempo prima del giudizio, crederanno nel Cristo vero, cioè nel nostro Cristo...”[11]


Quanto scrive il grande Vescovo di Ippona non è altro che l’interpretazione più semplice e corretta dei capitolo XI della lettera ai Romani, dove ci viene rivelato il mistero del sapiente e misericordioso piano di Dio per cui, prima della fine del mondo, tutto Israele sarà salvato[12].


Cosa significa questa espressione? Vale la pena cercare di spiegarla, anche perché viene usata nella nuova preghiera pro Iudeis.


Diamo ora una breve explicatio terminorum:


Israele etnico: i discendenti di Giacobbe; quelli, per intenderci, di cui San Paolo diceva:




“Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne”[13].



A questo Israele sono state fatte le promesse irrevocabili:




“Essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; 5a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen”[14].



Il resto di Israele: una minoranza rispetto a tutto l’Israele etnico, che ha creduto in Gesù Cristo: la Madonna, gli Apostoli, i primi discepoli giudeo-cristiani: di questi San Paolo dice:




"E quanto a Israele, Isaia esclama:
Se anche il numero dei figli d'Israele
fosse come la sabbia del mare,
solo il resto sarà salvato"[15].



Questo resto continua ad esistere come tale:




“Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia”[16].



Questo resto è formato dal numero relativamente piccolo degli Ebrei che continuamente si convertono: Zolli, Edith Stein, Padre Liebermann, Ratisbonne, i fratelli Lémann, etc. etc.


Israele tout-court: i credenti in Cristo, provenienti tanto dall’Israele etnico, quanto dalla gentilità: di questi l’Apostolo dice: “Infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele”[17] e “i figli della promessa sono considerati come discendenza”[18]. L’Israele tout-court comprende dunque il relativamente piccolo resto dell’Israele etnico che ha creduto e i figli della promessa.


Tutto Israele: prima della fine del mondo l’Israele etnico, non perseverando nell’incredulità, verrà reinnestato e allora avremmo Tutto Israele, cioè quella totalità a cui mira il piano salvifico di Dio: tutto Israele sarà salvato



5. Un primo bilancio.


Adesso siamo già in grado di comprendere la profondità teologica della nuova preghiera


Oremus et pro Iudaeis


Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum...


Viene ribadita la necessità della grazia che illumini i cuori degli Ebrei, senza parlare di accecamento, e quindi togliendo dei termini che potrebbero dispiacere agli Ebrei stessi. Si tratta forse di ipocrisia? No, perché anche noi pagani ci consideriamo ciechi e bisognosi di luce. Il cieco nato del Vangelo di San Giovanni è figura dei pagani. Siamo assieme racchiusi sotto il peccato per ottenere misericordia.

Baldovino di Ford (1120-1190), abate di Ford e poi successore di San Tommaso Beckett a Canterbury, descrive mirabilmente l’illuminazione del cuore degli Ebrei al momento della loro conversione: si tratta di un commento al versetto “Ritornano a sera” (Sal 58,7); viene quasi da pensare che chi ha redatto la preghiera potesse avere in mente questo brano:




“Verrà un mattino in cui saranno saziati col pane di vita e di sapienza, quando tutte le genti saranno entrate e tutto Israele sarà salvato. Alla fine del mondo infatti Israele si convertirà: il salmista parla di questa conversione quando dice “Ritorneranno a sera”. La “sera” qui è la fine del mondo, che diverrà mattino per i Giudei convertiti, illuminandoli coi primi raggi della grazia”[19].



... ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum.


Vengono così escluse le vie parallele di salvezza: tutti si salvano riconoscendo Gesù come Cristo Salvatore. Non si prega solo perché gli Ebrei siano salvati da Gesù Cristo: se fosse così si lascerebbe aperte una pur ingiustificata seconda via; ma si prega proprio perché gli Ebrei riconoscano Gesù Cristo. E sarebbe assurdo pregare perché lo conoscano solo alla fine e non adesso.


Oremus. Flectamus genua. Levate.


Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant...


Una altro passo di San Paolo che esclude le due vie parallele di salvezza: Dio vuole che non solo gli uomini siano salvi, ma che giungano alla conoscenza della verità[20], secondo la preghiera di Gesù: Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo[21].


E come potrebbe il buon Dio predisporre positivamente un piano di salvezza alternativo in cui alcuni fratelli verrebbero lasciati in uno stato di non conoscenza della verità?


... concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen.


Ecco la richiesta finale: il Corpo di Cristo che ha raggiunto - secondo il beneplacito divino - la sua pienezza, che comprende tutti i popoli, di cui nessuno si può vantare davanti a Dio, ma tutti sono salvi per la sua sola misericordia.



4. Le ragioni di questa speranza
Come è possibile sperare nella conversione degli Ebrei, quando umanamente parlando, sembra che ciò sia tra le cose più improbabili di questo mondo?


Tra o possibili argomenti, ne vorrei menzionare due: il primo è la conversione di San Paolo, avvenuta proprio nel suo massimo slancio persecutorio nei confronti della Chiesa.
Dio conosce il momento favorevole per tutti, Ebrei compresi.




5. L’Alleanza mai revocata

Il secondo argomento è, niente meno, quello che viene usato dai sostenitori delle due vie parallele per suffragare le loro tesi: la cosiddetta Alleanza mai revocata: i sostenitori delle due vie si fanno forza anche delle parole di Giovanni Paolo II, in particolare dell’espressione “Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato” (Mainz, 17-11-1980) e di Alleanza “mai revocata” (Miami, 11-9-1987).


Il giro mentale di tutti coloro che sostengono le due vie è il seguente: visto che l’antica Alleanza non è stata mai revocata, allora gli Ebrei possono vivere in questa alleanza, giacché essa ha sempre un suo valore.


In realtà il contenuto del concetto ”Alleanza mai revocata” non è la permanenza di ciò che con Cristo è “prossimo a scomparire” (Eb 8, 13)[22], trovando compimento in Cristo stesso “termine della legge” (Rom 10, 4); ma sono le promesse di Dio all’Israele etnico, le quali, siccome “la parola di Dio non è venuta meno” (Rom 9, 6), permangono.


Il Messia è offerto prima all’Israele etnico (Cf. Rom 1, 16), e questa offerta da parte di Dio rimane nonostante il rifiuto della maggior parte dell’Israele etnico stesso. Questa tensione verso Gesù che l’Israele etnico ha ricevuto da Dio nella Antica Alleanza, inerisce a tal punto nello stesso Israele che, prima della fine del mondo, esso riconoscerà il Messia e formerà con tutti i credenti in Cristo un unico “tutto Israele”.


Una promessa di Dio, anche se non accolta, non sparisce: San Tommaso, commentando la lettera ai Romani, circa le promesse di Dio di reinnestare l’Israele etnico, dice a questo proposito:




“Ciò che Dio promette, già lo dà in qualche modo: e coloro che sceglie, già in qualche modo li fa oggetto di vocazione”[23].



Quindi Dio mantiene l’Israele etnico relazionato a Gesù Cristo, in attesa di poterlo “reinnestare di nuovo” (cf. Rom 11,23), nonostante l’attuale rifiuto: in questo senso l’Alleanza “non è revocata”.

E non si può affermare che l’Antica Alleanza in quanto tale può essere ora una via di salvezza, perché se è vero l’Antica Alleanza non è mai stata revocata, non si può dire che non è mai stata rifiutata: giacché, siccome “Cristo è fine della legge” (Rom 10, 4), chi rifiuta Cristo di fatto rifiuta tutta la legge. E non può essere una via di salvezza il sostanziale rifiuto della Antica Alleanza, che, se non fosse rifiutata, sfocerebbe inevitabilmente nella fede in Gesù Cristo.



6. Due argomenti portati da San Tommaso


L’Aquinate offre, nella sua Lectiones sopra l’Epistola ai Romani, diversi argomenti per poter sperare nella salvezza degli Ebrei. Non è possibile trattarne in breve (ci vorrebbe uno studio apposito), e quindi rimando il lettore ad attingere direttamente ai testi del Dottore Angelico.
Tuttavia ritengo utile riportare due frasi che mostrano come il principio dell’Alleanza mai revocata è un motivo per sperare nella conversione degli Ebrei e non l’argomento che possa giustificare una via di salvezza parallela.

La prima frase è questa:


“se sono carissimi al Signore è ragionevole che siano salvati”[24].


Per spiegare la portata di questa affermazione, faccio un esempio: i giansenisti avevano coniato il concetto di gratia actualis parva: si tratterebbe di grazia che da un lato non è così efficace da vincere la concupiscenza dell’uomo e quindi non gli permette di compiere l’atto salutare; però questa grazia tutelerebbe Dio da qualsiasi forma di accusa di essere ingiusto, perché questa grazia in sé sarebbe sufficiente, e l’uomo condannato niente potrebbe obiettare alla giustizia di Dio. Che Dio ci liberi da queste grazie!

Ho fatto questo esempio perché la sostanza della tesi tomista è che le promesse di Dio fatte ai Padri non sono grazie da nulla, tipo le grazie attuali parvae dei giansenisti. La rivelazione ci dice che quella grazia particolarissima e abbondantissima costituita dalle promesse ai Padri comunque porterà frutto: “se sono carissimi al Signore è ragionevole che siano salvati”.


Ma non basta agli Ebrei essere carissimi a Dio per essere salvati; l’Alleanza mai revocata non esime gli Ebrei dall’atto fede in Gesù Cristo. E così siamo giunti a una seconda affermazione dell’Aquinate:




“lo stesso dono temporale di Dio e la vocazione temporale di Dio non vengono ad essere indisponibili per un mutamento di Dio che si pente, ma per il mutamento del’uomo che trascura la grazia di Dio”[25].



Nel nostro caso, il mutamento del’uomo che trascura la grazia di Dio è rifiuto di Cristo da parte degli Ebrei: bisogna quindi che gli Ebrei non permangono in questo loro mutamento (la cosiddetta via parallela), per poter essere nuovamente reinnestati.


Conclusione


Il Cristiano, come Paolo, sa che non potrà accogliere il Salvatore che “verrà a giudicare i vivi e i morti” se non finalmente riunito all’Israele etnico.
L’ultima invocazione “Maranatà” (“Vieni Signore nostro”), che farà la Chiesa prima della Parusia, sarà di “tutto Israele”.
Abbiamo visto che la carità ci porta a sperare, e quindi a darci da fare per la salvezza nostra e degli Ebrei insieme a noi, nel “Tutto Israele”; e il tutto cercando che ciò avvenga quanto prima.
L’Alleanza mai revocata non è motivo perché non ci diamo premura per gli Ebrei, ma è - al contrario - la ragione della speranza della loro conversione.
Se la salvezza appartiene alla fase escatologica della storia, le condizioni per acquistare la salvezza (la fede in Gesù Cristo), per tutto Israele (noi e loro), appartengono alla fase apocalittica della storia stessa, cioè a quest’ora, a questa lunghissima ma pur ultima ora. Non possiamo attendere, noi e loro, altro tempo per credere ed essere giustificati: Hic Rhodus, hic salta.



La prossima tappa di questo commento alla preghiera pro Iudeis del venerdì santo verterà sul tema della cossiddetta missio ad Haebreos: vale anche per gli Ebrei di oggi quanto San Paolo dice: “Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci?”[26]. E se bisogna annunciare Cristo agli Ebrei, in che modo?


Se Dio vorrà, presenterò, nei prossimi giorni, alcune altre riflessioni su questo blog.








[1] Baldovino di Ford, Tractatus de Sacramento altaris, S.C. 94, 423. cit in Dom Jean-Claude Nesmy (a c. di), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, ed. it. a c. di Paolo Pinelli e Luisa Volpi, Torino 1983, p. 260.


[2] J. Ratzinger, Dio e il mondo: Essere cristiani nel nuovo millennio, in colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p. 134.


[3] 1 Gv 2, 18.


[4] “Ipsa novissima hora diuturna est; tamen novissima est”; In Ep. Johannis. 3, 3.


[5] W. Kasper, «La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei», L’Osservatore Romano, 10-4-2008.


[6] Cf. Mt 25, 1-13.


[7] Ibidem, nota 6.


[8] “The only thing I wish to say is that the Document Dominus Iesus does not state that everybody needs to become a Catholic in order to be saved by God. On the contrary, it declares that God’s grace, which is the grace of Jesus Christ according to our faith, is available to all. Therefore, the Church believes that Judaism, i.e. the faithful response of the Jewish people to God’s irrevocable covenant, is salvific for them, because God is faithful to his promises.” Walter KAsper, «Dominus Jesus» New York, 1 maggio 2001
, Sessione "Scambio d'informazioni" sulla Dominus Jesus. Testo reperito al sito: tinyurl.com/ycprvnk; trad it al sito tinyurl.com/yh4o8ba, visitati il vistato il 16 marzo 2010.


[9] “This does not mean that Jews in order to be saved have to become Christians; if they follow their own conscience and believe in God's promises as they understand them in their religious tradition they are in line with God's plan, which for us comes to its historical completion in Jesus Christ”. Walter Kasper, «The Commission for Religious Relations with the Jews: A Crucial Endeavour of the Catholic Church», conferenza preso il Boston College, 6-11-2002. Testo reperito al sito: tinyurl.com/yfzroj3, vistato il 16 marzo 2010.


[10] ”... spes directe respicit proprium bonum, non autem id quod ad alium pertinet. Sed praesupposita unione amoris ad alterum, iam aliquis potest desiderare et sperare aliquid alteri sicut sibi. Et secundum hoc aliquis potest sperare alteri vitam aeternam, inquantum est ei unitus per amorem. Et sicut est eadem virtus caritatis qua quis diligit Deum, seipsum et proximum, ita etiam est eadem virtus spei qua quis sperat sibi ipsi et alii” S. Th. IIª-IIae q. 17 a. 3 co..


[11] “...ultimo tempore ante iudicium Iudaeos in Christum verum, id est in Christum nostrum, esse credituros, celeberrimum est in sermonibus cordibusque fidelium...” De Civ. Dei, XX, 29.


[12] Rom 11, 26


[13] Rom 9, 3.


[14] Rom 9, 3.


[15] Rom 9,27.


[16] Rom 11, 5.


[17] Rom 9, 6.


[18] Rom 9, 8.


[19] Baldovino di Ford, Tractatus de Sacramento altaris, S.C. 94, 423. cit in Dom Jean-Claude Nesmy (a c. di), I Padri commentano il Salterio della Tradizione, ed. it. a c. di Paolo Pinelli e Luisa Volpi, Torino 1983, p. 260.


[20] 1 Tim 2, 4.


[21] Gv 17, 3.


[22] Eb 8,13: “Dicendo alleanza nuova, Dio ha dichiarato antica la prima: ma, ciò che diventa antico e invecchia, è prossimo a scomparire”.


[23] “... quod Deus promittit, iam quodammodo dat: et quos elegit, iam quodammodo vocat”; Super Rom., cap. 11, l. 4, 926.


[24] “...Si autem sunt Domino charissimi, rationabile est quod a Deo salventur”; Super Rom., cap. 11 l. 4 (923).


[25] “Et tamen ipsum temporale Dei donum et temporalis vocatio, non irritatur per mutationem Dei quasi poenitentis sed per mutationem hominis, qui gratiam Dei abiicit”; Super Rom., cap. 11 l. 4 (926).


[26] Rom 10, 14.

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