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Un bilancio del motu proprio

Ultimo Aggiornamento: 06/07/2010 16:15
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20/06/2010 17:06

Un bilancio del motu proprio

Padre Augé, liturgista di scuola bugniniana, ha pubblicato sul suo blog una riflessione sul triennio di applicazione del motu proprio. A giudicare dai suoi post pacati e riflessivi, egli non sembra il classico modernista dissennato, per cui ogni avanzata verso una sempre maggiore desacralizzazione, deritualizzazione, distruzione della liturgia, è una conquista da esaltare. No: la sua è la posizione di chi ritiene si debba tornare ad un'applicazione seria e rigorosa del messale di Paolo VI. Non solo: ha l'onestà di riconoscere che il problema liturgico esiste, eccome, nella disaffezione dei fedeli e nella diffusa sciatteria celebrativa. Noi conosciamo il refrain del progressista medio, per cui "certo vanno repressi gli abusi, ma i meriti della riforma liturgica ecc. ecc."; ma normalmente chi lo dice presta solo un ossequio verbale e poco convinto all'esigenza di reprimere abusi, mentre si bea del campo d'azione e delle novità che il nuovo Messale ha aperto. Augé, invece, è più profondo: ci sembra perfino di cogliere in lui, seppur inespressa, la preoccupazione inconfessata e inconfessabile: che cioè ci sia qualcosa di genetico, di intrinseco alla riforma (che pur resta ai suoi occhi salutare e sacrosanta) che porti il germe di quella degenerazione che vediamo tanto diffusa. Il passo successivo di consapevolezza, che però dubitiamo possa compiere P. Augé, è arrivare alla conclusione che il Messale bugniniano, con le sue mille possibili permutazioni, e complice la natura umana che porta a prediligere le opzioni più povere e semplici, è per suo intrinseco dinamismo, per necessità, destinato ad essere sconciato, come attualmente avviene in molte celebrazioni; tanto che non ha nemmeno più senso parlare di abusi, termine che presuppone un'inesistente regola da rispettare. E la tendenza è destinata a peggiorare, via via che ci si allontana nel tempo e nella memoria dal modello tridentino da cui - smembrato quest'ultimo e ricostruito il nuovo, assemblando a casaccio le disiecta membra - il golem liturgico ha preso (sembianza di) vita.

Un tradizionalista attento al suo orticello può anche disinteressarsi, se non gioire, di questa deriva che egli ha saputo prevedere e predire. Ma si tratta di posizione egoistica e miope. I cristiani vivono, al 99%, dell'alimento misero e sciapo che è la Messa riformata e non ci si può disinteressare di loro; più ancora, il ritorno di un po' di buon senso liturgico nella celebrazione ordinaria è un passo decisivo verso il recupero dell'ortodossia, della fede, del senso religioso. E con tutto questo vengono, naturalmente, anche molte nuove persone aperte e interessate pure al rito antico.

Per questo non possiamo che condividere alcuni spunti del P. Augé, come l'auspicio che si recuperi "la dimensione orante, l’atteggiamento di adorazione, il clima di silenzio che aiuta ad inoltrarsi nella celebrazione del Mistero". Certo Augé non comprende perché per ottenere ciò servano latino, comunione in ginocchio, altare orientato, ecc.; ma questo è un limite del cerebralismo disincarnato dei liturgisti della sua generazione: non riescono a capire che l'uomo ha bisogno di segni e simboli concreti, "mistagogici", per assumere la dovuta attitudine interiore (o Augé, come si può pretendere di recuperare 'l'atteggiamento di adorazione', se il fedele non lo lasciate inginocchiare?).

Quello che P. Augé non riesce o non vuole comprendere, perché obnubilato dai pregiudizi lungamente inculcati contro il vecchio rito, è che il metodo più sicuro per raggiungere il risultato che egli stesso auspica (ossia 'rimettere in carreggiata' il Paolo VI) è precisamente la maggior diffusione possibile della Messa tradizionale. Questa, per osmosi, per imitazione, per contagio, diffonde metodi celebrativi che riescono a riportare anche nella nuova Messa quegli elementi di cui Augé deplora la perdita (adorazione, silenzio, preghiera). Per averne la riprova, basta vedere come celebra la nuova Messa il Papa, o un prete biritualista qualunque.

Possibile che un liturgista serio come P. Augé non comprenda che qualche dose di 'antibiotico tridentino' è il migliore puntello per impedire che il Messale di Paolo VI si trasformi ancor più in quella fiera dell'improvvisazione, della confusione dottrinale e della sciatteria che già ora (almeno fuori d'Italia, dove l'impronta tridentina un po' sopravvive ancora) è divenuta la regola?



I cosiddetti “tradizionalisti”, nello specifico mi riferisco a coloro che hanno preso delle posizioni critiche più o meno radicali nei confronti della riforma liturgica di Paolo VI, sono consapevoli dei limiti che ha dimostrato in questi ultimi decenni l’opzione fatta dalla suddetta riforma per l’adattamento, per la flessibilità, per la dimensione pastorale tesa a suscitare la partecipazione dei “vicini” e ad avvicinare i “lontani”. Visti i risultati, a loro dire negativi, si sono chiusi nella ritualità, considerandola un sicuro baluardo dell’ortodossia. Essi partono dal presupposto che la celebrazione deve essere il luogo dell’incontro con Dio, che va preservato con ogni mezzo per inoltrarsi nel Mistero. Questo atteggiamento conduce non di rado a concentrarsi nel mondo delle rubriche (molte delle domande che arrivano a questo blog lo dimostrano). L’estremo di questa tendenza si manifesta nel ritorno alle forme liturgiche del passato, in cui i gesti e le parole (in latino), incomprensibili ai più, garantirebbero una liturgia autentica, fedele alla Tradizione, non contaminata dalla mondanità.

Non c’è dubbio che in questo atteggiamento ci sono delle intuizioni corrette, che vanno considerate con attenzione perché talvolta sono state dimenticate da coloro che credono di aver recepito la riforma del dopo Concilio, ma lo hanno fatto solo in parte: la dimensione orante, l’atteggiamento di adorazione, il clima di silenzio che aiuta ad inoltrarsi nella celebrazione del Mistero, e così via. Ma, mi domando: per salvaguardare tutto ciò è necessario celebrare in latino, di spalle al popolo (detto impropriamente [?!] “verso il Signore”), comunicarsi obbligatoriamente sulla bocca e in ginocchio, indossare paramenti sfarzosi, riportare i candelieri sull’altare, ecc.? Il sacerdote che fa queste opzioni troverà forse una certa soddisfazione (e devozione) personale nella celebrazione, come pure il gruppo di fedeli che si sentono a loro agio in questo stile celebrativo. Ma credo che si tratta di una scelta che rimane sulla superficie del problema e quindi non è capace di dare una risposta seria e duratura al malessere attuale che si intende risolvere e meno ancora alla liturgia della Chiesa in vista del futuro. Anzi, questa scelta, alla lunga sarà probabilmente, tra l’altro, un modo di chiudere la Chiesa in se stessa, per proteggerla (?) da un mondo avverso che, a sua volta, ogni giorno si sentirà più lontano dalla fede e dalle celebrazioni liturgiche.

Credo che la riforma di Paolo VI offre tutti gli elementi necessari per celebrare l’incontro con Dio (e con i fratelli!). Occorre però che sia celebrata in modo dignitoso, in fedeltà al libro liturgico, con devozione, consapevoli che è sempre il Signore Gesù, il sommo ed eterno Sacerdote che agisce per primo nella celebrazione.

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06/07/2010 16:15

Gli effetti del motu proprio nelle diocesi del mondo.


Da Rorate caeli (e relativi commenti) prendiamo questo conteggio redatto da Peter Karl Perkins inerente l'estensione delle Messe tridentine per effetto del motu proprio. Sono computate a parte quelle della Fraternità San Pio X, per meglio enucleare l'avanzata tradizionale per il solo effetto del motu proprio (la FSSPX, ovviamente, non aveva bisogno di attendere la liberalizzazione, che pur ha nobilmente richiesto a vantaggio di tutta l'ecumene, per impiantare nuovi centri di Messa).

Il primo numero accanto al nome di ogni paese si riferisce al 2005, all'inizio di questo pontificato, ed indica le diocesi che a quella data avevano una Messa tridentina almeno ogni domenica e festa di precetto. Si tratta quindi delle messe concesse in applicazione dei vecchi indulti del 1984 e 1988, quando l'arbitrio episcopale era sovrano (oggi lo è ancora, ma non più di diritto, solo di fatto). La seconda cifra recensisce invece la situazione delle diocesi 'virtuose' al 2010 (eventualmente tra parentesi con la specificazione di dati intermedi).

Si ripete: i numeri che seguono indicano il numero di diocesi (con almeno una, a volte più, Messe ogni domenica e festa di precetto), non il numero totale di Messe, che è ovviamente superiore (sia perché in molte diocesi vi sono più Messe, sia perché non si considerano ai fini del computo le Messe con intervallo maggiore di quello settimanale o tenute solo in giorni feriali). Indichiamo quando possibile anche il totale delle Messe 'regolari' e quelle della FSSPX (sempre considerando solo quelle che si celebrano almeno ogni domenica e festa di precetto).

Italia: 15, (41 nel 2008), 52 diocesi (più che triplicate, ma pur sempre meno di un quarto del totale). Totale diocesi esistenti: 214.
Totale Messe: 81 + Totale Messe FSSPX: 15.

Francia: 65 (74 nel 2008), 78 diocesi. Totale diocesi esistenti: 93.
Totale Messe: 201 + Totale Messe FSSPX: 215

Germania: 10, 23 diocesi. Totale diocesi esistenti: 28.
Totale Messe: 54 + Totale Messe FSSPX: 64

Spagna: 3, 11 diocesi. Totale diocesi: 69
Totale Messe: 16 + Totale Messe FSSPX: 4

Polonia: 6, 12 diocesi. Totale diocesi: 40
Totale Messe: 16 + Totale Messe FSSPX: 12

Portogallo: 0, 1 diocesi. Totale diocesi: 20
Totale Messe: 2 + Totale Messe FSSPX: 2

Austria: 5, 7 diocesi. Totale diocesi: 9
Totale Messe: 13 + Totale Messe FSSPX: 11

Svizzera: 3, 4 diocesi. Totale diocesi: 6
Totale Messe: 29 + Totale Messe FSSPX: 40

Belgio: 5, 6 diocesi. Totale diocesi: 8
Totale Messe: 15 + Totale Messe FSSPX: 6

Olanda: 1, 3 (incremento ma con perdita di Rotterdam, l'unica del 2005). Totale diocesi: 7
Totale Messe: 5 + Totale Messe FSSPX: 2.

Lussemburgo: 0, 1. Totale diocesi: 1
Totale Messe: 1. Totale Messe FSSPX: 0

Liechtenstein: 0, 1. Totale diocesi: 1
Totale Messe: 1. Totale Messe FSSPX: 0

Inghilterra e Galles: 9, 19. Totale diocesi: 22
Totale Messe: 38 + Totale Messe FSSPX: 18.

Scozia: 2, 3 diocesi. Totale diocesi: 8.
Totale Messe: 3 + Totale Messe FSSPX: 3

Irlanda: 4, 6 diocesi. Totale diocesi: 26
Totale Messe: 6 + Totale Messe FSSPX: 6

Filippine: 5, 7. Totale diocesi 86.

Australia: 10, 11 diocesi.

Nuova Zelanda: 2, 5. Totale diocesi: 6

U.S.A.: 112, 149 (significativo il numero di Messe già concesso dai vescovi ai tempi dell'indulto, segno dell'assenza in molti presuli americani della chiusura ideologica che affligge la maggior parte dei loro colleghi nel resto del mondo). Totale diocesi: 195
Totale Messe: 358 + Totale Messe FSSPX: 116.

Canada: 11, 14 diocesi. Totale diocesi: 71.
Totale Messe: 28 + Totale Messe FSSPX: 18

Messico: 1, 5 diocesi. Totale diocesi: 94.
Totale Messe: 11 + Totale Messe FSSPX: 11

Brasile: 7, 21 diocesi (triplicazione non comparabile con alcun altro paese latinoamericano). Totale diocesi: 272

Argentina: 2, 2 (accanita ostruzione del card. Bergoglio e complici) diocesi. Totale diocesi: 72

Colombia: 1, 2 diocesi

Peru: 1, 2 diocesi

Sud Africa: 0, 1 diocesi

Gabon: 1, 2 (grazie all'I.C.R.S.S.) diocesi

Ungheria: 1, 3 diocesi. Totale diocesi: 12.
Totale Messe: 3. Totale Messe FSSPX: 0

Repubblica Ceca: 1, 4 diocesi (Olomouc aggiunta questa settimana). Totale diocesi: 8
Totale Messe: 7 + Totale Messe FSSPX: 1 (a Brno).

Slovacchia: 0, 1 diocesi. Totale diocesi 6.
Totale Messe: 1. Totale Messe FSSPX: 0

Lituania: 0, 1 diocesi. Totale diocesi: 8
Totale Messe: 1 + Totale Messe FSSPX: 2

Svezia: 0, 1 diocesi. Totale diocesi: 1
Totale Messe: 2. Totale Messe FSSPX: 0


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