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Necessità e natura della Conversione degli Ebrei

Ultimo Aggiornamento: 27/03/2010 17:36
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27/03/2010 17:24

L’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo

 

"Tutto Israele"

Commento della nuova preghiera Pro conversione Iudaeorum per la forma straordinaria del rito romano

III parteL’annuncio agli Ebrei di Gesù come Cristo“i monti Sion” Sal 47 (48), 6.“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno.[...] Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”S. Agostino, Enarr. in Ps. XLVII, 3.1. Perché annunciare?Se gli Ebrei, come tutti, dovranno credere in Gesù Cristo, è chiaro che bisogna che qualcuno glielo annunci, giacché non si può amare ciò che non si conosce.Sia Gesù che gli Apostoli hanno rivolto la buona novella per primi agli Ebrei; e, poi, in una via in un certo modo subordinata, ai pagani.Non si vede perché dobbiamo fare diversamente da quanto ha fatto Gesù o da quanto ha fatto San Paolo.Inoltre, siccome gli Ebrei sono un popolo particolare, è necessario un annuncio particolare.2. Proselitismo?Innanzi tutto sgomberiamo il campo da possibili obiezioni con una buona explicatio terminorum.La parola proselitismo ha assunto una connotazione negativa: siamo i primi a voler escludere ogni mancanza di rispetto, ogni forzatura nella conversione, ogni invadenza nella presentazione degli argomenti.E questa non è una novità post-conciliare: è vero che, per via della mentalità di intere epoche e non solo dei Cristiani, possono essersi verificati eccessi nella predicazione del Cristianesimo agli Ebrei. Ma è anche vero, ad esempio, che nei tanti conventi dove si sono rifugiati gli Ebrei durante la II guerra mondiale, non è stato fatta nei loro confronti nessuna opera di persuasione: sono stai sempre rispettati al massimo, né è mai stata loro posta alcuna condizione per essere aiutati, e questo anche rischiando la vita.Se proselitismo dovesse indicare un pur minimo allontanamento dai criteri che hanno ispirato una simile condotta, siamo i primi ad essere anti-proselitismo.

Se invece, nel desiderio che abbia il suo compimento la realizzazione storica del tutto Israele, con grande carità, proponessimo, in occasioni opportune e in modo gentile e garbato, ai nostri fratelli Ebrei di riflettere sulla persona di Gesù Cristo - collaborando nel frattempo su orizzonti che oggettivamente ci sono comuni (ad esempio difendendo i dieci comandamenti nelle legislazioni mondiali) -, non vedo nulla di male: anzi, per noi cristiani questo è un dovere.

3. Un annuncio particolare.Posta la particolare forma di conversione che compete agli Ebrei, che non mutano, ma perfezionano e coronano la loro religione, anche l’annuncio deve essere specifico: non è certo una missio ad gentes.Allora quale annuncio? Proverò a proporne un’icona e una linea teoretica.
 3.1 Un’icona dell’annuncioCome icona di questo annuncio, mi sembra conveniente proporre - nel contesto della parabola del figliol prodigo[1] - la sollecitudine del buon Padre, che cerca di fare entrare nella festa il figlio maggiore; e faccio questo sulle orme si S. Agostino, che ci offre un’interpretazione meravigliosa del finale di questa parabola, nel commento al salmo 47.Dapprima il vescovo di Ippona si chiede come mai, al versetto 3, si parla dei monti di Sion e non di un monte, come è nella realtà.Ne conclude che i due monti sono gli Ebrei e i gentili uniti nell’unica pietra angolare:

“Sion è un solo monte, perché dunque parla di monti? Forse perché a Sion sono appartenuti anche coloro che sono giunti da diverse parti, per incontrarsi nella pietra angolare e divenire, essi che erano due pareti come due monti, uno della circoncisione, l'altro della incirconcisione; uno dei Giudei, l'altro dei Gentili; anche se distinti, perché provengono da diverse parti, ormai non più avversari perché riuniti nell'angolo? Perché egli è - dice - la nostra pace, colui che ha fatto di due uno”.

S. Agostino sente quasi già realizzato questo evento, a tal punto che vola alla parabola del figliol prodigo, modificandola:

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre; e così le due pareti, come quei due figli riuniti nel banchetto, hanno costituito la città del grande re”[2].

Perché modificandola? Perché S. Luca lascia la parabola incompiuta: essa termina con l’esortazione del Padre al figlio maggiore ad entrare nella festa; ma non ci dice se il figlio maggiore accoglie l’invito (secondo molti autori cristiani, particolarmente S. Agostino, il figlio maggiore rappresenta il popolo ebraico; il dissoluto e freddo calcolatore figlio rappresenta i popoli pagani).Il Vescovo di Ippona, in un vero slancio di amore, vede già compiuta la speranza del buon Padre.Gli elementi per vedere nella parabola del figliol prodigo un’allegoria dell’ingresso degli Ebrei nella nuova alleanza non mancano:

“Suo padre allora uscì...”:

Notiamo bene uscì, perché gli Ebrei non sono ancora dentro la Nuova Alleanza;

“... a supplicarlo ...”:

ecco il modello dell’annuncio agli Ebrei: una supplica amorevole e paziente.

“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo...”:

l’alleanza antica non è revocata, tu sei sempre figlio, le promesse non ti sono tolte…

“… ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”:

... ma ormai la nuova alleanza è conclusa, la Vittima immolata, anche i pagani sono figli, perché il pagano è tuo fratello, affrettati ad entrare dove c’è la festa (la nuova Alleanza)”Quale fine vede S. Agostino per la parabola?

“Infine anche il figlio maggiore, che non voleva banchettare, è entrato spinto dal padre”.

Tutto l’apostolato nei confronti degli Ebrei si può riassumere come la condivisione della sollecitudine e della misericordia del Padre nei confronti del Figlio maggiore, unita alla speranza mostrataci da S. Agostino.3.2 Una linea teoretica.La Rivelazione stessa ci mostra come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei; vorrei esaminare, in un brano già preso in esame precedentemente, la condotta di San Paolo presso la Sinagoga di Tessalonica:

“Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”. Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà.”[3].

Riprendo questo brano perché il discorso di San Paolo nella sinagoga di Tessalonica è del tutto simile alla spiegazione della Sacra Scrittura che Gesù risorto svolge il giorno di Pasqua, prima ai discepoli di Emmaus e poi agli “undici e agli altri che erano con loro”[4].3.2.1 Scholion: L’esegesi midrashica di Gesù modello dell’annuncio cristiano agli Ebrei[5].È indispensabile, a questo punto del nostro studio, fare alcune considerazioni circa il midrash, cioè circa l'approccio culturale ebraico alla Sacra Scrittura[6].Ai tempi di Gesù, era opinione che il significato della Scrittura non si limitasse al senso più ovvio, al significato immediato del testo: scrivono a questo proposito A.C. Avril - P. Lenhardt:

«È degno di nota il fatto che la tradizione di Israele, nell’epoca del nuovo testamento, non conosca la parola “senso”, ma solamente i termini mishma’ (“la cosa udita”) o shammua’ (“ciò che si ode”), i quali designano il senso della Scrittura in prima audizione. Non si tratta di ciò che noi chiamiamo il "senso letterale", vale a dire il senso che il testo ha per il suo autore. Il mishma’ è senza dubbio il senso più ovvio; ma proprio in quanto tale esso né viene considerato come il senso più sicuro, né come quello migliore. Esso appare al contrario come sospetto, o per lo meno come provvisorio e da sottoporre a verifica»[7]

«…si ammette che la Scrittura non possa limitarsi a dare un unico senso, ma richieda necessariamente una molteplicità di interpretazioni: solo attraverso una tale molteplicità - purché sempre compatibile con l’insieme della Verità rivelata - si può arrivare a cogliere l’infinita potenza ed efficacia rivelativa della Parola di Dio.»[8]

Alla luce di quanto sopra, appare chiaro che, per un ebreo, ciò che “si udiva” leggendo la S. Scrittura, doveva essere interpretato; era necessario “aprire” la S. Scrittura, ricercandone i molteplici significati[9]; il midrash non é altro che la “ricerca” che “apre” il senso della Scrittura.Per meglio comprendere il significato dell’espressione “aprire [il senso del]le Scritture”, ci può essere utile esaminare Lc 24, 25-32:

"[25] [Gesù] disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! [26] Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». [27] E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. [28] Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. [29] Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. [30] Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. [31] Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. [32] Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava [lett. ci apriva][10] le Scritture?»".

In questa pericope, possiamo osservare come è Gesù stesso che fa il midrash, che "apre" il senso della S. Scrittura (ci apriva le Scritture). All’apertura del senso della Scrittura corrisponde l’apertura degli occhi (si aprirono loro gli occhi) e il riconoscimento di Gesù Cristo (lo riconobbero).Possiamo constatare che l'oggetto del midrash non é soltanto la S. Scrittura, ma sono anche gli eventi storici, in particolare quelli concernenti Gesù; esaminiamo ora anche i versetti precedenti: Lc 24, 18-20:

" [18] uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». [19] Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; [20] come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso»".

Se osserviamo le espressioni tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno al v. 19 e ciò che si riferiva a lui al v. 27, vediamo che l'esegesi del testo biblico operata da Gesù non è stata altro che mostrare come i fatti accaduti in Gerusalemme e conosciuti da tutti fossero già conte­nu­ti in tutto l’Antico Testa­men­to. Si vede chiaramente che non è la vita di Gesù che viene rivestita di un mito, ma è l'antico Testamento - con un processo diametralmente opposto a quello ipotizzato da Bultmann - che viene demitizzato: l'Antico Testamento aveva narrato - unico caso di un biografia scritta prima che il protagonista fosse nato - la vita di Gesù: come? La storia della salvezza è significativa della vita di Cristo.Dice bene San Tommaso che:

"l'autore della sacra Scrittura è Dio. Ora, Dio può non solo adattare parole per esprimere una verità, ciò che può anche l'uomo; ma anche le cose stesse. Quindi, se nelle altre scienze le parole hanno un significato, la Sacra Scrittura ha questo in proprio: che le cose stesse indicate dalla parola, alla loro volta ne significano un'altra"[11].

Questo è il senso spirituale della Sacra Scrittura.Nella Scrittura le cose, ovvero i fatti narrati cominciando da Mosé e dai profeti, significano Gesù Cristo: se vogliamo usare una bella espressione di Eliáde, secondo cui “il mito trasforma l'evento in categoria”[12], è l'Antico Testamento che sta dalla parte del mito, ove gli eventi sono in qualche modo categorie universali, contenendo principalmente Nostro Signore Gesù Cristo, sempre lo stesso ieri, oggi e nei secoli.Non è dunque l'esperienza dei primi cristiani che crea arbitrariamente un fatto; ma la storia, a tutti nota e da tutti ritenuta certa, con tanto di testimoni[13], viene confrontata con l'Antico Testamento. Questo tipo di ermeneutica porta a constatare anche come Dio è fedele nel compiere le sue promesse.Per usare un'espressione di San Paolo, il midrash cristiano é la ri­cer­ca, all’interno della S.Scrittura, confrontata con la vi­ta di Cristo, di come, in Gesù, tutte le promesse di Dio sono diventate "sì".[14]Vorrei citare ora un brano di Sant'Agostino, che espone questo concetto da par suo:

"Sia viva l'anima vostra e si ridesti volgendosi a Dio! Sta di fatto che Dio ha stabilito il tempo per le sue promesse ed ha stabilito il tempo per adempiere ciò che aveva promesso. Il tempo delle promesse fu quello che va dai Profeti fino a Giovanni Battista; quello, invece, che di là procede in avanti fino alla fine, è il tempo dell'adempimento delle promesse. Ed è fedele Dio, il quale si è fatto nostro debitore, non perché ha ricevuto qualcosa da noi, ma perché a noi ha promesso cose tanto grandi. Gli parve poco la promessa, ed allora Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l'ordine dei pagamenti. Dunque il tempo dei profeti era di predizione delle promesse.
Si doveva dunque preannunciare con profezie che l'unico Figlio di Dio sarebbe venuto tra gli uomini, avrebbe assunto la natura umana e sarebbe così diventato uomo e sarebbe morto, risorto, asceso al cielo, si sarebbe assiso alla destra del Padre; egli avrebbe dato compimento tra i popoli alle promesse e, dopo questo, avrebbe anche compiuto la promessa di tornare a riscuotere i frutti di ciò che aveva dispensato, a distinguere i vasi dell'ira dai vasi della misericordia, rendendo agli empi ciò che aveva minacciato, ai giusti ciò che aveva promesso. Tutto ciò doveva essere preannunziato, perché altrimenti egli avrebbe destato spavento. E così fu atteso con speranza perché già contemplato nella fede"
[15].

I vangeli dunque non sono altro il confronto di fatti storici realmente accaduti con l'Antico Testamento e la constatazione della veridicità e del compimento delle promesse di Dio[16].3.2.2 L’esegesi midrashica di San Paolo, modellata su quella di Gesù.Nella Sinagoga di Tessalonica, San Paolo, parlando ad Ebrei, non fa altro, alla stregua di Gesù, che confrontare la Scrittura con la storia: gli scritti ispirati raccontano Gesù, il Cristo, che doveva morire e risorgere:Confrontiamo, in uno schema sinottico, i versetti chiave dei brani esaminati:Lc 24, 25-27 passim:

Disse loro: "... Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui

Lc 24, 44-48 passim:

“bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi". Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno... Di questo voi siete testimoni.

At 17, 1-3 passim:

“c'era una sinagoga dei Giudei. Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: “Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio”.

3.2.3 L’opinione di Jacob NeusnerA sostegno della tesi per cui nei vangeli – e quindi anche nella predicazione paolina - ritroviamo tutte le caratteristiche del più genuino midrash, riporto quanto afferma uno dei maggiori studiosi ebrei di questo fenomeno culturale, Jacob Neusner:

“Ciò che noi abbiamo in tutto il Nuovo Testamento, come pure nella biblioteca essena di Qumran, è un'esegesi del tutto peculiare: una lettura dei versetti dell'antica Scrittura alla luce di uno schema verificabile di eventi concreti: L'esegeta mette in relazione le Scritture dal passato a cose che sono successe nei suoi giorni. La sua forma [letteraria] serve a questo scopo”[17].

3.3.4 Una prima conclusioneSe ci chiediamo come annunciare Gesù come Cristo agli Ebrei, la rivelazione stessa ci dice di confrontare la storia con le profezie dell’Antico Testamento: queste si riassumono sostanzialmente in un unico enunciato: Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti: Gesù è il Cristo.San Paolo, ben lontano dall’aspettare che intervenga il buon Dio alla fine del mondo[18], fin da subito, nelle sinagoghe, predica la buona novella anche agli Ebrei.E la Chiesa non può che seguire l’esempio del suo Divino Maestro e degli gli Apostoli.4. Le difficoltà pratiche.Non è sufficiente però dare una risposta teorica alla domanda che ci eravamo posti su come annunciare Gesù Cristo agli Ebrei. Mi si potrebbe obiettare che mai gli Ebrei accetterebbero il dialogo con chi dichiara apertamente di volerli convertire (il che per loro costituisce una apostasia).Rispondo che già in partenza sappiamo che il dialogo è difficilissimo, in quanto l’articulum stantis aut cadentis è Gesù Cristo.Allora come può andare avanti il dialogo?In primo luogo bisogna tenere presente che il dialogo inter-religioso è cosa diversa dall’apostolato.Una soluzione molto equilibrata è quella proposta dall’episcopato statunitense, dove viene distinto il dialogo inter-religioso dall’annuncio evangelico[19]. Senza negare che i cattolici hanno costituzionalmente nel cuore il desiderio che tutti gli uomini conoscano Gesù Cristo, non è obbligatorio per noi sempre e in ogni occasione proclamare formalmente il kerygma (anche se il buon esempio è già una forma di missione).Posto dunque che i Cristiani credono in Gesù Cristo che è già venuto, e gli Ebrei lo aspettano ancora, senza nascondere o dimenticare questa differenza, non sarà possibile trovare tanti punti comuni e tanti obiettivi pratici da perseguire congiuntamente?Riporto un passo del discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma

“In questa direzione possiamo compiere passi insieme, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore, la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra. I passi compiuti in questi quarant'anni dal Comitato Internazionale congiunto cattolico-ebraico e, in anni più recenti, dalla Commissione Mista della Santa Sede e del Gran Rabbinato d'Israele, sono un segno della comune volontà di continuare un dialogo aperto e sincero”[20].

Una simile soluzione, consapevoli delle differenze che vi sono tra noi, è ben più dignitosa di un compromesso pasticciato - conversione sì ma alle calende greche - e di cui gli Ebrei stessi non sono entusiasti[21].Nel frattempo si può progredire nella conoscenza e nella stima reciproca; fermo restando che una simile amicizia può realmente aiutare a togliere tra i cristiani ogni traccia di anti-semitismo e di anti-giudaismo (anticamera dell’antisemitismo). È chiaro che i cattolici non possono essere anti-giudaici, perché chi ama non è anti, ma pro.5. Ciò che può cominciare ad unirci.Una posizione cattolica nel dialogo tra ebrei e cristiani come descritta sopra, è assolutamente anti-relativista. Senza imporre niente a nessuno, pur fatto salvo il dovere di ogni uomo di cercare la verità, il presupposto è che la verità esiste e che può essere raggiunta dall’intelletto umano, in questa e nell’altra vita, con diversi gradi di evidenza.Se il relativismo tenta di insinuarsi nella fede cattolica e cerca di spingere i cristiani verso un cristianesimo senza Cristo, non è forse vero che propone agli Ebrei un Ebraismo senza Mosè?E il relativismo non è un buon alleato del popolo ebraico.Ponzio Pilato, che si chiedeva, per conto di tutti i relativisti della storia, “che cos’è la verità?”[22], non è forse il rappresentate di quella Roma che ha sì condannato Gesù Cristo, ma che ha distrutto il secondo tempio (e la distruzione del tempio è – in un certo senso – un prologo della Shoa)?Ancora adesso l’alleanza con il relativismo costituisce una tentazione per la Sinagoga.È in atto anche in Italia una certa propaganda del noachidismo, che consiste nel proporre ai non ebrei l’osservanza di sette precetti[23], dati da Dio ad Adamo e a Noè - quindi prima dell’alleanza con Abramo e dell’elezione di Israele.Non manca chi propone ai Cristiani una conversione a questa nuova mentalità noachica[24].La propaganda del noachidismo potrebbe essere un punto di incontro con la pseudo-religiosità massonica e il suo ideale di religione universale basata su un minimo comune denominatore che unisca gli uomini nella tolleranza reciproca[25].E infatti il Rabbino Di Segni, il 26 maggio 2003, in visita a Villa Medici, sede del Grand’Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, illustrò proprio “Il Patto Noachita”.Giuseppe Abramo, Gran Segretario del Grande Oriente d’Italia, commentò così l’intervento del rabbino:

“non si può non nominare lo straordinario respiro cosmico dell’ebraismo, nel momento in cui questa dottrina, lungi dall’affermare l’esistenza di una religione giusta, che escluda le altre, promette salvezza a chiunque accetti spontaneamente e sinceramente i Sette Precetti dei Figli di Noè. È la stessa apertura alla tolleranza che, insieme al trinomio caro a noi Massoni (libertà, uguaglianza e fratellanza) guida e regola i lavori massonici”[26].

Ma è questa una via redditizia per gli Ebrei?È molto meno rischioso per gli Ebrei confidare in chi avrà sempre l’obbligo immutabile, il supremo comandamento del Maestro, di dare la vita per loro, piuttosto di chi oggi li può considerare alleati (secolarizzati) e domani nemici da distruggere. Pilato docet.In base a quanto detto, gli Ebrei devoti e non secolarizzati potranno trovare un punto di unione con i Cristiani, per difendersi dalla minaccia del relativismo.6. Ciò che alla fine ci unirà.Benedetto XVI, in visita ad Auschwitz, ha fornito l’interpretazione teologica cattolica dello sterminio degli Ebrei durante la seconda guerra mondiale:

“I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: "Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello" si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo - a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoa, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”[27].

Alla luce di quanto il Papa afferma, se è dovere di noi cristiani ricordare la Shoa, anche gli Ebrei non possono esimersi dal considerare come i cristiani sono stati in passato e sono ancora oggi la comunità più perseguitata della terra, dalla fondazione della nostra santa religione fino alla fine del mondo.In altre parole, insieme abbiamo sperimentato l’odio di satana e l’odio del mondo, che vogliono cancellare ogni “testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo” e “strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte”.Vengono in mente le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica, che descrive, con parole simili, i tempi dell’anticristo:

“Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”[28].

Come non vedere affinità tra “la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell'uomo, del forte” e “l’impostura religiosa ... in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio”?Siccome “l’uomo nella prosperità non comprende”[29], non saranno forse i tempi di una comune e feroce persecuzione a farci riflettere e a farci deporre ogni pregiudizio?Allora, quando “uscirà da Sion il liberatore”[30], incontrerà i pochi cristiani che non si saranno fatti trascinare dal’apostasia generale e gli Ebrei, che, a quel punto, nella totalità morale, riconosceranno Gesù Cristo e saranno reinnestati: e allora...

“Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità!”[31]

e così...

“Allora tutto Israele sarà salvato”[32].

7. Conclusioni generaliHo cercato di commentare la nuova preghiera pro Iudeis, tendo conto del dibattito teologico su Israele in campo cattolico e dei problemi del dialogo inter-religioso ebraico cristiano.La nuova preghiera è discreta, toglie alcune espressioni delle preghiere del passato che sono lecite, in quanto tratte dalla Scrittura, ma che potrebbero essere dure per l’interlocutore.Pur con questa discrezione, la preghiera appare inconciliabile con la teoria delle due vie di salvezza parallele (teoria quantitativamente dominante presentata dai media come svolta conciliare), e si pone in continuità con il passato.Viene richiamata la necessità che gli Ebrei riconoscano Gesù Cristo e che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità: quindi si esclude una via di salvezza senza la conoscenza della verità, che per noi non è una teoria, ma una Persona: Gesù Cristo.Il titolo rubricale Pro conversione Iudeorum, lasciato nella micro-riforma della Messa di San Pio V, sancisce l’attualità e la liceità della categoria teologica conversione degli Ebrei (anche se abbiamo visto come questa conversione ha una sua specificità e possa considerarsi, da un punto di vista soggettivo, un arrivo o un coronamento).L’interpretazione del Card. Kasper, che sposta la conversione degli Ebrei oltre la fase apocalittica della rivelazione, appare come un arrampicarsi sugli specchi, e lascia gli Ebrei stessi insoddisfatti.Oltretutto questa spiegazione lascia in una sorta di limbo il piccolo ma continuo numero di Ebrei che si convertono, che annovera già santi e martiri, e di cui San Paolo dice che “anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia”[33].È inaccettabile anche l’affermazione che agli Ebrei non va annunciato Gesù Cristo: gli Ebrei sono stati i primi destinatari del Vangelo - sia da parte di Nostro Signore, sia da parte degli Apostoli - e la Chiesa non può percorrere altre strade.Quale dialogo possibile con queste premesse?Senza nascondere il desiderio e l’auspicio che tutti gli uomini credano in Gesù Cristo, si può distinguere operativamente il dialogo inter-religioso dall’apostolato.Rimangono molte cose nelle quali si può lavorare assieme; queste sono state descritte mirabilmente nell’ultimo discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. Il lavoro comune accrescerà la conoscenza e la stima reciproca, demolendo piano piano tanti pregiudizi.Il discorso del Papa ad Auschwitz assume una certa valenza profetica: Ebrei e Cristiani sono oggetto di un feroce odio satanico che ha le caratteristiche dell’odio dell’anticristo. Constatare come siamo assieme perseguitati e per la stessa ragione (la diabolica volontà cancellare ogni “testimonianza di quel Dio che ha parlato all'uomo”) potrà far maturare cose meravigliose. Essendo la minaccia relativista la premessa di questi eventi, se la Sinagoga riuscirà a fuggire la tentazione dell’alleanza con la Loggia, già fin d’ora la difesa dal comune nemico (il relativismo) potrebbe dare a entrambi maggior consapevolezza del nostro misterioso stato di fratelli.Prima di concludere, vorrei elogiare un Vescovo coraggioso, che non ha avuto timore di andare contro-corrente: si tratta di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Lugi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro. Così il giornalista Riccardo Cascioli riassume un articolo dello stesso Mons. negri sulla rivista Studi Cattolici:

“Non si capisce perciò come alcuni cattolici possano sostenere che «la missione valga per tutti gli uomini meno che per qualche categoria (per esempio gli islamici e gli ebrei)». O che «la singolarità del rapporto tra Israele e Chiesa è quello del peculiare percorso salvifico ebraico, per cui rispetto all’ebraismo non può esserci missione istituzionalizzata da parte cristiana».

«Per un’autentica coscienza della fede – chiosa il vescovo di San Marino – questo risulta inconcepibile: come se ci fosse una via alla salvezza che prescinde dall’avvenimento di Cristo, dall’incontro con Lui, dalla sequela di Lui e dalla conversione a Lui, così come è presente misteriosamente, fino alla fine dei tempi, nella sua Chiesa che è il suo Corpo e il suo Sacramento»”[34].

Che Maria, Madre ebrea di Gesù ebreo, aiuti il dialogo tra i discepoli e i consanguinei del suo Figlio. Amen!

Don Alfredo Morselli, Stiatico di San Giorgio di Piano, 24-3-2010


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