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In mostra ai Musei Vaticani arredi liturgici scampati al terremoto d'Abruzzo

Ultimo Aggiornamento: 29/03/2010 20:38
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29/03/2010 20:38

In mostra ai Musei Vaticani arredi liturgici scampati al terremoto d'Abruzzo

La forza del passato


di Antonio Paolucci

"Io sono una forza del Passato / solo nella tradizione è il mio amore / vengo dai ruderi delle chiese /dalle pale d'altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini e le Prealpi / dove sono vissuti i fratelli". Pier Paolo Pasolini ("ultimo usignolo della Chiesa cattolica" come amava definirsi) scriveva questi versi nel 1962 in Poesia in forma di rosa.

Nel 1962 l'Italia stava cambiando pelle, la grande mutazione era ormai avviata, irreversibilmente. Pasolini, con profetica consapevolezza, sceglieva di essere "forza del Passato". Dalle chiese dirute, dalle pale d'altare, dai borghi abbandonati, dai relitti di una Italia antica che la modernità andava velocemente offuscando, testimoniava la pietà e la memoria. Pietà per le cose e per i fratelli che sono stati, memoria di ciò che eravamo.

Mi tornavano alla mente quei versi di Pasolini quando, nella sala polifunzionale dei Musei Vaticani, i miei colleghi allestivano la mostra "La Memoria e la Speranza", aperta dal 31 marzo al 31 maggio. Titolo impegnativo per un evento umile e pietoso offerto alle moltitudini ospiti dei musei del Papa affinché capiscano e ricordino.

 La mostra espone un centinaio di arredi liturgici scampati al terremoto d'Abruzzo, recuperati in mezzo alle macerie dai Vigili del Fuoco, dai Carabinieri, dai volontari della Protezione civile. Sono argenterie in grande maggioranza:  calici e pissidi, ostensori e reliquiari, assai antichi e preziosi alcuni, di fattura più recente e di tipologia seriale molti altri. Vengono dalle chiese de L'Aquila, dalla Cattedrale in larga parte ma non solo. Vengono da San Bernardino, da San Pietro, dalle Anime Sante, dal Convento francescano di San Giuliano (la reliquia commovente del saio di san Bernardino). Vengono dalle parrocchie della campagna. Da San Pietro Apostolo di Coppito, da San Francesco di Assergi, da San Silvestro a Sivignano, da Santa Menna a Lucoli. Sono esposti così come erano quando sono stati tirati fuori dalle macerie; ammaccati, disarticolati, ancora con i segni del crollo che li ha travolti.
È stata la Chiesa aquilana, nella persona del vescovo Giovanni D'Ercole, ausiliare de L'Aquila, a volere questa mostra, accolta con generosa condivisione dal cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, pensata e realizzata dal personale tecnico scientifico dei Musei. Da Andrea Carignani, da Flavia Callori, da Sante Guido, un restauratore quest'ultimo di cui non so se lodare di più la sapienza professionale o l'umana bontà.

Chi come me ha esperienza delle grandi catastrofi che hanno colpito l'Italia storica, dall'alluvione di Firenze del 1966 al terremoto dell'Umbria e delle Marche del 1997, sa che gli oggetti di arte minore conservati nelle chiese sono i più vulnerabili, i più esposti alla dispersione e all'oblio. Si restaurano, in tempi più o meno rapidi e con risultati più o meno buoni, gli edifici monumentali. Si possono trovare soldi per le sculture e per i dipinti più famosi, ma per le cose considerate meno importanti - argenterie e arredi, paramenti liturgici, legni intagliati e dorati, documenti della tradizione e del culto - non c'è mai o quasi mai adeguata attenzione. Di solito finiscono in tristi depositi, in attesa di risorse finanziarie che non arriveranno, presto dimenticati dai sacerdoti che ne erano custodi, dalle comunità che ne erano proprietarie.

Si tratta di un depauperamento minuzioso, silenzioso, di fatto irreversibile. Soprattutto doloroso. Perché dimenticare gli antichi arredi che hanno fatto fino a oggi l'orgoglio delle comunità, significa cancellare o almeno offuscare il tessuto connettivo di arte e di fede sul quale poggia l'identità culturale e religiosa di una città.

Di questo pericolo la Chiesa che è a L'Aquila è consapevole. Della sua storia gloriosa ha voluto rendere testimonianza portando in Vaticano i segni visibili del dramma. Alla vigilia di Pasqua questa esibizione di oggetti liturgici scampati al terremoto, visibilmente segnati dalla tragedia, è come un offertorio ad limen Petri. I cristiani d'Abruzzo vogliono dirci che è loro intenzione praticare la Pietà e custodire la Memoria. Proprio nel senso che Pier Paolo Pasolini dava ai suoi versi. La mostra è un omaggio alla gente d'Abruzzo provata dal terremoto e alla storia della sua Chiesa, ma ha anche un obiettivo pratico. Ognuno degli oggetti esposti ha bisogno di restauri. Si tratta di interventi di piccolo o medio costo. Non servono in questo caso le sponsorizzazioni milionarie. Se qualcuno, fra i visitatori dei Musei Vaticani, vorrà "adottare" un calice o un reliquiario, una navicella o un ostensorio, una pisside o un turibolo, potrà farlo con un esborso relativamente modesto, del tutto compatibile con le sue tasche. Si tratterà di un gesto di amore che replicherà quelli compiuti dai protagonisti di questa impresa.


(©L'Osservatore Romano - 29-30 marzo 2010)
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