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L'altare può essere girato coram Deo

Ultimo Aggiornamento: 27/08/2010 07:43
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27/08/2010 07:43

L'altare può essere girato coram Deo


Sollecitati dalla domanda di un lettore, vogliamo fornire qualche chiarimento canonistico circa la possibilità di rimuovere l'altare al popolo e ripristinare l'orientamento della preghiera verso Dio. Aver 'girato gli altari' è stato l'elemento di riforma di maggiore impatto, insieme all'abbandono del latino, per la vita religiosa del popolo di Dio, e quasi sicuramente la causa principe della gravissima crisi di fede che è seguita al concilio: la Messa si è trasformata in uno one man's show in cui il prete diventa inevitabilmente il protagonista dell'attenzione; laddove, in precedenza, il celebrante annullava la propria personalità quasi nascondendo se stesso ai fedeli e lasciando a questi ultimi la possibilità di concentrarsi sulla croce di Gesù Cristo verso la quale tutti, fedeli e celebrante, erano rivolti. La celebrazione al popolo è emblema e cagione della perdita di sacralità e della banalizzazione della liturgia cattolica (i musulmani, ad esempio, mai si sognerebbero di vedere l'imam che, nel momento della preghiera, si rivolge verso di loro anziché verso il mihrab, ossia il punto che indica la Mecca).

Di qui l'urgenza che si recuperi, come primo passo, il corretto orientamento della preghiera, pur nelle celebrazioni novus ordo. La rieducazione dei cristiani alla corretta liturgia non può che essere graduale; ma siate certi che il cammino, una volta intrapreso, porta inevitabilmente all'approdo della Messa di Sempre.

Chi volesse suggerire questa necessaria riforma o il parroco che si trovasse a fronteggiare l'opposizione di qualche catechista sessantottina o di qualche collega (o vescovo) conciliolatra, è bene che sappia alcune cose. La prima: da nessuna parte il Concilio ha parlato di modificare il tradizionale orientamento dell'altare. La seconda: la celebrazione versus Deum è tuttora un'opzione legittima pur con il messale di Paolo VI.

Il tema è trattato nell’
Ordinamento Generale del Messale Romano, che a sua volta riprende, quasi alla lettera, il testo dell'istruzione Inter oecumenici, n. 91, del 1964 della S. Congregazione dei Riti, che peraltro concerneva solo le chiese di nuova costruzione:

299. L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione dei fedeli[116]. Normalmente sia fisso e dedicato.


Dato che l’articolo dell’Institutio può far nascere degli equivoci interpretativi laddove afferma “ovunque sia possibile”, ecco l’autorevolissima interpretazione che ne dà Benedetto XVI nella Prefazione al libro di Uwe M. Lang, Rivolti al Signore, Cantagalli, 2008, tanto più importante perché autorizzata dal Papa DOPO la sua elezione.


Versus Deum per Iesum Christum

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore".

“Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi in questa forma.

[…]

Dell'orientamento dell'altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l'Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: "L'altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]". L'introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: "è auspicabile laddove è possibile". Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire - "laddove possibile" - gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola "expedit" [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L'orientamento fisico dovrebbe - così dice la Congregazione - essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.

Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant'anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell'ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell'ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come 'preconciliari', 'reazionarie', 'conservatrici', oppure 'progressiste' o 'estranee alla fede', non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell'orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno - mi sembra - un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.

Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall'inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato 'voltando le spalle al popolo'. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo - secondo Jungmann - la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all'essenza dell'azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer - anch'egli uno dei principali liturgisti del Concilio - e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall'inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l'elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l'uno verso l'altro.

Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti 'anticonciliari'. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l'apertura della liturgia verso ciò che l'attende e verso ciò che la trascende. In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d'Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell'Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.

Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo - necessario per ogni generazione - di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

Joseph Ratzinger

Riportiamo anche il rescritto della Congregazione per il Culto Divino (in PONTIFICII CONSILII DE LEGUM TEXTIBUS, Communicationes, vol. XXXII, n. 2, Roma 2000, pp. 171-173) citata dal card. Ratzinger:


È stato chiesto alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti se l’enunciato del n. 299 dell’Institutio Generalis Missalis Romani costituisca una normativa secondo la quale, durante la liturgia eucaristica, la posizione del sacerdote versus absidem sia da considerarsi esclusa. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, re mature perpensa et habita ratione dei precedenti liturgici, risponde: Negative et ad mentem. Innanzitutto si deve aver presente che la parola expedit non costituisce una forma obbligatoria, ma un suggerimento che si riferisce sia alla costruzione dell’altare a pariete seiunctum, sia alla celebrazione versus populum. La clausola ubi possibile sit si riferisce a diversi elementi, come, per esempio, la topografia del luogo, la disponibilità di spazio, l’esistenza di un precedente altare di pregio artistico, la sensibilità della comunità che partecipa alle celebrazioni nella chiesa di cui si tratta, ecc. Si ribadisce che la posizione verso l’assemblea sembra piú conveniente in quanto rende piú facile la comunicazione (cfr. Editoriale di Notitiae 29 [1993] pp. 245-249), senza escludere però l’altra possibilità. Tuttavia, qualunque sia la posizione del sacerdote celebrante, è chiaro che il Sacrificio Eucaristico è offerto a Dio uno e trino, e che il sacerdote principale, Sommo ed Eterno, è Gesú Cristo, che opera attraverso il ministero del sacerdote che presiede visibilmente quale Suo strumento. L’assemblea liturgica partecipa nella celebrazione in virtú del sacerdozio comune dei fedeli, che ha bisogno del ministero del sacerdote ordinato per essersi esercitato nella Sinassi Eucaristica. Si deve distinguere la posizione fisica, relativa specialmente alla comunicazione tra i vari membri dell’assemblea e l’orientamento spirituale e interiore di tutti. Sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale sia la comunità. Se il sacerdote celebra versus populum, ciò che è legittimo e spesso consigliabile, il suo atteggiamento spirituale dev’essere sempre versus Deum per Iesum Christum, come rappresentante della Chiesa intera. Anche la Chiesa, che prende forma concreta nell’assemblea che partecipa, è tutta rivolta versus Deum come primo movimento spirituale. A quanto sembra, la tradizione antica, anche se non unanime, era che il celebrante e la comunità orante fossero rivolti versus orientem, punto dal quale viene la luce, che è Cristo. Non sono rare le antiche chiese, la costruzione delle quali era «orientata» in modo che il sacerdote ed il popolo nell’atto di fare la preghiera pubblica si rivolgessero versus orientem. Si può pensare che quando ci furono problemi di spazio o di altro genere, l’abside idealmente rappresentava l’oriente. Oggi, l’espressione versus orientem significa spesso versus absidem, e quando si parla di versus populum non si pensa all’occidente, bensì verso la comunità presente. Nell’antica architettura delle chiese, il posto del Vescovo o del sacerdote celebrante si trovava al centro dell’abside e, seduto, di lì ascoltava la proclamazione delle letture rivolto verso la comunità. Ora quel posto presidenziale non viene attribuito alla persona umana del Vescovo o del presbitero, né alle sue doti intellettuali e nemmeno alla sua personale santità, ma al suo ruolo di strumento del Pontefice invisibile che è il Signore Gesú. Quando si tratta di chiese antiche o di gran pregio artistico, occorre, inoltre, tenere conto della legislazione civile al riguardo dei mutamenti o ristrutturazioni. Un altare posticcio può non essere sempre una soluzione dignitosa. Non bisognerebbe dare eccessiva importanza ad elementi che hanno avuto cambiamenti attraverso i secoli. Ciò che rimarrà sempre è l’evento celebrato nella liturgia: esso è manifestato mediante riti, segni, simboli e parole, che esprimono vari aspetti del mistero, senza tuttavia esaurirlo, perché li trascende. L’irrigidirsi su una posizione e assolutizzarla potrebbe diventare un rifiuto di qualche aspetto della verità che merita rispetto
ed accoglienza.
Dal Vaticano, 25 settembre 2000
+ Jorge A. Card. Medina Estévez
Prefetto
+ Francesco Pio Tamburrino
Arcivescovo Segretario
Prot. N° 2036/00/L


Tra l'altro, il Messale Romano riformato (anche la terza edizione, la più recente), prevede espressamente che il sacerdote in alcuni momenti (all’Orate fratres, al Pax Domini, all’Ecce Agnus Dei, e nel Ritus conclusionis) debba volgersi verso il popolo: previsione che trova senso solo presupponendo una celebrazione che per il resto si svolga versus Deum.


Per contro, la Conferenza Episcopale Italiana ha fatto di tutto per far apparire cogente l'uso dell'altare al popolo. Ma si tratta di un evidente abuso di potere, poiché i documenti vaticano sono chiarissimi nel senso della facoltatività. Ecco l'art. 14 delle Precisazioni della CEI ai Principi e norme per l'uso del Messale Romano (ma perché occorrono sempre precisazioni per chiarire, anzi stravolgere, i documenti liturgici?):



L’altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, sempre d’intesa con le competenti Commissioni diocesane, l’opportunità di un altare «mobile» appositamente progettato e definitivo.
Se l’altare retrostante non può essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la tovaglia.
Si faccia attenzione a non ridurre l’altare a un supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano sobri per numero e dimensione. Il microfono per la dimensione e la collocazione non sia tanto ingombrante da sminuire il valore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici.


E ancora, sempre l'iconoclasta C.E.I. (che si preoccupa perfino di disseppellire le reliquie...) nella sua "Nota pastorale" per l'adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, n. 17:



La conformazione e la collocazione dell'altare devono rendere possibile la celebrazione rivolti al popoloe devono consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti.Se l'altare esistente soddisfa alle esigenze appena indicate, lo si valorizzi e lo si usi. In caso contrario occorre procedere alla progettazione di un nuovo altare possibilmente fisso e, comunque, definitivo. La forma e le dimensioni del nuovo altare dovranno essere differenti da quelle dell'altare preesistente, evitando riferimenti formali e stilistici basati sulla mera imitazione. Per evocare la duplice dimensione di mensa del sacrificio e del convito pasquale, in conformità con la tradizione, la mensa del nuovo altare dovrebbe essere preferibilmente di pietra naturale, la sua forma quadrangolare (evitando quindi ogni forma circolare) e i suoi lati tutti ugualmente importanti. Per non compromettere la evidenza e la centralità dell'altare non è ammesso l'uso di materiali trasparenti.Nel caso in cui l'altare preesistente venisse conservato, si eviti di coprire la sua mensa con la tovaglia e lo si adorni molto sobriamente, in modo da lasciare nella dovuta evidenza la mensa dell'unico altare per la celebrazione.Qualora non sia possibile erigere un nuovo altare fisso, si studi comunque la realizzazione di un altare definitivo, anche se non fisso (cioè amovibile).Si ritiene anche opportuna la rimozione delle reliquie presenti nell'altare preesistente, poiché solo a quello nuovo - di fatto l'unico riconosciuto come centro della celebrazione - spetta la prerogativa della dedicazione rituale.

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