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Il Papa e i Sacerdoti 2

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2008 18:49
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Sulla scia di questo forum:Il Papa e i Sacerdoti ....proseguiamo con i discorsi del Papa AI SACERDOTI...........
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SANTA MESSA DEL CRISMA NELLA BASILICA VATICANA

Alle ore 9.30 di oggi, ricorrenza del Giovedì Santo, il Papa presiede, nella Patriarcale Basilica Vaticana, la Santa Messa Crismale, Liturgia che si celebra in questo giorno in tutte le Chiese Cattedrali.

La Messa del Crisma è concelebrata dal Santo Padre Benedetto XVI con i Cardinali, i Vescovi e i Presbiteri - diocesani e religiosi - presenti a Roma.

Nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la rinnovazione delle promesse sacerdotali, vengono benedetti l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il crisma.

Riportiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la lettura del Santo Vangelo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Il Giovedì Santo è il giorno in cui il Signore diede ai Dodici il compito sacerdotale di celebrare, nel pane e nel vino, il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue fino al suo ritorno. Al posto dell'agnello pasquale e di tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza subentra il dono del suo Corpo e del suo Sangue, il dono di se stesso. Così il nuovo culto si fonda nel fatto che, prima di tutto, Dio fa un dono a noi, e noi, colmati da questo dono, diventiamo suoi: la creazione torna al Creatore. Così anche il sacerdozio è diventato una cosa nuova: non è più questione di discendenza, ma è un trovarsi nel mistero di Gesù Cristo. Egli è sempre Colui che dona e ci attira in alto verso di sé. Soltanto Lui può dire: "Questo è il mio Corpo – questo è il mio Sangue". Il mistero del sacerdozio della Chiesa sta nel fatto che noi, miseri esseri umani, in virtù del Sacramento possiamo parlare con il suo Io: in persona Christi. Egli vuole esercitare il suo sacerdozio per nostro tramite. Questo mistero commovente, che in ogni celebrazione del Sacramento ci tocca di nuovo, noi lo ricordiamo in modo particolare nel Giovedì Santo. Perché il quotidiano non sciupi ciò che è grande e misterioso, abbiamo bisogno di un simile ricordo specifico, abbiamo bisogno del ritorno a quell'ora in cui Egli ha posto le sue mani su di noi e ci ha fatti partecipi di questo mistero.

Riflettiamo perciò nuovamente sui segni nei quali il Sacramento ci è stato donato. Al centro c'è il gesto antichissimo dell'imposizione delle mani, col quale Egli ha preso possesso di me dicendomi: "Tu mi appartieni". Ma con ciò ha anche detto: "Tu stai sotto la protezione delle mie mani. Tu stai sotto la protezione del mio cuore. Tu sei custodito nel cavo delle mie mani e proprio così ti trovi nella vastità del mio amore. Rimani nello spazio delle mie mani e dammi le tue".

Ricordiamo poi che le nostre mani sono state unte con l'olio che è il segno dello Spirito Santo e della sua forza. Perché proprio le mani? La mano dell'uomo è lo strumento del suo agire, è il simbolo della sua capacità di affrontare il mondo, appunto di "prenderlo in mano". Il Signore ci ha imposto le mani e vuole ora le nostre mani affinché, nel mondo, diventino le sue. Vuole che non siano più strumenti per prendere le cose, gli uomini, il mondo per noi, per ridurlo in nostro possesso, ma che invece trasmettano il suo tocco divino, ponendosi a servizio del suo amore. Vuole che siano strumenti del servire e quindi espressione della missione dell'intera persona che si fa garante di Lui e lo porta agli uomini. Se le mani dell'uomo rappresentano simbolicamente le sue facoltà e, generalmente, la tecnica come potere di disporre del mondo, allora le mani unte devono essere un segno della sua capacità di donare, della creatività nel plasmare il mondo con l'amore – e per questo, senz'altro, abbiamo bisogno dello Spirito Santo. Nell'Antico Testamento l'unzione è segno dell'assunzione in servizio: il re, il profeta, il sacerdote fa e dona più di quello che deriva da lui stesso. In un certo qual modo è espropriato di sé in funzione di un servizio, nel quale si mette a disposizione di uno più grande di lui. Se Gesù si presenta oggi nel Vangelo come l'Unto di Dio, allora questo vuol proprio dire che Egli agisce per missione del Padre e nell'unità con lo Spirito Santo e che, in questo modo, dona al mondo una nuova regalità, un nuovo sacerdozio, un nuovo modo d'essere profeta, che non cerca se stesso, ma vive per Colui, in vista del quale il mondo è stato creato. Mettiamo le nostre mani oggi nuovamente a sua disposizione e preghiamolo di prenderci sempre di nuovo per mano e di guidarci.

Nel gesto sacramentale dell'imposizione delle mani da parte del Vescovo è stato il Signore stesso ad imporci le mani. Questo segno sacramentale riassume un intero percorso esistenziale. Una volta, come i primi discepoli, abbiamo incontrato il Signore e sentito la sua parola: "Seguimi!" Forse inizialmente lo abbiamo seguito in modo un po' malsicuro, volgendoci indietro e chiedendoci se la strada fosse veramente la nostra. E in qualche punto del cammino abbiamo forse fatto l'esperienza di Pietro dopo la pesca miracolosa, siamo cioè rimasti spaventati per la sua grandezza, la grandezza del compito e per l'insufficienza della nostra povera persona, così da volerci tirare indietro: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore!" (Lc 5, 8) Ma poi Egli, con grande bontà, ci ha preso per mano, ci ha tratti a sé e ci ha detto: "Non temere! Io sono con te. Non ti lascio, tu non lasciare me!" E più di una volta ad ognuno di noi è forse accaduta la stessa cosa che a Pietro quando, camminando sulle acque incontro al Signore, improvvisamente si è accorto che l'acqua non lo sosteneva e che stava per affondare. E come Pietro abbiamo gridato: "Signore, salvami!" (Mt, 14, 30). Vedendo tutto l'infuriare degli elementi, come potevamo passare le acque rumoreggianti e spumeggianti del secolo scorso e dello scorso millennio? Ma allora abbiamo guardato verso di Lui … ed Egli ci ha afferrati per la mano e ci ha dato un nuovo "peso specifico": la leggerezza che deriva dalla fede e che ci attrae verso l'alto. E poi ci dà la mano che sostiene e porta. Egli ci sostiene. Fissiamo sempre di nuovo il nostro sguardo su di Lui e stendiamo le mani verso di Lui. Lasciamo che la sua mano ci prenda, e allora non affonderemo, ma serviremo la vita che è più forte della morte, e l'amore che è più forte dell'odio. La fede in Gesù, Figlio del Dio vivente, è il mezzo grazie al quale sempre di nuovo afferriamo la mano di Gesù e mediante il quale Egli prende le nostre mani e ci guida.
 Una mia preghiera preferita è la domanda che la liturgia ci mette sulle labbra prima della Comunione: "…non permettere che sia mai separato da te". Chiediamo di non cadere mai fuori della comunione col suo Corpo, con Cristo stesso, di non cadere mai fuori del mistero eucaristico. Chiediamo che Egli non lasci mai la nostra mano…

Il Signore ha posto la sua mano su di noi. Il significato di tale gesto lo ha espresso nelle parole: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). Non vi chiamo più servi, ma amici: in queste parole si potrebbe addirittura vedere l'istituzione del sacerdozio. Il Signore ci rende suoi amici: ci affida tutto; ci affida se stesso, così che possiamo parlare con il suo Io – in persona Christi capitis. Che fiducia! Egli si è davvero consegnato nelle nostre mani. I segni essenziali dell'Ordinazione sacerdotale sono in fondo tutti manifestazioni di quella parola: l'imposizione delle mani; la consegna del libro – della sua parola che Egli affida a noi; la consegna del calice col quale ci trasmette il suo mistero più profondo e personale. Di tutto ciò fa parte anche il potere di assolvere: Ci fa partecipare anche alla sua consapevolezza riguardo alla miseria del peccato e a tutta l'oscurità del mondo e ci dà la chiave nelle mani per riaprire la porta verso la casa del Padre. Non vi chiamo più servi ma amici. È questo il significato profondo dell'essere sacerdote: diventare amico di Gesù Cristo.
Per questa amicizia dobbiamo impegnarci ogni giorno di nuovo. Amicizia significa comunanza nel pensare e nel volere. In questa comunione di pensiero con Gesù dobbiamo esercitarci, ci dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi (cfr 2, 2-5). E questa comunione di pensiero non è una cosa solamente intellettuale, ma è comunanza dei sentimenti e del volere e quindi anche dell'agire. Ciò significa che dobbiamo conoscere Gesù in modo sempre più personale, ascoltandolo, vivendo insieme con Lui, trattenendoci presso di Lui. Ascoltarlo – nella lectio divina, cioè leggendo la Sacra Scrittura in un modo non accademico, ma spirituale; così impariamo ad incontrare il Gesù presente che ci parla. Dobbiamo ragionare e riflettere sulle sue parole e sul suo agire davanti a Lui e con Lui. La lettura della Sacra Scrittura è preghiera, deve essere preghiera – deve emergere dalla preghiera e condurre alla preghiera. Gli evangelisti ci dicono che il Signore ripetutamente – per notti intere – si ritirava "sul monte" per pregare da solo. Di questo "monte" abbiamo bisogno anche noi: è l'altura interiore che dobbiamo scalare, il monte della preghiera. Solo così si sviluppa l'amicizia. Solo così possiamo svolgere il nostro servizio sacerdotale, solo così possiamo portare Cristo e il suo Vangelo agli uomini. Il semplice attivismo può essere persino eroico. Ma l'agire esterno, in fin dei conti, resta senza frutto e perde efficacia, se non nasce dalla profonda intima comunione con Cristo. Il tempo che impegniamo per questo è davvero tempo di attività pastorale, di un'attività autenticamente pastorale. Il sacerdote deve essere soprattutto un uomo di preghiera. Il mondo nel suo attivismo frenetico perde spesso l'orientamento. Il suo agire e le sue capacità diventano distruttive, se vengono meno le forze della preghiera, dalle quali scaturiscono le acque della vita capaci di fecondare la terra arida.

Non vi chiamo più servi, ma amici. Il nucleo del sacerdozio è l'essere amici di Gesù Cristo. Solo così possiamo parlare veramente in persona Christi, anche se la nostra interiore lontananza da Cristo non può compromettere la validità del Sacramento. Essere amico di Gesù, essere sacerdote significa essere uomo di preghiera. Così lo riconosciamo e usciamo dall'ignoranza dei semplici servi. Così impariamo a vivere, a soffrire e ad agire con Lui e per Lui. L'amicizia con Gesù è per antonomasia sempre amicizia con i suoi. Possiamo essere amici di Gesù soltanto nella comunione con il Cristo intero, con il capo e il corpo; nella vite rigogliosa della Chiesa animata dal suo Signore. Solo in essa la Sacra Scrittura è, grazie al Signore, Parola viva ed attuale. Senza il vivente soggetto della Chiesa che abbraccia le età, la Bibbia si frantuma in scritti spesso eterogenei e diventa così un libro del passato. Essa è eloquente nel presente soltanto là dove c'è la "Presenza" – là dove Cristo resta in permanenza contemporaneo a noi: nel corpo della sua Chiesa.

Essere sacerdote significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza. Il mondo ha bisogno di Dio – non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in se stesso uno spazio per l'uomo. Questo Dio deve vivere in noi e noi in Lui. È questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti. Vorrei concludere questa omelia con una parola di Andrea Santoro, di quel sacerdote della Diocesi di Roma che è stato assassinato a Trebisonda mentre pregava; il Cardinale Cè l'ha comunicata a noi durante i nostri Esercizi spirituali. La parola dice: "Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne… Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo come ha fatto Gesù". Gesù ha assunto la nostra carne. Diamogli noi la nostra, in questo modo Egli può venire nel mondo e trasformarlo. Amen!

[00546-01.02] [Testo originale: Italiano]
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SANTA MESSA PER L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DI 15 DIACONI DELLA DIOCESI DI ROMA

Alle ore 9.00 di oggi, IV Domenica di Pasqua e XLIII Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni sul tema: "Vocazione nel mistero della Chiesa", nella Basilica Vaticana il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione presbiterale a 13 diaconi della Diocesi di Roma e a 2 religiosi dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi (O.C.D.).

Concelebrano con il Papa: l’Em.mo Card. Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, S.E. Mons. Luigi Moretti, Vicegerente, i Vescovi Ausiliari, i Superiori dei Seminari interessati e i Parroci degli ordinandi.

Nel corso della Liturgia dell’ordinazione, il Santo Padre pronuncia la seguente omelia:

  • OMELIA DEL SANTO PADRE

    In quest'ora nella quale Voi, cari amici, mediante il Sacramento dell'Ordinazione sacerdotale, venite introdotti come pastori al servizio del grande Pastore Gesù Cristo, è il Signore stesso che nel Vangelo ci parla del servizio a favore del gregge di Dio. L'immagine del pastore viene da lontano. Nell'antico Oriente i re solevano designare se stessi come pastori dei loro popoli. Nell'Antico Testamento Mosè e Davide, prima di essere chiamati a diventare capi e pastori del Popolo di Dio, erano stati effettivamente pastori di greggi. Nei travagli del periodo dell'esilio, di fronte al fallimento dei pastori d'Israele, cioè delle guide politiche e religiose, Ezechiele aveva tracciato l'immagine di Dio stesso come del Pastore del suo popolo: "Come un pastore passa in rassegna il suo gregge …, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine" (Ez 34, 12). Ora Gesù annunzia che quest'ora è arrivata: Egli stesso è il Buon Pastore nel quale Dio si prende cura della sua creatura, l'uomo, raccogliendo gli esseri umani e conducendoli al vero pascolo. San Pietro, al quale il Signore risorto aveva dato l'incarico di pascere le sue pecorelle, di diventare pastore con Lui e per Lui, qualifica Gesù come l'«archipoimen» – l'arcipastore (cfr 1Pt 5, 4), e con ciò intende dire che si può essere pastore del gregge di Gesù Cristo soltanto per mezzo di Lui e nella più intima comunione con Lui. È proprio questo che si esprime nel Sacramento dell'Ordinazione: il sacerdote viene totalmente inserito in Cristo affinché, partendo da Lui e agendo in vista di Lui, egli svolga in comunione con Lui il servizio dell'unico Pastore Gesù, nel quale Dio, da uomo, vuole essere il nostro Pastore.

    Il Vangelo di questa domenica è soltanto una parte del grande discorso di Gesù sui pastori. In questo brano il Signore ci dice tre cose sul vero pastore:

  • egli dà la propria vita per le pecore;

  • le conosce ed esse lo conoscono;

  • sta a servizio dell'unità.

  • Prima di riflettere su queste tre caratteristiche essenziali dell'essere pastori, sarà forse utile ricordare brevemente la parte precedente del discorso sui pastori nella quale Gesù, prima di designarsi come Pastore, dice con nostra sorpresa: "Io sono la porta" (Gv 10, 7). È attraverso di Lui che si deve entrare nel servizio di pastore. Gesù mette in risalto molto chiaramente questa condizione di fondo affermando: "Chi … sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante" (Gv 10, 1). La parola "sale" evoca l'immagine di qualcuno che si arrampica sul recinto per giungere, scavalcando, là dove legittimamente non potrebbe arrivare. "Salire" – si può qui vedere anche l'immagine del carrierismo, del tentativo di arrivare "in alto", di procurarsi una posizione mediante la Chiesa: servirsi, non servire. È l'immagine dell'uomo che, attraverso il sacerdozio, vuole farsi importante, diventare un personaggio; l'immagine di colui che ha di mira la propria esaltazione e non l'umile servizio di Gesù Cristo. Ma l'unica ascesa legittima verso il ministero del pastore è la croce. È questa la porta. Non desiderare di diventare personalmente qualcuno, ma invece esserci per l'altro, per Cristo, e così mediante Lui e con Lui esserci per gli uomini che Egli cerca, che Egli vuole condurre sulla via della vita. Si entra nel sacerdozio attraverso il Sacramento – e ciò significa appunto: attraverso la donazione totale di se stessi a Cristo, affinché Egli disponga di me; affinché io Lo serva e segua la sua chiamata, anche se questa dovesse essere in contrasto con i miei desideri di autorealizzazione e stima. Entrare per la porta, che è Cristo, vuol dire conoscerlo ed amarlo sempre di più, perché la nostra volontà si unisca alla sua e il nostro agire diventi una cosa sola col suo agire. Cari amici, per questa intenzione vogliamo pregare sempre di nuovo, vogliamo impegnarci proprio per questo, che cioè Cristo cresca in noi, che la nostra unione con Lui diventi sempre più profonda, cosicché per il nostro tramite sia Cristo stesso Colui che pasce.

  • Guardiamo ora più da vicino le tre affermazioni fondamentali di Gesù sul buon pastore. La prima, che con grande forza pervade tutto il discorso sui pastori, dice: il pastore dà la sua vita per le pecore. Il mistero della Croce sta al centro del servizio di Gesù quale pastore: è il vero grande servizio che Egli rende a tutti noi. Egli dona se stesso. Per questo, a buona ragione, al centro della vita sacerdotale sta la sacra Eucaristia, nella quale il sacrificio di Gesù sulla croce rimane continuamente presente tra di noi. E a partire da ciò impariamo anche che cosa significa celebrare l'Eucaristia in modo adeguato: è un incontrare il Signore che per noi si spoglia della sua gloria divina, si lascia umiliare fino alla morte in croce e così si dona a tutti noi. È molto importante per il sacerdote l'Eucaristia quotidiana, nella quale si espone sempre di nuovo a questo mistero; sempre di nuovo pone se stesso nelle mani di Dio sperimentando al contempo la gioia di sapere che Egli è presente, mi accoglie, sempre di nuovo mi solleva e mi porta. L'Eucaristia deve diventare per noi una scuola di vita, nella quale impariamo a donare la nostra vita. La vita non la si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. Noi dobbiamo donarla giorno per giorno. Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso. Giorno per giorno devo imparare ad abbandonare me stesso; a tenermi a disposizione per quella cosa per la quale Egli, il Signore, sul momento ha bisogno di me, anche se altre cose mi sembrano più belle e più importanti. Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere. Proprio così, nell'essere utile, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova.

    Come seconda cosa il Signore ci dice: "Io conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre " (Gv 10, 14-15). Sono due rapporti apparentemente del tutto diversi che qui si trovano intrecciati l'uno con l'altro: il rapporto tra Gesù e il Padre e il rapporto tra Gesù e gli uomini a Lui affidati. Ma entrambi i rapporti vanno proprio insieme, perché gli uomini, in fin dei conti, appartengono al Padre e sono alla ricerca di Lui. Quando si accorgono che uno parla soltanto nel proprio nome e attingendo solo da sé, allora intuiscono che egli non può essere ciò che stanno cercando. Laddove però risuona in una persona la voce del Padre, si apre la porta della relazione che l'uomo aspetta. Così deve essere quindi anche nel nostro caso. Innanzitutto e nel nostro intimo dobbiamo vivere il rapporto con Cristo e per il suo tramite con il Padre; solo allora possiamo veramente comprendere gli uomini, e allora essi si rendono conto di aver trovato il vero pastore. Ovviamente, nelle parole di Gesù è anche racchiuso tutto il compito pastorale pratico, di seguire gli uomini, di andare a trovarli, di essere aperti per le loro necessità e le loro domande. Ovviamente è fondamentale la conoscenza pratica, concreta delle persone a me affidate, e ovviamente è importante capire questo "conoscere" nel senso biblico: non c'è un vero conoscere senza amore, senza un rapporto interiore, senza una profonda accettazione dell'altro. Il pastore non può accontentarsi di sapere i nomi e le date. Il suo conoscere deve essere sempre anche un conoscere con il cuore. Questo però è realizzabile in fondo soltanto se il Signore ha aperto il nostro cuore; se il nostro conoscere non lega le persone al nostro piccolo io privato, al nostro proprio piccolo cuore, ma invece fa sentire loro il cuore di Gesù, il cuore del Signore. Deve essere un conoscere col cuore di Gesù e orientato verso di Lui, un conoscere che non lega l'uomo a me, ma lo guida verso Gesù rendendolo così libero e aperto. Affinché questo ci sia donato, vogliamo sempre di nuovo pregare il Signore.

    Infine il Signore ci parla del servizio dell'unità affidato al pastore: "Ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore" (Gv 10, 16). È la stessa cosa che Giovanni ripete dopo la decisione del sinedrio di uccidere Gesù, quando Caifa disse che sarebbe stato meglio se uno solo fosse morto per il popolo piuttosto che la nazione intera perisse. Giovanni riconosce in ciò una parola profetica e aggiunge: "Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (11, 52). Si rivela la relazione tra Croce e unità; l'unità si paga con la Croce. Soprattutto però emerge l'orizzonte universale dell'agire di Gesù. Se Ezechiele nella sua profezia sul pastore aveva di mira il ripristino dell'unità tra le tribù disperse d'Israele (cfr Ez 34, 22-24), si tratta ora dell'unificazione di tutti i figli di Dio, dell'umanità – della Chiesa di giudei e di pagani. La missione di Gesù riguarda l'umanità intera, e perciò alla Chiesa è data una responsabilità per tutta l'umanità, affinché essa riconosca Dio, quel Dio che, per noi tutti, in Gesù Cristo si è fatto uomo, ha sofferto, è morto ed è risorto. La Chiesa non deve mai accontentarsi della schiera di coloro che a un certo punto ha raggiunto. Non può ritirarsi comodamente nei limiti del proprio ambiente. È incaricata della sollecitudine universale, deve preoccuparsi di tutti. Questo grande compito dobbiamo "tradurre" nelle nostre rispettive missioni. Ovviamente un sacerdote, un pastore d'anime, deve innanzitutto preoccuparsi di coloro, che credono e vivono con la Chiesa, che cercano in essa la strada della vita e che da parte loro, come pietre vive, costruiscono la Chiesa e così edificano e sostengono insieme anche il sacerdote. Tuttavia, dobbiamo anche sempre di nuovo – come dice il Signore – uscire "per le strade e lungo le siepi" (Lc 14, 23) per portare l'invito di Dio al suo banchetto anche a quegli uomini che finora non ne hanno ancora sentito niente, o non ne sono stati toccati interiormente. Il servizio dell'unità ha tante forme. Ne fa parte sempre anche l'impegno per l'unità interiore della Chiesa, perché essa, oltre tutte le diversità e i limiti, sia un segno della presenza di Dio nel mondo che solo può creare una tale unità.

    La Chiesa antica ha trovato nella scultura del suo tempo la figura del pastore che porta una pecora sulle sue spalle. Forse queste immagini fanno parte del sogno idillico della vita campestre che aveva affascinato la società di allora. Ma per i cristiani questa figura diventava con tutta naturalezza l'immagine di Colui che si è incamminato per cercare la pecora smarrita: l'umanità; l'immagine di Colui che ci segue fin nei nostri deserti e nelle nostre confusioni; l'immagine di Colui che ha preso sulle sue spalle la pecora smarrita, che è l'umanità, e la porta a casa. È divenuta l'immagine del vero Pastore Gesù Cristo. A Lui ci affidiamo. A Lui affidiamo Voi, cari fratelli, specialmente in quest'ora, affinché Egli Vi conduca e Vi porti tutti i giorni; affinché Vi aiuti a diventare, per mezzo di Lui e con Lui, buoni pastori del suo gregge. Amen!

  • www.vatican.va

  • ALCUNE IMMAGINI DELL'ORDINAZIONE PRESBITERIALE DELL'ANNO SCORSO

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    Il Papa alle Ordinazioni Presbiteriali di quest'anno:

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    VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITA' BENEDETTO XVI IN POLONIA

    INCONTRO CON IL CLERO

    DISCORSO DEL SANTO PADRE
    (traduzione in lingua italiana)

    (Warszawa-Cattedrale, 25 maggio 2006)



    "Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi… Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io" (Rm 1,8-12).

    Con queste parole dell’apostolo Paolo mi rivolgo a voi, cari sacerdoti, perché in esse trovo perfettamente rispecchiati i miei odierni sentimenti e pensieri, i desideri e le preghiere. Saluto in particolare il Cardinale Józef Glemp, Arcivescovo di Varsavia e Primate di Polonia, al quale porgo le mie più cordiali felicitazioni per il 50° di Ordinazione sacerdotale che ricorre proprio oggi. Sono giunto in Polonia, nella diletta Patria del mio grande Predecessore Giovanni Paolo II, per attingere – come egli era solito fare – da questo clima di fede in cui vivete e per "comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati". Ho fiducia che il mio peregrinare di questi giorni "rinfrancherà la fede che abbiamo in comune, voi e io".

    Mi incontro oggi con voi nell’arcicattedrale di Varsavia, la quale con ogni pietra ricorda la storia dolorosa della vostra capitale e del vostro Paese. A quali prove siete stati esposti in tempi non tanto lontani! Ricordiamo gli eroici testimoni della fede, che offrirono la loro vita a Dio e agli uomini, santi canonizzati e anche uomini comuni, che perseverarono nella rettitudine, nell’autenticità e nella bontà, senza cedere mai alla sfiducia. In questa cattedrale ricordo particolarmente il Servo di Dio Card. Stefan Wyszyński, da voi chiamato «il Primate del Millennio», il quale, abbandonandosi a Cristo e alla sua Madre, seppe servire fedelmente la Chiesa pur in mezzo a prove dolorose e prolungate. Ricordiamo con riconoscenza e gratitudine coloro che non si sono lasciati sopraffare dalle forze delle tenebre, da loro impariamo il coraggio della coerenza e della costanza nell’adesione al Vangelo di Cristo.

    Mi incontro oggi con voi, sacerdoti chiamati da Cristo a servirlo nel nuovo millennio. Siete stati scelti tra il popolo, costituiti nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Credete nella potenza del vostro sacerdozio! In virtù del sacramento avete ricevuto tutto ciò che siete. Quando voi pronunciate le parole "io" o "mio" ("Io ti assolvo… Questo è il mio Corpo…"), lo fate non nel nome vostro, ma nel nome di Cristo, "in persona Christi", che vuole servirsi delle vostre labbra e delle vostre mani, del vostro spirito di sacrificio e del vostro talento.
    Al momento della vostra Ordinazione, mediante il segno liturgico dell’imposizione delle mani, Cristo vi ha preso sotto la sua speciale protezione; voi siete nascosti sotto le sue mani e nel suo Cuore. Immergetevi nel suo amore, e donate a Lui il vostro amore! Quando le vostre mani sono state unte con l’olio, segno dello Spirito Santo, sono state destinate a servire al Signore come le sue mani nel mondo di oggi. Esse non possono più servire all’egoismo, ma devono trasmettere nel mondo la testimonianza del suo amore.

    La grandezza del sacerdozio di Cristo può incutere timore. Si può essere tentati di esclamare con Pietro: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore" (Lc 5, 8), perché facciamo fatica a credere che Cristo abbia chiamato proprio noi. Non avrebbe potuto scegliere qualcun altro, più capace, più santo? Ma Gesù ha fissato con amore proprio ciascuno di noi, e in questo suo sguardo dobbiamo confidare. Non lasciamoci prendere dalla fretta, quasi che il tempo dedicato a Cristo in silenziosa preghiera sia tempo perduto. È proprio lì, invece, che nascono i più meravigliosi frutti del servizio pastorale. Non bisogna scoraggiarsi per il fatto che la preghiera esige uno sforzo, né per l’impressione che Gesù taccia. Egli tace ma opera. Mi piace ricordare, a questo proposito, l’esperienza vissuta lo scorso anno a Colonia. Fui testimone allora di un profondo, indimenticabile silenzio di un milione di giovani, al momento dell’adorazione del Santissimo Sacramento! Quel silenzio orante ci unì, ci donò tanto sollievo. In un mondo in cui c’è tanto rumore, tanto smarrimento, c’è bisogno dell’adorazione silenziosa di Gesù nascosto nell’Ostia. Siate assidui nella preghiera di adorazione ed insegnatela ai fedeli. In essa troveranno conforto e luce soprattutto le persone provate.

    Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita spirituale. A tal fine, quando un giovane sacerdote fa i suoi primi passi, occorre che possa far riferimento ad un maestro sperimentato, che lo aiuti a non smarrirsi tra le tante proposte della cultura del momento. Di fronte alle tentazioni del relativismo o del permissivismo, non è affatto necessario che il sacerdote conosca tutte le attuali, mutevoli correnti di pensiero; ciò che i fedeli si attendono da lui è che sia testimone dell’eterna sapienza, contenuta nella parola rivelata. La sollecitudine per la qualità della preghiera personale e per una buona formazione teologica porta frutti nella vita. Il vivere sotto l’influenza del totalitarismo può aver generato un’inconsapevole tendenza a nascondersi sotto una maschera esteriore, con la conseguenza del cedimento ad una qualche forma di ipocrisia.
    È chiaro che ciò non giova all’’autenticità delle relazioni fraterne e può condurre ad un’esagerata concentrazione su se stessi. In realtà, si cresce nella maturità affettiva quando il cuore aderisce a Dio. Cristo ha bisogno di sacerdoti che siano maturi, virili, capaci di coltivare un’autentica paternità spirituale. Perché ciò accada, serve l’onestà con se stessi, l’apertura verso il direttore spirituale e la fiducia nella divina misericordia.

    Il Papa Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo ha più volte esortato i cristiani a far penitenza delle infedeltà passate. Crediamo che la Chiesa è santa, ma in essa vi sono uomini peccatori. Bisogna respingere il desiderio di identificarsi soltanto con coloro che sono senza peccato. Come avrebbe potuto la Chiesa escludere dalle sue file i peccatori? È per la loro salvezza che Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto. Occorre perciò imparare a vivere con sincerità la penitenza cristiana. Praticandola, confessiamo i peccati individuali in unione con gli altri, davanti a loro e a Dio.
    Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora.
    Inoltre la confessio peccati, per usare un’espressione di sant’Agostino, deve essere sempre accompagnata dalla confessio laudis – dalla confessione della lode. Chiedendo perdono del male commesso nel passato dobbiamo anche ricordare il bene compiuto con l’aiuto della grazia divina che, pur depositata in vasi di creta, ha portato frutti spesso eccellenti.

    Oggi la Chiesa in Polonia si trova dinanzi ad una grande sfida pastorale: quella di prendersi cura dei fedeli che hanno lasciato il Paese. La piaga della disoccupazione costringe numerose persone a partire verso l’estero. È un fenomeno diffuso su vasta scala. Quando le famiglie vengono in tal modo divise, quando si infrangono i legami sociali, la Chiesa non può rimanere indifferente. È necessario che le persone che partono siano accompagnate da sacerdoti che, collegandosi con le Chiese locali, assumano il lavoro pastorale in mezzo agli emigrati.
    La Chiesa che è in Polonia ha già dato numerosi sacerdoti e religiose, che svolgono il loro servizio non soltanto in favore dei Polacchi fuori dei confini del Paese, ma anche, e a volte in condizioni difficilissime, nelle missioni dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e in altre regioni. Non dimenticate, cari sacerdoti, questi missionari. Il dono di numerose vocazioni, con cui Dio ha benedetto la vostra Chiesa, deve essere accolto in prospettiva veramente cattolica. Sacerdoti polacchi, non abbiate paura di lasciare il vostro mondo sicuro e conosciuto, per servire là dove mancano i sacerdoti e dove la vostra generosità può portare un frutto copioso.

    Rimanete saldi nella fede! Anche a voi affido questo motto del mio pellegrinaggio. Siate autentici nella vostra vita e nel vostro ministero. Fissando Cristo, vivete una vita modesta, solidale con i fedeli a cui siete mandati. Servite tutti; siate accessibili nelle parrocchie e nei confessionali, accompagnate i nuovi movimenti e le associazioni, sostenete le famiglie, non trascurate il legame con i giovani, ricordatevi dei poveri e degli abbandonati. Se vivrete di fede, lo Spirito Santo vi suggerirà cosa dovrete dire e come dovrete servire. Potrete sempre contare sull’aiuto di Colei che precede la Chiesa nella fede. Vi esorto ad invocarla sempre con le parole a voi ben note: "Siamo vicino a Te, Ti ricordiamo, vegliamo".

    © Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana

    Fonte

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    ©Reuters

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    UDIENZA Il discorso del Santo Padre a Superiori e Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica

    Essere dappertutto
    i fedeli servitori del carisma di Pietro



    "Essere dappertutto i fedeli servitori del carisma di Pietro": è la consegna affidata da Benedetto XVI ai Superiori e agli Alunni della Pontificia Accademia Ecclesiastica, ricevuti in udienza nella mattina di venerdì 2 giugno, nella Sala del Concistoro.

    Nel discorso il Papa ha indicato tre dimensioni centrali della missione che quanti si formano all'Accademia si preparano a svolgere. "Voi siete chiamati anzitutto - ha detto - ad essere una comunità di preghiera, nella quale il rapporto con Dio sia costante, fedele, intenso e divenga per ognuno la linfa animatrice dell'intera esistenza".

    "Oltre che scuola di preghiera - ha aggiunto -, la vostra Accademia vuole continuare ad essere una palestra di autentica formazione umana e teologica. Il ministero pastorale a cui vi state preparando esige un'accurata formazione con specifiche competenze. Oggi più che mai è indispensabile una solida cultura, che preveda, accanto alla necessaria formazione teologica, un approfondimento della dottrina perenne della Chiesa e delle linee direttrici dell'attività della Santa Sede a livello ecclesiale ed internazionale". "La vostra Accademia - ha detto ancora - conta ormai tre secoli di storia e, nel solco del suo passato, deve continuare ad essere un luogo di comunione.

    La possibilità di risiedere a Roma, dove si avverte in modo unico la cattolicità della Chiesa, e il fatto che voi proveniate da vari continenti costituiscono una preziosa opportunità per alimentare lo spirito di unità e di comunione". "Aprite sempre più - ha esortato - gli orizzonti della vostra mente e del vostro cuore all'universalità della Chiesa, sì da superare ogni tentazione di particolarismi ed individualismi".


    (©L'Osservatore Romano - 3 Giugno 2006)


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    AUGURI A TUTTI I SACERDOTI...........

    SANTA MESSA PER L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DI 22 DIACONI DELLA DIOCESI DI ROMA

    Alle ore 9.00 di oggi, IV Domenica di Pasqua e 44ma Giornata mondiale di preghiera per le Vocazioni sul tema: "La vocazione al servizio della Chiesa comunione", nella Basilica Vaticana il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione presbiterale a 22 diaconi della Diocesi di Roma.

    Concelebrano con il Papa: l’Em.mo Card. Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, S.E. Mons. Luigi Moretti, Vicegerente, i Vescovi Ausiliari, i Superiori dei Seminari interessati e i Parroci degli ordinandi.
    Nel corso della Liturgia dell’ordinazione, il Santo Padre pronuncia la seguente omelia:


    OMELIA DEL SANTO PADRE


    Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
    cari Ordinandi,
    cari fratelli e sorelle!

    L’odierna IV Domenica di Pasqua, tradizionalmente detta del "Buon Pastore", riveste per noi, che siamo raccolti in questa Basilica Vaticana, un particolare significato. E’ un giorno assolutamente singolare soprattutto per voi, cari Diaconi, ai quali, come Vescovo e Pastore di Roma, sono lieto di conferire l’Ordinazione sacerdotale. Entrerete così a far parte del nostro "presbyterium". Insieme con il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari ed i sacerdoti della Diocesi, ringrazio il Signore per il dono del vostro sacerdozio, che arricchisce la nostra Comunità di 22 nuovi Pastori.

    La densità teologica del breve brano evangelico, che è stato poco fa proclamato, ci aiuta a meglio percepire il senso e il valore di questa solenne Celebrazione. Gesù parla di sé come del Buon Pastore che dà la vita eterna alle sue pecore (cfr Gv 10,28). Quella del pastore è un’immagine ben radicata nell'Antico Testamento e cara alla tradizione cristiana. Il titolo di "pastore d’Israele" viene attribuito dai Profeti al futuro discendente di Davide, e pertanto possiede un’indubbia rilevanza messianica (cfr Ez 34,23). Gesù è il vero Pastore d’Israele, in quanto è il Figlio dell’uomo che ha voluto condividere la condizione degli esseri umani per donare loro la vita nuova e condurli alla salvezza. Significativamente al termine "pastore" l’evangelista aggiunge l’aggettivo kalós "bello", che egli utilizza unicamente in riferimento Gesù e alla sua missione. Anche nel racconto delle nozze di Cana l’aggettivo kalós viene impiegato due volte per connotare il vino offerto da Gesù ed è facile vedere in esso il simbolo del vino buono dei tempi messianici (cfr Gv 2,10).

    "Io do loro (alle mie pecore) la vita eterna e non andranno mai perdute" (Gv 10,28). Così afferma Gesù, che poco prima aveva detto: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (cfr Gv 10,11). Giovanni utilizza il verbo tithénai - offrire, che ripete nei versetti seguenti (15.17.18); lo stesso verbo troviamo nel racconto dell’Ultima Cena, quando Gesù "depose" le sue vesti per poi "riprenderle" (cfr Gv 13, 4.12). E’ chiaro che si vuole in questo modo affermare che il Redentore dispone con assoluta libertà della propria vita, così da poterla offrire e poi riprendere liberamente. Cristo è il vero Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecore -per noi- immolandosi sulla Croce. Egli conosce le sue pecore e le sue pecore lo conoscono, come il Padre conosce Lui ed Egli conosce il Padre (cfr Gv 10,14-15). Non si tratta di mera conoscenza intellettuale, ma di una relazione personale profonda; una conoscenza del cuore, propria di chi ama e di chi è amato; di chi è fedele e di chi sa di potersi a sua volta fidare; una conoscenza d’amore in virtù della quale il Pastore invita i suoi a seguirlo, e che si manifesta pienamente nel dono che fa loro della vita eterna (cfr Gv 10,27-28).

    Cari Ordinandi, la certezza che Cristo non ci abbandona e che nessun ostacolo potrà impedire la realizzazione del suo universale disegno di salvezza sia per voi motivo di costante consolazione -anche nel giorno di difficoltà- e di incrollabile speranza. La bontà del Signore è sempre con voi ed è forte. Il Sacramento dell’Ordine che state per ricevere vi farà partecipi della stessa missione di Cristo; sarete chiamati a spargere il seme della sua Parola -il seme che porta in sé il Regno di Dio-, a dispensare la divina misericordia e a nutrire i fedeli alla mensa del suo Corpo e del suo Sangue. Per essere suoi degni ministri dovrete alimentarvi incessantemente dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Accostandovi all’altare, vostra quotidiana scuola di santità, di comunione con Gesù, del modo di entrare nei Suoi sentimenti; accostandovi all’altare per rinnovare il sacrificio della Croce, scoprirete sempre più la ricchezza e tenerezza dell'amore del divino Maestro, che oggi vi chiama ad una più intima amicizia con Lui.

    Se lo ascolterete docilmente, se lo seguirete fedelmente, imparerete a tradurre nella vita e nel ministero pastorale il suo amore e la sua passione per la salvezza delle anime. Ciascuno di voi, cari Ordinandi, diventerà con l’aiuto di Gesù un buon pastore, pronto a dare, se necessario, anche la vita per Lui.
    Così avvenne all’inizio del cristianesimo con i primi discepoli, mentre, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Vangelo andava diffondendosi tra consolazioni e difficoltà. Vale la pena di sottolineare le ultime parole del brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato: "I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo" (13,52).

    Malgrado le incomprensioni e i contrasti, l’apostolo di Cristo non smarrisce la gioia, anzi è il testimone di quella gioia che scaturisce dall’essere con il Signore, dall’amore per Lui e per i fratelli. Nell’odierna Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che quest’anno ha come tema "La vocazione al servizio della Chiesa comunione", preghiamo perché quanti sono scelti a così alta missione siano accompagnati dall’orante comunione di tutti i fedeli.
    Preghiamo perché cresca in ogni parrocchia e comunità cristiana l’attenzione per le vocazioni e per la formazione dei sacerdoti: essa inizia in famiglia, prosegue in seminario e coinvolge tutti coloro che hanno a cuore la salvezza delle anime.

    Cari fratelli e sorelle che partecipate a questa suggestiva celebrazione, e in primo luogo voi, parenti, familiari e amici di questi 22 Diaconi che tra poco saranno ordinati presbiteri! Attorniamoli, questi nostri fratelli nel Signore, con la nostra spirituale solidarietà. Preghiamo perché siano fedeli alla missione a cui oggi il Signore li chiama, e siano pronti a rinnovare ogni giorno a Dio il loro "sì", il loro "eccomi" senza riserve. E chiediamo al Padrone della messe, in questa Giornata per le Vocazioni, che continui a suscitare molti e santi presbiteri, totalmente dediti al servizio del popolo cristiano.

    In questo momento tanto solenne e importante della vostra esistenza, è ancora a voi, cari Ordinandi, che mi dirigo con affetto. A voi quest’oggi Gesù ripete: "Non vi chiamo più servi, ma amici". Accogliete e coltivate questa divina amicizia con "amore eucaristico"!

    Vi accompagni Maria, celeste Madre dei Sacerdoti; Lei, che sotto la Croce si è unita al Sacrificio del suo Figlio e, dopo la risurrezione, nel Cenacolo ha accolto insieme con gli Apostoli e con gli altri discepoli il dono dello Spirito, aiuti voi e ciascuno di noi, cari fratelli nel Sacerdozio, a lasciarci trasformare interiormente dalla grazia di Dio. Solo così è possibile essere immagini fedeli del Buon Pastore; solo così si può svolgere con gioia la missione di conoscere, guidare e amare il gregge che Gesù si è acquistato a prezzo del suo sangue. Amen!

    [00622-01.01] [Testo originale: Italiano]

    www.vatican.va


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    Omelia del Papa nel Rosario con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i diaconi del Brasile



    ROMA, domenica, 13 maggio 2007 (
    ZENIT.org).- Pubblichiamo l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nell'incontrarsi, sabato sera, presso il Santuario "Nossa Senhora da Conceição Aparecida" con i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i seminaristi e i diaconi del Brasile qui riuniti con i delegati della V Conferenza dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi.

    * * *

    Signori Cardinali,
    Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
    Amati religiosi e voi tutti che, stimolati dalla voce di Gesù Cristo, lo avete seguito per amore,
    Carissimi seminaristi, che vi state preparando per il ministero sacerdotale,
    Cari rappresentanti dei Movimenti ecclesiali e tutti voi laici che portate la forza del Vangelo nel mondo del lavoro e della cultura, in seno alle famiglie,
    così come nelle vostre parrocchie!

    1. Come gli Apostoli, insieme a Maria, «salirono alla stanza superiore» e lì, «uniti dallo stesso sentimento, si dedicavano assiduamente alla preghiera» (cfr At 1,13-14), così anche noi quest’oggi ci siamo radunati qui nel Santuario di Nostra Signora della Concezione Aparecida, che in questa ora è per noi «la stanza superiore» dove Maria, Madre del Signore, si trova in mezzo a noi. Oggi è Lei che guida la nostra meditazione; è Lei che ci insegna a pregare. È Lei che ci addita il modo di aprire le nostre menti ed i nostri cuori alla potenza dello Spirito Santo, che viene per essere trasmesso al mondo intero.

    Abbiamo appena recitato il Rosario. Attraverso i suoi cicli meditativi, il divino Consolatore vuole introdurci nella conoscenza del Cristo che sgorga dalla fonte limpida del testo evangelico. Dal canto suo, la Chiesa del terzo millennio si propone di offrire ai cristiani la capacità di «conoscere – secondo le parole di San Paolo – il mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,2-3). Maria Santissima, la Vergine pura e senza macchia, è per noi scuola di fede destinata a guidarci e a darci forza sul sentiero che porta incontro al Creatore del Cielo e della Terra. Il Papa è venuto ad Aparecida con viva gioia per dirvi innanzitutto: «Rimanete alla scuola di Maria». Ispiratevi ai suoi insegnamenti, cercate di accogliere e di conservare nel cuore le luci che Lei, per mandato divino, vi invia dall’alto.

    Com’è bello stare qui riuniti nel nome di Cristo, nella fede, nella fraternità, nella gioia, nella pace e «nella preghiera con Maria, la Madre di Gesù» (At 1,14). Come è bello, carissimi Presbiteri, Diaconi, Consacrati e Consacrate, Seminaristi e Famiglie cristiane, essere qui nel Santuario Nazionale di Nostra Signora della Concezione Aparecida, che è Dimora di Dio, Casa di Maria e Casa dei Fratelli, e che in questi giorni si trasforma anche in Sede della V Conferenza Episcopale Latinoamericana e dei Caraibi. Come è bello essere qui in questa Basilica Mariana verso la quale, in questo tempo, convergono gli sguardi e le speranze del mondo cristiano, in modo speciale dell’America Latina e dei Caraibi!

    2. Sono felice di essere qui con voi, in mezzo a voi! Il Papa vi ama! Il Papa vi saluta affettuosamente! Prega per voi! E implora dal Signore le più preziose benedizioni sui Movimenti, sulle Associazioni e sulle nuove realtà ecclesiali, espressione viva della perenne giovinezza della Chiesa! Siate veramente benedetti! Da qui rivolgo il mio saluto veramente affettuoso a voi, Famiglie, qui radunate in rappresentanza di tutte le carissime Famiglie cristiane presenti nel mondo intero. Mi rallegro in modo specialissimo con voi e vi do il mio abbraccio di pace.

    Ringrazio per l’accoglienza e per l’ospitalità del Popolo brasiliano. Da quanto sono arrivato sono stato ricevuto con molto affetto! Le varie manifestazioni di apprezzamento ed i saluti dimostrano quanto voi vogliate bene, stimiate e rispettiate il Successore dell’apostolo Pietro. Il mio Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha menzionato diverse volte la vostra simpatia e lo spirito di accoglienza fraterna. Egli aveva pienamente ragione!

    3. Saluto i cari sacerdoti qui presenti, mentre penso e prego per tutti i sacerdoti sparsi in tutto il mondo, in modo particolare in America Latina e nei Caraibi, tra questi anche i sacerdoti Fidei donum. Quante sfide, quante situazioni difficili affrontate, quanta generosità, quanta abnegazione, sacrifici e rinunce! La fedeltà nell’esercizio del ministero e nella vita di preghiera, la ricerca della santità, la donazione totale a Dio nel servizio ai fratelli e alle sorelle, spendendo le vostre vite ed energie, promuovendo la giustizia, la fraternità, la solidarietà e la condivisione – tutto ciò parla fortemente al mio cuore di Pastore. La testimonianza di un sacerdozio vissuto bene nobilita la Chiesa, suscita ammirazione nei fedeli, è fonte di benedizioni per la Comunità, è la migliore promozione vocazionale, il più autentico invito perché anche altri giovani rispondano positivamente agli appelli del Signore. È la vera collaborazione in vista della costruzione del Regno di Dio!

    Vi ringrazio sinceramente e vi esorto a continuare a vivere in maniera degna la vocazione che avete ricevuto. Che il fervore missionario, la passione per un’evangelizzazione sempre più aggiornata, lo spirito apostolico autentico e lo zelo per le anime siano sempre presenti nelle vostre vite! Il mio affetto, le mie preghiere e i miei ringraziamenti vanno anche ai sacerdoti anziani ed infermi. La vostra conformazione al Cristo Sofferente e Risorto costituisce l’apostolato più fecondo! Molte grazie!

    4. Carissimi Diaconi e Seminaristi, anche a voi che occupate un luogo speciale nel cuore del Papa, un saluto molto fraterno e cordiale. La giovialità, l’entusiasmo, l’idealismo, l’incoraggiamento per affrontare con audacia le nuove sfide rinnovano la disponibilità del Popolo di Dio, rendono i fedeli più dinamici e portano la Comunità a crescere, a progredire, ad essere più fiduciosa, gioiosa ed ottimista. Ringrazio per la testimonianza che offrite, collaborando con i vostri Vescovi nelle attività pastorali delle diocesi. Abbiate sempre di fronte agli occhi la figura di Gesù, il Buon Pastore, che «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti» (Mt 20,28). Siate come i primi diaconi della Chiesa: uomini di buona reputazione, colmi dello Spirito Santo, di saggezza e di fede (cfr At 6,3-5). E voi, Seminaristi, rendete grazie a Dio per la chiamata che Lui vi rivolge. Ricordatevi che il Seminario è la «culla della vostra vocazione e la palestra della prima esperienza di comunione» (Direttorio per il Ministero e la Vita dei Presbiteri, n. 32). Prego perché siate, con l’aiuto di Dio, sacerdoti santi, fedeli e felici di servire la Chiesa!

    5. Rivolgo ora il mio sguardo e la mia attenzione a voi, amatissimi Consacrati e Consacrate, qui riuniti nel Santuario della Madre, Regina e Patrona del Popolo Brasiliano, ed anche sparsi in tutte le parti del mondo. Voi, religiosi e religiose, siete un’offerta, un regalo, un dono divino che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore. Rendo grazie a Dio per la vostra vita e per la testimonianza che date al mondo di un amore fedele a Dio ed ai fratelli. Questo amore senza riserve, totale, definitivo, incondizionato ed appassionato si manifesta nel silenzio, nella contemplazione, nella preghiera e nelle attività più diversificate che svolgete, nelle vostre famiglie religiose, a favore dell’umanità e principalmente dei più poveri ed abbandonati. Tutto questo suscita nel cuore dei giovani il desiderio di seguire più da vicino e radicalmente Cristo Signore ed offrire la vita per rendere testimonianza agli uomini e donne del nostro tempo del fatto che Dio è Amore e che vale la pena lasciarsi conquistare e affascinare per dedicarsi esclusivamente a Lui (cfr Esort. ap. Vita consecrata, 15).

    La vita religiosa in Brasile è stata sempre significativa ed ha avuto un ruolo importante nell’opera dell’evangelizzazione, sin dagli inizi della colonizzazione. Soltanto ieri, ho avuto il grande piacere di presiedere la Concelebrazione Eucaristica nella quale è stato canonizzato Sant’Antonio di Sant’Anna Galvão, presbitero e religioso francescano, primo Santo nato in Brasile. Accanto a lui, un’altra ammirevole testimonianza di persona consacrata è Santa Paulina, fondatrice delle Piccole Suore dell’Immacolata Concezione. Avrei molti altri esempi da citare. Che essi, tutti insieme, vi servano di stimolo per vivere una consacrazione totale. Dio vi benedica!

    6.Oggi, alla vigilia dell’apertura della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, che avrò il piacere di presiedere, sento il desiderio di dire a tutti voi com’è importante il senso della nostra appartenenza alla Chiesa, che porta i cristiani a crescere ed a maturare come fratelli, figli dello stesso Dio e Padre. Carissimi uomini e donne dell’America Latina, so che avete una grande sete di Dio. So che seguite quel Gesù, che disse: «Nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Il Papa vuole perciò dire a tutti voi: La Chiesa è la nostra Casa! Questa è la nostra Casa! Nella Chiesa cattolica troviamo tutto ciò che è buono, tutto ciò che è motivo di sicurezza e di sollievo! Colui che accetta Cristo, «Cammino, Verità e Vita» nella sua totalità, si assicura la pace e la felicità, in questa vita e nell’altra! Per questo, il Papa è venuto qui per pregare e confessare con voi tutti: Vale la pena essere fedeli, vale la pena perseverare nella propria fede! La coerenza nella fede richiede, però, anche una solida formazione dottrinale e spirituale, contribuendo così alla costruzione di una società più giusta, più umana e cristiana. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, anche nella sua versione più ridotta, pubblicata sotto il titolo di Compendio, sarà di aiuto per avere chiare nozioni circa la nostra fede. Chiediamo fin d’ora che la venuta dello Spirito Santo sia per tutti quanti come una nuova Pentecoste, affinché illumini con la luce che scende dall’Alto i nostri cuori e la nostra fede.

    7. È con grande speranza che mi rivolgo a voi tutti che vi trovate all’interno di questa maestosa Basilica, o che hanno partecipato al Santo Rosario stando all’esterno, per invitarvi a diventare profondamente missionari e a portare la Buona Novella del Vangelo a tutti i punti cardinali dell’America Latina e del mondo. Chiediamo alla Madre di Dio, Nostra Signora della Concezione Aparecida, che protegga la vita di tutti i cristiani. Lei, che è la Stella dell’Evangelizzazione, guidi i nostri passi sul cammino verso il Regno celeste:

    «Madre nostra, proteggi la famiglia brasiliana e latinoamericana!
    Custodisci sotto il tuo mantello protettore i figli di questa amata Patria che ci accoglie,
    Tu che sei l’Avvocata presso il tuo Figlio Gesù, da’ al Popolo Brasiliano pace costante e prosperità completa,
    Infondi nei nostri fratelli di tutta la geografia latinoamericana un vero ardore missionario, propagatore di fede e di speranza,
    Fa’ che il tuo grido risuonato a Fatima per la conversione dei peccatori diventi realtà e trasformi la vita della nostra società,
    e Tu che, dal Santuario di Guadalupe, intercedi per il popolo del Continente della Speranza, benedici le sue terre ed i suoi focolari,
    Amen».


    [Traduzione dall’originale in Portoghese diffusa dalla Sala Stampa vaticana; © Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana]




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    DISCORSO DEL SANTO PADRE PER L'APERTURA DEL CONVEGNO DELLA DIOCESI DI ROMA (Basilica di S. Giovanni in Laterano, 11/06/2007)

    Cari fratelli e sorelle,

    per il terzo anno consecutivo il Convegno della nostra diocesi mi offre la possibilità di incontrarvi e di rivolgermi a voi tutti, affrontando la tematica sulla quale la Chiesa di Roma si concentrerà nel prossimo anno pastorale, in stretta continuità con il lavoro svolto nell'anno che si sta concludendo. Saluto con affetto ciascuno di voi, vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici che partecipate con generosità alla missione della Chiesa. Ringrazio in particolare il cardinale vicario per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi.

    Il tema del Convegno è «Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza»: un tema che ci riguarda tutti, perché ogni discepolo confessa che Gesù è il Signore ed è chiamato a crescere nell'adesione a Lui, dando e ricevendo aiuto dalla grande compagnia dei fratelli nella fede. Il verbo «educare», posto nel titolo del Convegno, sottintende però una speciale attenzione ai bambini, ai ragazzi e ai giovani e mette in evidenza quel compito che è proprio anzitutto della famiglia: rimaniamo così all'interno di quel percorso che ha caratterizzato negli ultimi anni la pastorale della nostra diocesi.
    È importante soffermarci anzitutto sull'affermazione iniziale, che dà il tono e il senso del nostro Convegno: «Gesù è il Signore». La ritroviamo già nella solenne dichiarazione che conclude il discorso di Pietro a Pentecoste: «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (At 2,36). Analoga è la conclusione del grande inno a Cristo contenuto nella Lettera di Paolo ai Filippesi: «Ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre» (2,11).
    Ancora San Paolo, nel saluto finale della Prima Lettera ai Corinzi, esclama: «Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. Maranà tha : vieni, o Signore» (1 Cor 16,22), tramandandoci così l'antichissima invocazione in lingua aramaica di Gesù come Signore. Aggiungo un'altra citazione, che mostra con particolare evidenza il legame che unisce la prima generazione cristiana al suo unico Signore: «Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, … per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (1 Cor 8,5-6). Così, fin dall'inizio, i discepoli hanno riconosciuto in Gesù risorto colui che è nostro fratello in umanità, ma fa anche tutt'uno con Dio; colui che con la sua venuta nel mondo e in tutta la sua vita, la sua morte e risurrezione ci ha portato Dio, ha reso in maniera nuova e unica Dio presente nel mondo, colui dunque che dà significato e speranza alla nostra vita: in lui incontriamo infatti il vero volto di Dio, ciò di cui abbiamo realmente bisogno per vivere.

    Educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza vuol dire aiutare i nostri fratelli, o meglio aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre. È questo, fin dall'inizio, il compito fondamentale della Chiesa, come comunità dei credenti, dei discepoli e degli amici di Gesù. La Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo, è quella compagnia affidabile nella quale siamo generati ed educati per diventare, in Cristo, figli ed eredi di Dio. In lei riceviamo quello Spirito «per mezzo del quale gridiamo "Abbà, Padre!"» (Rm 8,14-17).

    Cari fratelli e sorelle, l'esperienza quotidiana ci dice però che educare alla fede non è un'impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande «emergenza educativa», della crescente difficoltà che s'incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell'esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefigga scopi educativi.
    Possiamo aggiungere che si tratta di un'emergenza inevitabile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità e si finisce per dubitare della bontà della vita e della validità dei rapporti e degli impegni che la costituiscono. Come sarebbe possibile, allora, proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l'umana esistenza, sia come persone sia come comunità?
    Perciò l'educazione tende a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere. Così sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata.

    Ma questa situazione evidentemente non soddisfa, non può soddisfare, perché lascia da parte lo scopo essenziale dell'educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un'educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole, lo chiede la società nel suo complesso, in Italia come in molte altre nazioni, perché vede messe in dubbio dalla crisi dell'educazione le basi stesse della convivenza.
    In un simile contesto l'impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano «odio di sé» che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà.

    Tutto questo non diminuisce però le difficoltà che incontriamo nel condurre i fanciulli, gli adolescenti e i giovani ad incontrare Gesù Cristo e a stabilire con Lui un rapporto duraturo e profondo. Eppure proprio questa è la sfida decisiva per il futuro della fede, della Chiesa e del cristianesimo ed è quindi una priorità essenziale del nostro lavoro pastorale: avvicinare a Cristo e al Padre la nuova generazione, che vive in un mondo per gran parte lontano da Dio.

    Cari fratelli e sorelle, dobbiamo sempre essere consapevoli che una simile opera non può essere realizzata con le nostre forze, ma soltanto con la potenza dello Spirito. Sono necessarie la luce e la grazia che vengono da Dio e agiscono nell'intimo dei cuori e delle coscienze. Per l'educazione e formazione cristiana, dunque, è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui. Non dimentichiamoci mai della parola di Gesù: «Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,15-16). Perciò le nostre comunità potranno lavorare con frutto ed educare alla fede e alla sequela di Cristo essendo esse stesse autentiche «scuole» di preghiera (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 33), nelle quali si vive il primato di Dio.

    L'educazione inoltre, e specialmente l'educazione cristiana, l'educazione cioè a plasmare la propria vita secondo il modello del Dio che è amore (cfr 1Gv 4,8.16), ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell'amore. Soprattutto oggi, quando l'isolamento e la solitudine sono una condizione diffusa, alla quale non pongono un reale rimedio il rumore e il conformismo di gruppo, diventa decisivo l'accompagnamento personale, che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso ed accolto.
    In concreto, questo accompagnamento deve far toccare con mano che la nostra fede non è qualcosa del passato, che essa può essere vissuta oggi e che vivendola troviamo realmente il nostro bene. Così i ragazzi e i giovani possono essere aiutati a liberarsi da pregiudizi diffusi e possono rendersi conto che il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga il più ragionevole. L'intera comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni e componenti, è chiamata in causa dal grande compito di condurre le nuove generazioni all'incontro con Cristo: su questo terreno, pertanto, deve esprimersi e manifestarsi con particolare evidenza la nostra comunione con il Signore e tra noi, la nostra disponibilità e prontezza a lavorare insieme, a «fare rete», a realizzare con animo aperto e sincero ogni utile sinergia, cominciando dal contributo prezioso di quelle donne e di quegli uomini che hanno consacrato la propria vita all'adorazione di Dio e all'intercessione per i fratelli.


    È del tutto evidente, però, che nell'educazione e nella formazione alla fede una missione propria e fondamentale ed una responsabilità primaria competono alla famiglia. I genitori infatti sono coloro attraverso i quali il bambino che si affaccia alla vita fa la prima e decisiva esperienza dell'amore, di un amore che in realtà non è soltanto umano ma è un riflesso dell'amore che Dio ha per lui. Perciò tra la famiglia cristiana, piccola «Chiesa domestica» (cfr Lumen gentium, 11), e la più grande famiglia della Chiesa deve svilupparsi la collaborazione più stretta, anzitutto riguardo all'educazione dei figli.
    Tutto quello che è maturato nei tre anni che la nostra pastorale diocesana ha dedicato specificamente alla famiglia va dunque non solo messo a frutto ma incrementato ulteriormente.
    Ad esempio, i tentativi di coinvolgere maggiormente i genitori e gli stessi padrini e madrine prima e dopo il battesimo, per aiutarli a capire e ad attuare la loro missione di educatori della fede, hanno già dato risultati apprezzabili e meritano di essere continuati e di diventare patrimonio comune di ciascuna parrocchia. Lo stesso vale per la partecipazione delle famiglie alla catechesi e a tutto l'itinerario di iniziazione cristiana dei fanciulli e degli adolescenti.

    Sono molte, certamente, le famiglie impreparate a un tale compito e non mancano quelle che sembrano non interessate, se non contrarie, all'educazione cristiana dei propri figli: si fanno sentire qui anche le conseguenze della crisi di tanti matrimoni. Raramente si incontrano però genitori del tutto indifferenti riguardo alla formazione umana e morale dei figli, e quindi non disponibili a farsi aiutare in un'opera educativa che essi avvertono come sempre più difficile. Si apre pertanto uno spazio di impegno e di servizio per le nostre parrocchie, oratori, comunità giovanili, e anzitutto per le stesse famiglie cristiane, chiamate a farsi prossimo di altre famiglie per sostenerle ed assisterle nell'educazione dei figli, aiutandole così a ritrovare il senso e lo scopo della vita di coppia.

    Man mano che i ragazzi crescono aumenta naturalmente in loro il desiderio di autonomia personale, che diventa facilmente, soprattutto nell'adolescenza, presa di distanza critica dalla propria famiglia. Si rivela allora particolarmente importante quella vicinanza che può essere assicurata dal sacerdote, dalla religiosa, dal catechista o da altri educatori capaci di rendere concreto per il giovane il volto amico della Chiesa e l'amore di Cristo.
    Per generare effetti positivi che durino nel tempo, la nostra vicinanza deve essere consapevole che il rapporto educativo è un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all'autentica libertà. Non c'è infatti vera proposta educativa che non stimoli a una decisione, per quanto rispettosamente e amorevolmente, e proprio la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione.
    Come ho detto al Convegno ecclesiale di Verona, «un'educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l'amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà» (Discorso del 19 ottobre 2006). Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse.

    L'educatore autentico prende ugualmente sul serio la curiosità intellettuale che esiste già nei fanciulli e con il passare degli anni assume forme più consapevoli. Sollecitato e spesso confuso dalla molteplicità di informazioni e dal contrasto delle idee e delle interpretazioni che gli vengono continuamente proposte, il giovane di oggi conserva tuttavia dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano (De virginibus velandis, I,1), «ha affermato di essere la verità, non la consuetudine».
    È nostro compito cercare di rispondere alla domanda di verità ponendo senza timori la proposta della fede a confronto con la ragione del nostro tempo. Aiuteremo così i giovani ad allargare gli orizzonti della loro intelligenza, aprendosi al mistero di Dio, nel quale si trova il senso e la direzione dell'esistenza, e superando i condizionamenti di una razionalità che si fida soltanto di ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. È quindi molto importante sviluppare quella che già lo scorso anno abbiamo chiamato «pastorale del l'intelligenza».

    Il lavoro educativo passa attraverso la libertà, ma ha anche bisogno di autorevolezza. Perciò, specialmente quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza. Il testimone di Cristo è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l'affidabile bontà. L'autentico educatore cristiano è dunque un testimone che trova il proprio modello in Gesù Cristo, il testimone del Padre che non diceva nulla da se stesso, ma parlava così come il Padre gli aveva insegnato (cfr Gv 8,28). Questo rapporto con Cristo e con il Padre è per ciascuno di noi, cari fratelli e sorelle, la condizione fondamentale per essere efficaci educatori alla fede.


    «Nella scuola si incontrino vita e cultura»

    Il nostro Convegno parla molto giustamente di educazione non solo alla fede e alla sequela, ma anche alla testimonianza di Gesù Signore. La testimonianza attiva da rendere a Cristo non riguarda dunque soltanto i sacerdoti, le religiose, i laici che hanno nelle nostre comunità compiti di formatori, ma gli stessi ragazzi e giovani e tutti coloro che vengono educati alla fede. La consapevolezza di essere chiamati a diventare testimoni di Cristo non è pertanto qualcosa che si aggiunge dopo, una conseguenza in qualche modo esterna alla formazione cristiana, come purtroppo spesso si è pensato e anche oggi si continua a pensare, ma al contrario è una dimensione intrinseca ed essenziale dell’educazione alla fede e alla sequela, così come la Chiesa è missionaria per sua stessa natura (cfr Ad gentes, 2).
    Fin dall’inizio della formazione dei fanciulli, per arrivare, con un cammino progressivo, alla formazione permanente dei cristiani adulti, bisogna quindi che mettano radici nell’animo dei credenti la volontà e la co nvinzione di essere partecipi della vocazione missionaria della Chiesa, in tutte le situazioni e circostanze della propria vita: non possiamo infatti tenere per noi la gioia della fede, dobbiamo diffonderla e trasmetterla, e così rafforzarla anche nel nostro cuore. Passa di qui, in larga misura, quella nuova evangelizzazione a cui il nostro amato papa Giovanni Paolo II ci ha chiamati. Un’esperienza concreta, che potrà far crescere nei giovani delle parrocchie e delle varie aggregazioni ecclesiali la volontà di testimoniare la propria fede, è la «Missione giovani» che state progettando, dopo il felice risultato della grande «Missione cittadina».

    Nell’educazione alla fede un compito molto importante è affidato alla scuola cattolica. Essa infatti adempie alla propria missione basandosi su un progetto educativo che pone al centro il Vangelo e lo tiene come decisivo punto di riferimento per la formazione della persona e per tutta la proposta culturale. In convinta sinergia con le famiglie e con la comunità ecclesiale, la scuola cattolica cerca dunque di promuovere quell’unità tra la fede, la cultura e la vita che è obiettivo fondamentale dell’educazione cristiana. Anche le scuole statali, secondo forme e modi diversi, possono essere sostenute nel loro compito educativo dalla presenza di insegnanti credenti - in primo luogo, ma non esclusivamente, i docenti di religione cattolica – e di alunni cristianamente formati, oltre che dalla collaborazione di tante famiglie e della stessa comunità cristiana.
    La sana laicità della scuola, come delle altre istituzioni dello Stato, non implica infatti una chiusura alla trascendenza e una falsa neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di un’autentica formazione della persona. Un discorso analogo vale naturalmente per le università ed è davvero di buon auspicio che a Roma la pastorale universitaria abbia potuto svilupparsi in tutti gli atenei, tanto tra i docenti che tra gli studenti, e sia in atto una feconda c ollaborazione tra le istituzioni accademiche civili e pontificie.

    Oggi più che nel passato l’educazione e la formazione della persona sono influenzate da quei messaggi e da quel clima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad una mentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione, o meglio profanazione, del corpo e della sessualità.
    Perciò, proprio per quel grande «sì» che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio, non possiamo certo disinteressarci dell’orientamento complessivo della società a cui apparteniamo, delle tendenze che la animano e degli influssi positivi o negativi che essa esercita sulla formazione delle nuove generazioni. La presenza stessa della comunità dei credenti, il suo impegno educativo e culturale, il messaggio di fede, di fiducia e di amore di cui è portatrice sono in realtà un servizio inestimabile verso il bene comune e specialmente verso i ragazzi e i giovani che si stanno formando e preparando alla vita.

    Cari fratelli e sorelle, c’è un ultimo punto sul quale desidero attirare la vostra attenzione: esso è sommamente importante per la missione della Chiesa e chiede il nostro impegno e anzitutto la nostra preghiera.
    Mi riferisco alle vocazioni a seguire più da vicino il Signore Gesù nel sacerdozio ministeriale e nella vita consacrata. La diocesi di Roma negli ultimi decenni è stata allietata dal dono di molte ordinazioni sacerdotali, che hanno consentito di colmare le lacune del periodo precedente e anche di venire incontro alle richieste di non poche Chiese sorelle bisognose di clero; ma i segnali più recenti sembrano meno favorevoli e stimolano tutta la nostra comunità diocesana a rinnovare al Signore, con umiltà e fiducia, la richiesta di operai per la sua messe (cfr Mt 9,37-38; Lc 10,2).
    In maniera sempre delicata e rispettosa, ma anche chiara e coraggiosa, dobbiamo rivolgere un peculiare invito alla sequela di Gesù a quei giovani e a quelle giovani che appaiono più attratti e affascinati dall’amicizia con Lui. In questa prospettiva la diocesi destinerà qualche nuovo sacerdote specificamente alla cura delle vocazioni, ma sappiamo bene che in questo campo sono decisivi la preghiera e la qualità complessiva della nostra testimonianza cristiana, l’esempio di vita dei sacerdoti e delle anime consacrate, la generosità delle persone chiamate e delle famiglie da cui esse provengono.

    Cari fratelli e sorelle, vi affido queste riflessioni come contributo per il dialogo di queste serate e per il lavoro del prossimo anno pastorale. Il Signore ci doni sempre la gioia di credere in Lui, di crescere nella sua amicizia, di seguirlo nel cammino della vita e di rendergli testimonianza in ogni situazione, così che possiamo trasmettere a chi verrà dopo di noi l’immensa ricchezza e bellezza della fede in Gesù Cristo. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano nel vostro lavoro. Grazie!

    fonte: Avvenire, 12/06/07



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    Il Papa conclude la visita pastorale incontrando nella cattedrale di Brindisi il clero, i diaconi e i seminaristi

    La preghiera è il primo servizio
    del sacerdote alla comunità


    Nel pomeriggio di domenica 15 giugno, prima di concludere la visita pastorale, il Papa si è recato nella cattedrale di Brindisi per incontrare i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi. Al termine ha raggiunto in auto l'aeroporto da dove è ripartito alla volta di Ciampino.

    Carissimi presbiteri, diaconi e seminaristi,
    sono lieto di porgere il mio saluto cordiale a tutti voi, raccolti in questa bella Cattedrale, riaperta al culto dopo i restauri nel novembre scorso. Ringrazio l'Arcivescovo, Mons. Rocco Talucci, per il caloroso indirizzo di saluto che ha voluto rivolgermi a nome vostro e per tutti i suoi doni. Saluto i sacerdoti, ai quali desidero esprimere il mio compiacimento per il vasto e articolato lavoro pastorale che svolgono; saluto i diaconi, i seminaristi e tutti i presenti, esprimendo la gioia di vedermi attorniato da una folta schiera di anime consacrate all'avvento del Regno di Dio. Qui, nella Cattedrale, che è il cuore della Diocesi, ci si sente tutti a casa, uniti dal vincolo dell'amore di Cristo. Qui vogliamo fare grata memoria di quanti hanno diffuso il cristianesimo in queste terre:  Brindisi è stata fra le prime città dell'Occidente ad accogliere il Vangelo, giuntovi sulle vie consolari romane. Tra i santi evangelizzatori penso a san Leucio, Vescovo, a sant'Oronzo, san Teodoro d'Amasea e a san Lorenzo da Brindisi, proclamato Dottore della Chiesa da Giovanni xxiii. La loro presenza continua ad essere viva nel cuore della gente ed è testimoniata dai molti monumenti della città.
    Cari fratelli, nel vedervi raccolti in questa Chiesa, nella quale molti di voi hanno ricevuto l'ordinazione diaconale e sacerdotale, mi tornano alla mente le parole che sant'Ignazio di Antiochia scriveva ai cristiani di Efeso:  "Il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al Vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo, nell'accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, s'innalzi un concerto di lodi a Gesù Cristo". Ed il santo Vescovo aggiungeva:  "Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell'armonia della concordia e all'unisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà" (Lettera agli Efesini, 4). Perseverate, cari presbiteri, nella ricerca di tale unità di intenti e di aiuto reciproco, affinché la carità fraterna e l'unità nel lavoro pastorale siano di esempio e di stimolo per le vostre comunità. A questo soprattutto ha mirato la Visita pastorale alle parrocchie, compiuta dal vostro Arcivescovo e terminata nel marzo scorso:  proprio a motivo della vostra generosa collaborazione, essa non è stata un semplice adempimento giuridico, ma uno straordinario avvenimento di valore ecclesiale e formativo. Sono certo che essa porterà i suoi frutti, poiché il Signore farà crescere abbondantemente il seme gettato con amore nelle anime dei fedeli.
    Con l'odierna mia presenza vorrei incoraggiarvi a porvi con sempre crescente disponibilità a servizio del Vangelo e della Chiesa. So che già lavorate con zelo e intelligenza, senza risparmio di energie, allo scopo di propagare il lieto annuncio evangelico. Cristo, al quale avete consacrato la vita, è con voi! In Lui noi tutti crediamo, a Lui solo affidiamo la nostra vita, Lui vogliamo annunciare al mondo. Cristo, che è la Via, la Verità e la Vita (cfr Gv 14, 6), sia il tema del nostro pensare, l'argomento del nostro parlare, il motivo del nostro vivere. Cari fratelli sacerdoti, perché la vostra sia una fede forte e vigorosa occorre, come ben sapete, alimentarla con un'assidua preghiera. Siate pertanto modelli di preghiera, diventate maestri di preghiera. Le vostre giornate siano scandite dai tempi dell'orazione, durante i quali, sul modello di Gesù, vi intrattenete in un colloquio rigenerante con il Padre. So che non è facile mantenersi fedeli a questi quotidiani appuntamenti con il Signore, soprattutto oggi che il ritmo della vita si è fatto frenetico e le occupazioni assorbono in misura sempre maggiore. Dobbiamo tuttavia convincerci:  il momento della preghiera è il più importante nella vita del sacerdote, quello in cui agisce con più efficacia la grazia divina, dando fecondità al suo ministero. Pregare è il primo servizio da rendere alla comunità. E perciò i momenti di preghiera devono avere nella nostra vita una vera priorità. So che tante cose ci premono:  per quanto mi riguarda, un'udienza, una documentazione da studiare, un incontro o altro ancora. Ma se non siano interiormente in comunione con Dio non possiamo dare niente neppure agli altri. Perciò Dio è la prima priorità. Dobbiamo sempre riservare il tempo necessario per essere in comunione di preghiera con nostro Signore.
    Cari fratelli e sorelle, vorrei ora rallegrarmi con voi per il nuovo Seminario Arcivescovile, che è stato inaugurato nel novembre scorso dal mio Segretario di Stato, il Cardinale Tarcisio Bertone. Da una parte, esso esprime il presente di una Diocesi, costituendo come il punto di arrivo del lavoro svolto dai sacerdoti e dalle parrocchie nei settori della pastorale giovanile, dell'insegnamento catechistico, dell'animazione religiosa delle famiglie. Dall'altra, il Seminario è un investimento quanto mai prezioso per il futuro, perché assicura, mediante un lavoro paziente e generoso, che le comunità cristiane non saranno prive di pastori d'anime, di maestri di fede, di guide zelanti e di testimoni della carità di Cristo. Oltre che sede della vostra formazione, cari seminaristi, vera speranza della Chiesa, questo vostro Seminario è anche luogo di aggiornamento e di formazione continua per giovani e adulti, desiderosi di offrire il loro contributo alla causa del Regno di Dio. La preparazione accurata dei seminaristi e la formazione permanente dei presbiteri e degli altri operatori pastorali costituiscono preoccupazioni prioritarie per il Vescovo, al quale Iddio ha affidato la missione di guidare, come saggio pastore, il Popolo di Dio che vive in questa vostra Città.
    Un'ulteriore occasione di crescita spirituale per le vostre Comunità è il Sinodo diocesano, il primo dopo il Concilio Vaticano II e dopo l'unificazione delle due diocesi di Brindisi e di Ostuni. Esso è l'occasione per rilanciare l'impegno apostolico dell'intera Diocesi, ma è soprattutto momento privilegiato di comunione, che aiuta a riscoprire il valore del servizio fraterno, come indica l'icona biblica da voi scelta della lavanda dei piedi (cfr Gv 13, 12-17) con la parola di Gesù che la commenta:  "Come ho fatto io" (Gv 13, 5). Se è vero che il Sinodo - ogni Sinodo - è chiamato a stabilire delle leggi, ad emanare norme adeguate per un'organica pastorale, suscitando e stimolando rinnovati impegni per l'evangelizzazione e la testimonianza evangelica, è anche vero che esso deve ridestare in ogni battezzato l'anelito missionario che costantemente anima la Chiesa.
    Cari fratelli sacerdoti, il Papa vi assicura uno speciale ricordo nella preghiera, perché proseguiate nel cammino di autentico rinnovamento spirituale che state percorrendo insieme con le vostre Comunità. Vi aiuti in tale impegno l'esperienza dello "stare insieme" nella fede e nell'amore reciproco, come gli Apostoli attorno a Cristo nel Cenacolo. Fu lì che il divino Maestro li istruì, aprendo i loro occhi allo splendore della verità e donò ad essi il sacramento dell'unità e dell'amore:  l'Eucaristia. Nel Cenacolo, durante l'Ultima Cena, al momento della lavanda dei piedi, emerse chiaramente come il servizio sia una delle dimensioni fondamentali della vita cristiana. È compito pertanto del Sinodo aiutare la vostra Chiesa locale, in tutte le sue componenti, a riscoprire il senso e la gioia del servizio:  un servizio per amore. Ciò vale innanzitutto per voi, cari sacerdoti, configurati a Cristo "Capo e Pastore", sempre pronti a guidare il suo gregge. Siate riconoscenti e lieti del dono ricevuto! Siate generosi nello svolgimento del vostro ministero! Poggiatelo su un'assidua preghiera e una permanente formazione culturale, teologica e spirituale!
    Mentre vi rinnovo l'espressione del mio vivo apprezzamento e del più cordiale incoraggiamento, invito voi e l'intera Diocesi a prepararvi all'Anno Paolino, che inizierà prossimamente. Esso potrà essere l'occasione per un generoso rilancio missionario, per un più profondo annuncio della Parola di Dio, accolta, meditata e tradotta in apostolato fecondo, come avvenne appunto per l'Apostolo delle genti. Conquistato da Cristo, Paolo visse interamente per Lui e per il suo Vangelo, spendendo la sua esistenza sino al martirio. Vi assista la Madonna, Madre della Chiesa e Vergine dell'ascolto; vi proteggano i Santi Patroni di questa amata terra di Puglia. Siate missionari dell'amore di Dio; ogni vostra parrocchia sperimenti la gioia di appartenere a Cristo. Come pegno della grazia divina e dei doni del suo Spirito, imparto volentieri a tutti voi la Benedizione Apostolica.



    (©L'Osservatore Romano - 16-17 giugno 2008)

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