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SUMMA ; IL MODO DI DERIVARE DELLE COSE DAL PRIMO PRINCIPIO

Ultimo Aggiornamento: 22/06/2010 20:55
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22/06/2010 20:55

ARGOMENTO 45

IL MODO DI DERIVARE DELLE COSE DAL PRIMO PRINCIPIO

Trattiamo ora del modo in cui le cose derivano dalla prima causa: vale a dire della creazione. In proposito poniamo otto quesiti: 1. Che cosa sia la creazione; 2. Se Dio possa creare; 3. Se la creazione sia un‘entità reale; 4 Quali cose possano essere create; 5. Se creare appartenga solo a Dio; 6. Se sia opera di tutta la Trinità, o appartenga esclusivamente a una sola Persona; 7. Se nelle realtà create vi sia un vestigio della Trinità; 8. Se nelle opere dipendenti dalla natura e dalla volontà si celi un atto creativo.

Articolo 1 In 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 2 Se creare sia produrre dal nulla Pare che creare non sia produrre dal nulla. Infatti: 1. Insegna S. Agostino [Contra adv. leg. et proph. 1, 23]: «Fare si dice a proposito di ciò che assolutamente non esisteva, creare invece è costituire una cosa traendola da ciò che già esisteva».

2. La nobiltà di un‘azione o di un moto viene considerata in base ai rispettivi termini. Ora, l‘azione che va dal bene al bene, e da un ente a un altro ente, è più nobile di quella che dal nulla porta a qualcosa. D‘altra parte la creazione si presenta come l‘azione più alta e fondamentale fra tutte le operazioni [transitive]. Quindi non può consistere [nel passaggio] dal nulla a qualcosa, ma piuttosto da un essere a un altro essere.

3. La preposizione ex [di o da] indica un rapporto di causa, e precisamente di causa materiale: come quando diciamo che una statua è fatta ex aere [di bronzo]. Ma il nulla non può essere materia di un ente, né causa di esso in qualsiasi altro modo. Quindi creare non è fare qualcosa dal nulla. In contrario: La Glossa dice, a proposito del passo [Gen 1, 1]: «In principio Dio creò», che «creare è fare qualcosa dal nulla». Dimostrazione: Come si è detto sopra [q. 44, a. 2], non si deve considerare soltanto l‘emanazione di un essere particolare da una causa determinata, ma anche l‘emanazione di tutto l‘essere dalla causa universale che è Dio: e questa emanazione la designamo col nome di creazione. Ora, quanto procede secondo un‘emanazione particolare non preesiste all‘emanazione stessa: se p. es. un uomo viene generato, è segno che quell‘uomo prima non esisteva, ma che è stato prodotto [a partire] da ciò che prima non era un uomo, come una cosa diventa bianca a partire da un soggetto che prima non era bianco. Se quindi consideriamo l‘emanazione di tutto l‘essere universale dalla prima causa, è impossibile pensare che vi sia un ente presupposto a questa causalità. Ora, il nulla è la stessa cosa che nessun ente. Come dunque la generazione di un uomo inizia da quel non-ente che è il non-uomo, così la creazione, che è l‘emanazione di tutto l‘essere, inizia da quel non-ente che è il nulla. Analisi delle obiezioni:
1. S. Agostino qui prende il termine creazione in senso improprio, usando il verbo creare per indicare che una cosa viene cambiata in meglio, come quando si dice che uno è creato vescovo. Ma qui non parliamo di creazione in questo senso, bensì in quello indicato [nel corpo].

2. Le mutazioni ricevono natura e dignità non dal termine di partenza, ma da quello di arrivo. Un moto perciò sarà tanto più perfetto e nobile quanto più nobile e alto è il termine verso cui tende; per quanto il termine di partenza, contrapposto a quello di arrivo, sia più imperfetto. Così, p. es., la generazione di per sé è più nobile e più fondamentale dell‘alterazione, per il fatto che la forma sostanziale è più che la forma accidentale: ciò nonostante la mancanza della forma sostanziale, che nella generazione è il termine di partenza, è qualcosa di più imperfetto del corrispondente termine di partenza dell‘alterazione. E così pure la creazione è un‘operazione più perfetta e più alta della generazione e dell‘alterazione, dato che il suo termine di arrivo è l‘intera sostanza della cosa. Ciò che invece è inteso come termine di partenza in realtà non esiste. 3. Quando si dice che una cosa è fatta dal nulla, la preposizione ex [di o da] sta a indicare non la causa materiale, ma la sola successione: come quando si dice che dalla mattina si va facendo mezzogiorno, cioè dopo la mattina viene il mezzogiorno. Tuttavia si osservi che la preposizione da o include la negazione espressa nel termine nulla [p. es.: dal non essere], oppure viene a sua volta inclusa dalla negazione stessa [p. es.: non da un essere]. Nel primo caso dunque resta affermata la successione, e si esprime il suo ordine al non essere precedente. Se invece la negazione include la preposizione, allora la successione viene trascurata, e l‘espressione: è fatto dal nulla ha questo senso: non è fatto di [o da] qualcosa; come se uno dicesse: costui parla di nulla, perché non parla di qualcosa. Ora, in tutti e due i modi è vero che creare è fare qualcosa dal nulla. Ma nel primo caso la preposizione da indica successione, come si è detto; nel secondo invece indica la causa materiale, che viene negata.

Articolo 2 In 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 2; C. G., II, c. 16; De Pot., q. 3, a. 1; Comp. Theol., c. 69; In 8 Phys., lect. 2
Se Dio possa creare qualcosa Pare che Dio non possa creare qualcosa. Infatti: 1. Come riferisce Aristotele [Phys. 1, 4], i primi filosofi ritenevano come verità universalmente accettata da tutti che dal nulla non si produce nulla. Ora, la potenza di Dio non si estende fino ad attuare cose contrarie ai primi princìpi: p. es. Dio non potrebbe fare che il tutto non sia maggiore della parte, o che l‘affermazione e la negazione [di una data cosa] siano ugualmente vere. Quindi Dio non può fare una cosa dal nulla, cioè creare. 2. Se creare è fare qualcosa dal nulla, essere creato è un certo essere fatto o divenire. Ma ogni divenire è mutare. Quindi la creazione è una mutazione. Ma ogni mutazione appartiene a un soggetto, come appare dalla definizione del moto [cf. Phys. 3, 1]: il moto è l‘atto di un ente che è in potenza. Perciò non è possibile che Dio faccia una cosa dal nulla. 3. Ciò che è stato fatto è necessario che una volta sia stato in divenire. Ma non si può dire che nello stesso istante la creatura venga fatta e sia già fatta: poiché una sostanza che è in divenire non esiste ancora, mentre quella che è stata fatta esiste già; altrimenti nello stesso istante una cosa esisterebbe e non esisterebbe. Se dunque una cosa viene fatta, il suo venir fatta precede l‘essere già fatta. Ma ciò non è possibile se non preesiste un soggetto nel quale si operi il divenire stesso.

Quindi è impossibile che una cosa sia fatta dal nulla. 4. Non si può percorrere una distanza infinita. Ma tra l‘essere e il nulla c‘è una distanza infinita. Quindi non è possibile che una cosa venga prodotta dal nulla. In contrario: Si dice nella Genesi [1, 1]: «In principio Dio creò il cielo e la terra». Dimostrazione: Non solo non è impossibile che Dio crei qualcosa, ma è necessario affermare che tutte le cose sono state create da Dio, come risulta da quanto precede. Infatti chi produce una cosa da un‘altra non produce, con la sua operazione, quanto è presupposto dall‘operazione stessa: come l‘artigiano opera con i prodotti della natura, p. es. con il legno e col rame, che non sono causati dall‘operazione dell‘arte, ma dalla natura. E la stessa natura produce le cose naturali solo quanto alla forma, ma presuppone la materia. Se dunque Dio non potesse operare senza qualche presupposto, ne verrebbe che quel presupposto non sarebbe causato da lui. Invece sopra [q. 44, aa. 1, 2] si è dimostrato che nulla può esistere nella realtà che non sia creato da Dio, il quale è la causa universale di tutto l‘essere. Quindi è necessario affermare che Dio produce le cose dal nulla. Analisi delle obiezioni: 1. I primi filosofi, come si già detto [q. 44, a. 2], non consideravano altro che la derivazione di determinati effetti dalle loro cause particolari, le quali necessariamente presuppongono qualcosa alla loro azione: per questo si aveva tra loro la comune persuasione che dal nulla non
deriva nulla. Ma l‘assioma non è al suo posto quando si tratta della prima emanazione della realtà dal primo principio universale delle cose. 2. La creazione è una mutazione solo secondo il nostro modo di intendere. E in realtà il concetto di mutamento implica che una stessa cosa si trovi a un certo momento in condizioni diverse da quelle di prima: infatti talora è un identico essere attuale che viene a trovarsi successivamente in condizioni diverse, come nelle mutazioni di quantità, di qualità e di luogo; altre volte invece l‘essere identico è solo potenziale, come nelle mutazioni sostanziali, il cui soggetto è la materia. Ma nella creazione, per mezzo della quale si produce l‘intera sostanza dell‘essere, non è possibile determinare qualcosa che a un dato momento possa trovarsi in condizioni diverse da quelle di prima se non per un gioco della nostra intelligenza: come se uno supponesse che una data cosa, prima non esistente affatto, venga all‘esistenza in un secondo momento. Ma poiché l‘azione e la passione si identificano nell‘unica realtà del moto o mutazione, e differiscono soltanto per le opposte relazioni, come dice Aristotele [Phys. 3, 3], se togliamo il moto non troveremo nel Creatore e nella creatura altro che relazioni diverse. — Ma dato che il modo di esprimersi segue il modo di intendere, come già si disse [q. 13, a. 1], la creazione viene espressa alla maniera delle mutazioni, e per questo si dice che creare è fare qualcosa dal nulla. Però in questo caso fare ed essere fatto sono termini più adatti che mutare ed essere mutato, poiché fare ed essere fatto esprimono direttamente la relazione della causa al suo effetto e dell‘effetto alla causa, e solo indirettamente implicano l‘idea di mutazione.

3. Per quanto viene prodotto senza [le fasi successive del] moto, venire fatto ed essere già fatto sono tutt‘uno: sia che la produzione si presenti quale termine di un moto, come l‘illuminazione (infatti un oggetto è illuminato nello stesso istante in cui viene illuminato), sia che non si presenti come termine di un moto: come ad es. un verbo mentale nell‘istante in cui si forma è già formato. E in tali casi ciò che viene fatto [semplicemente] è; ma quando si dice che viene fatto si vuol dire che deriva da altro, e che prima non esisteva. Siccome quindi la creazione avviene senza moto, una cosa nel medesimo istante in cui viene creata è già creata. 4. La obiezioni deriva da una falsa supposizione, come se tra il nulla e l‘ente ci fosse realmente di mezzo un infinito: il che è evidentemente falso. E questa fallace supposizione nasce dal fatto che si parla della creazione come se fosse un passaggio da un termine a un altro. Articolo 3 In 1 Sent., d. 40, q. 1, a. 1, ad 1; In 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 2, ad 4, 5; C. G., II, c. 18; De Pot., q. 3, a. 3 Se la creazione sia un‘entità reale nelle creature Pare che la creazione non sia un‘entità reale nelle creature. Infatti:
1. La creazione al passivo è attribuita alla creatura, come la creazione all‘attivo è attribuita al Creatore. Ma la creazione all‘attivo non è un‘entità reale nel Creatore: perché altrimenti ne seguirebbe che in Dio vi è qualcosa di temporale. Quindi anche la creazione al passivo non è un qualcosa nelle creature.

2. Tra Creatore e creatura non ci sono intermediari. Ma nel parlare della creazione ci si esprime come se questa fosse un qualcosa di intermedio tra l‘uno e l‘altra: infatti essa non è il Creatore, non essendo eterna, e neppure è una creatura, perché allora per lo stesso motivo bisognerebbe ammettere un‘altra creazione per mezzo della quale fosse creata; e così all‘infinito. Quindi la creazione non è qualcosa di reale.

3. Se la creazione è qualcosa di diverso dalla sostanza creata, bisogna che sia un suo accidente. Ma ogni accidente esiste nel suo soggetto. Quindi la realtà creata sarebbe il soggetto della creazione. E così una stessa cosa sarebbe soggetto e termine della creazione. Cosa impossibile, perché il soggetto è prima dell‘accidente e sostiene l‘accidente, e d‘altra parte il termine è posteriore all‘operazione di cui è termine; e quando esso è raggiunto, cessa l‘operazione. Quindi la creazione non è qualcosa di reale. In contrario: È più difficile produrre tutta la sostanza di una cosa che produrre la sola sua forma sostanziale o accidentale. Ora, la generazione vera e propria o quella impropria, mediante le quali una cosa viene generata secondo la forma sostanziale o la forma accidentale, sono un‘entità [reale] nel soggetto che viene generato. Quindi con molta maggior ragione la creazione, per mezzo della quale una cosa viene a essere prodotta in tutta la sua sostanza, è una vera entità nella creatura. Dimostrazione: La creazione pone qualcosa nella realtà creata soltanto secondo la categoria della relazione: poiché ciò che è creato non viene prodotto per mezzo di un moto o di una mutazione. Infatti ciò che viene prodotto per mezzo di un moto o di una trasmutazione viene fatto con qualcosa di preesistente: il che avviene nelle produzioni particolari di determinati esseri; ma ciò non può avvenire nella produzione di tutto l‘essere da parte della causa universale di tutti gli enti, che è Dio. Quindi Dio, nel creare, produce le cose senza moto. Ma se da un‘operazione vista all‘attivo o al passivo togliamo il moto non rimane che una relazione, come si è detto [a. 2, ad 2].
Resta dunque stabilito che la creazione nelle creature non è altro che una certa relazione verso il Creatore, in quanto è la causa del loro essere; come in un effetto verificatosi mediante la mutazione viene a determinarsi un rapporto con la causa di tale mutamento. Analisi delle obiezioni:
1. Per creazione attiva si intende l‘azione di Dio, che è poi la sua essenza, con in più una relazione verso la creatura. Ma questo rapporto alla creature in Dio non è reale, ma solo di ragione. Invece la relazione delle creature a Dio è reale, come si è detto sopra [q. 13, a. 7] trattando dei nomi di Dio.

2. Si è visto che la creazione è [da noi] concepita come una mutazione, e la mutazione è in qualche modo tramite tra chi muove e ciò che viene mosso: per questo anche la creazione viene concepita come se fosse un tramite fra il Creatore e la creatura. Sta il fatto però che la creazione presa al passivo esiste realmente nella creatura, ed è una creatura. Ma non è necessario che essa venga creata mediante un‘altra creazione: poiché le relazioni, dicendo ordine a qualcosa in forza del loro essere stesso, non si riferiscono per mezzo di altre relazioni, ma per mezzo di se medesime; come si disse anche sopra
[q. 42, a. 1, ad 4], trattando dell‘uguaglianza delle Persone divine. 3. La creazione, concepita [impropriamente] come mutazione, ha nella creatura il suo termine; ma in quanto è realmente una relazione trova nella creatura il proprio soggetto e quindi, nell‘ordine reale e ontologico, la creatura precede la creazione stessa, come un soggetto precede i propri accidenti. La creazione però conserva una certa priorità [rispetto alla creatura] se consideriamo l‘oggetto a cui si riferisce, che è il principio della creatura. E tuttavia non è necessario pensare che la creatura venga creata per tutto il tempo della sua esistenza: infatti la creazione dice relazione della creatura al Creatore, ma unita all‘idea di novità o inizio.

Articolo 4 De Pot., q. 3, a. 1, ad 12; a. 3, ad 2; a. 8, ad 3; De Verit., q. 27, a. 3, ad 9; Quodl., 9, q. 5, a. 1 Se essere creato sia proprio dei composti e dei sussistenti Pare che essere creato non sia proprio [ed esclusivo] dei composti e dei sussistenti. Infatti: 1. Nel De Causis [4] si afferma: «La prima fra le realtà create è l‘essere». Ma l‘esistenza della realtà creata non è qualcosa di sussistente. Quindi l‘essere creato non appartiene in modo esclusivo agli esseri sussistenti e composti. 2. Ciò che è creato viene dal nulla. Ma i composti non vengono dal nulla, bensì dai loro componenti. Quindi non è ai composti che si addice di essere creati. 3. Nella prima emanazione propriamente viene prodotto ciò che nella seconda è presupposto: come i prodotti naturali vengono dalla natura, e poi formano a loro volta il presupposto all‘operazione dell‘arte. Ma alle produzioni della natura è presupposta la materia. Quindi è propriamente la materia ciò che viene creato, non il composto. In contrario: Si legge nella Genesi [1, 1]: «In principio Dio creò il cielo e la terra». Ma il cielo e la terra sono realtà composte e sussistenti. Quindi ad esse propriamente conviene di essere create. Dimostrazione: Si è già detto [a. 2, ad 2] che venire creato è un modo di divenire. Ora, ogni divenire tende a dare l‘esistenza a una cosa. Quindi sia il divenire che l‘essere creato appartengono propriamente a quelle cose a cui spetta di esistere. E ciò a rigore spetta agli esseri sussistenti: siano essi semplici come le sostanze separate, o composti come le sostanze corporee. Infatti esistere, propriamente, conviene solo a ciò che ha l‘esistenza: che è quanto dire a ciò che sussiste nel proprio essere. Invece le forme, gli accidenti e le altre cose del genere sono chiamati enti non nel senso che essi stessi abbiano l‘essere, ma perché per mezzo di essi qualcosa viene a essere [in un modo o nell‘altro]: come la bianchezza è detta ente perché per mezzo di essa una sostanza è bianca. Quindi, al dire di Aristotele [Met. 7, 1], l‘accidente a tutto rigore non dovrebbe essere chiamato ente, ma [cosa] dell‘ente. Quindi, come gli accidenti, le forme e le altre realtà che non sussistono sono piuttosto coesistenti che enti, così vanno detti piuttosto concreati che creati. Invece le realtà che propriamente vengono create sono quelle sussistenti. Analisi delle obiezioni:
1. Quando si afferma che «la prima fra le realtà create è l‘essere», il termine essere non indica una creatura determinata, ma il carattere proprio sotto il quale la creazione raggiunge il suo oggetto. Infatti una cosa è detta creata per il fatto che è ente [o che esiste], non per il fatto che è tale ente [mediante una data essenza o qualità]: poiché la creazione è l‘emanazione di tutto l‘essere dall‘ente universale, come si è spiegato [a. 1]. Quindi quell‘espressione è simile a quella di chi dicesse: la prima cosa che si vede è il colore, sebbene ciò che propriamente vediamo sia l‘oggetto colorato.

2. La creazione non sta a indicare il costituirsi del composto mediante princìpi preesistenti, ma si dice che il composto è creato per il fatto che esso viene portato all‘esistenza assieme a tutti i princìpi [che lo compongono].
 
3. Il ragionamento non prova che viene creata soltanto la materia, ma che la materia esiste solo per creazione. Infatti la creazione è la produzione non della sola materia, ma di tutto l‘essere. Articolo 5 Infra, q. 65, a. 3; q. 90, a. 3; In 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 3; In 4 Sent., d. 5, q. 1, a. 3, sol. 3;C. G., II, cc. 20, 21; De Verit., q. 5, a. 9; De Pot., q. 3, a. 4; Quodl., 3, q. 3, a. 1;Comp. Theol., c. 70; Opusc. 15, De Angelis, c. 10 Se creare appartenga esclusivamente a Dio Pare che il creare non appartenga esclusivamente a Dio. Infatti: 1. Secondo Aristotele [Meteor. 4, 3; De anima 2, 4], è perfetto ciò che può fare qualcosa di somigliante a se stesso. Ora, le creature immateriali sono più perfette delle creature corporee, le quali [tuttavia] possono generare cose somiglianti a se stesse: infatti il fuoco genera il fuoco e l‘uomo genera un altro uomo. Quindi una sostanza immateriale [un angelo] può produrre un‘altra sostanza immateriale che le sia simile. Ma una sostanza immateriale non può essere prodotta che per creazione, poiché manca in essa la materia dalla quale possa essere prodotta. Quindi qualche creatura può creare. 2. Quanto maggiore è la resistenza da parte di ciò che viene prodotto, tanto maggiore potenza si richiede in chi opera. Ora, il contrario oppone certo maggiore resistenza che il nulla. Quindi è opera di maggior potenza fare qualcosa da un contrario, il che tuttavia le creature fanno, che non il produrre qualcosa dal nulla. Con più ragione dunque le creature potranno fare anche quest‘ultima cosa. 3. La potenza di chi opera viene misurata dalla cosa prodotta. Ora, l‘essere creato è una realtà finita, come si è dimostrato [q. 7, a. 2 ss.] trattando dell‘infinità di Dio. Quindi per produrre mediante la creazione una cosa creata non si richiede che una potenza finita. Ma avere una potenza finita non è incompatibile con il concetto di creatura. Quindi non è impossibile che una creatura crei. In contrario: S. Agostino [De Trin. 3, 8] dice che né gli angeli buoni né quelli cattivi possono essere creatori di qualcosa. Molto meno quindi le altre creature. Dimostrazione: Stando a quanto si è detto [a. 1; q. 44, aa. 1, 2], è abbastanza evidente a prima vista che l‘atto creativo è un‘azione propria soltanto di Dio. In realtà è necessario riferire gli effetti più universali alle cause più universali e primigenie. Ma tra tutti gli effetti il più universale è lo stesso essere. Quindi bisogna che questo sia effetto esclusivo della prima e universalissima causa, che è Dio. E nel libro De Causis [3] si legge che neppure l‘intelligenza, o «anima superiore», dà l‘essere se non in quanto opera in forza di una mozione divina. Ora, nel concetto di creazione rientra la produzione dell‘essere stesso, e non delle sue sole determinazioni specifiche o numeriche. Quindi è chiaro che la creazione è un‘operazione propria di Dio. Ma può succedere che a un ente venga concesso di compiere l‘operazione che è propria di un altro non per virtù propria, bensì come strumento, agendo in virtù di quell‘altro: come l‘aria che in virtù del fuoco ottiene la facoltà di riscaldare e di infuocare. Per questo motivo alcuni hanno pensato che, sebbene la creazione sia un‘operazione propria della causa universale, tuttavia una causa subordinata, agendo in forza della causa prima, potrebbe creare. Così Avicenna [Met. 9, 4] affermò che la prima sostanza separata, creata [immediatamente] da Dio, ne crea una seconda a sé inferiore, e la sostanza della sfera celeste, e l‘anima di questa; e a sua volta la sostanza della sfera celeste crea la materia dei corpi inferiori. E allo stesso modo anche il Maestro delle Sentenze [4, 5] dice che Dio può comunicare alla sua creatura la potenza creatrice, in modo che essa possa creare per delega, non in forza della propria capacità. Ma la cosa non è ammissibile. Infatti la causa seconda strumentale non prende parte all‘azione della causa superiore se non in quanto coopera, mediante una sua peculiarità, a disporre un soggetto all‘azione dell‘agente principale. Se dunque non causasse nulla in base a ciò che forma la sua peculiarità, il suo impiego nell‘azione sarebbe inutile, e non ci sarebbe affatto bisogno di determinati strumenti per determinate funzioni. Vediamo invece che la scure, tagliando il legno, funzione che le deriva dalla sua forma caratteristica, produce la figura della sedia, che è l‘effetto proprio dell‘agente principale [cioè dell‘artigiano]. Ora l‘essere, che è l‘effetto proprio di Dio nel creare, è il presupposto di ogni altra cosa. Quindi non si può fare nulla dispositivamente o strumentalmente in vista di questo effetto, non dipendendo la creazione da un presupposto qualsiasi che possa essere disposto da parte di una causa strumentale. — Quindi non è possibile che una creatura abbia la facoltà di creare, né per virtù propria, né come strumento o per delega. Ed è specialmente fuori luogo affermare che un corpo possa creare: poiché nessun corpo agisce senza un contatto o un moto, e quindi per agire richiede qualcosa di preesistente, atto a essere toccato e mosso: cosa incompatibile con l‘idea di creazione. Analisi delle obiezioni: 1. Un essere perfetto che abbia ricevuto una data natura produce qualcosa di simile a sé non già producendo quella natura in modo assoluto, ma imprimendola in qualche soggetto. Quest‘uomo infatti non può essere causa della natura umana presa in senso assoluto, poiché in tal modo verrebbe a essere causa di se stesso, ma è causa del fatto che la natura umana sia in quest‘altro uomo generato. E così nel suo agire presuppone una determinata materia, dalla quale quest‘altro uomo deriva. Ma come l‘uomo singolo riceve la natura umana, così qualsiasi ente creato riceve, per così dire, la natura dell‘essere: poiché Dio soltanto è il suo proprio essere, come si è detto sopra [q. 7, a. 1, ad 3; a. 2].

Quindi nessun ente creato può produrre un altro ente come tale, ma soltanto può causare l‘essere in un dato soggetto: perciò all‘operazione con la quale una creatura produce qualcosa di somigliante a sé va presupposta una qualche entità che faccia di una cosa questo dato soggetto. Ora, in una sostanza immateriale non si può presupporre qualcosa che la costituisca nella sua individualità numerica: poiché essa è numericamente determinata in forza della sua forma, mediante la quale riceve l‘essere, trattandosi di una forma sussistente. Quindi una sostanza immateriale non può produrre un‘altra sostanza immateriale somigliante a sé per il suo essere [sostanziale], ma soltanto quanto a certe perfezioni complementari: come quando affermiamo con Dionigi [De cael. hier. 8, 2] che l‘angelo superiore illumina l‘inferiore. E in questo modo vi è una paternità anche tra gli esseri celesti, come risulta dalle parole dell‘Apostolo [Ef 3, 15]: «Dal quale [da Dio Padre] ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome». E anche da ciò risulta evidente che nessun essere creato può causare senza presupposti. Cosa questa incompatibile con il concetto di creazione. 2. È accidentale che una cosa derivi dal suo contrario, come dice Aristotele [Phys. 1, 7], poiché di per sé essa viene ricavata da un soggetto che è in potenza. Il contrario quindi resiste all‘agente in quanto trattiene la potenzialità da quell‘atto al quale l‘agente tende a portarla: come il fuoco tende a portare la materia dell‘acqua a un atto che gli assomiglia, ma trova ostacolo nella forma e nelle disposizioni contrarie, dalle quali la potenza viene come legata perché non sia portata all‘atto. E quanto maggiormente la potenza è legata, tanto maggior forza si richiede nell‘agente per ridurre in atto la materia. Per cui molta maggiore potenza si richiede nell‘agente se non preesiste alcuna potenzialità. Così dunque è chiaro che è un‘opera di maggior potenza produrre qualcosa dal nulla che non da un‘entità contraria. 3. La potenza di chi opera non va misurata soltanto in base alla natura del prodotto, ma anche in base al modo della produzione: infatti un calore più intenso non solo riscalda di più, ma riscalda anche più celermente. Sebbene quindi creare un effetto finito non manifesti una potenza infinita, tuttavia lo stesso creare dal nulla manifesta una potenza infinita. Cosa questa già dimostrata sopra [ad. 2] . Se infatti si richiede nell‘agente tanta maggiore efficacia quanto più la potenza è lontana dall‘atto, bisogna che l‘efficacia di chi produce senza presupporre alcuna potenza, quale è l‘agente che crea, sia infinita: poiché non esiste confronto tra l‘assenza di ogni potenzialità e una qualche potenza — che l‘efficacia di un agente naturale presuppone sempre —; come [non può esserci confronto] tra il non ente e l‘ente. E siccome nessuna creatura ha una potenza o un essere semplicemente infiniti, come si è provato in antecedenza [q. 7, a. 2], rimane stabilito che nessuna creatura può creare.

Articolo 6 In 2 Sent., prol.; De Pot., q. 9, a. 5, ad 20

Se creare sia la proprietà di una sola Persona divina Pare che creare sia la proprietà di una sola Persona [divina]. Infatti: 1. Ciò che precede è causa di ciò che segue; e il perfetto dell‘imperfetto. Ora, l‘emanazione delle Persone divine precede l‘emanazione delle creature; ed è più perfetta, poiché una Persona divina emana con perfetta somiglianza dal suo principio, mentre la creatura emana con una somiglianza imperfetta. Quindi le processioni delle Persone divine sono la causa dell‘emanazione delle cose. E così il creare è la proprietà di una Persona. 2. Le Persone divine non si distinguono l‘una dall‘altra se non per le loro processioni e relazioni. Quindi tutto ciò che è attribuito in diverse maniere alle varie Persone divine conviene ad esse in forza delle processioni e delle relazioni. Ora, la capacità di causare le creature è attribuita alle varie Persone divine in maniere diverse: infatti nel Simbolo della Fede si attribuisce al Padre di essere «Creatore di tutte le cose visibili e invisibili»; del Figlio invece si dice che «per mezzo di lui tutte le cose sono state create»; dello Spirito Santo infine si dice che «è Signore e dà la vita». Quindi causare le creature conviene alle Persone secondo le processioni e le relazioni. 3. Se uno replicasse che la creazione viene considerata in rapporto a un attributo essenziale il quale conviene per appropriazione a una data Persona, non si avrebbe ancora una risposta sufficiente. Infatti qualsiasi opera divina viene causata da tutti gli attributi essenziali, cioè dalla potenza, dalla bontà e dalla sapienza: e in tal modo non si può dire che appartenga più all‘uno che all‘altro. Quindi non si sarebbe dovuto attribuire un determinato modo di causare a una Persona piuttosto che a un‘altra se nel creare le Persone non fossero realmente distinte secondo le relazioni e le processioni. In contrario: Dionigi [De div. nom. 2] afferma che «tutti gli attributi causali » sono comuni a tutta la divinità. Dimostrazione: Creare propriamente è causare o produrre l‘essere delle cose. Ora, siccome ogni operante produce cose a sé somiglianti, si può stabilire quale sia il principio di un‘operazione dall‘effetto della medesima: infatti a produrre il fuoco non sarà che il fuoco. Quindi a Dio appartiene l‘atto creativo in forza del suo essere: e questo non è altro che la sua essenza, comune alle tre persone. E così il creare non è proprio di una sola Persona, ma è comune a tutta la Trinità. Tuttavia le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle rispettive processioni. Come infatti abbiamo dimostrato sopra [q. 14, a. 8; q. 19, a. 4], quando si trattava della scienza e della volontà divina, Dio è causa delle cose per mezzo del suo intelletto e della sua volontà, come l‘artigiano nei confronti dei suoi manufatti. 3. Se uno replicasse che la creazione viene considerata in rapporto a un attributo essenziale il quale conviene per appropriazione a una data Persona, non si avrebbe ancora una risposta sufficiente. Infatti qualsiasi opera divina viene causata da tutti gli attributi essenziali, cioè dalla potenza, dalla bontà e dalla sapienza: e in tal modo non si può dire che appartenga più all‘uno che all‘altro. Quindi non si sarebbe dovuto attribuire un determinato modo di causare a una Persona piuttosto che a un‘altra se nel creare le Persone non fossero realmente distinte secondo le relazioni e le processioni. Ora, l‘artigiano si pone all‘opera servendosi di un verbo [parola intima o idea] concepito dall‘intelligenza, e spinto da un amore [o inclinazione] della sua volontà verso un qualche oggetto. E così anche Dio Padre ha prodotto le creature per mezzo del suo Verbo, che è il Figlio, e per mezzo del suo Amore, che è lo Spirito Santo. E sotto questo aspetto le processioni delle Persone sono la ragione della produzione delle creature, in quanto esse includono gli attributi essenziali della scienza e della volontà.
Analisi delle obiezioni:
1. Le processioni delle persone divine sono causa della creazione nel modo indicato [nel corpo].
 
2. Come la natura divina, pur essendo comune alle tre Persone, conviene ad esse secondo un certo ordine, in quanto il Figlio la riceve dal Padre e lo Spirito Santo da entrambi, così anche la potenza creatrice, sebbene sia comune alle tre Persone, tuttavia conviene ad esse secondo un certo ordine. Quindi si attribuisce al Padre di essere Creatore come a colui che non riceve da altri la potenza creatrice. Del Figlio invece si afferma che «per mezzo di lui tutte le cose sono state create», poiché egli ha il medesimo potere, ma da altri: infatti la preposizione per suole denotare una causa intermedia, ossia un principio [che viene] da un principio. Allo Spirito Santo infine, che ha questa medesima potenza da entrambi, viene attribuito il dirigere come Signore e vivificare ciò che è stato creato dal Padre mediante il Figlio. Si può anche dare una spiegazione più generica ricavandola dalla maniera ordinaria di appropriare gli attributi essenziali [alle varie persone]. Come infatti si disse più sopra [q. 39. a. 8], si dà al Padre per appropriazione la potenza, che si manifesta soprattutto nella creazione: perciò si attribuisce al Padre di essere il Creatore. Al Figlio invece viene riservata la sapienza, per mezzo della quale opera un agente intellettivo: e per questo si dice del Figlio che «per mezzo di lui tutte le cose sono state create». Si riserva infine allo Spirito Santo la bontà, a cui appartiene il governare, cioè il condurre le cose ai loro fini rispettivi, e il vivificare: infatti la vita consiste in un certo movimento interiore, il cui primo movente è il fine e il bene.

3. Per quanto ogni opera di Dio derivi da ciascuno dei suoi attributi, tuttavia ogni opera si riporta a quell‘attributo col quale ha una naturale affinità: come l‘ordine delle cose [si ricollega] alla sapienza, e la giustificazione del peccatore alla misericordia e alla bontà, che tende a diffondersi in maniera sovrabbondante. La creazione invece, che consiste nella produzione della sostanza stessa delle cose, si ricollega alla potenza di Dio. Articolo 7 Infra, q. 93, a. 6; In 1 Sent., d. 3, q. 2, a. 2; C. G., IV, c. 26; De Pot., q. 9, a. 9 Se sia necessario che nelle creature si trovi un vestigio della Trinità Pare non necessario che nelle creature si trovi un vestigio della Trinità.
 
Infatti: 1. Una cosa attraverso le sue vestigia può divenire oggetto d‘indagine. Ma la Trinità delle Persone non può essere oggetto d‘indagine a partire dalle creature, come si è osservato sopra [q. 32, a. 1]. Quindi nelle creature non c‘è un vestigio della Trinità.
2. Tutto ciò che si trova nelle creature è una realtà creata. Se dunque il vestigio della Trinità si trova nelle creature per certe proprietà delle medesime, e se tutte le realtà create hanno un tale vestigio, ne segue necessariamente che si trova un vestigio della Trinità anche in ciascuna di quelle proprietà: ma così si andrebbe all‘infinito.
3. L‘effetto non rappresenta se non la propria causa. Ora, la causalità sul creato non è dovuta alle relazioni che distinguono numericamente le Persone, ma alla natura comune. Quindi nelle creature non si trova un vestigio della Trinità. In contrario: «Nelle creature», dice S. Agostino [De Trin. 6, 10], «appare un vestigio della Trinità». Dimostrazione: Gli effetti assomigliano tutti in qualche modo alla loro causa, ma in gradi diversi. Infatti alcuni effetti stanno a rappresentare soltanto l‘efficacia della causa, ma non la sua forma, come il fumo rappresenta il fuoco; e si dice che una tale maniera di rappresentare è un vestigio perché il vestigio, o traccia, serve a mostrare il percorso di un viandante, ma non a far conoscere chi egli sia. Altri effetti invece assomigliano alla causa per una somiglianza di forma, come il fuoco prodotto al fuoco che lo produce, e la statua di Mercurio a Mercurio stesso: e questa somiglianza è chiamata immagine. Ora, le processioni delle Persone si presentano quali atti dell‘intelletto e della volontà, come si disse [q. 27]: infatti il Figlio procede come Verbo dell‘intelletto divino, e lo Spirito Santo come Amore della volontà. Quindi nelle creature razionali, in cui si trovano la volontà e l‘intelligenza, si ha una rappresentazione della Trinità a modo di immagine, in quanto si riscontra in esse un verbo mentale e un amore che ne deriva. Invece troviamo in tutte le creature la rappresentazione della Trinità a modo di vestigio, in quanto si trovano in ogni creatura degli aspetti che è necessario attribuire, come alla loro causa, alle Persone divine. Infatti ogni creatura sussiste nel proprio essere, ha inoltre una forma che ne determina la specie, e infine ha un ordine verso qualcos‘altro. Allora diciamo che in quanto essa è una sostanza creata rappresenta la causa o principio: e così indica la Persona del Padre, che è il principio senza principio. In quanto invece ha una data forma o specie rappresenta il Verbo, poiché la forma dell‘opera d‘arte deriva dal verbo mentale dell‘artista. Infine in quanto la creatura dice ordine o tendenza offre una somiglianza con lo Spirito Santo, che è Amore: infatti l‘ordine o attitudine di una creatura verso qualcos‘altro deriva dalla volontà del Creatore. Per questo S. Agostino [ib.] afferma che in ogni creatura si trova un vestigio della Trinità: e perché essa «è qualcosa», e perché «è costituita in una specie », e perché «conserva un certo ordine». — E a queste tre cose si riducono quei tre elementi elencati nel libro della Sapienza: numero, peso e misura [11, 20]. Infatti la misura corrisponde alla sostanza delle cose delimitata dai princìpi delle medesime, il numero alla specie, il peso all‘ordine. — E si riducono a ciò anche gli altri tre termini agostiniani [De nat. boni 3]: il modo, la specie e l‘ordine. — E lo stesso si dica dell‘altra distinzione agostiniana
[cf. Lib. LXXXIII quaest. 18] tra ciò che costituisce, ciò che distingue e ciò che conviene: poiché ogni cosa rimane costituita in forza della propria sostanza, viene distinta per mezzo della forma, dice convenienza mediante l‘ordine. — E a queste si possono facilmente riportare tutte le altre espressioni del genere.

Analisi delle obiezioni:
1. La somiglianza caratteristica del vestigio si fonda direttamente sugli attributi appropriati [alle diverse Persone], e in tal modo possiamo risalire alla Trinità delle Persone divine, come si è spiegato [nel corpo].
2. Le creature sono propriamente le realtà sussistenti, nelle quali si possono riscontrare le tre perfezioni che abbiamo indicato. Ma non ne segue di necessità che in ogni elemento esistente in esse ci siano le tre realtà suddette, bensì proprio a causa di tali elementi si attribuisce il carattere di vestigio alle realtà sussistenti.
3. Anche le processioni delle Persone sono, in qualche modo, causa e norma direttiva della creazione, come si è spiegato [a. 6]. Articolo 8 In 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 3, ad 5; a. 4, ad 4; De Pot., q. 3, a. 8; In 7 Metaph., lect. 7 Se nelle opera della natura e dell‘arte si nasconda un atto creativo Pare che nelle opere della natura e dell‘arte si nasconda un atto creativo.
Infatti: 1. In ogni opera della natura e dell‘arte viene prodotta una forma. Ma questa non può derivare da qualche altro elemento, dato che non è composta di materia. Quindi è prodotta dal nulla. E così ogni operazione della natura e dell‘arte implica una creazione.
2. L‘effetto non può essere maggiore della sua causa. Ora, negli esseri naturali non troviamo ad agire altro che forme accidentali attive o passive. Quindi la forma sostanziale non deriva dalle operazioni della natura. Non rimane quindi che pensare a una creazione.
3. La natura porta a produrre esseri a sé consimili. Ma si trovano in natura degli esseri che non sono prodotti da esseri consimili, come è evidente nel caso di quegli animali che nascono dalla putrefazione. Quindi la loro forma non deriva dalla natura, ma da una creazione.
4. Ciò che non viene creato non è una creatura. Se dunque in ciò che è prodotto dalla natura non interviene anche la creazione, ne segue che quanto la natura produce non è una creatura. Il che è eretico. In contrario: S. Agostino [De Gen. ad litt. 5, cc. 11, 20] distingue dalla creazione l‘opera di propagazione, che è un‘opera della natura. Dimostrazione: La presente ARGOMENTO è sorta a motivo delle forme. Le quali, secondo alcuni, non sarebbero causate dalla natura, ma esisterebbero già prima nella materia, standovi come nascoste. — E l‘idea nacque in essi dal non aver avuto la nozione esatta di materia, poiché non sapevano distinguere tra la potenza e l‘atto: e così, poiché le forme preesistono potenzialmente nella materia, le considerarono come preesistenti puramente e semplicemente. Altri invece ritennero che le forme venissero date o causate per creazione da una causa trascendente. E secondo questa opinione a ogni opera della natura corrisponderebbe un atto creativo. — Ma ciò dipende dall‘ignoranza della vera nozione di forma. Essi infatti non consideravano il fatto che la forma di un corpo fisico non è una realtà sussistente, ma è solo il [costitutivo] per mezzo del quale una cosa sussiste: per cui, siccome l‘essere prodotto o creato non appartiene propriamente che a una realtà sussistente, come si è dimostrato in precedenza [a. 4], alle forme non si addice di essere prodotte o create, ma solo di essere concreate. Ciò che invece propriamente viene prodotto da una causa naturale è il composto, che viene formato dalla materia. Quindi nelle opere della natura non si nasconde una creazione, ma questa è presupposta alla causalità della natura.

Analisi delle obiezioni: 1. Le forme incominciano a essere attuali nel momento in cui sono prodotti i composti: ciò però non significa che esse vengano prodotte direttamente, ma solo indirettamente.
2. Le qualità attive agiscono nella natura in virtù delle forme sostanziali. Quindi un agente naturale produce un essere che gli assomiglia non solo per le qualità, ma anche per la specie.
3. Per la generazione degli animali imperfetti basta quella causa universale che è la virtù dei cieli, alla quale tali animali si assimilano secondo una somiglianza non specifica, ma per così dire analogica: non è dunque necessario ritenere che le loro forme siano create da una causa trascendente. Invece per la generazione degli animali perfetti non basta una causa universale, ma si richiede una causa propria, che è il generante univoco.
4. Le operazioni della natura presuppongono sempre delle cause create: e così anche le realtà prodotte dalla natura sono chiamate creature.
Quaestio 46 Prooemium [30388] Iª q. 46 pr. Consequenter considerandum est de principio durationis rerum creatarum. Et circa hoc quaeruntur tria. Primo, utrum creaturae semper fuerint. Secundo, utrum eas incoepisse sit articulus fidei. Tertio, quo
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