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Un problema semantico:tolleranza e relativismo

Ultimo Aggiornamento: 01/10/2010 14:45
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01/10/2010 14:45

Un problema semantico:tolleranza e relativismo

Un problema semantico: tolleranza e relativismo

L’ecumenismo e il dialogo interreligioso postconciliari hanno prodotto, come tutti sappiamo, dei frutti molto amari. Oggi prevale, in quasi tutti gli ambienti, l’idea che tutte le religioni siano più o meno buone e vere. L’unica cosa che conta è la sincerità con cui l’uomo le pratica.

Di fronte a questo cedimento, nessuna autorità ecclesiastica con maggiore senso di responsabilità reagisce e chiede un rimedio. Il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, confessò preoccupato di aver sentito dire ad una suora, molto soddisfatta, “Signor Cardinale, la grande eredità di Papa Giovanni Paolo II è stata quella di dimostrare che tutte le religioni sono buone!”

Come si sa, il Papa Benedetto XVI, fin da quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha criticato in varie occasioni il relativismo, ed è ormai celebre la sua espressione “dittatura del relativismo”, che usò nel corso del conclave che lo elesse.
Tuttavia, mi sembra che il Santo Padre abbia in mente soprattutto il relativismo etico. Egli non ammette lo scetticismo o il cinismo che negano i valori morali perenni.

Ma sul piano teologico noto che vi è un problema, forse derivato dalla mentalità umanistica e ottimistica prevalsa durante e dopo il Concilio Vaticano II: una Chiesa aperta e dialogante col mondo, con le “altre religioni”, aiuterebbe l’umanità a progredire moralmente, per evitare una terza guerra mondiale e raggiungere la pace!

Ora, una tale attitudine umanistica e filantropica porta sicuramente a vedere “aspetti positivi” dovunque, o quantomeno in tutte le religioni. In questa prospettiva, la Chiesa di Cristo finisce col sussistere in qualsiasi gruppo di uomini di buona volontà.
Io penso che nessuno può negare che sia questa la mentalità religiosa oggi prevalente e che questa sia la “politica” adottata dalle Autorità.

Ebbene, quando si vedono aspetti positivi ovunque, quando si dice, come è stato detto in un documento, che l’umanità ha bisogno delle “religioni” per il suo sviluppo, quando si afferma che la forza di persuasione dei sostenitori delle “altre religioni” (come è stato affermato ufficialmente pochi anni fa) è opera dello Spirito Santo che agisce al di fuori dei confini visibili della Chiesa, quando si dice che col dialogo ecumenico e interreligioso si ottiene un arricchimento reciproco delle “comunità ecclesiali” e delle religioni, quando si dice che il ministero petrino deve essere oggetto di una revisione per trovare una nuova modalità per il suo esercizio, quando il Papa finisce con l’esser visto come il grande promotore del movimento ecumenico e del dialogo interreligioso e non propriamente come il successore di Pietro, capo della Chiesa cattolica, quando si ammette tutto questo, mi chiedo: siamo di fronte ad un atteggiamento di tolleranza religiosa o di relativismo teologico?

Non giudico le intenzioni di nessuno. Ma penso che vi sia un serio problema. E vedo molta codardia negli uomini che hanno l’obbligo di agire e reagire in modo adeguato di fronte a tale calamità. Una volta un prelato mi disse di essere rimasto indignato a sentire Boff affermare che la Umbanda, la Candomblé, la Macumba e non so che altro, corrispondessero ad una azione dello Spirito Santo. Perché indignarsi semplicemente quando invece si trattava di un peccato ben più grave?

Quando il teologo gesuita belga Dupuis, corifeo della teologia delle religioni, venne citato davanti al tribunale dell’ex Sant’Uffizio, rifiutò di ritrattare, dicendo che era giunto alle sue conclusioni sulla base della realtà ecclesiale. Tanto bastava per ritenerlo un infelice eretico! Perché condannarlo? È stato come punire un moscerino che s’è ingoiato un cammello!

L’indimenticabile giornalista Lenildo Tabosa Pessoa ha detto che molte persone sono di sinistra e socialiste senza saperlo. Anche oggi vi sono tanti relativisti inconsapevoli. Si pensa di essere tolleranti, mentre si è relativisti. La tolleranza è l’atteggiamento che si assume di fronte ad un male che non può essere impedito, e si subisce il male per carità o per prudenza al fine di evitare un male maggiore. Oggi noi non consideriamo le “altre religioni” un male, al contrario formuliamo giudizi positivi su di esse.

Pertanto, siamo di fronte ad un problema di semantica. Il termine tolleranza non significa più la stessa cosa. Esso esprime o nasconde un atteggiamento realmente relativistico, se non teorico almeno pratico. E siccome non esiste una pratica senza la teoria, si dovrebbe riconoscere che dietro tale pratica c’è una nuova teologia eterodossa o una gravissima mancanza di prudenza nei rapporti fra la Chiesa e il mondo.

Tolleranti per carità e prudenza furono i papi di prima del Concilio Vaticano II. Pur chiamando le cose col loro vero nome (le false religioni sono false religioni), sopportarono con pazienza ed eroismo le conseguenze degli errori moderni, che non potevano impedire, ma che non cessavano di condannare apertamente.

Oggi i veri tolleranti sono chiamati intolleranti, settari, integralisti, fondamentalisti, mentre i relativisti e i liberali sono chiamati tolleranti.

Padre João Batista de Almeida Prado Ferraz Costa

Anápolis (Brasile), 23 settembre 2010
Festa di San Lino, Papa e Martire

Una Fides
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