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Il presidente polacco muore in una sciagura aerea

Ultimo Aggiornamento: 19/04/2010 19:24
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16/04/2010 14:03

Messa del cardinale decano in suffragio delle vittime di Smolensk

Per la Polonia il conforto della fede in un momento di prova


Il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio, celebra giovedì 15 aprile, alle 17, all'altare della Cattedra della basilica Vaticana, una messa in suffragio delle vittime della sciagura aerea di Smolensk, nella quale sabato scorso hanno perso la vita il presidente della Polonia Lech Kaczynski, la consorte e i vertici istituzionali del Paese. La celebrazione è promossa dall'ambasciata di Polonia presso la Santa Sede, che già martedì scorso, in occasione del concerto organizzato nell'Oratorio del Gonfalone per commemorare il quinto anniversario della morte di Giovanni Paolo ii, aveva dedicato alle vittime della tragedia un momento di preghiera presieduto dal cardinale Rylko, alla presenza, tra gli altri, dei cardinali Lajolo e Law, dell'arcivescovo Wesoly, dei monsignori Wells e Nwachukwu, dell'ambasciatore Suchocka e di numerosi membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Di seguito il testo dell'omelia del cardinale decano.

Il servo di Dio Giovanni Paolo ii ci ha lasciato un libro che ben potrebbe essere il miglior commento alle tre letture bibliche che abbiamo ascoltato in questa celebrazione eucaristica in suffragio del compianto presidente della Repubblica di Polonia, Lech Kaczynski, della sua distinta signora e delle altre 96 vittime del disastro aereo di Smolensk.

Mi riferisco al noto libro Varcare la soglia della speranza (Mondadori, Milano, 1994), nel quale il venerato Pontefice invitava a guardare a Cristo, come unica via capace di portarci a intravedere una luce sulle tragedie della storia. La luce, egli diceva, ci è data da:  "Qualcuno che tiene in mano le sorti di questo mondo che passa. È Qualcuno che è l'Alfa e l'Omega della storia dell'uomo (Apocalisse, 13), sia di quella individuale che di quella collettiva. E questo Qualcuno è Amore (prima Lettera di san Giovanni, 4, 8 e 16)! Amore fatto uomo, Amore crocefisso e risorto. Amore incessantemente presente tra gli uomini... È Lui che ci dice:  "Non abbiate paura!"".

Con questa visione di fede, noi abbiamo or ora ascoltato le consolanti parole rivolte da Gesù a Marta, che piangeva per la morte di suo fratello Lazzaro:  "Marta, tuo fratello risorgerà". Sì, risorgerà, continuerà a ripeterle il Signore, dicendole solennemente:  "Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno" (Giovanni, 17, 23-27).
Sono parole che oggi gettano un fascio di luce sul nostro dolore, mentre piangiamo la dipartita da questo mondo di tante persone a noi tanto care. Alla luce della fede, noi sappiamo che non le abbiamo perse per sempre. Noi sappiamo che le rivedremo un giorno, e per tutta l'eternità. È quanto professiamo solennemente nel credo:  "Credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna". È quanto, in modo impareggiabile, ci esprime la liturgia della Chiesa nel prefazio dei defunti:  "Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata, e mentre si distrugge la dimora di quest'esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo" (Messale romano, prefazio dei defunti, i).

Miei fratelli, le due prime letture di questa santa messa ci hanno poi invitato a riflettere sul messaggio lasciato alle prime comunità cristiane dall'apostolo Giovanni e dall'apostolo Paolo.
Nella prima lettura san Giovanni scriveva ai cristiani dell'Asia Minore, esortandoli alla perseveranza anche in mezzo alle loro tribolazioni e trasmettendo loro ciò che aveva udito da una voce misteriosa che gli giungeva dall'alto:  "Beati i morti che muoiono nel Signore. Essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguiranno" (Apocalisse, 14, 13).

È ciò che noi oggi vorremo ripetere ai nostri cari defunti:  "Sì, signor Presidente, sì, uomini e donne della cara terra polacca, riposate dalle vostre fatiche! Ne avete provate tante nell'arco della vostra vita. Sappiate però che le vostre opere buone vi seguiranno!".
La seconda lettura della nostra celebrazione eucaristica ci ha poi portato a meditare sul messaggio che l'apostolo Paolo dirigeva dalla Grecia ai cristiani di Roma, provati dalle tremende persecuzioni dell'imperatore romano. A questa comunità sconvolta dal dolore, l'apostolo diceva:  "Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?... Anche di fronte a ciò, noi siamo vincitori, grazie a Colui che ci ha amato... Nulla potrà mai separarci dall'amore di Cristo" (Lettera ai Romani, 8, 35-38).

Sia questa profonda fede dei cristiani di Polonia a sostenerli in questo nuovo momento di prova della loro sofferta storia nazionale.
Fratelli e sorelle nel Signore, cari amici polacchi!
Il compianto Papa Giovanni Paolo ii aveva scritto un giorno un dramma intitolato:  "Fratello del nostro Dio". In esso egli parlava di una "zona inaccessibile della storia", che si erge fra ogni uomo e il tentativo di comprenderlo (Karol Wojtyla, Opere letterarie. Poesie e drammi, Città del Vaticano, 1993, p. 341).
Ora, di fronte a un nuovo dramma della nazione polacca, vediamo pure che v'è una zona inaccessibile per la ragione umana di fronte alle vicende delle nazioni.

Nell'enciclica Salvifici doloris (1984), il venerato Pontefice defunto ci diceva che la sofferenza è quasi inseparabile dall'esistenza terrena dell'uomo, e, quindi, quasi inseparabile dal cammino dei popoli. Ma su questo cammino i credenti sanno di poter sempre incontrare Cristo, che svela loro, almeno in parte, il mistero del dolore. Anzi i credenti hanno imparato che dalla Croce di Cristo è nata per loro una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi d'acqua viva.
In quest'ora di dolore per la perdita di tante persone care, noi possiamo, quindi, guardare a Cristo morto e risorto per noi e ripetere con san Paolo:  "Tutto posso in Colui che mi dà forza" (Lettera ai Filippesi, 4, 13).

Sorretti da questa certezza interiore, affidiamo oggi nelle mani misericordiose del Padre tutti coloro che sono improvvisamente periti nella tragica sciagura di Smolensk, come i numerosi militari polacchi tremendamente massacrati a Katyn nel 1940. Sulle loro tombe sventoli sempre la bandiera bianca e rossa della patria, mentre accanto a esse la Croce gloriosa di Cristo ci ricordi sempre la fede di chi ci ha già preceduto verso la casa del Padre. E così, nel dogma consolante della comunione dei santi noi li sentiremo sempre a noi vicini.


(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2010)
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