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Imbarazzanti necrologi

Ultimo Aggiornamento: 27/08/2010 06:55
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27/08/2010 06:53

Imbarazzanti necrologi




Roma 22 agosto 2010

La partecipazione del GOI per la scomparsa di mons. Alberto Ablondi, già Vice Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e Vescovo Emerito di livorno.

Gustavo Raffi Gran Maestro, Massimo Bianchi Gran Maestro Aggiunto, i Massoni livornesi partecipano al dolore della Città e della Diocesi e porgono l'estremo saluto a Mons. Alberto Ablondi con cui abbiamo percorso la via del dialogo e dell'amicizia.

La dichiarazione del Gran Maestro Aggiunto Massimo Bianchi.

Una perdita grande ed un grande dolore per noi tutti. Ho avuto il privilegio di conoscere e frequentare Mons. Ablondi per tanti anni. Da Lui ho imparato che si deve giudicare l'uomo e non le sue appartenze [sic: apparenze? o, più probabilmente, appartenenze] con una attenzione straordinaria ai Valori e alle ragioni degli altri. Nelle giornate belle e in quelle tragiche e difficili Livorno ha potuto contare sulla Sua presenza, sulla parola e sull'esempio. L'essere Cittadino Onorario è stato uno dei riconoscimenti a cui ha più tenuto.

La mia Famiglia, il Gran Maestro Gustavo Raffi, i Massoni del GOI e personalmente partecipiamo con affetto al lutto della Città e della Diocesi.

Silvia Renzi,
comunicazione e rapporti con la stampa


Per meglio inquadrare questo necrologio così stupefacente, rileggiamo un articolo di Sandro Magister del 1999 (link):


[..] Nel 1978, l'ufficiale "Rivista massonica" salutò Paolo VI, morto quell'anno, come il primo papa «non nemico». Negli anni Sessanta e Settanta, sullo slancio del disgelo del Concilio Vaticano II, tra la Chiesa e la massoneria era stato un gran dialogare. E anche un gran sussurrare. Si vociferava di cardinali e illustri prelati di curia segretamente affiliati alle logge. Circolavano copie delle loro presunte tessere. Ancor oggi, nel chiacchieratissimo pamphlet "Via col vento in Vaticano" uscito lo scorso febbraio per la penna di anonimi monsignori, un intero capitolo è dedicato al «fumo di Satana» delle infiltrazioni massoniche tra i magnati di curia. E di due il pamphlet fa nome e cognome. Il primo è Annibale Bugnini, il regista della riforma liturgica postconcicliare, finito nunzio in Iran una volta ultimata la sua opera di «distruzione del rito antico della messa» e ivi morto, secondo il libello, «di morte naturale procurata» dai suoi stessi caporioni di loggia. Il secondo è Sebastiano Baggio, influentissimo cardinale dell'era di papa Giovanni Battista Montini. Aveva il potere di nominare i vescovi in tutto il mondo «e quindi di promuovere le carriere dei suoi confratelli occulti». E nei due conclavi del 1978 corse come papabile.

Di certo, in quel ventennio d'oro del dialogo tra Chiesa e massoneria, erano massoni e cattolici conclamati i fratelli d'affari dello Ior, la banca vaticana, Michele Sindona e Roberto Calvi. Era massone e cattolico Umberto Ortolani, intimo factotum del cardinale progressista Giacomo Lercaro. Oggi il Grande Oriente li rinnega tutti: facevano parte, sostiene, d'un ramo degenere della massoneria, quello della loggia Propaganda 2 di Licio Gelli. Nella sua recente intervista, il gran maestro Raffi si fa vanto d'aver espulso dall'ordine, «per contiguità con Gelli», lo stesso gran maestro legittimo dell'epoca, Giordano Gamberini. Ma proprio Gamberini era l'uomo con cui la Chiesa s'era messa in quegli anni a dialogare in segreto.

Lo stile degli incontri era un po' carbonaro. Al primo di quelli semiufficiali, l'11 aprile 1969, ad Ariccia nel convento del Divin Maestro, sedevano da una parte il gran maestro Gamberini, il suo aggiunto Roberto Ascarelli e lo storico Augusto Comba. E dall'altra il salesiano Vincenzo Miano, vicecapo del segretariato vaticano per i non credenti, il paolino Rosario Esposito e il gesuita della "Civiltà Cattolica" Giovanni Caprile. Racconta oggi padre Esposito, l'unico di questi tre ancora in vita: «Per la cena a capotavola c'era il Gamberini, che intonò il Padre nostro, poi, stando tutti ancora in piedi, prese un pane, lo spezzò e lo offrì al padre Caprile dicendo: "Il massone spezza il pane col gesuita". Tutti ci scambiammo il medesimo rito, condividendo una gioiosa fraternità». Gli alfieri del dialogo si ammantavano dell'autorità di papa Giovanni XXIII, che da nunzio a Parigi aveva benedetto in segreto la doppia appartenenza alla massoneria e al cattolicissimo ordine di Malta di un barone suo amico, Yves Marsaudon. Poi c'era stato il Concilio Vaticano II, con la richiesta esplicita, sostenuta in aula dall'ultraprogressista vescovo di Cuernavaca, Sergio Mendez Arceo, di revocare la scomunica ai massoni. E poi erano cominciate le strette di mano pubbliche tra capi della massoneria e cardinaloni di peso: gli americani Richard Cushing, Terence Cooke, John Cody e John Joseph Krol, l'austriaco Franz König, l'olandese Bernard Alfrink, i francesi Maurice Feltin, Francois Marty e Roger Etchegaray, il cileno Raúl Silva Henriquez, i brasiliani Aloisio Lorscheider e Paulo Evaristo Arns, insomma quasi tutti i capifila dell'ala progressista conciliare. In Italia, agli incontri successivi a quello di Ariccia parteciparono i vescovi Dante Bernini, di Albano, e Alberto Ablondi, di Livorno. In Vaticano, a tirare le fila era il cardinale prefetto dell'ex Sant'Uffizio, il croato Franjo Seper. Dall'alto, Paolo VI tutto sapeva e benediceva.

Revocare la scomunica non era impresa facile. A partire dal primo documento di condanna della massoneria, quello di Clemente XII nel 1738, era stato tutto uno scoccare di fulmini. Padre Esposito ne ha inventariati più di tremila, con il culmine toccato dal codice di diritto canonico del 1917, che comminava la scomunica ipso facto a coloro che semplicemente «danno il nome alla setta massonica». Ma batti e ribatti, l'ora della riconciliazione sembrava vicina. Nel 1968, i vescovi della Scandinavia decisero di non chiedere più l'abiura ai massoni che si facevano cattolici. E nel 1974 il cardinale Seper, in una lettera al cardinale Krol resa pubblica da quest'ultimo, spiegò che la scomunica doveva essere intesa operante solo per quei cattolici iscritti alle massonerie «che veramente cospirano contro la Chiesa». Come dire mai, dissero in coro compunti i capi delle logge di tutti i paesi, compresi quelli di più accanita tradizione antiecclesiastica.

Mancava solo che il nuovo codice di diritto canonico, in preparazione, sancisse la svolta pacificatrice. La Congregazione per la dottrina della fede aveva chiesto due volte un parere riservato ai vescovi. E il gesuita Caprile, che ebbe accesso alle segretissime risposte, constatò che quasi tutti chiedevano la cancellazione della scomunica, qua e là con elogi persino entusiastici dello spirito massonico. Senonché nel 1978 divenne papa Karol Wojtyla. E di colpo calò il gelo.

Il primo effetto lo si vide in Germania. Anche lì i dialoganti s'erano dati da fare, con fior di teologi come Herbert Vorgrimler e Stephanus Pfurtner. E la conferenza episcopale aveva messo all'opera nel 1974 una commissione per accertare la compatibilità tra la fede cristiana e l'appartenenza massonica. Ma a Monaco di Baviera era intanto diventato arcivescovo uno spirito rigido e risoluto, Joseph Ratzinger, che il nuovo papa avrebbe presto chiamato a Roma al posto di Seper, come suo prefetto di dottrina. E di punto in bianco i dialoganti si trovarono congedati, la questione la prese in mano il vescovo di Augsburg, Joseph Stimpfle, un vero mastino, e nel 1980 l'episcopato tedesco scrisse la parola fine ribadendo «l'opposizione fondamentale e insuperabile» tra la massoneria e la Chiesa.

Ma la gelata più tremenda fu il nuovo codice di diritto canonico, promulgato il 25 gennaio 1983. Il nuovo canone 1374 così predica: «Chi dà il nome a una associazione che complotta contro la Chiesa sia punito con una giusta pena; chi poi tale associazione promuove o dirige sia punito con l'interdetto». Sparita la parola massoneria, sparita la parola scomunica... Alt. Provvide il cardinale Ratzinger, con la controfirma del papa, a fugare le illusioni e a dare l'unica interpretazione autorizzata del canone. Il giorno stesso dell'entrata in vigore del nuovo codice, sentenziò inappellabilmente che: primo, la condanna della massoneria resta immutata; secondo, i cattolici che appartengono a una loggia sono in stato di peccato grave e non possono fare la comunione; terzo, non sono ammesse deroghe.

Per i filomassoni di parte cattolica, i tempi si sono quindi fatti duri, sotto l'impero del binomio Wojtyla-Ratzinger, inflessibili nell'avversare ogni relativismo. Tenace ma sempre più solo, padre Esposito continua a sfornare i suoi libri e articoli e a tenere conferenze di loggia in loggia. Ma l'editore deve andare a cercarselo sulla sponda laica: come Nardini, con cui ha pubblicato proprio quest'anno "Chiesa e massoneria. Un Dna comune", primo di una coppia di volumi sulle concordanze tra l'una e l'altra. Altri hanno ripiegato. Come il vescovo ieri di Crotone e oggi di Cosenza, Giuseppe Agostino, pezzo grosso della Cei, che negli anni del dialogo frequentava gli uomini di loggia ma nel 1996 mandò su tutte le furie l'allora gran maestro Gaito vietando ai massoni di far da padrini ai battesimi e alle cresime, al pari di mafiosi, criminali e usurai. Gaito se ne lamentò col quotidiano della Cei, "Avvenire". E questo lo ripagò rincarando la dose. Dipingendo la massoneria come «struttura iniziatica, gerarchica e segreta», con a capo «superiori invisibili», tesa a irretire e a macchinare, predicante all'esterno una vaga «religione dell'uomo», ma professante in segreto, ai gradi alti, «un umanesimo nichilista, in pratica un antiumanesimo dai cieli chiusi».

Anche "La Civiltà Cattolica" ha richiuso gli spiragli aperti anni fa da padre Caprile. Nel suo editoriale di metà giugno ha ammesso che «negli scorsi decenni la Chiesa ha permesso una non breve esperienza di dialogo tra studiosi cattolici e dignitari massonici». Ma per concludere che quel dialogo s'era rivelato un inganno. Perché il criterio con cui si muovono i capi massoni quando si rivolgono alla Chiesa è: «quello che è mio è mio, quello che è tuo è negoziabile». Criterio inaccettabile. La Chiesa ha verità assolute, che discendono da Dio e quindi non possono essere in alcun modo discusse.

Raffi, il gran maestro in carica del Grande Oriente d'Italia, forte di 554 logge e di 13 mila iscritti molti dei quali, dice, cattolici, non si arrende: «Se la Chiesa ritiene di perseverare in questa posizione cercheremo di farle cambiare idea. Mi piacerebbe molto coinvolgere un cardinal Ersilio Tonini». Ma anche vescovi presunti candidati al dialogo gli danno delusioni. Da Ivrea, Luigi Bettazzi ha invitato la massoneria a tenere piuttosto un suo Concilio e a farsi trasparente. «Dovrei constatare che un suggerimento del genere arriva da un'istituzione piramidale e non certo democratica come la Chiesa», ha replicato gelido Raffi. Giubileo o no, davvero impensabile che facciano presto pace.

[URL=]Messainlatinhttp://blog.messainlatino.it/2010/08/imbarazzanti-necrologi.htmlo
[Modificato da S_Daniele 27/08/2010 06:55]
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