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La visita all'ONU del Papa

Ultimo Aggiornamento: 28/11/2008 09:59
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Difesa della vita e della Famiglia, libertà di religione, diritti umani e condanna del terrorismo al centro della visita del Papa all’Onu. Ban Ki-Moon: "Laici ma con la Santa Sede obiettivi comuni"

di Gianluca Barile

NEW YORK (USA) - ''Alcuni aspetti'' dell'applicazione delle recenti scoperte scientifiche e tecnologiche ''rappresentano una chiara violazione dell'ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identita' naturale''. Lo ha denunciato Benedetto XVI parlando per 29 minuti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in occasione del 60.esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo. ''L'azione internazionale volta a preservare l'ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra - ha proseguito il Santo Padre - non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l'autentica immagine della creazione''. ''Questo - ha precisato - non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici''. ''Non si puo' limitare la piena garanzia della liberta' religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilita' dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell'ordine sociale'', ha subito dopo affermato Benedetto XVI all'Assemblea dell'Onu, entrando nel campo della liberta’ di religione e sottolinenando che il diritto a vivere pubblicamente la fede ''manifesta l'unita' della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente''. ''I diritti umani - ha ricordato il Papa - debbono includere il diritto di liberta' religiosa, compreso come espressione di una dimensione che e' al tempo stesso individuale e comunitaria''. Per il Pontefice e' ''inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi, la loro fede, per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti''. Secondo il Santo Padre, proveniente da Washington e accolto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, il problema riguarda anche il mondo occidentale: ''I diritti collegati con la religione - ha scandito nel suo discorso - sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l'ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva''. ''L'attivita' delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato - ha riconosciuto il Papa - che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la liberta' di professare o di scegliere una religione''. Ed e' positivo il ''coinvolgimento influente e generoso'' di esponenti delle religioni "in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle universita', alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei piu' poveri e dei piu' marginalizzati''. Per Benedetto XVI, invece, ''il rifiuto di riconoscere il contributo alla societa' che e' radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell'Assoluto, per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone, privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l'unita' della persona''. La lotta al terrorismo internazionale deve essere condotta ''in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarieta' nei confronti delle regioni piu' deboli del pianeta'', ha poi detto il Papa. Per Benedetto XVI, ''nel contesto delle relazioni internazionali, e' necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la liberta' umana. Tali regole - ha rilevato - non limitano la liberta'; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l'effettivo esercizio e percio' compromettono la dignita' di ogni persona umana''. Fermo restando che ''questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell'ambiente, delle risorse e del clima, richiedono - ha aggiunto il Papa - che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare''. ''La Dichiarazione dei diritti umani - ha tenuto a ribadare il Pontefice - fu adottata come 'comune concezione da perseguire' e non puo' essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l'unita' della persona umana e percio' l’indivisibilita' dei diritti umani''. E, ha ripreso, ''l'esperienza ci insegna che spesso la legalita' prevale sulla giustizia quando l'insistenza sui diritti umani li fa apparire come l'esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere''. Secondo il Papa, di fatto, ''quando vengono presentati semplicemente in termini di legalita', i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che e' il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani e' radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali''. ''Tale aspetto - ha denunciato Benedetto XVI - viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall'interazione umana, e' facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarieta' fra i membri della societa' e percio' validi per tutti i tempi e per tutti i popoli''. ''Penso in particolar modo - ha continuato il Papa - a quei Paesi dell'Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono percio' a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione''. Per il Pontefice, ''nel nome della liberta' deve esserci una correlazione tra diritti e doveri, con cui ogni persona e' chiamata ad assumersi la responsabilita' delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell'entrata in rapporto con gli altri''. ''La promozione dei diritti umani rimane la strategia piu' efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza'', ha quindi affermato Benedetto XVI nel suo discorso all'Onu, ricordando che ''le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignita' umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace''. ''La vita della comunita', a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente - ha spiegato - come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e poverta', sicurezza e conflitto''. Ad avviso del Papa, tuttavia, il dovere del rispetto dei diritti non discende da un semplice calcolo di convenienza ma necessita di un cambiamento profondo: ''Il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si puo' realizzare - ha osservato - semplicemente con l'applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti. Il merito della Dichiarazione Universale e' di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti''. Secondo il Pontefice, ''oggi occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l'intima unita', cosi' da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignita' umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari''. "La mia presenza in questa Assemblea e' un segno di stima per le Nazioni Unite ed e' intesa quale espressione della speranza che l'Organizzazione possa servire sempre piu' come segno di unita' fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l'umana famiglia", è stato poi uno degli altri passaggi cruciali dell’intervento del Santo Padre all'Assemblea dell'Onu; per l’occasione, il Pontefice ha sottolineato "l'ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunita' internazionale". In questa situazione, ha aggiunto, e' necessario recuperare fiducia nel multilateralismo. "Le Nazioni Unite - ha ricordato - incarnano l'aspirazione ad un grado superiore di orientamento internazionale, ispirato e governato dal principio di sussidiarieta', e pertanto capace di rispondere alle domande dell'umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli". ''Mediante le Nazioni Unite - ha tenuto a rammentare il Pontefice - gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell'umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso''. Per Benedetto XVI, inoltre, gli stessi ''principi fondativi dell'Organizzazione, cioe' il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignita' della persona, la cooperazione umanitaria e l'assistenza, esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali''. ''Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta - ha rilevato - di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiche' vedono nella vostra attivita' come problemi e conflitti riguardanti la comunita' mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione''. Con la sua vista al Palazzo di Vetro, ha assicurato Benedetto XVI, ''la Chiesa Cattolica mostra pure la volonta' di offrire il contributo che le e' proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza''. ''La Chiesa - ha evidenziato il Papa - opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l'attivita' internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attivita' dei propri fedeli''. Per il Pontefice e' dunque importante che alla Santa Sede sia stato riservato un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando cosi' ''il proprio carattere specifico quale soggetto nell'ambito internazionale, come hanno recentemente confermato - ha voluto sottolineare - le Nazioni Unite'' con un voto a larghissima maggioranza. ''La Santa Sede - ha continuato Benedetto XVI - offre cosi' il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento''. ''Le Nazioni Unite - ha quindi aggiunto il Papa - rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa e' impegnata a portare la propria esperienza in umanita', sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunita' internazionale. Questa esperienza ed attivita', dirette ad ottenere la liberta' per ogni credente, cercano inoltre di aumentare - ha concluso - la protezione offerta ai diritti della persona''. Quello del Santo Padre, non c’è che dire, è stato davvero un intervento mirato ed efficace, dall’alta levatura diplomatica e istituzionale. Non a caso, anche il segretario generale Ban Ki-Moon e il presidente dell'assemblea, Kerim Srgjan, si sono alzati in piedi al termine del discorso del Papa per unirsi all'applauso dei delegati. Benedetto XVI, tra l’altro, era stato lungamente applaudito già al suo ingresso nell'aula dell'Assemblea Generale dell'Onu. Il Papa ha preso posto su una poltrona bianca al lato del banco della presidenza. Prima di fare il suo ingresso nell'aula, il Santo Padre aveva incontrato in privato, in colloqui distinti, il presidente e il segretario generale dell’Onu. Naturalmente, come prevede il protocollo, c’è stato lo scambio di regali tra i ‘padroni di casa’ e l’illustre ospite. Benedetto XVI ha consegnato al segretario generale un'antica mappa vaticana e Ban Ki-Moon ha replicato con un francobollo commemorativo della visita del Pontefice in una preziosa confezione. Nel loro colloquio - ha riferito padre Federico Lombardi, il portavoce vaticano - il Papa e Ban Ki-Moon hanno parlato dei principali problemi internazionali di cui si occupano le Nazioni Unite. Prima di scendere in Assemblea generale il Papa ha firmato il registro dei visitatori su cui ha apposto una frase in latino tratta dal profeta Isaia: ‘Erit opus iustitiae pax’: la pace sara' opera della giustizia. Dopo l'intervento, invece, incontrando i funzionari della segretaria generale e delle agenzie dell'Onu, Benedetto XVI e' tornato sul tema del diritto di intervenire a favore dei deboli affermato nel discorso. ''Nei dibattiti interni delle Nazioni Unite - ha scandito - viene data una crescente importanza alla 'responsabilita' di proteggere'. Di fatto, questa comincia ad essere riconosciuta come la base morale per il diritto di un governo ad esercitare l'autorita' ed e’ anche una caratteristica che per natura appartiene alla famiglia, dove i membri piu' forti si prendono cura di quelli piu' deboli''. Secondo il Papa, dunque, l’Onu ''sorvegliando in quale misura i governi corrispondano alla loro responsabilita' di proteggere i loro cittadini, esercita un servizio importante in nome della comunita' internazionale''. ''Al livello del giorno dopo giorno, siete voi che - ha detto ai funzionari - mediante la considerazione che dimostrate gli uni per gli altri sul posto di lavoro e mediante la vostra sollecitudine per i molti popoli alle cui necessita' e aspirazioni servite con tutto cio' che fate, ponete i fondamenti sui quali si costruisce questo lavoro''. Le Nazioni sono ''una istituzione laica, con sei lingue ufficiali ma nessuna religione ufficiale. Non abbiamo una cappella, ma una sala di meditazione'', ha ricordato dal canto suo Ban Ki-Moon nel suo discorso di benvenuto al Papa, nel quale ha citato tuttavia le parole dello stesso Ratzinger sulla terribile sfida della poverta', sulla non proliferazione degli armamenti nucleari e il cammino verso il disarmo, mettendo cosi' in rilievo la consonanza che esiste tra le posizioni della Santa Sede e quelle dell'Onu, che seguono entrambe ''il principio secondo il quale coloro che hanno un potere piu' grande, non lo devono usare per violare i diritti umani di altri e della pace come rispetto dei diritti di tutti''. Ban Ki-Moon ha inoltre ricordato l'impegno di Benedetto XVI a favore dell'ambiente e i suoi appelli per il dialogo ''tra religioni e culture''. 'Santita' - ha concluso il segretario generale dell’Onu -, sono questi gli obiettivi che abbiamo in comune, e siamo grati delle sue preghiere mentre procediamo sul nostro cammino per realizzarli''. Il Papa ha portato i suoi saluti in 6 lingue e al termine del discorso gli è stata riservata una vera e propria standing ovation dall'Assemblea Generale.

http://www.papanews.it/#a

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Ban Ki-moon sottolinea la missione comune di ONU e Chiesa

Nella visita di Benedetto XVI al Palazzo di Vetro di New York

NEW YORK, venerdì, 18 aprile 2008 (ZENIT.org).- Questo venerdì, il Segretario Generale Ban Ki-moon nel dare il benvenuto a Papa Benedetto XVI ha sottolineato gli obiettivi fondamentali che uniscono l'ONU e la Chiesa cattolica.

“Sua Santità, benvenuto nella nostra casa comune”, ha detto al Pontefice sorridente presentandolo all'Assemblea di 192 membri al Quartier generale dell'ONU a New York.

“In molti modi, la nostra missione ci unisce alla sua. Lei ha parlato dell'enorme sfida della povertà che affligge una gran parte della popolazione mondiale, e di come non dobbiamo permettere l'indifferenza e l'isolazionismo. Ha incoraggiato la non proliferazione delle armi nucleari, e ha chiesto un disarmo nucleare progressivo e concordato”.

“Lei ha spiegato chiaramente che quanti hanno maggior potere non devono usarlo per violare i diritti degli altri, e ha dichiarato che la pace si basa sul rispetto per i diritti di tutti – ha aggiunto –. Ha parlato delle risorse idriche e del cambiamento climatico in quanto fattori di grande importanza per l'intera famiglia umana”.

“Ha chiesto un dialogo aperto e sincero, sia all'interno della sua Chiesa che tra le religioni e le culture, alla ricerca del bene dell'umanità. Ha infine esortato alla fiducia e all'impegno nei confronti delle Nazioni Unite”.

Ban Ki-moon ha ricordato come il Papa abbia sottolineato la capacità dell'ONU di promuovere l'autentico dialogo e di sviluppare le strategie multilaterali per far fronte alle molteplici sfide di un mondo complesso e in rapida mutazione, e ha ribadito la fede che motiva il personale dell'Organizzazione.

“Sia che adoriamo un Dio, molti o nessuno, noi nelle Nazioni Unite dobbiamo sostenere e rafforzare ogni giorno la nostra fede. Visto che le richieste alla nostra Organizzazione si moltiplicano, abbiamo sempre più bisogno di questa fonte preziosa”.

“Sono profondamente grato a Sua Santità Papa Benedetto XVI per averci donato un po' della sua fede – e per aver riposto la sua fiducia in noi. Egli ha entrambe in abbondanza. Speriamo che la sua visita di oggi ci rafforzi”.

Il presidente dell'Assemblea Generale Srgjan Kerim ha detto al Papa che la sua visita ha rappresentato un modo molto forte di riconoscere la validità e l'importanza delle istituzioni internazionali, soprattutto delle Nazioni Unite.

“In un mondo pieno di controversie che possono sfociare in conflitti, violenza e atrocità, il ruolo delle istituzioni internazionali non ha alternative. Un efficace multilateralismo resta il nostro obiettivo, per raggiungere pace e stabilità sulla Terra”, ha affermato.

“Permettetemi di esprimere il mio alto apprezzamento per il prezioso contributo della Santa Sede all'operato dell'Assemblea Generale e soprattutto per il suo importante ruolo nella promozione della giustizia sociale, nel settore dell'educazione e nell'alleviare la povertà e la fame nel mondo”.

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Discorso di Benedetto XVI all'Organizzazione delle Nazioni Unite

NEW YORK, venerdì, 18 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo venerdì mattina da Benedetto XVI visitando a New York la sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.



* * *

Signor Presidente
Signore e Signori,

nel dare inizio al mio discorso a questa Assemblea, desidero anzitutto esprimere a Lei, Signor Presidente, la mia sincera gratitudine per le gentili parole a me dirette. Uguale sentimento va anche al Segretario Generale, il Signor Ban Ki-moon, per avermi invitato a visitare gli uffici centrali dell'Organizzazione e per il benvenuto che mi ha rivolto. Saluto gli Ambasciatori e i Diplomatici degli Stati Membri e quanti sono presenti: attraverso di voi, saluto i popoli che qui rappresentate. Essi attendono da questa Istituzione che porti avanti l'ispirazione che ne ha guidato la fondazione, quella di un "centro per l'armonizzazione degli atti delle Nazioni nel perseguimento dei fini comuni", la pace e lo sviluppo (cfr Carta delle Nazioni Unite, art. 1.2-1.4). Come il Papa Giovanni Paolo II disse nel 1995, l'Organizzazione dovrebbe essere "centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una ‘famiglia di nazioni'" (Messaggio all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 50° anniversario della fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14).

Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell'umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell'Organizzazione - il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l'assistenza - esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali. Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l'aspirazione ad "un grado superiore di orientamento internazionale" (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell'umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli. Ciò è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l'ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.

Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell'ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta. Penso in particolar modo a quei Paesi dell'Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione. Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l'effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana. Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell'entrata in rapporto con gli altri. Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi benefici che l'umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell'ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l'azione internazionale volta a preservare l'ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l'autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.

Il riconoscimento dell'unità della famiglia umana e l'attenzione per l'innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell'attività dell'Organizzazione. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall'uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L'azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell'ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un'imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l'indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.

Il principio della "responsabilità di proteggere" era considerato dall'antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell'idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. Ora, come allora, tale principio deve invocare l'idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà. La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall'umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell'uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l'ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare "un terreno comune", minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.

Il riferimento all'umana dignità, che è il fondamento e l'obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest'anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l'universalità, l'indivisibilità e l'interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l'interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.

La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto. La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l'applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti. Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l'intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari. La Dichiarazione fu adottata come "comune concezione da perseguire" (preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l'unità della persona umana e perciò l'indivisibilità dei diritti umani.

L'esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l'insistenza sui diritti umani li fa apparire come l'esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall'interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli. Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a teche tale massima "non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo" (De doctrina christiana, III, 14). Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori.

Signore e Signori,

mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni e si tenta di collegarle a nuovi diritti. Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor più essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtù indispensabile e fruttuosa.

Il discernimento, dunque, mostra come l'affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona. D'altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. Ciò fornisce inoltre il contesto proprio per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell'attività umana. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari. È proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall'azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità. D'altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le propri esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione.

Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l'unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L'attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione. È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l'ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell'ordine sociale. In verità, già lo stanno facendo, ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei più poveri e dei più marginalizzati. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell'Assoluto - per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone - privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l'unità della persona.

La mia presenza in questa Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed è intesa quale espressione della speranza che l'Organizzazione possa servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l'umana famiglia. Essa mostra pure la volontà della Chiesa Cattolica di offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza. La Chiesa opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l'attività internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli. Indubbiamente la Santa Sede ha sempre avuto un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando così il proprio carattere specifico quale soggetto nell'ambito internazionale. Come hanno recentemente confermato le Nazioni Unite, la Santa Sede offre così il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento.

Le Nazioni Unite rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa è impegnata a portare la propria esperienza "in umanità", sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti della persona. Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell'umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.

Nella mia recente Enciclica Spe salvi, ho sottolineato "che la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione" (n. 25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall'opera salvifica di Gesù Cristo. Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all'attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo. Cari amici, vi ringrazio per l'odierna opportunità di rivolgermi a voi e prometto il sostegno delle mie preghiere per il proseguimento del vostro nobile compito.

Prima di congedarmi da questa distinta Assemblea, vorrei porgere i miei saluti a tutte le Nazioni qui rappresentate nelle lingue ufficiali.

[in inglese; in francese; in spagnolo; in arabo; in cinese; in russo:]

Pace e prosperità con l'aiuto di Dio!

Il Pontefice ha poi salutato lo staff e il personale della sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, rivolgendo loro il seguente discorso:

Signore e Signori,

qui, in un piccolo spazio in mezzo alla città indaffarata di New York, è collocata un'Organizzazione con una missione vasta come il mondo di promuovere la pace e la giustizia. Mi viene in mente un contrasto analogo quanto all'ordine di grandezza tra lo Stato della Città del Vaticano e il mondo, in cui la Chiesa esercita la sua missione universale e il suo apostolato. Gli artisti del XVI secolo che dipinsero le carte geografiche sulle pareti del Palazzo Apostolico ricordarono ai Papi la vasta estensione del mondo conosciuto. In quegli affreschi veniva offerto ai Successori di Pietro un segno tangibile dell'immenso raggio d'azione della missione della Chiesa in un tempo in cui la scoperta del Mondo Nuovo stava aprendo orizzonti imprevisti. Qui, in questo Palazzo di Vetro, l'arte in esposizione ha il suo modo proprio di richiamare alla nostra memoria le responsabilità dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Vediamo immagini degli effetti della guerra e della povertà, ci viene ricordato il dovere di impegnarci per un mondo migliore e proviamo gioia per la genuina molteplicità ed esuberanza della cultura umana, manifestata in questa vasta gamma di popoli e nazioni raccolti sotto la protezione della Comunità Internazionale.

Nell'occasione della mia visita, desidero rendere omaggio al contributo incalcolabile dato dal personale amministrativo e dai tanti impiegati delle Nazione Unite, che svolgono i loro compiti ogni giorno con così grande dedizione e professionalità - qui a New York, in altri centri dell'ONU e in missioni particolari in tutto il mondo. A voi e a chi vi ha preceduto vorrei esprimere il mio apprezzamento personale e quello di tutta la Chiesa. Ricordiamo specialmente i tanti civili e custodi della pace che hanno sacrificato la loro vita sul campo per il bene dei popoli che servono - quarantadue di loro soltanto nel 2007. Ricordiamo anche la grande moltitudine di quanti dedicano la loro vita a lavori mai sufficientemente riconosciuti, svolti non di rado in condizioni difficili. A tutti voi - traduttori, segretari, personale amministrativo di ogni genere, squadre di manutenzione e di sicurezza, operatori per lo sviluppo, custodi della pace e tanti altri - il mio più sincero ringraziamento. Il lavoro da voi svolto mette l'Organizzazione in grado di una continua ricerca di nuove vie per raggiungere gli scopi per i quali è stata fondata.

Delle Nazione Unite si parla spesso come della "famiglia delle nazioni". Ugualmente, si potrebbe descrivere la sede centrale qui a New York come un focolare domestico, un luogo di benvenuto e di sollecitudine per il bene dei membri della famiglia dappertutto. È un luogo eccellente, in cui promuovere la crescita della comprensione reciproca e della collaborazione tra i popoli. Con buona ragione, lo staff delle Nazioni Unite viene scelto entro una vasta gamma di culture e nazionalità. Il personale qui costituisce un microcosmo del mondo intero, in cui ogni singola persona reca un contributo indispensabile dal punto di vista del suo particolare patrimonio culturale e religioso. Gli ideali che hanno ispirato i fondatori di questa istituzione devono esprimersi, qui e in ognuna delle missioni dell'Organizzazione, nel rispetto e nell'accettazione vicendevoli, che sono i contrassegni di una famiglia prosperosa.

Nei dibattiti interni delle Nazioni Unite viene data una crescente importanza alla "responsabilità di proteggere". Di fatto, questa comincia ad essere riconosciuta come la base morale per il diritto di un governo ad esercitare l'autorità. È anche una caratteristica che per natura appartiene alla famiglia, dove i membri più forti si prendono cura di quelli più deboli. Questa Organizzazione, sorvegliando in quale misura i governi corrispondano alla loro responsabilità di proteggere i loro cittadini, esercita un servizio importante in nome della comunità internazionale. Al livello del giorno dopo giorno, siete voi che, mediante la considerazione che dimostrate gli uni per gli altri sul posto di lavoro e mediante la vostra sollecitudine per i molti popoli alle cui necessità e aspirazioni servite con tutto ciò che fate, ponete i fondamenti sui quali si costruisce questo lavoro.

La Chiesa Cattolica, per mezzo dell'attività internazionale della Santa Sede e mediante le innumerevoli iniziative di cattolici laici, Chiese locali e comunità religiose, vi garantisce il suo sostegno per il vostro lavoro. Vi assicuro uno speciale ricordo per voi e per i vostri familiari nelle mie preghiere. Voglia Dio onnipotente benedirvi sempre e confortarvi con la sua grazia e la sua pace, affinché, mediante l'attenzione che offrite all'intera famiglia umana, possiate continuare a servire a Lui.

  

[Traduzione distribuita dalla Santa Sede

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]

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Saluto al Papa del presidente dell'Assemblea generale dell'ONU

NEW YORK, sabato, 19 aprile 2008 (ZENIT.org).- Saluto di benvenuto al Papa a nome dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite da parte del suo presidente, Srgjan Kerim, in occasione della visita di venerdì.



* * *

Santità,

Eccellenze,

Esimi delegati,

Signore e Signori,

Ein herzliches Grüss Gott, Eure Heiligkeit,

È un immenso onore per me quale presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite porgere il benvenuto  al capo della Chiesa cattolica romana, Sua Santità, Papa Benedetto XVI.

La parola ecclesia indica sia un'assemblea sia una chiesa. Quindi, santità, mi permetta di esprimere i miei sinceri sentimenti  di apprezzamento a nome dei popoli dell'ecclesia delle Nazioni Unite per lei quale Sommo Pastore di tutti i cattolici.

Il mese di aprile  ha un significato straordinario nella sua vita, non solo perché è nato il 16 aprile, ma anche perché  è stato nominato cardinale  Vescovo di Velletri-Segni il 5 aprile 1993. Inoltre  è stato eletto Vescovo di Roma il 19 aprile 2005 e il suo pontificato è cominciato il 24 aprile 2005. Così Santità, buon compleanno e buon anniversario!

Nel suo messaggio  al popolo degli Stati Uniti  ha definito la sua visita «un gesto fraterno verso ogni comunità  ecclesiale  e un segno di amicizia  per i membri  delle tradizioni religiose e per tutti gli uomini e le donne di buona volontà». Oggi la sua presenza qui,  Santità,  è un riconoscimento molto significativo  della validità e dell'importanza  di istituzioni internazionali, in particolare delle Nazioni Unite. In un mondo pieno di controversie che possono degenerare nel conflitto, nella violenza e in atrocità, il ruolo  delle istituzioni internazionali non ha alternative. Un effettivo multilateralismo rimane il nostro obiettivo  per  ottenere la pace e la stabilità  sulla terra.

Sono profondamente convinto che le Nazioni Unite possano contare  sul pieno sostegno del Santo Padre della comunità cattolica, una comunità  che conta  più di  un miliardo  di persone, alla promozione  di un dialogo profondo fra  culture, popoli, nazioni e religioni.

Eccellenze,  la visita di Sua Santità Papa Benedetto XVI  alle Nazioni Unite  è un'occasione unica  per ricordarci della nostra nobile missione, così come è stabilita nella Carta: «Riaffermare  la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità  e  nel valore della persona umana, nel pari diritto di uomini e donne  e di nazioni,  grandi e piccole, di praticare la tolleranza e la convivenza  pacifica  come buoni vicini». La tolleranza infatti è il fondamento  della libertà dell'individuo, inclusa la libertà  di fede. Santità,  l'essenza  del programma delle Nazioni Unite  è lo sviluppo per tutti,  basato  sull'equità e sull'uguaglianza delle persone  e sulla  cooperazione globale  che rende le Nazioni Unite così preziose. Un importante programma di sviluppo basato su nuovi approcci al finanziamento dello sviluppo stesso, sulla protezione ambientale e sul raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio sarà un'alta priorità  per le Nazioni Unite nei prossimi decenni.

Quest'anno si celebra il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale  dei Diritti dell'uomo  e come lei, Santità, ha giustamente osservato «la necessità  di solidarietà globale  è più urgente che mai». La Dichiarazione incarna  le più alte virtù  della famiglia umana e ci sfida  a tradurre  le principali intenzioni in azioni che  promuovano i diritti umani, la sicurezza umana, la responsabilità di proteggere  e uno sviluppo più sostenibile. Credo che questi siano  i pilastri  di un più giusto multilateralismo, di una nuova cultura  di rapporti internazionali basata sulla  pace e la tolleranza, e con al centro le Nazioni Unite.

La nuova cultura  di rapporti internazionali  dovrebbe avere come suo principio essenziale la responsabilità di tutti gli Stati, delle  istituzioni  internazionali e transnazionali così come della società civile  e delle Ong,  di cooperare in solidarietà per offrire  a ogni individuo  pari accesso ai diritti e alle opportunità.

Abbiamo l'obbligo morale e istituzionale di plasmare di nuovo le organizzazioni internazionali per agevolare queste opportunità.

A questo proposito,  permettetemi di esprimere  grande apprezzamento per il contributo prezioso  della Santa Sede all'opera dell'Assemblea generale e, in particolare, per l'importante ruolo svolto  nella promozione della giustizia sociale, mediante l'offerta di istruzione e di strumenti per alleviare la povertà e la fame nel mondo.

Santità, confidiamo sulla sua benedizione e sul suo sostegno costanti mentre svolgiamo il nostro lavoro.

Grazie per l'attenzione.



[Traduzione de L'Osservatore Romano]


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Parole al Papa del Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon

In missione nel mondo con un linguaggio di fede

NEW YORK, sabato, 19 aprile 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le parole rivolte al Papa dal Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon durante la visita di questo venerdì al Palazzo di Vetro.





* * *


Santità,

Eccellenze,

Le sono profondamente grato, Santità, per aver accettato il mio invito a visitare le Nazioni Unite,  dimora di tutti gli uomini e di tutte le donne  di fede  nel mondo. Santità, benvenuto nella nostra casa comune.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite è una istituzione laica, composta da 192 Stati. Abbiamo sei lingue ufficiali, ma nessuna religione. Non possediamo una cappella, sebbene abbiamo una stanza per la meditazione.

Tuttavia, se chiede a noi che lavoriamo per le Nazioni Unite  che cos'è che ci motiva, molti rispondono con un linguaggio di fede. Consideriamo ciò che facciamo non solo come un lavoro, ma come una missione. Infatti, missione è la parola  che utilizziamo  più spesso  per la nostra attività nel mondo, da quella relativa alla pace e alla sicurezza a quella legata allo sviluppo dei diritti umani.

Santità,  in molti modi la nostra missione ci unisce  alla sua.

Ha parlato  della terribile sfida della povertà che affligge così tanta parte della popolazione mondiale, e come  potremmo restare indifferenti e chiusi in un isolamento egoistico?

Ha incoraggiato  la non proliferazione  delle armi nucleari ed esortato a un disarmo nucleare progressivo e concordato.

Ha dichiarato che chi ha un potere maggiore non dovrebbe usarlo per violare i diritti  degli altri  e ha affermato che la pace  è basata sul rispetto dei diritti di tutti.

Ha parlato delle risorse idriche  e del cambiamento climatico come di questioni di grande importanza  per tutta la famiglia umana.

Ha esortato a un dialogo aperto e sincero sia in seno alla Chiesa  sia fra le religioni e le culture alla ricerca del bene dell'umanità.

Infine,  ha esortato ad avere fiducia  nelle Nazioni Unite e impegnarsi con esse. Come ha detto,  l'Onu è «capace di promuovere  un dialogo e una comprensione autentici, riconciliare opinioni divergenti e sviluppare  politiche e strategie  multilaterali capaci di  affrontare  le molteplici  sfide  del nostro mondo complesso e in rapido cambiamento».

Santità, questi  sono gli obiettivi fondamentali che condividiamo. Siamo grati di essere nelle sue preghiere mentre avanziamo lungo il cammino verso la loro realizzazione.

Oggi, prima  di  lasciare le Nazioni Unite, visiterà la stanza della meditazione. Il mio grande predecessore, Dag Hammarskjöld, che creò questa stanza, disse  della pietra che ne costituisce il centro: «Possiamo considerarla un altare, vuoto non perché non ci sia Dio, non perché sia un altare dedicato a un Dio sconosciuto, ma perché  sia dedicato al Dio che l'uomo adora con  molti nomi  e in molte forme».

Eccellenze,

sia che adoriamo un solo Dio, molte divinità o nessuna, noi  nelle Nazioni Unite, dobbiamo sostenere e consolidare la nostra fede  ogni giorno. Poiché dalla nostra organizzazione ci si aspetta sempre di più, abbiamo bisogno sempre di più di questo prezioso bene.

Sono profondamente grato  a Sua Santità Papa Benedetto XVI  per averci trasmesso un po' della sua fede e per aver riposto in noi la sua fiducia. Possiede  entrambe in abbondanza. Che oggi la  sua visita ci rafforzi!

Grazie molte.



[Traduzione de L'Osservatore Romano]

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Il commento della Glendon al discorso del Papa all'ONU

RIMINI, giovedì, 28 agosto 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo il testo integrale, apparso su “Il Foglio”, dell'intervento che l'Ambasciatrice americana presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, ha tenuto al Meeting di Rimini, il 27 agosto, nell'incontro dal titolo “Giustizia e diritti umani”.




* * *

E' davvero un onore partecipare al famoso Meeting di Rimini, ed è una gioia straordinaria condividere il podio con Stefano Alberto, Marta Cartabia e Joseph Weiler. Ci è stato chiesto di discutere il tema “Giustizia e dei Diritti Umani” nel discorso tenuto da papa Benedetto XVI alle Nazioni Unite il 18 aprile 2008, e mi è stato affidato il gradito compito di cominciare proponendo alcune riflessioni sul modo in cui il Papa ha trattato questi argomenti.

Ho avuto per l’appunto la grande fortuna di essere presente alle Nazioni Unite quando il Santo Padre ha tenuto il discorso e di assistere all’entusiastica standing ovation che ha ricevuto. All’epoca, tuttavia, non ho potuto fare a meno di domandarmi se coloro che avevano applaudito il Papa con tale entusiasmo avessero realmente compreso appieno le implicazioni delle sue parole. Poiché, al pari di molti altri discorsi di papa Benedetto, si tratta di un discorso in cui esprime in modo piuttosto criptico alcune idee alquanto complesse. È un discorso ricco di stimoli; un discorso che ha bisogno, come si suol dire, di essere “spacchettato”. Aggiungerei che si tratta di un discorso rivolto a un pubblico assai più vasto di quello dei diplomatici riuniti nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I suoi contenuti sono rivolti a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che sperano in qualche modo di poter contribuire a cambiare il corso degli eventi in favore della libertà e dell’umana dignità. In altre parole, sono destinati a tutti coloro che sperano, usando l’espressione di don Luigi Giussani, di essere “protagonisti” piuttosto che “nessuno” nel nostro mondo sempre più interdipendente e tuttavia tormentato da conflitti. È quindi particolarmente appropriato esaminare attentamente questi contenuti qui al Meeting.

Permettetemi di iniziare con un’osservazione sul metodo retorico scelto dal Papa. Come in altri discorsi tenuti negli Stati Uniti, egli inizia l’allocuzione alle Nazioni Unite esprimendo il suo apprezzamento per ciò che di più nobile ed elevato vi è nella tradizione e nella prassi del gruppo riunito di fronte a lui. Successivamente, mentre esorta i suoi ascoltatori a intensificare il loro impegno per realizzare i nobili scopi che si sono prefissi, fa notare, in toni concilianti al massimo, alcune insidie da evitare lungo la strada. Talvolta il suo metodo è talmente conciliante, e la sua voce così dolce e gentile, che – al primo ascolto – è facile sottovalutare la gravità dei suoi ammonimenti. Ma se si studiano attentamente questi discorsi si resta colpiti dalla forza degli avvertimenti che accompagnano le sue affermazioni.

Il giudizio cautamente positivo espresso da papa Benedetto riguardo al moderno progetto internazionale per i diritti umani amplia, e si pone in continuità con quello dei suoi predecessori. Papa Giovanni XXIII ne fu uno strenuo sostenitore fin dai suoi primissimi esordi. In veste di Nunzio pontificio a Parigi, il cardinale Roncalli agì con discrezione dietro le quinte per aiutare coloro che stavano cercando di ottenere l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo da parte dei membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In seguito, divenuto Papa, egli lodò la Dichiarazione nella sua enciclica Pacem in Terris – aggiungendo, tuttavia, che “su qualche punto particolare della dichiarazione sono state sollevate obiezioni e fondate riserve” (Pacem in Terris, 75)

Fu durante il pontificato di papa Giovanni Paolo II che il movimento internazionale per i diritti umani rivelò tutto il suo potenziale quale forza propulsiva per un cambiamento pacifico, specialmente nell’Europa dell’Est e in Sudafrica. Giovanni Paolo II parlò spesso con approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, riferendosi a essa come a “una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano” (discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2 ottobre 1979, 7) e “una delle più alte espressioni della coscienza umana nel nostro tempo” (messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la Celebrazione del 50° di Fondazione, 5 ottobre 1995, 2). Cionondimeno, nel 1989, proprio nell’anno in cui il movimento per i diritti umani stava conseguendo i suoi più grandi successi nell’Europa dell’Est, il papa-filosofo rilevava che “la dichiarazione del 1948 non presenta i fondamenti antropologici ed etnici dei diritti dell’uomo che essa proclama” (Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la santa sede, 9 gennaio 1989, 7). Due anni dopo, egli richiamò l’attenzione sulla minaccia ai suoi principi rappresentata dal diffondersi di atteggiamenti relativistici (Centesimus Annus, 29). E nel 1998, in occasione del 50° Anniversario della Dichiarazione, si disse preoccupato per il fatto che “su questo anniversario pesano, tuttavia, le ombre di alcune riserve manifestate circa due caratteristiche essenziali della nozione stessa di diritti dell’uomo: la loro universalità e la loro indivisibilità” (messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1998, 2). Da allora, tali riserve sono diventate particolarmente virulente, come è emerso chiaramente alle conferenze del Cairo e di Pechino.

Alla luce di questo precedente, c’era molta curiosità riguardo a cosa papa Benedetto avrebbe detto nel suo discorso alle Nazioni Unite in aprile. Prossima al suo sessantesimo anniversario, la dichiarazione era diventata l’unico e più importante punto di riferimento comune per il dibattito tra le nazioni sulla dignità della condizione umana, e quello dei diritti era divenuto il principale linguaggio per portare avanti tali discussioni. Papa Benedetto ha usato questi fatti come punto di partenza, osservando come “I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali”. Ma questo successo ha avuto il suo prezzo. Infatti, tanto più l’idea dei diritti umani internazionali ha mostrato la sua forza, quanto più intensa è diventata la lotta per sfruttare il suo potere per diversi scopi, dei quali non tutti rispettano la dignità umana.

E' la discussione puntuale su queste sfide che distingue il modo in cui papa Benedetto ha trattato i diritti umani da quello dei suoi predecessori. Al pari di loro, egli elogia i nobili scopi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, descrivendola come l’esito di un processo volto a “porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società”. Le attribuisce il merito di aver permesso “a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno a un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti”. Ma ciò che colpisce è come queste espressioni di apprezzamento siano accompagnate dalla più approfondita ed esortativa discussione sui diritti umani mai comparsa in un documento pontificio. Il breve discorso di papa Benedetto indica almeno sette dilemmi che hanno assillato il progetto dei diritti umani sin dall’inizio, ma che, ironia della sorte, sono diventati più gravi man mano che il progetto dei diritti umani avanzava: i dilemmi derivano (1) dalle minacce messe in atto dalle diverse forme di relativismo, (2) dal distacco dal principio stabilito dal positivismo, (3) dalla diffusione di approcci selettivi ai diritti, (4) dalla proliferazione di rivendicazione di diritti nuovi e discutibili, (5) dalle interpretazioni iper-individualistiche o ultra-libertarie dei diritti, (6) dall’aver trascurato la relazione esistente fra diritti e responsabilità, (7) e dalla minaccia alla libertà di religione rappresentata da un laicismo aggressivo. Permetteteci di prendere brevemente in considerazione alcune delle immense sfide lanciate da questi sviluppi per gente che aspira a essere “protagonista” nella trasformazione della cultura.

1. Relativismo Culturale


Innanzitutto (ed è del tutto normale da parte di un teologo celebre per la sua preoccupazione riguardo al relativismo dogmatico), il Papa mette in guardia sul pericolo derivante dal negare l’universalità dei diritti “in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti” e dall’uso dell’“argomento della specificità culturale per coprire violazioni dei diritti umani” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 1998, 2). L’ammonimento è più che giustificato. Nel corso degli anni, questa argomentazione è stata avanzata da alcuni dei peggiori violatori dei diritti umani, tra cui molto di recente la Birmania. Ma d’altra parte non è sempre facile distinguere fra il relativismo culturale che mina i diritti universali e un legittimo pluralismo che ammette differenti mezzi di espressione e protegge tali diritti. Il pensiero sociale cattolico, sulla base della lunga esperienza della Chiesa nella dialettica fra principi universali e culture differenti, riconosce come l’universalità non comporti necessariamente l’omogeneità, e come l’esistenza di diverse modalità di attuazione dei principi non implichi necessariamente un atteggiamento relativista riguardo ai principi stessi (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1999, 3). Infatti, la storia dell’inculturazione della fede cattolica in società estremamente differenti mostra come la concezione comune delle verità fondamentali possa essere arricchita dalla varietà delle esperienze attraverso cui tali verità vengono vissute. Di conseguenza, non si deve pensare che il Papa intenda porre in netto contrasto i diritti universali e le particolarità culturali. Dopotutto, i diritti scaturiscono dalla cultura; i diritti non possono essere sostenuti senza fondamenti culturali; e i diritti, per essere effettivi, devono diventare parte del modo di vivere di ciascun popolo. Come ha affermato una volta Giovanni Paolo II, i diritti umani saranno garantiti solo “quando una cultura dei diritti umani, rispettosa delle diverse tradizioni, diventa parte integrante del patrimonio morale dell’umanità” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1999, 12). Ignorare questa realtà significherebbe cadere nella mentalità che caratterizza la cultura professionale di molti avvocati internazionali, dipendenti di istituzioni internazionali e ONG internazionali – una sorta di “-ismo” internazionale, insensibile alle particolarità locali e che insiste sulle proprie interpretazioni dogmatiche dei diritti umani. Questo tipo di dogmatismo può risultare altrettanto dannoso per la causa della tutela della dignità umana quanto le pretese del relativismo culturale. Basti pensare solamente ai reiterati tentativi di usare le agenzie delle Nazioni Unite come siti di produzione off-shore, dove le problematiche delle lobby possono essere trasformate in nuovi “diritti”, esenti da qualsiasi controllo pubblico e responsabilità democratica.Promuovere la giustizia e i diritti umani senza cadere nel relativismo culturale da un lato e nell’imperialismo culturale dall’altro, è dunque un’ardua sfida. L’invocazione del Papa, nel suo discorso, al principio della sussidiarietà mostra come egli sia ben consapevole delle difficoltà che tale sfida comporta. Tali difficoltà si intensificano se considerate alla luce della critica mossa dal Papa al positivismo.

2. Positivismo
È difficile comprendere come forme distruttive di relativismo si possano distinguere da un legittimo pluralismo se i diritti sono considerati semplicemente come l’esito di provvedimenti legislativi o di altre decisioni ufficiali. Gli artefici della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sapevano bene che non tutto quanto all’interno di un determinato ordinamento giuridico è definito come “diritto” possa o debba essere universalizzato. Come sottolinea il Papa nel suo discorso alle Nazioni Unite, la giustizia è spesso negata quando i diritti vengono presentati “semplicemente in termini di legalità, [...] deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo”. Il termine “razionale” è significativo in questo contesto poiché, secondo il pensiero cattolico, i diritti umani derivano da un ordine naturale, le cui leggi possono essere scoperte attraverso lo studio e l’esperienza. Esse sono accessibili mediante la ragione sia per chi crede sia per chi non crede. Rimuovere i diritti umani da questo contesto – sottolinea il Papa – distruggerebbe la loro universalità. Tuttavia, nel nostro mondo post-moderno – in cui la concezione di diritti, giustizia e legge naturale è violentemente contestata – non è semplice identificare gli strumenti per preservare il rapporto fra i diritti umani e i loro fondamenti etico-razionali. A un livello abbiamo a che fare con i relativisti filosofici, i quali non sono in grado di affermare perché un qualsiasi valore dovrebbe essere difeso o un comportamento condannato, salvo che ricorrendo alle preferenze individuali. A livello pratico, il problema di “chi decide” sarà sempre alquanto spinoso, un problema che le democrazie liberali hanno trovato opportuno affrontare mediante la separazione dei poteri e il sistema di checks-and-balances (Sistema istituzionale di “controlli e contrappesi” che caratterizza i rapporti fra i vari poteri dello stato negli ordinamenti democratici. ndt). L’osservazione del Papa, secondo cui l’applicazione di procedure corrette e lo stato di diritto non sono sufficienti per la difesa dell’umana dignità, è un implicito richiamo alla priorità della cultura. Come ha affermato una volta Giovanni Paolo II: “…la dignità della persona deve essere tutelata nei costumi, prima di esserlo nel diritto” (Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la santa sede, 9 gennaio 1989, 7). Tuttavia, sebbene lo stato di diritto e un processo equo non siano sufficienti in sé, essi sono estremamente importanti al fine di tutelare l’umana dignità (e sono riconosciuti come tali nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Al pari dei diritti fondamentali che difendono, essi rappresentano fragili conquiste culturali ottenute con fatica. Il Papa riconosce tutto ciò nel passo del suo discorso in cui insiste sul fatto che la comunità internazionale deve rispettare “i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali” quando essa esercita il suo compito di protezione.

3. Selettività
Un terzo problema citato dal Papa sorge dalla tendenza assai diffusa a trascurare l’interdipendenza fra i diritti fondamentali, un’abitudine consolidatasi durante gli anni della guerra fredda, quando i principali antagonisti diedero inizio alla pratica oggi comune di considerare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come una sorta di menu, da cui ognuno poteva scegliere a piacere i propri diritti preferiti ignorando il resto. Sebbene il principio secondo cui i diritti universali sono “interdipendenti e indivisibili” sia stato affermato in numerosi documenti delle Nazioni Unite, nella prassi esso è stato palesemente disprezzato tanto dalle nazioni quanto dalle lobby di potere. È interessante notare come, negli ultimi sessant’anni, il principale difensore istituzionale della Dichiarazione Universale nella sua integralità sia stata la Santa Sede. Oggi, laddove i provvedimenti della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo per la tutela del matrimonio, della famiglia, dei diritti dei genitori e della libertà di religione sono costantemente presi d’assalto, il Papa alle Nazioni Unite ha auspicato con forza che vengano “raddoppiati” gli sforzi per preservare l’“unità intrinseca” della Dichiarazione. Co un monito contro le pressioni verso “un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari”, il Papa ha insistito affinché la dichiarazione non possa “essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive”.

4. Campagne per nuovi diritti
Strettamente legata al problema della selettività è la quarta fonte di preoccupazione citata dal Papa: la pressione affinché venga ampliato l’elenco dei diritti ritenuti fondamentali. Ovviamente, l’elenco non può rimanere chiuso, poiché – come egli stesso sottolineava – “mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni”. D’altro canto però, quanto i più beni materiali o i desideri vengono riconosciuti come diritti, tanto più si corre il rischio di banalizzare i valori umani fondamentali. Di conseguenza, il Papa pone l’accento (due volte!) sul fatto che bisognerà avere grande “discernimento” nell’affrontare i tentativi di introdurre nuovi diritti. Come ho accennato sopra, quanto più la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è stata accettata come una norma universale, tanto più lobby di ogni sorta hanno intensificato i loro sforzi per far riconoscere come diritti universali le loro problematiche particolari, come per esempio l’eutanasia, l’aborto, la procreazione assistita, il diritto a partner dello stesso sesso di sposarsi e di adottare figli, e così via. Non stupisce dunque che il Papa abbia richiamato alla prudenza nell’affrontare le richieste di nuovi diritti, sottolineando che esse “riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli”. Agire con discernimento significherebbe come minimo domandarsi quale bene intenda promuovere il diritto che viene proposto, e quale rapporto abbia con gli altri diritti e con le responsabilità. A questo proposito, gli ultimi tre punti che vorrei citare possono essere considerati dei validi aiuti per distinguere quali proposte rappresentino sviluppi sani e quali invece siano dannose per la dignità umana.

5. Iper-individualismo
Una buona domanda da porre riguardo qualsiasi nuovo diritto venga proposto è: Qual è la sua concezione intrinseca della persona umana e del rapporto fra individuo e società? Il Papa mette in guardia dalle proposte che ignorano la dimensione sociale propria della persona umana, così da “privileg[iare] indubbiamente un approccio individualistico e framment[are] l’unità della persona”. Dietro a ciò, naturalmente, sta una concezione di persona che ha un valore unico in sé ed è costituita in parte dal suo rapporto con gli altri e con Dio. Il Papa chiede ai suoi ascoltatori di considerare che “i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana [...] essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società”. Come esempio primario cita la libertà religiosa, un diritto che ha dimensioni pubbliche e sociali, oltre che individuali.

6. Correlazione fra diritti e responsabilità
Un’altra domanda pertinente da porre è il nuovo diritto proposto riconosca le relative responsabilità, e i modi in cui i diritti di ciascuno sono limitati dai diritti degli altri. Come afferma il Papa: “Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri”.

7. Secolarismo aggressivo
Consideriamo infine l’allusione del Papa a una delle sue maggiori preoccupazioni: la minaccia alla libertà religiosa e alla dignità umana rappresentata da una forma aggressiva di secolarismo, che mira a sradicare totalmente la religione dalla vita pubblica. Pur essendo solo una breve allusione, è sufficiente a evocare il ricordo di altre lunghe disamine – di papa Benedetto, Marcello Pera e Joseph Weiler, fra gli altri – dei pericoli derivanti dall’ignorare le radici religiose delle grandi conquiste della modernità. Ma è importante ricordare che il Papa ha espresso ripetutamente il proprio apprezzamento per un’altra forma di secolarismo – il secolarismo “positivo” che ha permesso a molte religioni di co-esistere e fiorire negli Stati Uniti.

La reazione di alcuni a questa lunga sequela di ammonimenti potrebbe essere quella di chiedersi cosa papa Benedetto proponga di fare per aiutare il movimento internazionale per i diritti umani a evitare tali insidie e adempiere alla sua missione. Ma i papi moderni hanno spiegato molto chiaramente come, a loro avviso, spetti in primo luogo ai laici comprendere l’applicazione dei principi generali alle circostanze particolari. Perciò, quando papa Benedetto ha assicurato il suo pubblico alle Nazioni Unite che la Chiesa continuerà a “offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza”, stava anche lanciando un messaggio, un invito e una sfida a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

Permettetemi di concludere, dunque, ritornando alla considerazione fatta all’inizio di queste riflessioni, ovvero che i principali destinatari delle osservazioni del Papa sui diritti umani non sono i diplomatici o i funzionari delle Nazioni Unite. Le sue parole intendevano invitare ciascuno di noi a considerare i modi in cui le nostre decisioni e le nostre azioni, negli ambienti in cui viviamo e lavoriamo, possono contribuire a mutare il corso degli eventi pro o contro un ordinamento sociale che rispetti la dignità e i diritti della persona.“La sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane” – come ha affermato papa Benedetto nell’enciclica Spe Salvi – “è compito di ogni generazione” (Spe Salvi, 25). La decisione fondamentale per ognuno di noi, come insegnava don Giussani, è la scelta di abbracciare questo compito e accettarne le sfide.

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