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Accà nisciun'è fesso

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2010 20:41
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21/06/2010 13:46

Accà nisciun'è fesso


Il cardinale Crescenzio Sepe (nella foto, durante una celebrazione a Cadria di Magasa) è ufficialmente iscritto nel registro degli indagati, per i loschi affari che avrebbe gestito allorché era Prefetto della Congregazione de propaganda Fide (la Congregazione dopo il concilio ha cambiato denominazione, ma del nuovo scìpito nome ce ne infischiamo; come tutti del resto).

Se sia penalmente colpevole o meno, lasciamo giudicare ad altri. A noi interessa semplicemente ricordare, per meglio inquadrare la persona, alcuni fatti.

Sepe è sempre stato in rapporti molto freddi con l'allora cardinale Ratzinger. Tanto vero che il nuovo Pontefice l'ha allontanato nel maggio 2006 dalla potentissima carica di Papa rosso (ossia Prefetto di Propaganda) e l'ha spedito a fare l'arcivescovo di Napoli. Una amotio, più che una promotio. Di più: si è trattato di uno dei pochi atti significativi di Benedetto XVI nel suo primo anno di pontificato, quando il neoeletto si muoveva ancora con enorme circospezione, avendo da rodare la Curia woytiliana che aveva appena ereditato. Sotto questo profilo, Sepe si piazza cronologicamente in terza posizione nella classifica dei pur pochissimi licenziamenti anticipati effettuati da Papa Ratzinger, subito dopo il number one Fitzgerald (già Presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, spedito nunzio al Cairo a sperimentare in corpore vili le delizie del dialogo coi maomettani, di cui era invasato) e dopo il number two Sorrentino (già Segretario della Congregazione per il Culto Divino, liturgista modernista, reo di essere intervenuto contro ogni idea di apertura al rito antico nel corso del sinodo dei vescovi sull'Eucarestia; fu, un mese dopo la fine di quel sinodo, cacciato ad Assisi a sbrigare conflitti di competenza coi veri padroni di quella diocesi, i frati francescani).

Insomma: il fatto che Benedetto XVI, prudente e circospetto come sappiamo, alieno allo spoil system e rispettoso delle scadenze pensionistiche dei collaboratori, abbia invece fatto un'eccezione per il cardinale Sepe, ed in tempi relativamente brevi dall'ascensione al pontificato, a noi dice molto, anzi moltissimo.

Dal 2001 al 2004 il card. Sepe ebbe, come Segretario aggiunto, mons. Malcolm Ranjit Patabendige Don. I due però non si intendevano affatto e Sepe ottenne di liberarsi dello scomodo collaboratore cingalese, finito così a fare il nunzio in Indonesia. Ma diventato papa Benedetto XVI, che aveva avuto modo di apprezzare mons. Ranjit nel periodo in cui questi era stato a Roma, lo richiamò a svolgere le funzioni di Segretario del Culto Divino (appunto in sostituzione di Sorrentino), proprio mentre era Sepe a doversi allontanare dal Vaticano. E anche questo attrito con Ranjit, di cui conosciamo l'integrità, molto ci dice.

Infine, è da salutare la diversità di reazione del Vaticano alla notizia dell'apertura delle indagini contro il porporato. Anziché la solita salva di proteste di estraneità e di innocenza (come era stato nel caso più eclatante, quello della difesa ad oltranza di Marcinkus, inseguito dalla polizia e rifugiatosi entro le mura leonine grazie alle benemerenze acquisite in alto loco per aver fornito ampi mezzi finanziari a Solidarnosc), si promette - chissà con quanta sincerità... - collaborazione con gli inquirenti e si sottolinea come tutta la responsabilità dei fatti addebitati non riguardi l'attuale gestione del card. Dias. Un modo quanto mai esplicito, e perfino brutale per l'etichetta ecclesiale, di 'scaricare' il cardinale partenopeo. Ed anche una specie di ammissione di colpe (altrui).

Per concludere il quadro, vale la pena citare un vecchio articolo di Magister, che lo stesso ha appena ripubblicato nel suo
blog:


SEPE, PROPAGANDA PRO DOMO MEA
(Dall’Espresso del 13 settembre 2002)

In Vaticano il cardinale prefetto della congregazione De Propaganda Fide lo chiamano il papa rosso. Per dire quanto è potente. Ma Crescenzio Sepe, che lo è diventato nell’aprile del 2001, non si accontenta. Punta ancora più in alto. A diventare segretario di Stato.

E per riuscirci ha lanciato una martellante campagna d´immagine. Si è messo a viaggiare per il mondo come il Karol Wojtyla dei tempi d´oro, incontrando vescovi e capi di Stato, sempre accompagnato dall´inviato di punta dell’”Osservatore Romano”, Gianfranco Grieco, che gli dedica ogni giorno paginate trionfali. In febbraio è stato in Costa d´Avorio, in marzo in India e Sri Lanka, in giugno in Bosnia, in luglio in Corea del Sud e Mongolia, in settembre sarà in Thailandia ed entro novembre in Albania, Benin e Angola.

Perché novembre è la data cruciale. Il 23 di quel mese il cardinale Angelo Sodano, che è segretario di Stato dal 1991, compie 75 anni e da lì in avanti il papa potrebbe congedarlo in ogni momento. Il candidato naturale a succedergli sarebbe il cardinale Giovanni Battista Re, per molti anni sostituto, ossia numero due nella stessa segreteria di Stato. Ma Sepe si è già piazzato in corsia di sorpasso. Il suo esempio luminoso è il cardinale Dionigi Tettamanzi, che proprio grazie a una poderosa campagna promozionale è riuscito quest´estate a diventare il successore a Milano del cardinale Carlo Maria Martini, sbaragliando i concorrenti compreso lo stesso Re.

Sepe è nato nel 1943 a Carinaro, in diocesi di Aversa. Entrò presto in diplomazia e fece tirocinio nelle nunziature dell’America latina e dell’Asia. In curia il suo cardinale protettore era l’argentino Umberto Mozzoni e questi lo piazzò in segreteria di Stato, all’ufficio informazioni. Bel trampolino. Perché con un papa come Giovanni Paolo II i media contano. E Sepe fece le mosse giuste. Nel 1984 scovò e mise in pista come press agent di papa Wojtyla l’intraprendente Joaquín Navarro-Valls, spagnolo, numerario dell’Opus Dei. E a direttore dell’”Osservatore Romano” collocò un suo amico irpino, Mario Agnes, l’ascetico fratello di Biagio, allora supermanager della Rai.

Giovanni Paolo II se ne compiacque. E Sepe salì di grado. Tre anni dopo, nel 1987, fu promosso assessore della segreteria di Stato, numero tre del supremo organo di governo vaticano. Altri tre anni, e corse voce che lui già pretendeva di diventar sostituto, una carica ancora più su, con accesso diretto e quotidiano al papa. Una lettera collettiva firmata da nunzi e diplomatici gli sbarrò la strada. Ma solo lì. Nel 1992, Sepe fu promosso dal papa arcivescovo e segretario della congregazione per il clero.

Dove rivelò un’altra sua dote, quella di impresario di spettacoli. Non c’era ricorrenza papale che non venisse salutata da cantautori, rockband, soubrette. Con dirette in mondovisione. Così, quando si trattò di organizzare il grandioso giubileo dell’anno 2000, Giovanni Paolo II non ebbe dubbi, mise tutto in mano a Sepe. Il quale progettò e realizzò un programma monstre, fatto di decine di giubilei di categoria, uno più spettacolare dell’altro. Con riverberi politici non da poco. Sia il governo italiano che il sindaco di Roma, quando avevano a che fare col Vaticano, era dal plenipotenziario Sepe che dovevano bussare.

Il premio arriva puntuale nel 2001. Il papa fa cardinale Sepe e lo insedia a Propaganda Fide. Tempo pochi mesi e anche l’agenzia di questo dicastero, “Fides”, cambia faccia e suona la tromba per il nuovo papa rosso. “L’Osservatore Romano” di Agnes lo fa già da un pezzo. Navarro idem. Finché dura Giovanni Paolo II col suo alter ego Stanislaw Dziwisz, Sepe ha dalla sua un patronato formidabile.

Messainlatino

Sarà solo una coincidenza che proprio in concomitanza con l'iscrizione nel registro degli indagati di sua eminenza, Benedetto XVI° abbia pronunciato questo sermone?  
 
"Il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso."  

Io credo proprio di no

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