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La corretta Mariologia di Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 02/11/2008 17:47
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La mariologia di Benedetto XVI – 19

 
di BRUNO SIMONETTO

L’esenzione di Maria dal peccato di Adamo – 1
   

Nel dogma dell’Immacolata Concezione Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa, secondo un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente.
 

Continuando a rivisitare l’esposizione che nel libro La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa (Jaca Book, Milano 1979, 20064; originale tedesco Die Tochter Zion, Johannes Verlag, Einsiedeln 1977) il futuro Papa Benedetto XVI fa dei dogmi mariani, esaminiamo questa volta il dogma dell’esenzione di Maria Vergine dal peccato di Adamo.

Va peraltro posta una premessa, chiarendo che la trattazione dell’argomento del dogma dell’Immacolata da parte del cardinale Joseph Ratzinger è piuttosto una difesa del suo fondamento teologico-biblico che un’esposizione del dogma stesso, del quale del resto già abbiamo scritto nel numero di Madre di Dio dello scorso giugno 2006, citando la risposta dell’illustre teologo alla domanda del giornalista tedesco Peter Seewald che gli chiedeva «cosa si può dire del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria?» (cfr. Dio e il mondo, San Paolo, 2001, pp. 276-277, originale tedesco Gott und die Welt).

Spiegando la dottrina della Chiesa sul dogma dell’Immacolato Concepimento della Vergine Maria, legato al tema del peccato originale, Joseph Ratzinger diceva: «Lo sfondo di questo dogma è costituito dalla dottrina del peccato originale, secondo cui ogni uomo ha alle spalle un contesto di peccato (che abbiamo chiamato "distorsione relazionale") ed è quindi affetto fin dall’inizio da una distorsione nel suo rapporto con Dio. Gradualmente nel cristianesimo si è affermata la convinzione per cui colei che, fin dall’inizio, è destinata ad essere la "porta di Dio", che è stata consacrata a lui in maniera tanto particolare, non fosse riconducibile a questo contesto.

L'Immacolata Concezione, olio su tela di Martino Altomonte, 1719, Lubiana, Galleria nazionale della Slovenia.
L’Immacolata Concezione, olio su tela di Martino Altomonte, 1719, Lubiana, Galleria nazionale della Slovenia.

«Nel Medio Evo è sorta a questo proposito una forte controversia. Da una parte stavano i Domenicani che affermavano che Maria è una persona come le altre, e che quindi è intaccata dal peccato originale. Dall’altra parte stavano i Francescani che sostenevano la posizione opposta. Nel corso di questa lunga disputa si è lentamente formata la convinzione che l’appartenenza di Maria a Cristo prevalesse sull’appartenenza ad Adamo e che inoltre la sua consacrazione a Cristo fin dalla notte dei tempi (perché Dio precede ognuno di noi, e i pensieri di Dio ci plasmano fin dall’inizio) fosse l’elemento caratterizzante della sua esistenza.

«Maria non è concepibile all’interno del contesto creato dal peccato originale perché con lei ha inizio una nuova storia: la sua relazione con Dio non è distorta, fin dall’inizio gode dello sguardo benevolo di Dio che "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Magnificat) e le ha consentito di sollevare a sua volta lo sguardo fino a lui.

«Non solo; ma la sua appartenenza a Cristo, così specifica, comporta anche la grazia di cui è ricolma. Le parole dell’angelo: "piena di grazia", che inizialmente ci sembrano così semplici, possono essere interpretate fino ad abbracciare l’intero arco temporale della sua esistenza. E, in ultima analisi, non esprimono un privilegio riservato a Maria, ma una speranza che ci riguarda tutti» (Dio e il mondo, pp. 276-277).

Risposta a due obiezioni al dogma dell’Immacolata Concezione

Nel capitolo "L’esenzione dal peccato di Adamo" (La figlia di Sion, pp. 59ss.) il teologo-mariologo Ratzinger intende piuttosto rispondere alle due obiezioni che si muovono al dogma dell’Immacolata:

1 «La prima dice: la preservazione dal peccato originale (se c’è) è un fatto. Non si possono però desumere dei fatti mediante speculazioni; li si può conoscere solamente per comunicazione (rivelazione). Ma non esiste una simile comunicazione relativa a Maria, poiché in tutto il primo millennio non se ne sa nulla. Di conseguenza, la dottrina che ciò nonostante viene proposta può essere solamente un eccesso della speculazione».

Edicola sacra raffigurante l'Immacolata Concezione, in via dei Cappellari a Roma.
Edicola sacra raffigurante l’Immacolata Concezione, in via dei Cappellari a Roma.

2 «L’altra obiezione sostiene che con una siffatta affermazione verrebbe negata l’universalità della grazia. La disputa della teologia medioevale si muove attorno a questo problema; la teologia della Riforma le ha conferito una forma ancora più fondamentale, quando ha determinato l’essenza della grazia come giustificazione del peccatore. Può bastare, in questa sede, rimandare al rappresentante sicuramente più impressionante della fede dei riformatori, Karl Barth, il quale – in una teologia che vorrebbe attribuire a Maria una certa qual autonomia nella storia della salvezza – vede il tentativo di "illustrare e fondare solo in un secondo momento, a partire dall’uomo, dalla sua recettività" il prodigio della rivelazione» (cfr. K. Barth, Kirchliche Dogmatik, I/2, p. 158s., nota).

Perciò, per Barth «l’accettazione di Maria può significare solamente che per lei, "malgrado i peccati dei quali […] è colpevole, viene accettata come colei che concepisce il Dio eterno" (cfr. Kirchliche Dogmatik, I/2, p. 214). Barth si trova qui sulla linea di Lutero della rigida contrapposizione tra legge e vangelo: tra Dio e l’uomo non vi è alcuna corrispondenza (analogia), ma solamente opposizione (dialettica). Là dove l’agire di Dio viene presentato sulla base della corrispondenza, sembra che sia negata la grazia pura, la giustificazione senza meriti».

Ratzinger si chiede poi se tutto questo sia giusto; e per rispondere alle argomentazioni di Barth si rifà al domenicano B. Langenmeyer il quale, «facendo riferimento al Concilio Vaticano II, ha di nuovo sottolineato con decisione la tipologia (si potrebbe tradurre: la dottrina della corrispondenza) che congiunge Antico e Nuovo Testamento nell’unità interiore di promessa e di compimento» (cfr. B. Langenmeyer, "Konziliare Mariologie und biblische Typologie…" in Catholica 2 1 , 1967, 295-316).

L’argomentazione che Ratzinger riprende da Langenmeyer e sviluppa è la seguente: «La tipologia, in quanto forma di interpretazione, comprende analogia, somiglianza nella dissomiglianza, unità nella separazione. Ora, già le considerazioni che abbiamo svolto sino a questo punto si sono basate su questa visione, sull’affermazione della profonda unità esistente tra i due Testamenti. Esse si rendono chiare ora nel riferimento al fatto concreto. Così – continua Ratzinger – per il nostro problema Langenmeyer fa presente che alla severa predicazione dei profeti (nella quale vi è il momento della discontinuità) appartiene sostanzialmente anche il riferimento al resto santo di Israele, quel resto che sarà salvato: un pensiero questo che Paolo riprende esplicitamente in Rm 11, 6, vedendolo adempiuto nell’Israele cristiano. Resto santo; ciò vuol dire che la continuità non sta solamente nella volontà divina, mentre nella storia vi sarebbero solamente rottura ed opposizione, ma che vi è continuità anche dentro la storia: la Parola di Dio non resta parola vuota».

La festa dell'Immacolata a Roma: un vigile del fuoco pone una corona di fiori come omaggio alla statua della Madonna in piazza di Spagna (dicembre 2006).
La festa dell’Immacolata a Roma: un vigile del fuoco pone una corona di fiori come omaggio
alla statua della Madonna in piazza di Spagna (dicembre 2006).

Maria, "risposta" alla Parola di Dio

Nel seguito della pagina riportata da La figlia di Sion vengono citati, in sequenza, tre passi dall’articolo di Langenmeyer:

a) «Il parlare di un resto che ha resistito, di una "radice santa", sarebbe assurdo se l’antica alleanza avesse condotto solamente alla caduta e al peccato. Allora ci sarebbe solamente un inizio nuovo» (p. 304).

b) «L’agire di Dio non cade solo verticalmente sulla storia già trasformatasi per il suo stesso agire. La fede non cade dal cielo. Essa viene accolta, in incontro orizzontale-storico, come sgorgante dalla testimonianza di fede» (p. 313).

c) «In Maria, la discendenza fisica del popolo eletto è arrivata completamente a termine insieme alla fede nella promessa fatta a questo popolo. E con questo – non per opera umana, ma per la grazia dell’alleanza che governa la storia – si è realizzato alla fine anche quel senso di salvezza che doveva spettare, secondo il piano salvifico di Dio, all’antica alleanza: accogliere, cioè, fisicamente e spiritualmente quel regno escatologico di Dio che Dio voleva far giungere, per mezzo di Israele, a tutti i popoli della terra» (p. 314, cfr. La figlia di Sion, p. 61-62).

Tali argomentazioni vengono quindi "magistralmente" applicate al dogma dell’Immacolata Concezione di Maria.

«Resto santo, in quanto espressione strutturale – ripete Ratzinger – significa che la Parola di Dio porta realmente frutto, che Dio non è l’unico attore della storia, la quale sarebbe così solo un monologo di Dio, ma significa che egli trova una risposta che è veramente risposta. Maria, come resto santo, esprime il fatto che in lei antica e nuova alleanza sono realmente una sola cosa. Ella è interamente giudea, interamente figlia d’Israele, dell’antica alleanza; e, proprio per questo, figlia dell’alleanza in generale, interamente cristiana: madre della Parola. Perciò, per il fatto che ella è la nuova alleanza nell’antica alleanza; anzi, come antica alleanza, come Israele, non c’è alcuna comprensione della sua persona e della sua missione là dove si spezzano Antico e Nuovo Testamento».

Immacolata Concezione, olio su tavola di ignoto ligure, XVI secolo, conservato nella Pinacoteca civica di Savona.
Immacolata Concezione, olio su tavola di ignoto ligure, XVI secolo, conservato nella Pinacoteca civica di Savona.

Poiché Maria «è interamente risposta, corrispondenza, non vi è nessuna possibilità di comprenderla là dove la grazia può esser vista solamente come opposizione; vale a dire: là dove una risposta, una reale risposta della creatura, appare come negazione della grazia. Infatti, una parola che non arriva mai, una grazia che resta solamente nel progetto di Dio e non si fa risposta ad esso, non sarebbe grazia, ma vuoto gioco.

«Ciò che, a partire da Eva, viene descritto come la natura della donna: il fatto di essere "persona di fronte" che è tutta nel "derivare dall’altro" e che è, tuttavia, "la persona che questi ha di fronte", ottiene qui il suo significato più alto: pura derivazione da Dio e, al tempo stesso, il più concreto essere di fronte nell’essere proprio della creatura che è diventata risposta» (p. 63).

Si comprende bene da quest’analisi (che completeremo in una seconda puntata, nel numero di aprile) che a papa Benedetto XVI interessa particolarmente mettere in evidenza il fatto che «il dogma dell’Immacolata applica a Maria le affermazioni che appartengono anzitutto all’antitetica vecchio-nuovo Israele e se esse sono, in questo senso, un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente, ciò significa di conseguenza che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa» (La figlia di Sion, p. 65).

Bruno Simonetto

 

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 La mariologia di Benedetto XVI – 20

 
di BRUNO SIMONETTO

L’esenzione di Maria dal peccato di Adamo – 2
   

Il discorso mariologico dell’Immacolata Concezione di Maria si lega alla visione ecclesiologica del nuovo Israele, ecclesia immaculata – Significato teologico dell’espressione «preservata dal peccato originale».
 

Continuiamo a visitare l’esposizione che nel libro La figlia di Sion – La devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1979 (20064) il futuro papa Benedetto XVI fa dei dogmi mariani, seguitando a esaminare in questa seconda parte – dopo quanto abbiamo scritto nel numero del marzo scorso – il dogma dell’esenzione di Maria Vergine dal peccato di Adamo.

L’esenzione dal peccato originale è conosciuta tipologicamente

Concludevamo nella precedente puntata il discorso su Maria, "risposta" alla Parola di Dio, affermando che si comprendeva bene dall’analisi fatta che a Benedetto XVI interessa particolarmente mettere in evidenza che «il dogma dell’Immacolata applica a Maria le affermazioni che appartengono anzitutto all’antitetica Vecchio-Nuovo Israele; e poiché esse sono, in questo senso, un’ecclesiologia sviluppata tipologicamente, ciò significa di conseguenza che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa» (pag. 65).

La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.
La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.

Ma prima di arrivare a questa conclusione, rileggiamo alcuni passaggi precedentemente esposti nei "chiarimenti" del teologo Ratzinger, dove si afferma che «rimane però aperta la questione del "fatto" del peccato originale; ed essa chiede nuovamente una risposta: benissimo, dal punto di vista concettuale può essere questa una risposta ragionevole – si obietta ora –, ma chi ci autorizza ad asserire come dato di fatto che Maria è proprio questo "resto santo"? Non viene forse desunto dal principio un fatto che non può derivare solamente da esso? Al riguardo ci sarebbe anzitutto da osservare che il concetto di fatto, riferito al peccato originale, non è comunque applicabile nella sua crudezza positivistica. Infatti, lo stesso peccato originale non è un fatto nel senso positivistico, constatabile come, ad esempio, lo è il fatto che Goethe è nato il 28 agosto 1749. Il peccato originale è un "fatto", una realtà d’altro tipo, di modo che di esso si può sapere e si sa soltanto partendo dalla tipologia: il testo basilare di Rm 5 (sulle conseguenze del peccato di Adamo e su Adamo figura di Cristo) è una interpretazione tipologica dell’Antico Testamento. Il peccato originale si riconobbe solamente nel tipo di Adamo e nel suo ricorrere nelle svolte della storia. La sua affermazione si basa perciò sull’identificazione tipologica di ogni singolo uomo con l’uomo in genere, con la media-uomo, con l’uomo a partire fin dalle sue origini. Il peccato originale, fin dall’inizio, non è stato trasmesso (e, da quel momento, tramandato) come fatto, ma attraverso un’interpretazione tipologica della Scrittura; è stato quindi conosciuto per via teologica (concettuale).

«Avere disconosciuto ciò fu probabilmente l’errore principale della dottrina neo-scolastica del peccato originale; nel momento in cui quest’errore era commesso, in misura maggiore o minore, esso, in connessione con la totale mancanza di comprensione di un’identificazione tipologica, condusse alla contestazione del peccato originale, ossia all’impossibilità di potervi pensare e di poterne parlare. Se questa è la situazione, è chiaro che anche una libertà dal peccato originale non può essere tramandata come un fatto, ma essa viene conosciuta tipologicamente: non c’è altro modo» (pp. 63-64).

Adamo ed Eva con il serpente; in primo piano Gesù Cristo redentore, dipinto di Nino e Silvio Gregori tratto da La divina commedia - Paradiso, Famiglia Cristiana 1992.
Adamo ed Eva con il serpente; in primo piano Gesù Cristo redentore, dipinto di Nino e Silvio Gregori
tratto da La divina commedia - Paradiso, Famiglia Cristiana 1992.

La dottrina dell’Immacolata anticipata come ecclesiologia

È davvero entusiasmante che Ratzinger leghi, per così dire, il discorso mariologico dell’Immacolata concezione di Maria alla visione ecclesiologica del nuovo Israele, Ecclesia immaculata.

Egli afferma categoricamente: «Se si cerca un’identificazione tipologica che fonda la libertà di Maria dal peccato originale, non c’è bisogno di cercare a lungo. La lettera agli Efesini descrive il nuovo Israele, la sposa, con le espressioni "santa", " immacolata", "tutta gloriosa", "senza macchia né ruga o alcunché di simile" (Ef 5, 27). Nella teologia patristica quest’immagine dell’Ecclesia immaculata è stata ulteriormente sviluppata in testi di innodica bellezza (cf K. Rahner, Maria und die Kirche, Innsbruck 1951; A. Müller, Ecclesia-Maria, Fribourg 19552).

«Ciò vuol dire che, fin dall’inizio, esiste nella Scrittura e soprattutto nei Padri una dottrina dell’Immacolata, come dottrina però dell’Ecclesia immaculata; la dottrina dell’Immacolata, al pari di tutta la mariologia successiva, è qui anticipata in primo luogo come ecclesiologia. L’immagine della Chiesa vergine-madre è stata riferita a Maria secondariamente, non viceversa. […] Ciò significa conseguentemente che Maria viene presentata come l’inizio e la concretezza personale della Chiesa» (pp. 64-65).

La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.
La cacciata di Adamo ed Eva, secolo XIV, codice De Predis, Biblioteca Reale di Torino.

Dunque, il tipo di cui parla l’ecclesiologia del Nuovo Testamento e dei padri della Chiesa esiste in Maria come persona.

«Ma chi ci autorizza», si chiede poi Ratzinger, «a personalizzare il tipo in Maria e non diversamente?». Citando, fra l’altro, studi di R. Laurentin (Court traité de théologie mariale, Paris 1953) e di Hans Urs von Balthasar ("Wer ist die Kirche?" in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1954), Ratzinger risponde che «l’identificazione tipologica tra Maria e Israele, la presenza del tipo nella persona, è stata chiaramente attuata in Luca (e, in maniera diversa, in Giovanni)». E aggiunge: «Nella struttura della teologia biblica essa non è meno presente dell’interpretazione sistematica del tipo Adamo-Cristo nella dottrina del peccato originale. Grazie alla parificazione lucana della vera figlia di Sion con la Vergine che ascolta e crede, quell’identificazione è quindi presentata in forma completa nel Nuovo Testamento» (La figlia di Sion, pp. 65-66).

Cosa significa «preservata dal peccato originale»?

Infine, come addentrandosi nel cuore del dogma dell’Immacolata, il teologo si chiede che cosa significhi propriamente l’espressione «preservata dal peccato originale».

E, di sicuro per ovviare a superficiali spiegazioni correnti del peccato di origine, specifica che con l’affermazione dell’esenzione di Maria dal peccato originale è stata troncata ogni visione di tipo naturalistico di questo: «Da qui in poi, si dovrà dire che il peccato originale non è un’affermazione riguardante una mancanza naturale nell’uomo o riferita all’uomo stesso, ma un’affermazione di relazione, la quale è ragionevolmente formulabile soltanto nel contesto di relazione Dio-uomo» (La figlia di Sion, pp. 66-67).

L'Immacolata Concezione, dipinto Zurbarán, Budapest, Museum of fine arts.
L’Immacolata Concezione, dipinto Zurbarán, Budapest, Museum of fine arts

Il che significa che il peccato originale consiste nella spaccatura tra quello che l’uomo è a partire da Dio e ciò che è in se stesso, nell’opposizione tra il volere del Creatore e l’essere empirico-esistenziale dell’uomo. Allora – è la logica conclusione di Ratzinger – proclamare l’esenzione di Maria dal peccato originale è affermazione equivalente al fatto che in lei non c’è opposizione tra l’essere di Dio e l’esistenza (o il non-essere creaturale) dell’uomo, ma piuttosto c’è un intrecciarsi del di Dio con il della Vergine-Madre: «Preservazione dal peccato originale non significa quindi una particolare capacità; essa, al contrario, significa che Maria non riserva come per sé nessun settore dell’essere, della vita, della volontà, ma si appropria veramente di se stessa nella totale espropriazione per Dio: la grazia, in quanto espropriazione, diviene risposta che assume la forma di un trasferimento. Pertanto, partendo da un altro punto di vista, qui si rendono comprensibili il mistero della fertilità sterile, il paradosso delle madri sterili, il mistero della verginità: espropriazione come appropriazione, come sede della nuova vita.

«Perciò», è la conclusione originale e assolutamente rigorosa del teologo Joseph Ratzinger, «la dottrina dell’Immacolata alla fine è espressione della certezza della fede che esiste realmente la Chiesa santa, come persona e in persona. In questo senso, essa è espressione della certezza di salvezza della Chiesa. Di tale certezza partecipa la conoscenza che l’alleanza di Dio in Israele non è fallita, ma è diventata il pollone dal quale è sbocciato il fiore, il Redentore.

«La dottrina dell’Immacolata testimonia quindi che la grazia di Dio è stata sufficientemente potente da suscitare una risposta; testimonia che grazia e libertà, grazia ed essere se stessi, rinuncia e compimento si contraddicono solamente in apparenza, mentre in verità una condiziona e procura l’altra» (p. 67).

L'Immacolata Concezione, dipinto di Rubens, Madrid, Museo del Prado.
L’Immacolata Concezione, dipinto di Rubens, Madrid, Museo del Prado
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Si chiarisce così ancora meglio la trattazione del dogma dell’Immacolata che fa qui il cardinale Joseph Ratzinger, legandolo al tema del peccato originale, come si evinceva già dalla risposta dell’illustre teologo alla domanda del giornalista tedesco Peter Seewald che gli chiedeva «cosa si può dire del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria» (Dio e il mondo, Edizioni San Paolo 2001, pp. 276-277): «Lo sfondo di questo dogma è costituito dalla dottrina del peccato originale, secondo cui ogni uomo ha alle spalle un contesto di peccato (che abbiamo chiamato "distorsione relazionale") ed è quindi affetto fin dall’inizio da una distorsione nel suo rapporto con Dio. Gradualmente nel cristianesimo si è affermata la convinzione per cui Colei che, fin dall’inizio, è destinata ad essere la "porta di Dio", che è stata consacrata a lui in maniera tanto particolare, non fosse riconducibile a questo contesto.

«[…] Nel corso di una lunga disputa teologica si è lentamente formata la convinzione che l’appartenenza di Maria a Cristo prevalesse sull’appartenenza ad Adamo e che inoltre la sua consacrazione a Cristo fin dalla notte dei tempi (perché Dio precede ognuno di noi, e i pensieri di Dio ci plasmano fin dall’inizio) fosse l’elemento caratterizzante della sua esistenza.

«Maria non è concepibile all’interno del contesto creato dal peccato originale perché con lei ha inizio una nuova storia: la sua relazione con Dio non è distorta, fin dall’inizio gode dello sguardo benevolo di Dio che "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Magnificat) e le ha consentito di sollevare a sua volta lo sguardo fino a lui.

«Non solo; ma la sua appartenenza a Cristo, così specifica, comporta anche la grazia di cui è ricolma. Le parole dell’angelo: "piena di grazia", che inizialmente ci paiono così semplici, possono essere interpretate fino ad abbracciare l’intero arco temporale della sua esistenza».

Bruno Simonetto

 

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La mariologia di Benedetto XVI – 21

 
di BRUNO SIMONETTO

L’Assunzione di Maria al cielo
   

Il contenuto dogmatico dell’Assunta viene spiegato da Joseph Ratzinger come espressione del supremo culto della Chiesa a Maria, vista nella pienezza escatologica della sua unione con Dio.
 

L'ultimo dogma mariano, l’Assunzione di Maria al cielo "in anima e corpo", viene presentato dal futuro papa Benedetto XVI ne La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa (Jaca Book, Milano 1979, pp. 69-79), in termini tanto originali quanto teologicamente profondi.

Come premessa al discorso che qui riassumiamo, vale la pena riportare in sintesi la risposta data dall’allora cardinale Ratzinger a Peter Seewald che lo intervistava sul dogma in questione: «Volendo esser provocatori», chiedeva il giornalista tedesco, «che cosa significa il dogma dell’Assunzione corporea di Maria in cielo? È stato definito molto tardi, nel 1950. Stranamente, fin dall’inizio non esistevano né un sepolcro né reliquie (corporee) di Maria».

«Questo dogma», rispondeva cauto il cardinale Ratzinger, «ci risulta particolarmente difficile da comprendere e accettare, perché non riusciamo a immaginarci cosa si possa intendere in questo caso per "cielo", e come un corpo possa essere "assunto in cielo". Questo dogma rappresenta quindi una grande sfida alla nostra capacità di comprendere che cosa siano il cielo, il corpo, l’uomo, e quale possa essere il futuro di questi».

Assunzione di Nicolas Poussin (1594-1665).
Assunzione di Nicolas Poussin (1594-1665).

«E lei personalmente», insisteva Peter Seewald, «come risolve questa sfida?».

«Mi soccorre in questo caso la teologia battesimale elaborata da san Paolo che dice: "Dio con Gesù Cristo ha risuscitato anche noi e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2, 6). Questo significa che, in quanto battezzati, il nostro futuro è già tracciato.

«Secondo il dogma, dunque, si adempie pienamente in Maria ciò che il battesimo opera in tutti noi: il dimorare ("sedere") con Dio "nei cieli" (perché Dio è i cieli!). Il battesimo (cioè l’unione a Cristo) dispiega in Maria la sua massima efficacia. In noi l’unione a Cristo, la risurrezione, è una condizione ancora incompiuta e imperfetta. Non così per lei, cui non manca più nulla, poiché è già entrata nella piena comunione con Cristo. E di questa comunione è partecipe anche una nuova corporeità, per noi inimmaginabile. In breve, il portato essenziale di questo dogma è la pienezza dell’unione di Maria a Dio, a Cristo, la pienezza del suo essere "cristiana"» (Dio e il mondo, San Paolo, 2001, p. 277). Su questo parametro di comprensione del dogma cerchiamo di addentrarci nella spiegazione che ne dà Benedetto XVI.

Il dogma dell’Assunta, esaltazione suprema di Maria

Il testo della bolla dogmatica (di Pio XII) del 1950 – spiega Ratzinger – ha tenuto conto della differenza tra risurrezione di Gesù Cristo (fatto storico concreto) e ciò che avvenne in Maria, con la sua "assunzione, in corpo e anima, alla gloria celeste". Ciò significa intanto che «il testo dogmatico non definisce quest’articolo di fede come un’affermazione storica, ma teologica» (p. 70).

Questo afferma Ratzinger per sgombrare il campo dall’obiezione di quanti (il teologo B. Altaner in particolare) ricordavano, nelle discussioni che hanno preceduto la proclamazione dogmatica da parte di Pio XII, che nelle fonti patristiche e teologiche non si comincia a parlare di "assunzione" prima del secolo VI.

«Ma», si chiede Ratzinger, «cosa vuol dire questo? Per spiegarlo bisognerebbe cominciare a parlare della storia dell’evoluzione del dogma ed anche dei fattori che lo hanno determinato nella sua formazione. Si scoprirebbe allora che la forza motrice decisiva per quest’affermazione [dogmatica] fu il culto di Maria; che il dogma, per così dire, ha la sua origine, la sua forza motrice e anche il suo obiettivo non tanto nel contenuto di una proposizione, quanto piuttosto nell’atto dell’omaggio, dell’esaltazione». (p. 70. L’autore rimanda all’ampio materiale in proposito in R. Laurentin, La question mariale, Paris 1963).

Assunzione di Philippe de Champaigne (1602-1674).
Assunzione di Philippe de Champaigne (1602-1674).

«Lo si riscontra», osserva, «anche nel testo della proclamazione dogmatica, quando vi si dice che il dogma è proclamato "ad onore del Figlio, a glorificazione della Madre e a gioia di tutta la Chiesa" (Denzinger-Schönmetzer 3903). Questo dogma voleva essere un atto di culto, la forma più alta della lode a Maria, dell’esaltazione [...]. Ciò distingue, in certo senso, i due ultimi dogmi mariani dalle precedenti forme nelle quali si è configurata la fede della Chiesa, sebbene il carattere dossologico in esse vi fosse sempre, in maniera più o meno accentuata» (pp. 70-71).

Ed ecco, allora, la spiegazione del contenuto stesso del dogma dell’Assunzione di Maria: «L’affermazione di contenuto che nel dogma viene fatta è completamente ordinata al culto; ma, viceversa, il culto si serve di questo contenuto e trova qui la sua ragione più forte: il culto si riferisce a colei che vive, a colei che è a casa, che è realmente arrivata al di là della morte, alla meta. Possiamo anche dire: la formula dell’Assunta rende esplicito ciò che è il presupposto interno del culto. Ma ogni culto che avviene sotto il predicato sanctus presuppone la vita col Signore; esso ha senso solamente quando chi è venerato vive ed è giunto alla meta. Si potrebbe dire perciò che il dogma dell’Assunta è semplicemente il grado supremo della canonizzazione nella quale il titolo "santo" viene attribuito nel senso più stretto, volendo significare cioè: interamente e totalmente nel compimento escatologico.

«Con ciò si dischiude ormai il contesto biblico fondamentale, che garantisce tutta l’affermazione (dogmatica). Noi possiamo cioè asserire che il dogma dell’Assunta non fa che descrivere nel suo contenuto ciò che è stato nel suo interno presupposto ed affermato nel grado supremo del culto. Nel medesimo tempo ci si può e ci si deve allora ricordare che il vangelo di Luca stesso profetizza ed esige il culto di Maria: "D’ora in poi, tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1, 48)» (pp. 71-72).

Sulla base di questa intuizione, Ratzinger rileva ancora che «la registrazione di Luca presuppone che la glorificazione di Maria già esistesse nella Chiesa del suo tempo e che egli la ritiene un dovere della Chiesa per tutte le generazioni, vedendo incominciare questa lode di Maria con il saluto di Elisabetta: "Beata colei che ha creduto…" (Lc 1, 45)».

E segue un ulteriore passo del teologo: «In questa primissima forma di culto a Maria si riflette nuovamente l’unità dei Testamenti, caratteristica di tutto il tema mariano: il Dio d’Israele viene chiamato tramite uomini ai quali egli si è dimostrato grande, nella vita dei quali egli si rende visibile e presente. Essi sono, per così dire, il suo nome nella storia; e grazie a loro egli stesso ha un nome, per loro ed in loro egli diventa accessibile. Si chiama il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; chiamarlo significa chiamare i padri, così come, viceversa, chiamare i padri significa ricordarsi di lui e riconoscerlo. Non invocare gli uomini, nei quali egli stesso si rende visibile, è ingratitudine, smemoratezza: per la fede d’Israele, però, è anche caratteristico che essa abbia memoria e sia memoria» (p. 72).

Assunzione, miniatura armena, XIV secolo.
Assunzione, miniatura armena, XIV secolo.

Significato del dogma: l’unione escatologica di Maria con Dio

Da qui la conclusione mariologica che ricava il futuro papa Benedetto XVI: «La glorificazione di Maria si congiunge all’idea di Dio che collega i padri col nome di Dio e sa che nella glorificazione dei padri c’è l’esaltazione di Dio» (p. 72). E spiega, in riferimento al testo in cui Marco («…il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe non è un Dio dei morti ma dei viventi!», Mc 12, 18-27) mette in relazione il tema di Dio Padre con il tema della risurrezione: «[Gesù] dimostra la risurrezione non sulla base di singoli testi della precedente letteratura profetica o apocalittica, ma sulla base del concetto stesso di Dio, "Dio dei viventi". [...] Sicché, la risurrezione dimostra che i "viventi" appartengono al nome di Dio stesso; e il diritto al culto comporta in sé la certezza della vittoria sulla morte, l’affermazione della risurrezione» (p. 73).

Accenniamo soltanto a un’obiezione che Ratzinger immagina possa essere fatta alla sua discussione teologica, rimandando l’approfondimento a una riflessione successiva.

«Si potrebbe dire: vittoria sulla morte, sì; ma perché (in Maria) nella forma suprema, definitiva ed escatologica come intende la formula dogmatica corpore et anima (che di fatto, "in tedesco" si può tentare di rendere semplicemente con il termine "escatologico")? Qui», continua Ratzinger, «si potrebbe rispondere chiarissimamente: ciò è lecito per il semplice fatto che il nome Maria sta al posto della Chiesa stessa, della sua definitiva condizione di salvezza» (pp. 73-74).

Torniamo così all’affermazione iniziale sopra riportata del cardinale Ratzinger in risposta al giornalista Peter Seewald nell’intervista sul significato del dogma dell’Assunzione corporea di Maria in cielo: «Si adempie pienamente in Maria ciò che il battesimo opera in tutti noi: il dimorare ("sedere") con Dio "nei cieli" [...]. Il battesimo (cioè, l’unione a Cristo) dispiega in Maria la sua massima efficacia. In noi l’unione a Cristo, la risurrezione, è una condizione ancora incompiuta e imperfetta. Non così per lei, cui non manca più nulla, poiché è già entrata nella piena comunione con Cristo. E di questa comunione è partecipe anche una nuova corporeità, per noi inimmaginabile. In breve, il portato essenziale di questo dogma è la pienezza dell’unione di Maria a Dio, a Cristo, la pienezza del suo essere "cristiana"» (p. 277).

Bruno Simonetto

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La mariologia di Benedetto XVI – 22

 
di BRUNO SIMONETTO

L’Assunzione di Maria al cielo
   

Nel dogma dell’Assunta si esprime il senso escatologico dell’immortalità dell’uomo e la realizzazione della pienezza del nostro battesimo.
 

Concludiamo la riflessione sull’ultimo dogma mariano, l’Assunzione di Maria al Cielo in anima e corpo, a partire dalla presentazione teologica che ne fa Joseph Ratzinger, attualmente papa Benedetto XVI, ne La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1979.

A quanto detto in precedenza sul contenuto dogmatico dell’Assunta, che per Ratzinger è espressione del supremo culto della Chiesa a Maria, vista nella pienezza escatologica della sua unione con Dio, aggiungiamo ora le altre argomentazioni teologiche del Papa.

Il significato escatologico dell’immortalità dell’uomo

«Maria [assunta in cielo] sta al posto della Chiesa stessa, della sua definitiva condizione di salvezza» (p. 74).

Ratzinger approfondisce questo concetto sviluppando anzitutto un altro tema che, per lui, riveste un ruolo importante anche nel testo della proclamazione dogmatica dell’Assunzione della Vergine in cielo. Eccone l’argomentazione:

«Come la vita dell’uomo è piantata, immersa in un mondo nel quale la morte è la condizione della vita, così la nascita è sempre ambivalente: essa è, al tempo stesso, un morire e un divenire. La sentenza di Gn 3, 16 ("Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli…") descrive appunto questo destino dell’uomo; l’ambivalenza della figura di Eva esprime quest’ambivalenza del divenire biologico: la nascita è una parte della morte; essa avviene sotto il segno della morte e rimanda alla morte che, in certo qual senso, essa anticipa, prepara ed anche presuppone». Sicché «generare alla vita significa sempre, al tempo stesso, aprirsi al morire.

Nostra Signora dell'Assunzione con san Miniato e san Giuliano (Andrea Del Castagno, 1450).
Nostra Signora dell’Assunzione con san Miniato e san Giuliano (Andrea Del Castagno, 1450).

«Ma se Maria è veramente genitrice di Dio, se ella genera colui che è per eccellenza la morte della morte e la vita, allora questo essere Madre di Dio è veramente "nuova nascita" (nova nativitas): un nuovo modo del generare, incastrato nell’antico, così come Maria è nuova alleanza nell’antica alleanza e come membro dell’antica. Questa nascita non è un morire, ma solamente un divenire, un prorompere della vita che toglie il morire e lo lascia definitivamente alle sue spalle. Perciò il titolo di "genitrice di Dio" da una parte rimanda all’indietro, alla Vergine: questa vita non è stata concepita nel morire e divenire quotidiani, ma è puro inizio; e dall’altra esso rimanda in avanti, all’Assunta: da questa nascita non viene alcuna morte, deriva solamente vita. Questa nuova "generazione" non ha come sua condizione il recedere nell’antica, ma essa produce la definitività del tutto.

«Qui si rivela però anche il legame con l’affermazione dell’Immacolata; esso potrebbe forse essere così descritto: là dove vi è totalità della grazia c’è totalità della salvezza. Dove la grazia non si trova nella precarietà di "giusto e peccatore al tempo stesso", ma essa è puro sì, lì non c’è spazio per la morte, lo sgherro del peccato.

«Ora, però, questo comporta un domandarsi: che cosa significa assunzione in corpo e anima nella gloria celeste? Che cosa significa propriamente "immortalità"? E che cosa significa "morte"? L’uomo non è mai immortale per se stesso, ma solamente nell’altro e coll’altro, provvisoriamente, sperimentalmente, frammentariamente nel bambino; in definitiva egli è veramente nella gloria soltanto nel totalmente-Altro ed a partire da lui: da Dio. Noi siamo mortali a causa dell’adeguata autarchia del "voler stare in se stessi", di quell’autarchia che si rivela illusione. In quanto fallimento dell’autarchia, in quanto possibilità di dare consistenza a se stessi, la morte non è solamente un fenomeno somatico, ma un fenomeno umano di radicale profondità. Là dove tuttavia manca il tentativo, per noi originario, dell’autarchia, là dove esiste la pura autoespropriazione di colui che non si fonda su se stesso (= grazia!), qui non c’è "morte" (benché vi sia la fine somatica), ma qui tutto l’uomo entra nella salvezza, poiché egli, come totalità, senza riduzione alcuna, sta eternamente nella memoria di Dio che è creatrice di vita, in quella memoria che, prendendolo come tale, lo custodisce nella sua stessa gloria» (pp. 74-76; in nota Ratzinger rimanda alla sua presentazione più dettagliata della problematica di immortalità e risurrezione in Kleine katholische Dogmatik del 1977, scritta a quattro mani con Johann Auer).

Nell’Assunta si è realizzata tutta l’essenza del battesimo

«Con questo», prosegue nel suo ragionamento Ratzinger, applicando il discorso alla Vergine Assunta in Cielo, «ritorniamo a quanto si era accennato poc’anzi. Abbiamo detto che chi può essere glorificato, esaltato col nome di Dio, vive. Avevamo aggiunto: per Maria e solamente per lei (per quanto noi sappiamo) ciò vale in modo definitivo, incondizionato, poiché ella sta per la Chiesa stessa, per quel suo definitivo essere salvata che non è più solamente promessa da venire, ma è già realtà.

«A questo proposito, mi sembra avere una certa importanza Col 3,3: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio". Ciò significa: esiste come una sorta di "ascensione" del battezzato, della quale parla in termini del tutto espliciti Ef 2,6: "Con lui Dio ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù". Stando a questo testo, il battesimo è partecipazione non soltanto alla risurrezione, ma anche all’ascensione di Cristo. Il battezzato, in altre parole, in quanto battezzato e nella misura in cui egli è tale, è già adesso inserito nell’ascensione e vive là, nel Signore glorificato, la sua vita nascosta (la sua vera vita!)» (pp. 76-77).

Visitazione (Franz Anton Maulbertsch, 1777).
Visitazione (Franz Anton Maulbertsch, 1777).

Come si può ben capire, per Ratzinger (che sempre più scopriamo essere davvero il san Tommaso d’Aquino dei nostri tempi!) la formula dogmatica dell’"Assunzione" di Maria in corpo e anima perde, sulla base dei testi biblici citati, ogni carattere speculativo e arbitrario: essa, infatti, è solamente la forma suprema della canonizzazione riferita a colei che ha generato il Signore («prima con il cuore poi nel corpo», dice sant’Agostino), della quale la fede, cioè il contenuto interiore del Battesimo, può essere affermata illimitatamente (in conformità a Luca 1, 45: "Beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore"); Maria è colei nella quale «si è quindi realizzata tutta l’essenza del battesimo, in lei è stata inghiottita nella vittoria di Cristo, in lei ciò che ancora si oppone al battesimo (alla fede) è stato totalmente superato con la morte della vita terrena» (p. 77).

Queste ultime affermazioni (che per Maria hanno la piena evidenza personale nel collegamento a Luca 1, 45 ed Ef 2,6) si riferiscono «nuovamente e strettissimamente», continua Ratzinger, «a quei contesti tipologici che abbiamo continuamente tenuto presente: l’interamente battezzata, in quanto realtà personale della vera chiesa, è contemporaneamente la certezza di salvezza della chiesa, certezza non solamente promessa ma esistente in lei in carne e ossa, e certezza di salvezza di quella chiesa che in lei è già stata salvata: il nuovo Israele non è più respinto. È già entrato nel cielo. Esistono su questo punto preziosi testi patristici, che di fatto non fanno che sviluppare ciò che già si trova nella Bibbia» (pp. 77-78).

Il culto a Maria è come la "danza" del Magnificat

Infine, un’ultima osservazione che il cardinale Ratzinger propone per completare la sua originale riflessione sul dogma dell’Assunzione di Maria, che qui siamo andati illustrando. «Raccontando la visita di Maria ad Elisabetta», scrive, «Luca riferisce che il bimbo Giovanni, al risuonare del saluto di Maria, "ha esultato di gioia nel grembo" (Lc 1, 46). Per esprimere la gioia, egli usa lo stesso termine skirtôn ("saltellare") che ha impiegato anche per denotare la gioia di coloro che sono toccati dalle beatitudini (Lc 6, 23 ["rallegratevi in quel giorno ed esultate, skirtésate"]).

«In una delle antiche traduzioni greche dell’Antico Testamento, questo termine ricorre anche là dove si descrive la danza di Davide dinanzi all’arca santa che è finalmente ritornata in patria (2Sam 6, 16)». Ora – citando l’interpretazione di René Laurentin, che stabilisce un parallelismo tra Lc 1, 39-44 e 2Sam 6, 2-11 – si può dire che la scena (della Visitazione di Maria ad Elisabetta) «è costruita in maniera parallela con il ritorno in patria dell’arca, così che il saltellare del bambino proseguirebbe la gioia estatica di Davide dinanzi al segno che garantisce la vicinanza di Dio. Ma, comunque sia, si esprime qui qualcosa che per noi, nel nostro secolo critico, è andato quasi completamente perduto e che, tuttavia, appartiene all’interiorità della fede: per lui [Giovanni] è la gioia per la Parola che si è fatta uomo, è quel saltellare dinanzi all’arca dell’alleanza nella contentezza dimentica di sé che coglie colui che ha conosciuto la vicinanza salvatrice di Dio.

«Solamente chi capisce ciò», afferma a questo punto, con forte espressione, il futuro Benedetto XVI, quasi a voler raccogliere il senso di tutto quanto è andato spiegando ne La figlia di Sion, «può comprendere anche il culto di Maria: al di là di tutti i problemi, esso è l’essere trascinati dalla gioia perché il vero Israele esiste indistruttibile; è l’oscillare beato nella gioia del Magnificat e, perciò, nella lode di colui verso il quale è debitrice la figlia di Sion e di colui che lei porta come la vera, non deperibile, indistruttibile arca dell’alleanza» (pp. 79-79).

E su queste note "in crescendo" terminiamo le nostre riflessioni sui quattro dogmi mariani, rivisitati alla luce dell’insegnamento mariologico del teologo Ratzinger divenuto poi papa Benedetto XVI.

Bruno Simonetto

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 La mariologia di Benedetto XVI – 23

 
di BRUNO SIMONETTO

La "donna" Maria, tra gnosi e femminismo
   

Prosegue il nostro discorso sulla mariologia di Benedetto XVI affrontando un tema biblico che richiede di essere correttamente interpretato: quello del "segno della donna". Con alcune premesse.
 

Dopo esserci soffermati, nelle puntate precedenti di questa rubrica, sui quattro dogmi mariani visti alla luce dell’insegnamento mariologico di papa Benedetto XVI, vogliamo continuare il discorso sulla mariologia e spiritualità mariana di Joseph Ratzinger affrontando temi specifici da lui variamente trattati in scritti e interventi orali diversi nell’arco del suo lungo magistero di vescovo e di Sommo Pontefice. Iniziamo con un tema tanto singolare quanto interessante: la Vergine Maria tra femminismo e gnosi.

Il segno della donna nell’esegesi biblica

In occasione della pubblicazione dell’Enciclica Redemptoris mater di Giovanni Paolo II (25 marzo 1987), Ratzinger, allora cardinale, pubblicò una riflessione sull’utilità di quell’enciclica, affrontando diversi temi di natura esegetico-biblica. La si può trovare ora in Maria. Chiesa nascente (San Paolo 1998, pp. 29-50).

Particolarmente interessante ci sembra il passaggio sul ruolo della Beata Vergine Maria quale "antidoto" alla «eresia eterna» costituita dalla gnosi, al moderno femminismo e agli altri errori del nostro tempo. Lo spunto per la riflessione di Ratzinger viene dal Vangelo apocrifo cosiddetto degli Egiziani, risalente al secolo II, che attribuisce a Gesù la seguente affermazione: «Sono venuto ad annullare le opere della realtà femminile» (logion 22).

«Tali parole», commenta Ratzinger, «esprimono un motivo fondamentale dell’interpretazione gnostica del cristianesimo; motivo fondamentale che, in una formulazione un po’ diversa, ricorre anche nel cosiddetto Vangelo di Tommaso: "Allorché di due ne farete uno, allorché farete [...] la parte superiore come l’inferiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere, sicché non vi sia più né maschio né femmina […], allora entrerete nel Regno" (logion 15)» (p. 33). Similmente in chiara contrapposizione a Gal 4, 4 («Quando fu giunto il tempo stabilito, Dio mandò suo Figlio, nato da una donna»), in questo Vangelo apocrifo leggiamo: «Quando vedrete colui che non è nato da donna, prostratevi bocconi e adoratelo: egli è il vostro padre» (logion 15).

Riportando poi il pensiero di Romano Guardini (Ratzinger cita dal volume Das Christusbild der paulinischen und johanneischen Schriften, opera poco considerata che invece contiene considerazioni importanti e finora non recepite sull’interpretazione teologica della Bibbia e sull’esatta comprensione della cristologia paolina e giovannea), scrive: «In tale contesto è interessante osservare come Romano Guardini veda un segno del superamento dello schema fondamentale gnostico da parte degli scritti giovannei nel fatto "che nel complesso dell’Apocalisse il femminile gode di quella pari dignità del maschile che Cristo gli ha conferito. È vero che il momento del male, della sensualità e del femminile confluiscono nella figura della prostituta babilonese; ciò però sarebbe pensato in termini gnostici solo se dall’altra parte il bene comparisse soltanto in figura maschile. In verità, esso trova un’espressione radiosa nella comparsa della donna cinta di stelle. Perciò, se proprio volessimo parlare di una prevalenza, dovremmo piuttosto assegnarla al femminile; infatti, la figura in cui il mondo redento si struttura in maniera definitiva, è quella della "sposa"» (pp. 33-34).

Pala d’altare di san Giovanni di Hans Memling (1474-79): scene dall’Apocalisse, in alto la "donna" (cap. 12).
Pala d’altare di san Giovanni di Hans Memling (1474-79): scene dall’Apocalisse, in alto la "donna" (cap. 12).

E continua Ratzinger: «Con questa osservazione Guardini ha messo il dito su una questione fondamentale di una giusta interpretazione della Bibbia. L’esegesi gnostica è caratterizzata dal fatto di identificare il femminile con la materia, con il negativo e con il nulla, cose che non possono far parte dell’affermazione salvifica della Bibbia; naturalmente simili posizioni radicali possono anche capovolgersi nel loro opposto, nella rivolta contro valutazioni del genere e nel loro completo rovesciamento.

«Nell’evo moderno, a partire dal messaggio biblico, ha preso piede per altri motivi una esclusione meno radicale, ma non meno efficace del femminile; un "solus Christus" esagerato indusse a rifiutare ogni cooperazione della creatura, ogni significato autonomo della sua risposta e a vedervi un tradimento della grandezza della grazia. Perciò da Eva fino a Maria, lungo la linea femminile della Bibbia, non poteva esserci nulla di teologicamente rilevante: quanto i Padri e il Medioevo avevano detto al riguardo fu inesorabilmente bollato come ritorno al paganesimo, come tradimento dell’unicità del Redentore.

«Perciò», conclude Ratzinger, «i femminismi radicali odierni vanno senza dubbio interpretati solo come lo sfogo dello sdegno per una simile unilateralità, sfogo a lungo represso e che ora assume naturalmente posizioni davvero pagane o neognostiche: la rinuncia al Padre e al Figlio, che ivi si verifica, colpisce al cuore la testimonianza biblica» (pp. 34-35).

Ratzinger ha spiegato molto bene tali concetti ne La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa (1979) e successivamente nel terzo capitolo di Maria. Chiesa nascente (1998), da cui abbiamo citato.
  

L’enciclica Redemptoris Mater e Maria nel mistero cristologico

Di queste due opere mariologiche del futuro papa Benedetto XVI abbiamo scritto più volte. Ma intanto, dell’Introduzione-commento del cardinale Ratzinger a Redemptoris mater di Giovanni Paolo II, riportiamo più estesamente quanto già riproposto in altre occasioni sul rischio di una lettura femminista dell’enciclica.

Ratzinger introduce il discorso facendo riferimento proprio a tale rischio: «Un’enciclica mariana, un anno mariano [si tratta del 1987, ndr]», scrive senza mezzi termini, «suscitano in genere poco entusiasmo nel cattolicesimo tedesco. Si teme possano appesantire il clima ecumenico; si paventa il pericolo di una pietà troppo emozionale, incapace di reggere di fronte a criteri teologici rigorosi.

«La comparsa di tendenze femministe ha naturalmente introdotto un elemento nuovo e inatteso, che minaccia di scompigliare un poco i fronti. Da un lato, l’immagine che la Chiesa traccia di Maria viene ivi presentata come la canonizzazione della dipendenza della donna e come la consacrazione della sua oppressione: la glorificazione della Vergine e Madre servizievole, obbediente e umile avrebbe fissato per secoli il ruolo della donna; una glorificazione tesa a tenerla soggetta. Dall’altro lato, la figura di Maria offre lo spunto per un’interpretazione nuova e rivoluzionaria della Bibbia: i teologi della liberazione si richiamano al "Magnificat" che annuncia la caduta dei potenti e l’elevazione degli umili; così il "Magnificat" diventa il faro di una teologia che considera suo compito incitare all’abbattimento degli ordinamenti esistenti» (Maria. Chiesa nascente, p. 29).

Sembra che sia specialmente questo secondo rischio a preoccupare il teologo Ratzinger: «La lettura femministica della Bibbia vede in Maria la donna emancipata che, libera e consapevole del proprio compito, si oppone a una cultura dominata dai maschi. La sua figura, assieme ad altri indizi speciosi, diventa una chiave ermeneutica che alluderebbe a un cristianesimo originariamente del tutto diverso, il cui slancio liberatore sarebbe poi stato di nuovo presto attutito e neutralizzato dalla struttura del potere maschile.

«Il carattere tendenzioso e forzato di simili interpretazioni è facile da riconoscere; comunque esse potrebbero avere il vantaggio di renderci di nuovo più attenti a quel che la Bibbia ha effettivamente da dire su Maria. Questo potrebbe perciò essere anche il momento di prestare più attenzione del solito a un’enciclica mariana, che da parte sua si preoccupa unicamente di far parlare la Bibbia» (pp. 29-30).

«Tanto più importante diventa leggere la Bibbia stessa e leggerla tutta. Allora si vede che, nell’Antico Testamento, accanto e con la linea che va da Adamo, ai patriarchi e al Servo del Signore, corre la linea che va da Eva, alle donne dei patriarchi, a figure come Debora, Ester e Rut e infine alla Sophia – un cammino che non si può teologicamente minimizzare, per quanto esso sia inconcluso e quindi aperto nella sua affermazione, per quanto esso sia incompiuto come tutto l’Antico Testamento, che rimane nell’attesa del Nuovo e della sua risposta. Ma come la linea adamitica riceve il suo senso da Cristo, così alla luce della figura di Maria e nella posizione dell’"ecclesia" diventa chiaro il significato della linea femminile, nella sua unione inseparabile col mistero cristologico.

«La scomparsa di Maria e dell’"ecclesia" in una corrente importante della teologia contemporanea è indice della sua incapacità di leggere la Bibbia nella sua totalità. L’allontanamento dall’"ecclesia" fa anzitutto scomparire il luogo esperienziale in cui tale unità diventa visibile. Tutto il resto segue poi da solo. Viceversa, per poter percepire il tutto, si presuppone l’accettazione del luogo fondamentale ecclesiale e quindi anche la rinuncia a una selezione storicistica all’interno del Nuovo Testamento, selezione secondo la quale ciò che si presume sia più antico viene dichiarato l’unico valido, con conseguente deprezzamento di Luca e Giovanni. Invece solo nel tutto troviamo il tutto.

«I radicalismi che lacerano il nostro tempo, che spingono la lotta di classe fino alle radici dell’essere umano – al rapporto fra uomo e donna – sono "eresie" nel senso letterale del termine: selezione, che rifiuta il tutto. Solo la riacquisizione di tutta la Bibbia può riportare l’uomo in quel centro, in cui egli diventa pienamente se stesso.

«Così il dramma odierno potrebbe aiutare a capire l’invito a una lettura anche mariana della Bibbia meglio di quanto ciò sembrasse possibile fino a poco tempo fa; viceversa noi abbiamo bisogno di questa lettura per poter far fronte alla sfida antropologica odierna» (Maria. Chiesa nascente, pp. 35-36).

Bruno Simonetto

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La mariologia di Benedetto XVI – 24

 
di BRUNO SIMONETTO

Il significato teologico dell’Assunzione
   

Il dogma dell’Assunta mette al riparo l’indispensabile tensione escatologica del credente, indicando in Maria il destino immortale che tutti ci attende.

In due precedenti puntate di questa rubrica abbiamo riproposto l’insegnamento di papa Benedetto XVI sul dogma dell’Assunzione di Maria al cielo. Ora, integrando questo specifico tema con riflessioni proposte dal suo eccezionale magistero in altri scritti, in omelie e ai vari Angelus, arricchiamo il quadro della mariologia di papa Ratzinger sul significato teologico-spirituale della festa dell’Assunta, che la Chiesa celebra il 15 agosto.

Ricordavamo intanto che il contenuto dogmatico dell’Assunta è spiegato da Ratzinger come espressione del supremo culto della Chiesa a Maria, vista nella pienezza escatologica (= definitiva, finale) della sua unione con Dio; e che nel dogma dell’Assunta trova fondamento il senso escatologico dell’immortalità dell’uomo e la realizzazione della pienezza del nostro battesimo.

Assunzione di Maria, di Annibale Carracci (1600), a Santa Maria del Popolo (Roma).
Assunzione di Maria, di Annibale Carracci (1600), a Santa Maria del Popolo (Roma).

Antologia dagli scritti di Ratzinger

1. La prima riflessione è tratta dal libro di Joseph Ratzinger Speranza del grano di senape. Meditazioni per ogni mese dell’anno (Queriniana, Brescia 2006, pp. 51ss.; l’originale tedesco è del 1974), da cui riprendiamo il brano che segue.

«Al giorno d’oggi, il dogma dell’Assunzione corporea di Maria alla gloria celeste ci è piuttosto estraneo e sfuggevole. Quasi tutti i suoi elementi suonano come parole originali, senza che ci sia possibile coglierne pienamente il senso: Maria, il cielo, la gloria. Una sola parola intendiamo bene: il corpo.

«Ciò che viene affermato in questa festa [dell’Assunta] è una confessione di fede nel corpo; e quindi nella terra, nella materia e nel futuro di tutte queste realtà. La Chiesa, in apparenza ostile al corpo, con questo dogma ha intonato un inno al corpo e lo ha posto in correlazione con quanto è divino. Infatti, il rapporto tra corpo e cielo, qui posto in luce, significa in verità una forte valutazione positiva del corpo: il corpo umano non è solo materia, ma ha un rapporto con il "cielo", cioè con Dio. Forse ciò ci risulta poco comprensibile, poiché in questa formulazione viene saltato un passaggio, intermedio, o esso viene dato come presupposto e di per sé evidente. Essa concerne quanto qui è più d’ogni altra cosa in gioco: il corpo ha a che fare con il cielo, perché esso ha a che fare con quanto è umano nell’uomo.

«Questa è un’affermazione di grandissima attualità; [...] poiché è soltanto quando si sa apprezzare l’umano alla luce della promessa di Dio che si rende davvero onore al corpo.

«Per queste ragioni, il reale radicamento dell’agire di Dio nel profondo della corporeità è – sia detto senza spiritualismi né saccenteria – tanto importante: iniziato con la nascita dalla Vergine Maria, esso ha raggiunto il culmine con la risurrezione del Signore e nel fatto che il di Dio, mediante il Figlio, ha potuto di nuovo incarnarsi nel della prima credente.

«E così tutte le parole del dogma [dell’Assunzione] confluiscono insieme: prima cielo e corpo, e ora anche Maria e gloria, corpo e cielo».

2. Nella seconda parte dell’opera La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa (Jaca Book, Milano 1979), che tratta della fede mariana della Chiesa, troviamo un’importante affermazione del futuro papa Benedetto XVI: «La fede nell’esenzione di Maria da ogni peccato genera, a sua volta, la convinzione della sua partecipazione al destino di risurrezione del Figlio ed alla sua vittoria sulla morte» («assumpta est Maria in coelum», Denzinger-Schönmezter 3900-3904).

Riprendendo altrove tale discorso per spiegarlo diffusamente, il cardinale Ratzinger ricorre alla teologia battesimale elaborata da san Paolo che afferma: «Con lui [= Cristo] Dio ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6). «Questo significa – rispondeva al giornalista tedesco Peter Seewald che lo intervistava sui principali temi della nostra fede – che, in quanto battezzati, il nostro futuro è già tracciato.

Papa Benedetto XVI nella "casa" di Maria a Efeso (28 novembre 2006, viaggio in Turchia).
Papa Benedetto XVI nella "casa" di Maria a Efeso (28 novembre 2006, viaggio in Turchia).

«Secondo il dogma dell’Assunzione di Maria al cielo si adempie, infatti, pienamente in Maria ciò che il battesimo opera in tutti noi: il dimorare ("sedere") con Dio "nei cieli" (perché Dio è nei Cieli!). Il battesimo (cioè, l’unione a Cristo) dispiega in Maria la sua massima efficacia. In noi l’unione a Cristo, la risurrezione, è una condizione ancora incompiuta e imperfetta. Non così per lei, cui non manca più nulla, poiché è già entrata nella piena comunione con Cristo. E di questa comunione è partecipe anche una nuova corporeità, per noi inimmaginabile. In breve, il portato essenziale di questo dogma è la pienezza dell’unione di Maria a Dio, a Cristo, la pienezza del suo essere "cristiana"» (Joseph Ratzinger, Dio e il mondo, San Paolo 2001, p. 277).

3. In colloquio con Vittorio Messori (raccolto nel famoso Rapporto sulla fede, San Paolo 1985, più volte ristampato), a proposito dei dogmi mariani Joseph Ratzinger diceva ancora: «La Chiesa ha proclamato i dogmi mariani – prima la verginità perpetua e la maternità divina, e poi, dopo una lunga maturazione e riflessione, il concepimento senza la macchia del peccato originale e l’assunzione al cielo – come atto direttamente funzionale alla fede in Cristo e non, in prima battuta, per devozione verso Maria, sua madre.

«Questi dogmi mettono al riparo la fede autentica in Cristo, vero Dio e vero uomo: due nature in una sola persona. Mettono al riparo anche l’indispensabile tensione escatologica, indicando in Maria Assunta il destino immortale che tutti ci attende. E mettono a riparo pure la fede, oggi minacciata, in Dio Creatore che [...] può liberamente intervenire anche sulla materia. Insomma, come ricorda anche il Concilio [Vaticano II], "Maria, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce in certa misura e riverbera i massimi dati della fede" (LG 65)» (pp. 107ss.).

L’esistenza umana nella prospettiva dell’eternità

Altri pensieri di spiritualità ci vengono offerti dall’omelia tenuta da papa Benedetto XVI nella festa dell’Assunta del 2005 e alla recita dell’Angelus nel 2005 e nel 2006.

a) «Maria è assunta in cielo in corpo e anima: anche per il corpo c’è posto in Dio. Il cielo non è più per noi una sfera molto lontana e sconosciuta. Nel cielo abbiamo una Madre. E la Madre di Dio, la Madre del Figlio di Dio, è la nostra Madre. Egli stesso lo ha detto. Ne ha fatto la nostra Madre, quando ha detto al discepolo e a tutti noi: "Ecco la tua Madre!". Nel cielo abbiamo una Madre. Il cielo è aperto, il cielo ha un cuore» (omelia del 15 agosto 2005).

b) «Maria è assunta in corpo e anima alla gloria del cielo e con Dio e in Dio è regina del cielo e della terra. È forse così lontana da noi? È vero il contrario: proprio perché è con Dio e in Dio, è vicinissima ad ognuno di noi. Quando era in terra poteva essere vicina solo ad alcune persone. Essendo in Dio, che è vicino a noi – anzi, che è "interiore" a noi tutti –, Maria partecipa a questa vicinanza in Dio.

«Essendo in Dio e con Dio, è vicina a ognuno di noi, conosce il nostro cuore, può sentire le nostre preghiere, può aiutarci con la sua bontà materna e ci è data – come è detto dal Signore – proprio come "madre" alla quale possiamo rivolgerci in ogni momento. Ella ci ascolta sempre, ci è sempre vicina, ed essendo Madre del Figlio, partecipa del potere del Figlio, della sua bontà. Perciò, possiamo sempre affidare tutta la nostra vita a questa Madre, che non è lontana da nessuno di noi» (omelia del 15 agosto 2005).

Assunzione della Vergine, di Juan Martin Cabezalero (1665-70, Madrid).
Assunzione della Vergine, di Juan Martin Cabezalero (1665-70, Madrid).

c) «Nell’odierna solennità dell’Assunta contempliamo il mistero del passaggio di Maria da questo mondo al Paradiso: celebriamo, potremmo dire, la sua "pasqua". Come Cristo risuscitò dai morti con il suo corpo glorioso e ascese al cielo, così la Vergine Santa, a Lui pienamente associata, è stata assunta nella gloria celeste con l’intera sua persona. Anche in questo, la Madre ha seguito più da vicino il suo Figlio e ha preceduto tutti noi. Accanto a Gesù, nuovo Adamo, che è "la primizia" dei risorti (cf 1Cor 15,20.23), la Madonna, nuova Eva, appare come "primizia e immagine della Chiesa" (Prefazio), "segno di sicura speranza" per tutti i cristiani nel pellegrinaggio terreno (cf LG 68)».

«La festa dell’Assunta, tanto cara alla tradizione popolare, costituisce così per tutti i credenti un’utile occasione per meditare sul senso vero e sul valore dell’esistenza umana nella prospettiva dell’eternità. Cari fratelli e sorelle, è il Cielo la nostra definitiva dimora. Da lì Maria ci incoraggia con il suo esempio ad accogliere la volontà di Dio, a non lasciarci sedurre dai fallaci richiami di tutto ciò che è effimero e passeggero, a non cedere alle tentazioni dell’egoismo e del male che spengono nel cuore la gioia della vita» (Angelus, 15 agosto 2005).

d) «Maria è esempio e sostegno per tutti i credenti: ci incoraggia a non perderci di fiducia dinanzi alle difficoltà e agli inevitabili problemi di tutti i giorni. Ci assicura il suo aiuto e ci ricorda che l’essenziale è cercare e pensare "alle cose di lassù, non a quelle della terra" (Col 3,2). Presi dalle occupazioni quotidiane, rischiamo infatti di ritenere che sia qui, in questo mondo nel quale siamo solo di passaggio, lo scopo ultimo dell’umana esistenza. Invece è il Paradiso la vera meta del nostro pellegrinaggio terreno.

«Quanto diverse sarebbero le nostre giornate se ad animarle fosse questa prospettiva! Così è stato per i santi. Le loro esistenze testimoniano che quando si vive con il cuore costantemente rivolto a Dio, le realtà terrene sono vissute nel loro giusto valore perché ad illuminarle è la verità eterna dell’amore divino» (Angelus, 15 agosto 2006).

A Maria Assunta in cielo eleviamo con Tonino Bello il canto della fede e della speranza, come ci insegna papa Benedetto XVI: «Santa Maria, Madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio sulle strade della vita, ogni volta che contempliamo le cose grandi che l’Onnipotente ha fatto in te, proviamo una così viva malinconia per le nostre lentezze, che sentiamo il bisogno di allungare il passo per camminarti vicino.

«Asseconda pertanto il nostro desiderio di prenderti per mano, e accelera le nostre cadenze di camminatori un po’ stanchi.

«Divenuti anche noi pellegrini nella fede, non solo cercheremo il volto del Signore, ma, contemplandoti quale icona della sollecitudine umana verso coloro che si trovano nel bisogno, raggiungeremo in fretta la "città", recando gli stessi frutti di gioia che portasti un giorno a Elisabetta lontana».

Bruno Simonetto

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La mariologia di Benedetto XVI – 25

 
di BRUNO SIMONETTO

Il rosario secondo Ratzinger
  http://www.stpauls.it/madre/0710md/0710md16.htm 

Tutta la mariologia di Benedetto XVI confluisce in certo modo nel rosario: ne è come l’espressione riepilogativa. Presentiamo, oltre ad alcuni discorsi, squarci intimi di come il Papa vive questa preghiera.

Nel mese del rosario, proponiamo ancora una riflessione sull’importanza che Benedetto XVI riserva a questa devozione mariana, sempre vivamente raccomandata dai Papi, ricordando intanto la risposta che dava, ancora cardinale, nel 2000 al giornalista Peter Seewald che gli chiedeva: «Eminenza, quale pensa sia il segreto misterioso del rosario?». Ratzinger rispondeva puntualmente tracciando una specie di excursus storico-psicologico della pratica del rosario ed evidenziandone tutta la potenzialità: «L’origine storica del rosario risale al Medioevo. Era quello un tempo in cui i salmi rappresentavano il punto di riferimento principale per chi pregava. Ma i salmi biblici rappresentavano un ostacolo insuperabile per tutti coloro che all’epoca non sapevano leggere, che erano i più. Si è così cercato un salterio adeguato alle loro esigenze e lo si è trovato nella preghiera mariana cui si aggiungevano i misteri della vita di Gesù Cristo, allineati, uno dopo l’altro, come grani di una collana.

«Queste preghiere toccano la corda della meditazione; la reiterazione delle parole, il ritmo ripetitivo cullano l’anima e le trasmettono serenità, mentre il concentrarsi sulla parola e in particolare sulla figura di Maria e sulle immagini di Cristo, che si sgranano davanti ai nostri occhi, calmano l’anima e la liberano da preoccupazioni e le consentono di sollevare lo sguardo verso Dio.

«In effetti», continua, «il rosario ci restituisce quella sapienza originaria che sa bene come la reiterazione sia una componente importante della preghiera e della meditazione, sia un modo per cullarsi in un ritmo sempre uguale che ci trasmette la serenità [...].

«Coloro che allora recitavano il rosario, avevano duramente lavorato tutto il giorno. Non erano in grado, pregando, di compiere grandi percorsi intellettuali. Al contrario, avevano bisogno di una preghiera che restituisse loro la serenità, che li distraesse anche, che li liberasse dalle preoccupazioni e offrisse loro consolazione e ristoro. Penso che questa arcaica esperienza della storia delle religioni della reiterazione, del ritmo, della parola collettiva, della coralità che mi trascina e mi culla e riempie di sé lo spazio, che non mi tormenta, ma mi trasmette la calma, mi consola e mi libera, è stata pienamente assunta dal cristianesimo e ispira la preghiera e l’interiorizzazione della preghiera nel contesto mariano e nella riproposizione della figura di Cristo agli uomini, scavalcando l’intellettualismo a favore di una valorizzazione dell’effetto rasserenante che produce il cullarsi dell’anima nelle parole della preghiera» (Dio e il mondo, San Paolo 2001, pp. 289-290).

Papa Benedetto XVI recita il rosario (visita al santuario del Divino Amore del 1° maggio 2006).
Papa Benedetto XVI recita il rosario (visita al santuario del Divino Amore del 1° maggio 2006).

Da una riflessione di carattere più generale, il discorso dell’intervistatore si spostava su note più personali circa il modo di recitare il rosario dell’intervistato. Chiedeva Peter Seewald: «Lei ha una maniera particolare di recitare il rosario?». E il cardinale rispondeva con disarmante semplicità: «Lo faccio in modo molto semplice, proprio come i miei genitori mi hanno insegnato. Entrambi hanno amato molto il rosario. E più sono invecchiati più l’hanno amato. Invecchiando, si è sempre meno in grado di fare grossi sforzi spirituali e tanto più forte si sente l’esigenza di individuare un rifugio interiore e di farsi cullare dalle preghiere della Chiesa. Anch’io prego nel modo in cui l’hanno fatto loro».

Insisteva il giornalista: «Ma come si fa? Recita una sola parte del rosario o tutte e tre di seguito?». E Ratzinger, con umiltà e sincerità: «No, tre per me sono troppe; sono uno spirito irrequieto, non conserverei la concentrazione tanto a lungo. Ne scelgo una, e spesso mi limito alla proclamazione di due o tre dei cinque misteri, perché corrispondono alla pausa che io riesco a ritagliarmi dal lavoro e di cui ho bisogno per sgombrare la mente, per ritrovare serenità, in attesa di immergermi di nuovo nel lavoro, con più lena. In questa situazione un rosario intero sarebbe troppo» (pp. 290-291).

In realtà, si può dire che tutta la mariologia di Papa Ratzinger confluisce nel rosario, che per lui ne è come l’espressione riepilogativa.

Esortazioni di papa Benedetto alla pratica del rosario

A puro titolo esemplificativo (perché in tante altre occasioni anche papa Ratzinger – come gli altri Pontefici – ha invitato a ricorrere alla preghiera del rosario), citiamo alcune esortazioni di Benedetto XVI a questa pia pratica:

1 Nel Messaggio ai giovani d’Olanda, in occasione della 1ª Giornata nazionale dei giovani cattolici, scriveva (21 novembre 2005): «Vi invito a cercare ogni giorno il Signore, che non desidera altro se non che siate realmente felici. Intrattenete con Lui una relazione intensa e costante nella preghiera e, per quanto vi è possibile, trovate momenti propizi nella vostra giornata per restare esclusivamente in sua compagnia. Se non sapete come pregare, chiedete che sia Lui stesso ad insegnarvelo e domandate alla sua celeste Madre di pregare con voi e per voi. La recita del rosario può aiutarvi ad imparare l’arte della preghiera con la semplicità e la profondità di Maria».

2 In visita al santuario del Divino Amore a Roma, il Papa ha aperto nel 2006 il mese di maggio con la recita dei misteri gaudiosi del santo rosario, che ha poi sapientemente illustrato: « È per me motivo di conforto essere oggi con voi per recitare il santo rosario, in questo santuario della Madonna del Divino Amore, in cui si esprime il devoto affetto per la Vergine Maria, radicato nell’animo e nella storia del popolo di Roma. Una gioia particolare nasce dal pensiero di rinnovare così l’esperienza del mio amato predecessore Giovanni Paolo II che, esattamente ventisette anni or sono, primo giorno del mese di maggio 1979, compì la sua prima visita da Pontefice a questo santuario [...].

«Abbiamo recitato il santo rosario percorrendo i cinque misteri gaudiosi, che fanno passare davanti agli occhi del nostro cuore gli inizi della nostra salvezza, dal concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria fino al ritrovamento di Lui, ormai dodicenne, nel tempio di Gerusalemme, mentre ascoltava e interrogava i dottori. Abbiamo ripetuto e fatto nostre le parole dell’angelo: "Rallègrati Maria, piena di grazia, il Signore è con te", e anche le espressioni con cui santa Elisabetta accolse la Vergine, che si era prontamente recata da lei per aiutarla e servirla: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo". Abbiamo contemplato la fede docile di Maria, che si fida senza riserve di Dio e si mette totalmente nelle sue mani. Ci siamo sentiti anche noi, con i pastori, vicini al bambino Gesù che giace nella mangiatoia e abbiamo riconosciuto e adorato in Lui il Figlio eterno di Dio diventato, per amore, nostro fratello e così anche nostro unico Salvatore. Siamo entrati anche noi, con Maria e Giuseppe, nel tempio per offrire a Dio il bambino e compiere il rito della purificazione: e qui ci siamo sentiti anticipare, nelle parole del vecchio Simeone, insieme alla salvezza la contraddizione e la croce, e quella spada che, sotto la croce del Figlio, trafiggerà l’anima della Madre e proprio così la renderà non soltanto Madre di Dio ma anche nostra comune madre».

3 Nell’omelia a commento della recita del rosario nel santuario dell’Aparecida (12 maggio 2007), nel recente viaggio apostolico in Brasile, il Papa ha detto: «Come gli apostoli, insieme a Maria, "salirono alla stanza superiore" e lì, "uniti dallo stesso sentimento, si dedicavano assiduamente alla preghiera" (cf At 1,13-14), così anche noi quest’oggi ci siamo radunati qui nel santuario di Nostra Signora della Concezione Aparecida, che in questa ora è per noi "la stanza superiore" dove Maria, Madre del Signore, si trova in mezzo a noi. Oggi è Lei che guida la nostra meditazione; è Lei che ci insegna a pregare. È Lei che ci addita il modo di aprire le nostre menti ed i nostri cuori alla potenza dello Spirito Santo, che viene per essere trasmesso al mondo intero.

«Abbiamo appena recitato il rosario. Attraverso i suoi cicli meditativi, il divino Consolatore vuole introdurci nella conoscenza del Cristo che sgorga dalla fonte limpida del testo evangelico. Dal canto suo, la Chiesa del terzo millennio si propone di offrire ai cristiani la capacità di "conoscere – secondo le parole di San Paolo – il mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,2-3).

«Maria santissima, la Vergine pura e senza macchia, è per noi scuola di fede destinata a guidarci e a darci forza sul sentiero che porta incontro al Creatore del cielo e della terra.

«Il Papa è venuto ad Aparecida con viva gioia per dirvi innanzitutto: "Rimanete alla scuola di Maria!". Ispiratevi ai suoi insegnamenti, cercate di accogliere e di conservare nel cuore le luci che Lei, per mandato divino, vi invia dall’alto.

«Com’è bello stare qui riuniti nel nome di Cristo, nella fede, nella fraternità, nella gioia, nella pace e "nella preghiera con Maria, la Madre di Gesù" (At 1,14).

«Com’è bello, carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, seminaristi e famiglie cristiane, essere qui nel santuario di Nostra Signora della Concezione Aparecida, che è dimora di Dio, casa di Maria e casa dei fratelli, e che in questi giorni si trasforma anche in sede della V Conferenza episcopale latino-americana e dei Caraibi.

«Com’è bello essere qui in questa basilica mariana verso la quale, in questo tempo, convergono gli sguardi e le speranze del mondo cristiano, in modo speciale dell’America Latina e dei Caraibi!

«È con grande speranza che mi rivolgo a voi tutti che vi trovate all’interno di questa maestosa basilica, o che hanno partecipato al santo rosario stando all’esterno, per invitarvi a diventare profondamente missionari e a portare la buona novella del Vangelo a tutti i punti cardinali dell’America Latina e del mondo. Chiediamo alla Madre di Dio, Nostra Signora della Concezione Aparecida, che protegga la vita di tutti i cristiani. Lei, che è la Stella dell’Evangelizzazione, guidi i nostri passi sul cammino verso il Regno celeste».

Bruno Simonetto

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La mariologia di Benedetto XVI – 26

 
di BRUNO SIMONETTO

Un antidoto all’"eresia eterna"
   

Nel 1997 il cardinale Ratzinger pubblicava un commento alla Redemptoris Mater, in cui presenta Maria come "antidoto" ad eresie ricorrenti nella storia, frutto di una visione negativa del femminile.

In occasione della presentazione dell’Enciclica di Giovanni Paolo II Redemptoris Mater, nel 1997, l’allora cardinale Ratzinger pubblicò una riflessione sull’utilità del documento pontificio (Maria tra femminismo e gnosi) nella quale affrontava diversi temi di natura esegetico-biblica.

Riproduciamo qui – con qualche annotazione esplicativa – la parte di tale riflessione relativa al ruolo della Beata Vergine Maria quale «antidoto all’eresia eterna» costituita dalla gnosi, al moderno femminismo e ad altri errori teologici connessi.

«Il cosiddetto Vangelo degli Egiziani (risalente al secolo II) attribuisce queste parole a Gesù: "Sono venuto ad annullare le opere della realtà femminile". Tali parole esprimono un motivo fondamentale dell’interpretazione gnostica del cristianesimo, motivo che – in una formulazione un po’ diversa – ricorre anche nel cosiddetto Vangelo di Tommaso: «Allorché di due ne farete uno, allorché farete [...] la parte superiore come l’inferiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere, sicché non vi sia più né maschio né femmina [...], allora entrerete nel regno» (loghion 15, p. 486). Similmente ivi leggiamo, in chiara contrapposizione a Galati 4,4: "Quando vedrete colui che non è nato da donna, prostratevi bocconi e adoratelo: egli è il vostro padre".

«In questo contesto è interessante osservare come Romano Guardini vede un segno del superamento dello schema fondamentale gnostico da parte degli scritti giovannei [Vangelo e lettere di Giovanni, più Apocalisse, ndr] nel fatto che "nel complesso dell’Apocalisse, il femminile gode di quella pari dignità del maschile, che Cristo gli ha conferito. È vero che il momento del male, della sensualità e del femminile confluiscono nella figura della prostituta babilonese; ciò però sarebbe pensato in termini gnostici se dall’altra parte il bene comparisse solo in figura maschile. In verità esso trova un’espressione radiosa nella comparsa della donna cinta di stelle. Se proprio volessimo parlare di una prevalenza, dovremmo piuttosto assegnarla al femminile; infatti, la figura in cui il mondo redento si struttura in maniera definitiva è quello della "sposa"».

Il cardinale Joseph Ratzinger nel 1997, quando commentò la Redemptoris Mater.
Il cardinale Joseph Ratzinger nel 1997, quando commentò la Redemptoris Mater.

Un problema di giusta interpretazione della Bibbia

«Con questa osservazione Guardini ha messo il dito su una questione fondamentale di una giusta interpretazione della Bibbia. L’esegesi gnostica è caratterizzata dal fatto di identificare il femminile con la materia, con il negativo e con il nulla, cose che non possono far parte dell’affermazione salvifica della Bibbia; naturalmente, simili posizioni radicali possono anche capovolgersi nel loro opposto, nella rivolta contro valutazioni del genere e nel loro completo rovesciamento.

«Nell’evo moderno, a partire dal messaggio biblico, ha preso piede per altri motivi una esclusione meno radicale, ma non meno efficace del femminile; un "solus Christus" esagerato indusse a rifiutare ogni cooperazione della creatura, ogni significato autonomo della sua risposta e a vedervi un tradimento della grandezza della grazia. Perciò da Eva fino a Maria, lungo la linea femminile della Bibbia, non poteva esserci nulla di teologicamente rilevante: quanto i Padri e il Medioevo avevano detto al riguardo fu inesorabilmente bollato come ritorno al paganesimo e tradimento dell’unicità del Redentore.

«I femminismi radicali odierni», argomenta Ratzinger, «vanno senza dubbio interpretati solo come lo sfogo dello sdegno per una simile unilateralità, sfogo a lungo represso e che ora assume naturalmente posizioni davvero pagane o neognostiche: la rinuncia al Padre e al Figlio, che ivi si verifica, colpisce al cuore la testimonianza biblica.

«Tanto più importante diventa leggere la Bibbia stessa e leggerla tutta. Allora si vede che, nell’Antico Testamento, accanto e con la linea che va da Adamo ai patriarchi e al Servo di Dio, corre la linea che va da Eva, alle donne dei patriarchi, a figure come Debora, Ester e Rut e infine alla Sophia: un cammino che non si può teologicamente minimizzare, per quanto esso sia inconcluso e quindi aperto nella sua affermazione, per quanto esso sia incompiuto come tutto l’Antico Testamento, che rimane nell’attesa del Nuovo e della sua risposta. Ma come la linea adamitica riceve il suo senso da Cristo, così alla luce della figura di Maria e nella posizione della ecclesia diventa chiaro il significato della linea femminile, nella sua unione inseparabile col mistero cristologico.

«La scomparsa di Maria e della ecclesia in una corrente importante della teologia contemporanea è indice della sua incapacità di leggere la Bibbia nella sua totalità. L’allontanamento dalla ecclesia fa anzitutto scomparire il luogo esperienziale in cui tale unità diventa visibile. Tutto il resto segue poi da solo. Viceversa, per poter percepire il tutto, si presuppone l’accettazione del luogo fondamentale ecclesiale e quindi anche la rinuncia a una selezione storicistica all’interno del Nuovo Testamento, selezione secondo la quale ciò che è presuntamente più antico viene dichiarato l’unico valido, con conseguente deprezzamento di Luca e di Giovanni. Invece, solo nel tutto troviamo il tutto».

Tali concetti sono stati illustrati da Ratzinger anche nei suoi due saggi mariologici: La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa e Maria. Chiesa nascente.

Il grande teologo e filosofo Romano Guardini (1885-1968).
Il grande teologo e filosofo Romano Guardini (1885-1968).

Maria e il nuovo femminismo

L’attenzione per la figura di Maria – che partecipa della condizione umana d’inferiorità sociale e religiosa in cui era lasciata la donna, ma che nello stesso tempo si eleva sulle sue sorelle come nuova Eva che esercita un influsso salvifico nella storia e come Theotókos o Madre verginale del Verbo incarnato – è intanto venuta recentemente crescendo nella riflessione della Chiesa, mentre il femminismo prende le distanze e non lesina critiche a questa immagine.

«La punta più impegnata del femminismo cattolico nei confronti della mariologia», rileva Stefano De Fiores in Maria. Nuovissimo Dizionario (vol. 1, EDB, pag. 621), «è rappresentata dalla teologa statunitense Elizabeth Johnson, che nel 2003 pubblica il grosso volume Vera nostra sorella. Una teologia di Maria nella comunione dei santi (Queriniana, Brescia 2005)».

La nuova prospettiva avanzata dalla Johnson è di lasciare il simbolismo per «vedere in Maria – storicamente madre di Gesù e definita nella fede Theotókos (o genitrice di Dio) – una donna concreta della nostra storia che ha camminato con lo Spirito [...]. La mia proposta è che per elaborare una teologia liberante di Maria una pista feconda sia collocarla nella comunione dei santi, e qui ricordarla, nel pericolo e nella consolazione, come una donna con la propria storia particolare, tra le sue contemporanee e dinanzi a Dio» (pp. 11 e 191).

Si tratta di un cambiamento radicale di prospettiva: superando l’inculturazione operata nel secondo millennio che considera Maria nella sua soggettività separata dall’economia della salvezza, occorre riallinearsi con il modello del primo millennio. Da mediatrice situata a metà strada tra Dio e noi, Maria deve tornare a essere «una donna che è vera nostra sorella nelle nostre lotte», deve cioè essere restituita alla sua umanità concreta. E da eccezione, conseguente alla cultura del privilegio, Maria deve essere vista con il Vaticano II come tipo e modello: «Soltanto quando Maria non sarà più l’eccezione, ma diventa la regola per lo status socio-ecclesiale delle donne, il suo culto potrà diventare credibile e la sua immagine potrà sviluppare un potere di trasformazione a favore della solidarietà, della giustizia e della liberazione» (E. Schüssler Fiorenza, Gesù, figlio di Miriam, profeta di Sophia. Questioni critiche di cristologia femminista, Torino 1996, p. 239).

Ma già il futuro papa Benedetto XVI nel citato commento all’Enciclica Redemptoris Mater aveva introdotto tale discorso, paventando il rischio di una lettura femminista del documento di Giovanni Paolo II: «La comparsa di tendenze femministe ha naturalmente introdotto un elemento nuovo e inatteso, che minaccia di scompigliare un poco i fronti. Da un lato, l’immagine che la Chiesa traccia di Maria viene ivi presentata come la canonizzazione della dipendenza della donna e come la consacrazione della sua oppressione: la glorificazione della Vergine e Madre servizievole, obbediente e umile avrebbe fissato per secoli il ruolo della donna; una glorificazione tesa a tenerla soggetta. Dall’altro lato, la figura di Maria offre lo spunto per un’interpretazione nuova e rivoluzionaria della Bibbia: i "teologi della liberazione" si richiamano al Magnificat che annuncia la caduta dei potenti e l’elevazione degli umili; così il Magnificat diventa il faro di una teologia che considera suo compito incitare all’abbattimento degli ordinamenti esistenti».

Sembra che fosse specialmente questo secondo rischio a preoccupare il teologo Ratzinger: «La lettura femminista della Bibbia», analizza, «vede in Maria la donna emancipata che, libera e consapevole del proprio compito, si oppone a una cultura dominata dai maschi. La sua figura, assieme ad altri indizi speciosi, diventa una chiave ermeneutica che alluderebbe a un cristianesimo originariamente del tutto diverso, il cui slancio liberatore sarebbe poi stato di nuovo presto attutito e neutralizzato dalla struttura del potere maschile.

La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, Bibbia miniata napoletana, 1340: un brano che viene spesso letto in modo fuorviante.
La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, Bibbia miniata napoletana, 1340:
 un brano che viene spesso letto in modo fuorviante.

«Il carattere tendenzioso e forzato di simili interpretazioni è facile da riconoscere; comunque, esse potrebbero avere il vantaggio di renderci di nuovo più attenti a quel che la Bibbia ha effettivamente da dire su Maria. Questo potrebbe perciò essere anche il momento di prestare più attenzione del solito a un’enciclica mariana, che da parte sua si preoccupa unicamente di far parlare la Bibbia». Proprio per questo, «al fine di rendere più accessibile e comprensibile il documento papale e per facilitarne la lettura», precisa Ratzinger, va posto in luce il modo di procedere dell’enciclica che invita:

1 A leggere la Bibbia come un tutto: «il Papa [in Redemptoris Mater] parla con la Bibbia in questo atteggiamento: egli prende le sue parole così come esse risultano dal suo significato totale, come verità, come informazione su ciò che Dio e l’uomo sono realmente».

2 La linea femminile nella Bibbia. Applicando questo principio alla Redemptoris Mater, osserva infine Ratzinger: «A mio giudizio, l’importanza e l’attualità dell’Enciclica consistono non da ultimo sul fatto che essa ci guida a riscoprire la linea femminile nella Bibbia, con il suo specifico contenuto salvifico, e a imparare che né la cristologia elimina il femminile o lo riduce a una realtà insignificante, né, viceversa, il riconoscimento del femminile pregiudica la cristologia. Solo nella loro giusta relazione e unione si manifesta la verità su Dio e su noi stessi».

Bruno Simonetto
   

Per saperne di più...

Gnosi/gnosticismo. Termine che viene dal greco (gnosis=conoscenza). Indica un complesso di dottrine filosofico-religiose, sorte verso il II secolo dopo Cristo, che fondono elementi attinti da varie tradizioni religiose. Tra le idee fondamentali: la contrapposizione tra Dio e il mondo/materia (visti come negativi), tra un Dio creatore (Demiurgo cattivo) e Dio redentore (buono), la "caduta" dell’anima dal mondo divino nella materia e la necessità di una rivelazione, destinata solo a pochi eletti, per ritornare a Dio (salvezza attraverso la conoscenza).

Alcune correnti della gnosi attingono molto dal cristianesimo e fanno di Gesù (visto come essere puramente spirituale, senza l’incarnazione) il "Salvatore" che rivela parole di sapienza nascosta agli uomini "spirituali". Gnostico è il Vangelo di Tommaso: Gesù parla (spesso con parole simili a quelle dei Vangeli), ma non si dice nulla delle sue azioni, né della sua incarnazione o della passione.


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La mariologia di Benedetto XVI – 27

 
di BRUNO SIMONETTO

La Madre di Gesù sintesi vivente del Vangelo
   

Nel magistero ordinario della predicazione papa Benedetto XVI ripropone con arte catechetica le sue grandi pagine di mariologia. Ne è un esempio l’omelia tenuta a Mariazell lo scorso 8 settembre.

Anche nella predicazione ordinaria, è sempre incisivo il magistero mariano di papa Ratzinger, profondo esegeta della parola di Dio applicata nel modo più autentico alla figura della Santa Vergine.

Del resto, Gesù Cristo, che è la verità (cf Gv 14,6), ha affidato agli apostoli il deposito della rivelazione da custodire fedelmente (cf 1Tm 6,20) e il compito di annunciarlo a tutte le genti (Mt 28,18-20). Gli apostoli lasciarono come successori nel loro compito di maestri i vescovi, perché il Vangelo fosse conservato integro e vivo nella Chiesa (cf Dei Verbum 7). Il carisma, il munus docendi del Papa e dei vescovi, consiste nel custodire, interpretare, esporre, difendere e trasmettere in forma viva e attuale, alla luce della rivelazione e sotto la guida dello Spirito Santo, i contenuti della fede e della morale. È compito peculiare del magistero dei pastori trasmettere i tesori sempre attuali della parola di Dio.

L’importanza di Maria nella storia della salvezza

L’importanza della Madre di Gesù nella storia della salvezza e il suo posto nella vita di fede e nell’esperienza spirituale del popolo cristiano, mai sfuggita al magistero dei papi e dei vescovi, sono un’esperienza quotidiana, una cordiale consuetudine, almeno nelle Chiese cattolica e orientale.

Natività del Beato Angelico (Convento di San Marco, Firenze, 1441).
Natività del Beato Angelico (Convento di San Marco, Firenze, 1441).

Giovanni Paolo II, nella Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo del 1995, scriveva che Maria è divenuta anche «fondamentale per il pensare cristiano. Lo è innanzitutto sul piano teologico, per lo specialissimo rapporto di Maria con il Verbo incarnato e la Chiesa, suo mistico corpo. Ma lo è anche sul piano storico, antropologico e culturale».

Non mancano, però, voci che ritengono Maria un fatto marginale nel cristianesimo o un’interpretazione esagerata del cattolicesimo romano. A queste si contrappongono non poche voci autorevoli di teologi, biblisti, patrologi e liturgisti che, per la loro consuetudine a scrutare e approfondire il mistero della Santissima Trinità, di Cristo e della Chiesa, hanno contribuito a dare ponderati contributi alla mariologia non solo cattolica.

Uno di questi teologi del nostro tempo è certamente Joseph Ratzinger, ora Papa, che sulla Madre di Gesù ha scritto e parlato in modo essenziale presentandola come sintesi vivente del Vangelo di Gesù e della missione compiuta nel suo nome, poiché insegna come si accoglie la Parola (Annunciazione), la si genera (Natività), la si presenta al mondo (Epifania), la si conserva dentro di sé (vita di Nazareth), le si crede (presenza a Cana), la si diffonde (Visitazione), le si è fedeli nell’ora della prova (Crocifissione), la si testimonia nella condivisione della fede (Pentecoste).

Per quanto riguarda Maria, nella lunga storia del cristianesimo, il magistero dei pastori è stato vigile nell’arginare insidiose deviazioni dottrinali riguardanti il ruolo e il significato della Madre del Signore, ricorrendo al testo evangelico; solerte nel discernere i fondamenti biblici della pietà ecclesiale e popolare; sollecito nel cogliere, dall’insieme della Scrittura, le radici di una divina Rivelazione su importanti punti della dottrina ecclesiale. Specialmente a partire dal Vaticano II, il magistero è stato sempre più attento alla necessaria dimensione trinitaria, ecclesiale, antropologica, ecumenica, interreligiosa e interculturale della mariologia.

Benedetto XVI, con la sua "mariologia breve", si pone nella scia di queste attenzioni, come risulta dai suoi scritti mariani. Lo conferma anche il magistero ordinario che si esprime nelle sue omelie nelle feste della Vergine Maria. Riportiamo ad esempio, qui di seguito, alcuni passaggi dell’omelia che Papa Ratzinger ha tenuto a Mariazell, nel suo recente viaggio apostolico in Austria, in occasione dell’850° anniversario della fondazione di quel santuario.

Omelia nella festa della Natività di Maria

Nell’omelia della messa celebrata nella festa della Natività di Maria l’8 settembre 2007, papa Benedetto XVI ha detto fra l’altro: «Oggi ci inseriamo nel grande pellegrinaggio di molti secoli. Facciamo una sosta dalla Madre del Signore e la preghiamo: "Mostraci Gesù. Mostra a noi pellegrini Colui che è insieme la via e la meta: la verità e la vita" [...].

«"Guardare a Cristo", è il motto di questo giorno. Questo invito, per l’uomo in ricerca, si trasforma sempre di nuovo in una spontanea richiesta, una richiesta rivolta in particolare a Maria, che ci ha donato Cristo come il Figlio suo: "Mostraci Gesù!". [...] Maria risponde, presentandolo a noi innanzitutto come bambino.

Gesù incontra sua madre, pirografia del paolino Mario Moscatello.
Gesù incontra sua madre, pirografia del paolino Mario Moscatello.

«Dio si è fatto piccolo per noi. Dio non viene con la forza esteriore, ma viene nell’impotenza del suo amore, che costituisce la sua forza. Egli si dà nelle nostre mani. Chiede il nostro amore. Ci invita a diventare anche noi piccoli, a scendere dai nostri alti troni ed imparare ad essere bambini davanti a Dio. Ci chiede di fidarci di lui e di imparare così a stare nella verità e nell’amore. Il bambino Gesù ci ricorda naturalmente anche tutti i bambini del mondo, nei quali vuole venirci incontro. I bambini che vivono nella povertà; che vengono sfruttati come soldati; che non hanno mai potuto sperimentare l’amore dei genitori; i bambini malati e sofferenti, ma anche quelli gioiosi e sani. L’Europa è diventata povera di bambini: noi vogliamo tutto per noi stessi, e forse non ci fidiamo troppo del futuro. Ma priva di futuro sarà la terra solo quando si spegneranno le forze del cuore umano e della ragione illuminata dal cuore, quando il volto di Dio non splenderà più sopra la terra. Dove c’è Dio, là c’è futuro.

«"Guardare a Cristo": gettiamo ancora brevemente uno sguardo al Crocifisso sopra l’altare maggiore. Dio ha redento il mondo non mediante la spada, ma mediante la croce. Morente, Gesù stende le braccia. Questo è innanzitutto il gesto della passione, in cui egli si lascia inchiodare per noi, per darci la sua vita. Ma le braccia stese sono allo stesso tempo l’atteggiamento dell’orante, una posizione che il sacerdote assume quando nella preghiera allarga le braccia: Gesù ha trasformato la passione – la sua sofferenza e la sua morte – in preghiera, e così l’ha trasformata in un atto di amore verso Dio e verso gli uomini. Per questo, le braccia stese del Crocifisso sono, alla fine, anche un gesto di abbraccio, con cui egli ci attrae a sé, vuole racchiuderci nelle mani del suo amore. Così Egli è un’immagine del Dio vivente, è Dio stesso, a lui possiamo affidarci.

«"Guardare a Cristo" . Se questo noi facciamo, ci rendiamo conto che il cristianesimo è di più e qualcosa di diverso da un sistema morale, da una serie di richieste e di leggi. È il dono di un’amicizia che perdura nella vita e nella morte: "Non vi chiamo più servi, ma amici" (cf Gv 15,15), dice il Signore ai suoi. A questa amicizia noi ci affidiamo. Ma proprio perché il cristianesimo è più di una morale, è appunto il dono di un’amicizia, proprio per questo porta in sé anche una grande forza morale di cui noi, davanti alle sfide del nostro tempo, abbiamo tanto bisogno. Se con Gesù Cristo e con la sua Chiesa rileggiamo in modo sempre nuovo il decalogo del Sinai, [...] allora ci si rivela come un grande, valido, permanente ammaestramento. Il decalogo è innanzitutto un "sì" a Dio, a un Dio che ci ama e ci guida, che ci porta e, tuttavia, ci lascia la nostra libertà, anzi, la rende vera libertà (i primi tre comandamenti). È un "sì" alla famiglia (quarto comandamento), un "sì" alla vita (quinto comandamento), un "sì" ad un amore responsabile (sesto comandamento), un "sì" alla solidarietà, alla responsabilità sociale e alla giustizia (settimo comandamento), un "sì" alla verità (ottavo comandamento) e un "sì" al rispetto delle altre persone e di ciò che ad esse appartiene (nono e decimo comandamento). In virtù della forza della nostra amicizia col Dio vivente noi viviamo questo molteplice "sì" e al contempo lo portiamo come indicatore di percorso in questa nostra ora del mondo.

«"Mostraci Gesù!". Con questa domanda alla Madre del Signore ci siamo messi in cammino verso questo luogo. Questa stessa domanda ci accompagnerà quando torneremo nella nostra vita quotidiana. E sappiamo che Maria esaudisce la nostra preghiera: sì, in qualunque momento, quando guardiamo verso Maria, lei ci mostra Gesù. Così possiamo trovare la via giusta, seguirla passo passo, pieni della gioiosa fiducia che la via conduce nella luce – nella gioia dell’eterno Amore. Amen».

Cosa osservare su questo discorso mariologico dal tono schiettamente biblico-pastorale che appartiene all’insegnamento ordinario del Papa? Solo che anche nella sua predicazione di ogni giorno il Santo Padre trova il modo migliore per applicare in modo "catechetico" a Maria la profondità della sua teologia, ampiamente documentata dai suoi studi.

Bruno Simonetto

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02/11/2008 17:47

Benedetto XVI al termine del Rosario a chiusura del mese dedicato a Maria
Il Magnificat è la più vera
interpretazione della storia



"Il Magnificat a distanza di secoli e millenni, resta la più vera e profonda interpretazione della storia". Lo ha affermato Benedetto xvi nel discorso al termine della recita del rosario a conclusione del mese mariano. La celebrazione si è svolta alla sera di sabato 31 maggio in piazza San Pietro.



Cari fratelli e sorelle!
Concludiamo il mese di maggio con questo suggestivo incontro di preghiera mariana. Vi saluto con affetto e vi ringrazio della vostra partecipazione. Saluto, in primo luogo, il Signor Cardinale Angelo Comastri; con lui saluto gli altri Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e sacerdoti, intervenuti a questa celebrazione serale. Estendo il mio saluto alle persone consacrate e a tutti voi, cari fedeli laici, che con la vostra presenza avete voluto rendere omaggio alla Vergine Santissima.
Celebriamo quest'oggi la festa della Visitazione della Beata Vergine e la memoria del Cuore Immacolato di Maria.

Tutto pertanto ci invita a volgere lo sguardo con fiducia a Maria. A Lei, anche questa sera, ci siamo rivolti con l'antica e sempre attuale pia pratica del Rosario. Il Rosario, quando non è meccanica ripetizione di formule tradizionali, è una meditazione biblica che ci fa ripercorrere gli eventi della vita del Signore in compagnia della Beata Vergine, conservandoli, come Lei, nel nostro cuore. In tante comunità cristiane, durante il mese di maggio, esiste la bella consuetudine di recitare in modo più solenne il Santo Rosario in famiglia e nelle parrocchie. Ora, che termina il mese, non cessi questa buona abitudine; anzi prosegua con ancor maggiore impegno, affinché, alla scuola di Maria, la lampada della fede brilli sempre più nel cuore dei cristiani e nelle loro case.

Nell'odierna festa della Visitazione la liturgia ci fa riascoltare il brano del Vangelo di Luca, che racconta il viaggio di Maria da Nazareth alla casa dell'anziana cugina Elisabetta. Immaginiamo lo stato d'animo della Vergine dopo l'Annunciazione, quando l'Angelo partì da Lei. Maria si ritrovò con un grande mistero racchiuso nel grembo; sapeva che qualcosa di straordinariamente unico era accaduto; si rendeva conto che era iniziato l'ultimo capitolo della storia della salvezza del mondo. Ma tutto, intorno a Lei, era rimasto come prima e il villaggio di Nazareth era completamente ignaro di ciò che Le era accaduto.

Prima di preoccuparsi di se stessa, Maria pensa però all'anziana Elisabetta, che ha saputo essere in gravidanza avanzata e, spinta dal mistero di amore che ha appena accolto in se stessa, si mette in cammino "in fretta" per andare a portarle il suo aiuto. Ecco la grandezza semplice e sublime di Maria! Quando giunge alla casa di Elisabetta, accade un fatto che nessun pittore potrà mai rendere con la bellezza e la profondità del suo realizzarsi. La luce interiore dello Spirito Santo avvolge le loro persone. Ed Elisabetta, illuminata dall'Alto, esclama: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1, 42-45).

Queste parole potrebbero apparirci sproporzionate rispetto al contesto reale. Elisabetta è una delle tante anziane di Israele e Maria una sconosciuta fanciulla di uno sperduto villaggio della Galilea. Che cosa possono essere e che cosa possono fare in un mondo nel quale contano altre persone e pesano altri poteri? Tuttavia, Maria ancora una volta ci stupisce; il suo cuore è limpido, totalmente aperto alle luce di Dio; la sua anima è senza peccato, non appesantita dall'orgoglio e dall'egoismo. Le parole di Elisabetta accendono nel suo spirito un cantico di lode, che è un'autentica e profonda lettura "teologica" della storia: una lettura che noi dobbiamo continuamente imparare da Colei la cui fede è senza ombre e senza incrinature. "L'anima mia magnifica il Signore". Maria riconosce la grandezza di Dio. Questo è il primo indispensabile sentimento della fede; il sentimento che dà sicurezza all'umana creatura e la libera dalla paura, pur in mezzo alle bufere della storia.

Andando oltre la superficie, Maria "vede" con gli occhi della fede l'opera di Dio nella storia. Per questo è beata, perché ha creduto: per la fede, infatti, ha accolto la Parola del Signore e ha concepito il Verbo incarnato. La sua fede Le ha fatto vedere che i troni dei potenti di questo mondo sono tutti provvisori, mentre il trono di Dio è l'unica roccia che non muta e non cade. E il suo Magnificat, a distanza di secoli e millenni, resta la più vera e profonda interpretazione della storia, mentre le letture fatte da tanti sapienti di questo mondo sono state smentite dai fatti nel corso dei secoli.

Cari fratelli e sorelle! Torniamo a casa con il Magnificat nel cuore. Portiamo in noi i medesimi sentimenti di lode e di ringraziamento di Maria verso il Signore, la sua fede e la sua speranza, il suo docile abbandono nelle mani della Provvidenza divina. Imitiamo il suo esempio di disponibilità e generosità nel servire i fratelli. Solo, infatti, accogliendo l'amore di Dio e facendo della nostra esistenza un servizio disinteressato e generoso al prossimo, potremo elevare con gioia un canto di lode al Signore. Ci ottenga questa grazia la Madonna, che questa sera ci invita a trovare rifugio nel suo Cuore Immacolato. A voi tutti la mia Benedizione.
(©L'Osservatore Romano - 2-3 giugno 2008)

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