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Il latino, la liturgia e i soliti attacchi

Ultimo Aggiornamento: 16/08/2010 21:20
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16/08/2010 21:20

Il latino, la liturgia e i soliti attacchi

Pubblichiamo una lettera uscita su “Gente Veneta”, settimanale del patriarcato di Venezia, lo scorso 31 luglio, la risposta del direttore del settimanale Sandro Vigani e un nostro commento.

Senza messa in latino s'è persa l'universalità della Chiesa

Gentile Direttore, osservo con piacere che quasi ogni numero di Gente Veneta contiene interventi o lettere sulla questione della liturgia, in particolare sulla forma vigente prima del Concilio. In particolare, nella risposta alla lettera di R.R. lei scrive: “Attualmente la maggioranza dei fedeli preferisce capire quello che il sacerdote dice nella Messa, cosa impossibile per i più se la Messa fosse celebrata in latino”. Mi permetto di sfatare quello che è uno dei più diffusi luoghi comuni sul rito antico (o tridentino, o di San Pio V, o preconciliare ecc), quello per cui è celebrato in una “lingua che non si capisce”. Se le capitasse di partecipare a una Messa tridentina vedrebbe i fedeli muniti di messalini, volumi regolarmente in vendita, contenenti tutti i testi in latino della Messa tradizionale con testo italiano a fronte (sono un po' cari ma uno fa l'acquisto una volta nella vita...).
Come se non bastasse, i fedeli veneziani hanno creato un apprezzato sito internet (
http://www.messalini.org/) in cui è possibile scaricare in formato pdf i testi di tutte le festività in latino con testo italiano, pronti per la fascicolazione. Se ne servono parrocchie di tutta Italia. Inoltre nella chiesa veneziana quasi ogni domenica arrivano cattolici stranieri che non sanno l'italiano e trovano più comprensibile il latino: arrivano dotati dei loro messalini latino-inglese, latino-tedesco, latino-francese. Inoltre offriamo a francesi, tedeschi e inglesi il testo dell'ordinario con la traduzione a fronte. Come vede è difficile non capire, a meno che non si sappia leggere. O non si voglia leggere...
In tanti anni che seguo l'antico rito non ho mai trovato una persona (di quelli che usualmente non assistono alla Messa in latino) che abbia detto “non si capisce”.
E comunque il punto fondamentale è: che cosa c'è da capire? Il discorso ci porterebbe lontano. Diciamoci la verità: prima del Concilio non ci fu un movimento di popolo o “di base” che sostenesse la sostituzione del latino con le lingue nazionali. La riforma liturgica è stata imposta con un colpo di mano da un gruppo di liturgisti, senza interpellare i fedeli (fedeli che si sente invece il bisogno di interpellare a proposito della comprensione del latino). Alla faccia della democrazia. Questa è la storia e vorrei che qualcuno mi smentisse.
Il latino, insomma, si capisce benissimo, mi creda. Il vecchio rito è più semplice del nuovo, più comprensibile. La granitica e solenne essenzialità del latino veniva e viene capita da tutti, grazie anche all'opera di formazione compiuta dal clero e dalle famiglie, basta vedere i film con don Camillo. Le lingue nazionali nella liturgia hanno invece fatto perdere il carattere di universalità della Chiesa cattolica: un veneziano andava a Messa nella parrocchia di Stoccarda e assisteva alla stessa liturgia della cattedrale di Chicago e della parrocchia veneziana.
Nell'epoca della globalizzazione è stata persa l'universalità. Vado a Messa in Svezia e non capisco, in Corea del Sud e non capisco, in Polonia e non capisco. E nessuno si preoccupa di farmi capire. E' necessario tornare al latino, quindi, anche come strumento per dominare la globalizzazione, contro i localismi.
R.R. solleva poi un altro problema, quello dell'ostilità di una parte del clero alla volontà del Papa di far rivivere l'antico rito. Questo è ben altro tema. Che cosa fanno i parroci per insegnare a “capire” la Messa in latino? A loro spetta la formazione e l'educazione dei fedeli. Ci aspettiamo che si occupino non solo di commercio eco-solidale ma anche di educazione al sacro, secondo le volontà di Benedetto XVI.
Alessandro Zangrando

Risposta del direttore
Credo che lei sbagli, Zangrando. Tra l'inizio del 1600 e la fine del 1700 nella Chiesa cattolica vi fu un vasto movimento che sollecitava la riforma liturgica ed in particolare l'uso della lingua parlata al posto del latino, che ormai neppure i preti comprendevano più.
Esso camminava di pari passo con la riscoperta delle antiche fonti liturgiche e annoverava tra i suoi rappresentanti studiosi come Ludovico Antonio Muratori. Ma non fu soltanto un movimento di élite: fiorirono in quegli anni numerosissime pubblicazioni di messalini con la traduzione della messa nella lingua parlata ad uso dei fedeli che sapevano leggere. L'evento forse più significativo di questo movimento di riforma fu il Sinodo Diocesano celebrato a Pistoia nel 1786, sotto la guida del vescovo Scipione De' Ricci e del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, nel quale tra le altre cose si chiedeva in modo esplicito l'uso della lingua parlata nella liturgia. Alcune dichiarazioni del Sinodo furono successivamente censurate dalla Santa Sede perché troppo progressiste per l'epoca, ma non quelle che riguardavano la lingua liturgica.
Credo perciò di poterla smentire, almeno in parte se la forza di questo movimento che chiedeva una riforma della liturgia non fosse stata bloccata dalla restaurazione ottocentesca, probabilmente avremmo avuto molto prima del Vaticano II la riforma liturgica.
Che poi “la granitica e solenne essenzialità del latino” venisse compresa da tutti ho qualche dubbio: la gente storpiava il latino liturgico, come ci ha insegnato il compianto monsignor Antonio Niero anche dalle pagine di Gente Veneta, attribuendo alle parole della liturgia significati dialettale che nulla avevano a che fare con il testo originale.
Credo sia un fatto inoppugnabile che la maggioranza dei fedeli preferisce partecipare alla liturgia nella lingua parlata, piuttosto che in una lingua che non capisce. Del resto anche la storia della Chiesa ci insegna come nell'antichità la liturgia venisse celebrata nelle lingue locali parlate dalla gente.
Penso che l'universalità non stia nell'uso dell'unica lingua, bensì nel fatto che ovunque si celebra lo stesso Mistero. Altra cosa è l'”educazione al sacro”, che ha poco a che fare col latino, che di sacro non ha nulla essendo solo uno strumento, una lingua.
Condivido l'idea che lei suggerisce: le nostre liturgie oggi sono spesso momenti d'incontro conviviale, ma hanno perduto il forte riferimento a Dio. Non credo però che la dimensione verticale si possa recuperare reintroducendo il latino (anche se rispetto chi, usufruendo della possibilità che Papa Benedetto ha offerto, celebra col rito di Pio V), ma recuperando il senso autentico dell'incontro personale ed oggettivo con Cristo nella vita, prima ancora che nella celebrazione.
Sandro Vigani

Il nostro commento
Che cosa dire di questa risposta? Senza offesa, è la fiera delle banalità condita da scarsa conoscenza dell’argomento e un leggerissimo tono saccente.
Primo. Vigani tira fuori la storia del Sinodo di Pistoia. Se la Santa Sede, se la Chiesa non hanno dato seguito alle conclusioni di questo “famoso” e “importante” sinodo, un motivo ci sarà pure. Ma qui manca l’approfondimento. Vigani offre solo spunti buttati così, senza spiegare. Insomma, quel Sinodo non concluse nulla.
Secondo. “Il latino non veniva capito e veniva storpiato”. Invece l’italiano di oggi viene compreso? Piuttosto iniziamo con il dire che parte del clero di oggi non sa neppure che cosa sia il latino e una notazione musicale. Inoltre, la preparazione culturale media del clero è molto bassa, quindi il prete moderno cerca di trascinare i fedeli (che spesso sono più preparati di loro) verso il basso, al suo livello. Volenti o nolenti. La tanto sbandierata democrazia è spesso calpestata: il fedele che vuole la Messa in latino, qualche bel canto sacro tradizionale, non viene ascoltato e soddisfatto ma più spesso deriso.
Terzo. Vigani non risponde alle domande poste dall’autore della lettera. Dribbla le domande sulla riforma liturgica, sulla scarsa preparazione teologica e liturgica del clero moderno, sull’opposizione dei parroci al motu proprio “Summorum Pontificum”, sulle disattese volontà del Papa.
Quarto. Veniamo al sodo: la risposta di Vigani si rifa a tesi luterane e protestanti. Innanzitutto sostiene la presunta bontà dell’utilizzo delle lingue vernacolari nella liturgia, che ha portato di fatto il caos nella confessioni evangeliche, che certo non versano in buona salute… Vigani, inoltre (prestiamo attenzione), suggerisce di recuperare “il senso autentico dell'incontro personale ed oggettivo con Cristo nella vita, prima ancora che nella celebrazione”. Ecco una riproposizione delle vecchie tesi protestanti e moderniste, quelle che propugnano l’incontro diretto con la divinità senza mediazione del clero e della liturgia.
Pulvis

Messainlatino
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