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PERCHÉ SONO CATTOLICO; Gilbert Keith Chesterton

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2010 18:50
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03/03/2010 11:01

PERCHÉ SONO CATTOLICO

Cap. 1 da pag. 9-17

Gilbert Keith Chesterton


La difficoltà nello spiegare «perché sono cattolico» consiste nel fatto che vi sono diecimila ragioni, tutte riconducibili ad un'unica ragione: che il cattolicesimo è vero.

Potrei riempire intere pagine con innumerevoli frasi che iniziano tutte con: «È l'unica realtà che...».
Come, per esempio:

1) È l'unica realtà che evita che un peccato rimanga un segreto;
2) è l'unica realtà in cui il superiore non è veramente un superiore, almeno non nel senso altezzoso del termine;
3) è l'unica realtà che libera la persona dalla degradante schiavitù di essere un prodotto del proprio tempo;
4) è l'unica realtà che comunica come se fosse la verità, come se trasmettesse un messaggio rifiutandosi di corromperlo;
5) è l'unico modello di cristianesimo che si rivolge ad ogni tipo di persona, persino a quella rispettabile;
6) è l'unico tentativo serio di cambiare il mondo dall'interno, operando attraverso la volontà e non le leggi; e via di questo passo.


Oppure potrei trattare la materia da un punto di vista personale e descrivere la mia conversione; ma ho il sospetto che questo metodo renderebbe l'argomento molto più ristretto di ciò che in realtà è. Vi sono molte persone di gran lunga migliori di me che si sono convertite a religioni di gran lunga peggiori.

Preferirei tentare di parlare di ciò che differenzia la Chiesa Cattolica dai suoi concorrenti, anche i più rispettabili. Cioè, parlerò degli aspetti strettamente cattolici della Chiesa Cattolica. Vorrei suggerire che si tratta di qualcosa non solo di più vasto dei miei orizzonti, ma di più vasto rispetto a qualsiasi altra cosa esistente nel mondo, qualcosa di più vasto del mondo stesso. Ma, visto che lo spazio a mia disposizione è limitato, mi concentrerò su un aspetto particolare:
quello della capacità di salvaguardare la verità.

Alcuni giorni fa uno scrittore famoso, solitamente ben informato, ha parlato della Chiesa Cattolica come della avversaria delle nuove idee. È probabile che non si sia accorto che la sua affermazione non era esattamente ciò che si considera un'idea nuova. È una di quelle nozioni che i cattolici si trovano a dover costantemente contrastare, in quanto si tratta di un'idea molto vecchia. Certo è che coloro che ritengono che il cattolicesimo non porta nulla di nuovo, difficilmente dicono qualcosa di nuovo sul cattolicesimo stesso. Come dato di fatto è curioso notare che uno studio approfondito della storia dimostrerebbe il contrario. Se consideriamo le idee come tali, e se le consideriamo in quanto nuove, va ricordato che i cattolici hanno spesso pagato un caro prezzo per sostenerle quando erano veramente delle novità, quando erano talmente nuove che nessun altro era disposto a difenderle. Il cattolico non solo era in prima linea, ma era l'unico in quell'avamposto, incompreso dagli altri che non riuscivano a capire che cosa aveva scoperto.

Così, per esempio, quasi due secoli prima della Dichiarazione d'Indipendenza e della Rivoluzione Francese, in un periodo dominato dall' orgoglio e dal servilismo nei confronti dei principi, il cardinale Bellarmino e lo spagnolo Suarez gettavano le fondamenta per una teoria della vera democrazia. Ma, nell' età del diritto divino, hanno dato l'impressione di essere dei gesuiti sanguinari e sofistici, che strisciano con dei pugnali per commettere il regicidio. E, di nuovo, i casisti delle scuole cattoliche avevano già detto tutto ciò che c'era da dire sui drammi e sui romanzi a tesi, due secoli prima che venissero scritti. Evidenziarono i problemi inerenti alla condotta morale, con l'unico difetto di esserci arrivati duecento anni in anticipo. In un periodo di predicatori fanatici da strapazzo e di improperi a buon prezzo, essi ebbero la nomea di bugiardi e cavillatori, solo perchè erano psicologi prima che la psicologia divenisse una moda.

Sarebbe troppo facile continuare con esempi simili fino ad arrivare ai nostri giorni, quando vi sono ancora idee troppo nuove per essere comprese. Ci sono dei passaggi nella De Rerum Novarum di Leone XIII che solo ora iniziano ad essere utilizzati come spunti da movimenti sociali molto più innovativi del socialismo. E quando Belloc scrisse sullo Stato servile, avanzò una teoria economica così originale che tutt' oggi quasi nessuno ha compreso. Tra qualche secolo, qualcuno probabilmente la riprenderà, e la riprenderà erroneamente. E quindi, se i cattolici hanno qualcosa da criticare, la loro protesta verrà subitamente spiegata dal fatto arcinoto che i cattolici non rispettano le nuove idee. Tuttavia, la persona che ha fatto quell' affermazione sui cattolici voleva dire qualcosa e sarebbe opportuno che lui stesso la comprendesse con più chiarezza rispetto al modo in cui l'ha enunciata. Ciò che voleva dire è che, nel mondo moderno, la Chiesa Cattolica si oppone a molte mode influenti, la maggior parte delle quali si considerano ancora attuali, anche se incominciano ad essere un poco stantie. In poche parole, se voleva dire che la Chiesa spesso si oppone a ciò che il mondo considera, in quel dato momento importante, ha perfettamente ragione. Spesso la Chiesa combatte le mode di questo mondo transeunte, in quanto sa, per esperienza, la rapidità con cui questo mondo cambia. Ma per comprendere esattamente l'argomento è necessario spaziare più ampiamente e considerare l'essenza stessa delle idee in questione, per considerare, quindi, l'idea dell'idea.

Il 90% di ciò che chiamiamo nuove idee sono semplicemente vecchi errori.....
Uno dei principali compiti della Chiesa Cattolica è far sì che la gente non commetta questi vecchi errori, in cui è facile ricadere, ripetutamente, se le persone vengono abbandonate, sole, al proprio destino. La verità concernente l'atteggiamento cattolico nei confronti dell'eresia o, si potrebbe dire, nei confronti della libertà, può essere rappresentata dalla metafora di una mappa. La Chiesa Cattolica possiede una mappa della mente che sembra la mappa di un labirinto, ma che in realtà è una guida per orientarsi nel labirinto. Questa mappa è stata compilata utilizzando conoscenze che, nel mondo della scienza umana, non hanno paragoni. Non vi sono altri casi di istituzioni intelligenti che hanno, con continuità, pensato sul pensiero per duemila anni. È un' esperienza che ricopre quasi tutti i campi esperibili e, in special modo, gli errori. Ne risulta una mappa che evidenzia con chiarezza tutti i vicoli ciechi e le strade dissestate, nonchè le vie che si sono dimostrate fuorvianti grazie alle testimonianze fornite ci da coloro che le hanno seguite.

Su questa mappa della mente gli errori vengono segnati come eccezioni: gran parte di essa è costituita da campi da gioco e terreni di caccia fioriti, dove la mente può spaziare con tutta la libertà che le è propria, per non parlare dei numerosi campi di battaglia intellettuale dove il combattimento è quanto mai incerto e imprevedibile. Ma c'è la responsabilità di segnalare determinate strade che conducono al nulla o alla distruzione, ad un muro cieco o a un precipizio. Così facendo, si previene la possibilità che le persone perdano il loro tempo, o le loro vite, in sentieri che si sono dimostrati ripetutamente, nel passato, vani o disastrosi, ma che possono ancora, in futuro, intrappolare ripetutamente i viandanti. La Chiesa si prende la responsabilità di mettere in guardia il suo popolo su queste realtà, e sta proprio qui l'importanza del suo ruolo. Dogmaticamente essa difende l'umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori.

Adesso tutti questi falsi temi si ripresentano nuovamente, in modo particolare alle nuove generazioni. La prima affermazione sembra sempre inoffensiva e ragionevole. Riporterò solo un paio di esempi.

Sembra inoffensivo dire, come sostiene la maggior parte della gente oggi, che «le azioni sono sbagliate solo se danneggiano la società». Applica questo principio e, prima o poi, ti ritroverai immerso in una città disumana e pagana di folle, che considera la schiavitù il più conveniente e sicuro mezzo di produzione, che tortura gli schiavi per ottenere prove, in quanto l'individuo non conta nulla di fronte allo Stato, che condanna a morte un innocente in nome del popolo, come hanno fatto gli assassini di Cristo.

Allora, forse, ritornerai ai principi cattolici, scoprendo che la Chiesa, oltre ad affermare i nostri doveri nei confronti della società, dice anche altre cose per evitare che si commettano ingiustizie nei confronti dell'individuo.

O, ancora, può sembrare pio dire: «i conflitti morali finiranno con il trionfo della sfera spirituale su quella materiale». Applica questo principio e potresti ripercorrere le pazzie dei manichei, sostenendo che il suicidio è un bene in quanto è un sacrificio, che la perversione sessuale è un bene in quanto non è fonte di vita, che il sole e la luna sono prodotti dal demonio in quanto entità materiali. Allora inizierai a capire perchè il cattolicesimo insiste sull' esistenza degli spiriti malvagi, oltre quelli angelici, e perchè anche gli elementi materiali possono essere sacri come nell'Incarnazione o la Messa, nel sacramento del matrimonio o la resurrezione della carne.

Ora, non vi è un altro sistema di pensiero che, nel mondo, possa garantire una tale capacità di prevenzione nei confronti dell' errore. Il poliziotto arriva tardi, quando si tratta di far sì che le persone non sbaglino. Il dottore arriva tardi, in quanto decide di fare internare il matto, ma non consiglia alla persona sana i metodi per non impazzire. E tutte le altre sette e scuole non sono adeguate allo scopo, e questo non perchè esse non insegnino delle verità, ma proprio perchè insegnano delle verità, e si accontentano di alcune verità. Ma nessuna pretende di possedere la verità, nessuna pretende veramente di avere una visuale universale delle cose.

- La Chiesa non è solo armata nei confronti delle eresie passate o, persino, presenti, ma anche nei confronti di quelle future, che potranno configurarsi come l'esatto opposto di quelle attuali.

- Il cattolicesimo non è ritualismo: in futuro forse dovrà combattere forme superstiziose e idolatriche di eccessivo ritualismo.

- Il cattolicesimo non è ascetismo: ha già, nel passato, più volte, condannato le esagerazioni fanatiche e crudeli dell'ascetismo.

- Il cattolicesimo non è mero misticismo: anche oggi difende la ragione umana dal mero misticismo dei pragmatisti. Ne deriva che, quando il mondo diventò puritano nel XVII secolo, la Chiesa venne accusata di estremizzare la carità fino a sconfinare nella sofistica, rendendo tutto più semplice con l'abitudine lassista del confessionale.


Ora che il mondo si è convertito dal puritanesimo al paganesimo è la Chiesa che protesta contro il lassismo pagano imperante, dall' abbigliamento alle usanze. Sta facendo ciò che i puritani volevano, in quanto è sorta questa necessità. È molto probabile che il meglio del protestantesimo sopravviverà nel cattolicesimo: in questo senso i cattolici diventeranno puritani mentre i puritani diventeranno pagani.

Ne consegue quindi che il cattolicesimo, in un certo senso poco compreso, rimane al di fuori di una disputa tipo quella che si è avuta a Dayton sul darwinismo. Ne rimane al di fuori in quanto la comprende, come una casa comprende i mobili al suo interno. Non è una vanteria- settaria l'affermare che è prima, dopo e oltre tutte queste cose, da tutti i punti di vista. È imparziale nella contesa tra i fondamentalisti e la teoria sull' origine della specie, perchè risale ad un'origine prima di quell'origine; perchè è più fondamentale del fondamentalismo. Sa da dove proviene la Bibbia. Sa anche a dove portano la maggior parte delle teorie sull' evoluzione. Sa che vi erano molti altri vangeli oltre i quattro vangeli e che vennero scartati dall' autorità della Chiesa Cattolica. Sa che vi sono molte teorie evoluzioniste oltre quella di Darwin, e che quest'ultima verrà probabilmente superata da altre scoperte scientifiche.

Non accetta, com'è sua abitudine, le conclusioni della scienza per la semplice ragione che la scienza non giunge mai a conclusioni definitive. Concludere significa finire e l'uomo di scienza difficilmente si ferma: egli non accetta, com' è sua abitudine, ciò che dice la Bibbia, per la semplice ragione che la Bibbia non dice alcunchè. Non si può portare un libro sul banco dei testimoni e pretendere che ci dia spiegazioni.

La controversia fondamentalista in quanto tale distrugge il fondamentalismo. La Bibbia in quanto tale non può essere la base per un accordo quando è la causa del disaccordo; non può venir presa come il minimo comune denominatore tra i cristiani quando c'è chi la interpreta allegoricamente e chi letteralmente. Il cattolico la prende come riferimento in quanto dice qualcosa alla mente vivente, coerente e salda di cui ho già parlato; la mente umana sublime in quanto è guidata da Dio.

Ogni istante aumenta in noi la necessità morale di avere questa mente immortale. Dobbiamo possedete qualcosa che tenga insieme i confini del mondo, mentre facciamo i nostri esperimenti sociali o realizziamo le nostre utopie. Per esempio, dobbiamo raggiungere un accordo ultimativo, anche solo basato sull' evidenza della fratellanza umana, per evitare reazioni di brutalità umana. È molto probabile che oggi la corruzione del governo rappresentativo porti al predominio dei ricchi, calpestando tutte le tradizioni egualitarie, tramite un orgoglio pagano. L'evidenza va riconosciuta dovunque come vera. La semplice reazione e la desolante ripetizione di vecchi errori vanno evitate. Dobbiamo far sì che il mondo intellettuale sia salvaguardato dalla democrazia. Ma nella situazione attuale di anarchia mentale nessun ideale è al sicuro.

Così come i protestanti si appellavano alla Bibbia contro i preti senza rendersi conto che anche la Bibbia poteva esser fatta oggetto di discussione, similmente i repubblicani si appellavano al popolo contro il re senza rendersi conto che anche il popolo poteva rifiutarsi di obbedire. La dissoluzione delle idee, la distruzione di tutte le prove veritiere, che è stata resa possibile dall' abbandonare il tentativo di mantenere ferma una Verità fondamentale e civile per scartare tutte le verità e le tracce e per rifiutare tutti gli errori, non hanno fine.

Da allora, ogni gruppo si è impossessato di una verità singola impegnandosi a trasformarla in una falsità. Vi sono stati una gran quantità di movimenti, o, in altre parole, monomanie. Ma la Chiesa non è un movimento bensì un luogo d'incontro, il luogo dove tutte le verità del mondo si danno appuntamento.

Tratto da Chesterton G. K., Perché sono cattolico ed altri scritti, Gribaudi, Milano, 1994 (originale: 1926)
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"San Francesco viene definito umano perchè ha tentato di convertire i saraceni senza riuscirci.
San Domenico viene definito fanatico e invasato perchè ha tentato di convertire gli albigesi e c'è riuscito."


Ovvero, il Tomismo secondo Gilbert Keith Chesterton:

“Questo movimento medievale non è mai sceso a compromessi con il mondo, ne si è mai arreso al paganesimo o all’eresia, e nemmeno si è semplicemente avvalso di aiuti esterni, nemmeno quando ha effettivamente preso a prestito qualcosa. Se vogliamo limitarci al fatto che tendeva alla conoscenza, possiamo paragonarle a un albero che con tutte le sue forze protende il fogliame verso il sole, piuttosto che di un sole che si limita a lasciar trapelare la luce del giorno in una prigione.
In breve, era quello che con un linguaggio paludato si chiama “sviluppo dottrinale”.
A quanto pare, però, c’è una singolare ignoranza del significato del termine “sviluppo”, non solo nella sua accezione aulica ma anche in quella corrente.

Secondo i critici della teologia cattolica non ci sarebbe stato un’evoluzione quanto una diversione cioè, a dir tanto, un adattamento. Nella loro interpretazione, il suo successo sarebbe stato il successo di una capitolazione. Ma questo non è il significato corretto del termine “sviluppo”.
Quando diciamo che un bambino è ben sviluppato, intendiamo dire che è cresciuto e si è si è fatto più robusto con le sue sole forze e non che gli hanno messo delle imbottiture e che lo fanno camminare con i trampoli per farlo sembrare più alto.
Quando diciamo che un cucciolo si sviluppa in un cane, non vogliamo dire che la sua crescita è un graduale compromesso con un gatto; vogliamo dire che diventa più “cane” non meno.

Per “sviluppo” si intende l’accrescimento di tutte le possibilità e le implicazioni di una dottrina, compreso il tempo per distinguerle ed estrapolarle; e qui sta il punto: l’ampliamento della teologia medievale consisteva semplicemente nella sua comprensione totale. […]
È sotto questo aspetto che la poesia popolare di san Francesco è la prosa quasi naturalistica di san Tommaso si rivelano più palesemente come parti del medesimo movimento. Sono entrambe prodotti dello sviluppo del cattolicesimo, che dipendono da fattori esterni come qualsiasi cosa che vive e cresce, nel senso che li assimila e li trasforma, conservando le proprie connotazioni senza assumere le loro. Un buddhista o un comunista possono fantasticare di due cose che si divorano simultaneamente a vicenda, pensando che quella sia una perfetta forma di unificazione. Ma non è il caso degli esseri viventi.

San Francesco amava definirsi il Giullare di Dio, ma non gli sarebbe piaciuto essere il dio dei giullari. San Tommaso non aveva riconciliato Cristo con Aristotele, aveva riconciliato Aristotele con Cristo.
[…]
Non apportavano innovazioni al cristianesimo, nel senso di introdurvi elementi pagani o eretici; al contrario, portavano il cristianesimo nel cristianesimo.
Il loro compito era di riportarlo indietro contro la pressione di certe tendenze storiche che si erano consolidate come abitudini in molte scuole e correnti autorevoli della Chiesa cristiana; e usavano strumenti ed armi che a molti sembrarono di derivazione eretica e pagana. San Francesco usava la Natura così come san Tommaso usava Aristotele e parve ad alcuni che avessero usato l’uno una dea pagana e l’altro un filosofo pagano.

Ciò che fecero in realtà, e soprattutto ciò che in realtà fece san Tommaso, sarà il principale argomento di queste pagine. Ma è opportuno riuscire sin dall’inizio a metterlo a confronto con un santo più famoso, perché in tal modo potremo ricapitolare l’essenza di tale confronto in un modo più comprensibile da chiunque.

Forse dire che questi due santi ci hanno salvato dalla spiritualità, che è una sorta di maledizione, può suonare paradossale. Forse verrò frainteso se dico che con il suo amore per gli animali san Francesco ci ha salvati dal buddismo, e che con la sua passione per la filosofia greca san Tommaso ci ha salvati dal platonismo. Ma è meglio dire la verità nuda e cruda: sono entrambi la riconferma dell’Incarnazione perché hanno riportato Dio in terra. […]

Non sarà possibile tener celato molto più a lungo che il fatto che Tommaso d’Aquino è stato uno dei maggiori artefici dell’emancipazione dell’intelletto umano.
I settari del XVII e XVIII secolo erano essenzialmente degli oscurantisti che sostenevano a spada tratta la diceria secondo cui il grande scolastico fosse un oscurantista. Questa teoria cominciava già a mostrare le corde fin dal XIX secolo e sarebbe stata insostenibile nel XX. Il che non ha nulla a che vedere con l’attendibilità delle loro o della sua dottrina teologica, ma solo con l’attendibilità storica che comincia a riaffiorare solo ora che le dispute cominciano a scemare.

Si può affermare senza tema di essere smentiti, in quanto si tratta di un fatto storico, che Tommaso è stato un grand’uomo che ha riconciliato la religione con la ragione, estendendola al campo della scienza sperimentale, che ha affermato che i sensi sono le finestre dell’anima e che l’intelletto aveva il diritto divino di alimentarsi di fatti concreti, e che era compito della fede assimilare quanto c’era di assimilabile delle più indigeste e materialistiche filosofie pagane.
È un fatto come la strategia militare di Napoleone, che l’Aquinate si sia battuto per tutto quanto c’era di liberale e di illuminato, a differenza dei suoi rivali o, per quel che vale, di quelli che gli sono succeduti o lo hanno soppiantato.

Coloro i quali, per altri motivi, accettano il risultato finale della Riforma, dovranno comunque ammettere che la si deve al grande scolastico e che, al suo confronto i riformatori venuti in seguito erano dei reazionari. Uso questo termine non come un rimprovero dovuto al mio punto di vista, ma come un dato di fatto secondo il punto di vista progressista attuale. Ad esempio, rimanevano inchiodati alla verità testuali delle sacra scritture, quando san Tommaso aveva già parlato della fonte di ispirazione rappresentata dalle filosofie greche. Mentre lui sosteneva la funzione sociale delle opere, loro soltanto la funzione spirituale della fede.
L’essenza della dottrina tomistica è che la ragione è degna di fede; l’essenza della dottrina luterana è che la ragione non è degna di fede.
Quindi, nel momento stesso in cui questo fatto viene riconosciuto per vero, c’è il rischio che tutti gli indecisi di parere contrastante passino improvvisamente all’estremo opposto. Coloro che fino a quel momento avevano accusato lo scolastico di essere un dogmatico, cominceranno ad ammirarlo come il modernista che ha stemperato il dogma. Si diranno subito da fare per adornare la sua effige con tutte le ghirlande appassite del progressismo, per presentarlo come un pensatore in anticipo rispetto ai suoi tempi, il che significa che è sempre d’accordo con il nostro tempo, e gli attribuiamo il merito di essere il padre del pensiero moderno. Scopriranno il suo carisma e arriveranno all’affettata conclusione che era come loro perché era carismatico.
Fino a un certo punto questo è abbastanza perdonabile; fino a un certo punto era già successo nel caso di san Francesco. Ma nel caso di san Francesco non supererebbe un certo limite.

Nessuno, neppure un libero pensatore come Renan o Matthew Arnold, si azzarderebbe a dire che san Francesco fosse qualcosa di più di un buon cristiano o che avesse qualunque altro singolare movente al di la dell’imitazione di Cristo. Eppure anche san Francesco ha prodotto sulla religione un effetto liberatorio rendendola più umana, per quanto più a livello della fantasia che dell’intelletto. Ma nessuno può dire che san Francesco abbia allentato la regola cristiana, dal momento che era anzi evidente che la stringesse, così come stringeva il cordone del suo saio. Nessuno può dire che abbia aperto le porte allo scetticismo, o che abbia dato il via all’Umanesimo paganeggiante, o che abbia guardato avanti al Rinascimento, o che si sia incontrato a metà strada con i razionalisti.
Nessun biografo oserebbe dire che san Francesco, di cui si dice che abbia aperto il Vangelo a caso e abbia letto il grandioso brano sulla Povertà, avesse in realtà aperto l’Eneide e applicato la Sors Virgiliana in segno di rispetto verso la letteratura e la cultura pagane. Nessuno storico oserebbe dire che san Francesco scrisse il Cantico delle Creature a imitazione di un inno omerico dedicato ad Apollo o che amava gli uccelli perché aveva imparato tutti i trucchi degli àuguri romani.
In breve, quasi tutti noi sia cristiani sia pagani, oggi ci troveremmo d’accordo sul fatto che l’idea francescana era innanzitutto un sentimento cristiano, che scaturiva da una fede innocente (o, se preferite, ignorante) nella religione cristiana.

Come ho detto, nessuno direbbe mai che san Francesco trasse ispirazione da Ovidio. E sarebbe altrettanto falso dire che san Tommaso traesse ispirazione da Aristotele.
Tutta la sua vita, specialmente l’inizio, la storia della sua infanzia, la strada che ha scelto, ci dicono senz’ombra di dubbio che era profondamente devoto e che amava incondizionatamente la religione cattolica, molto prima di trovarsi a dover combattere per difenderla.
A riguardo c’è un esempio che collega ancora una volta molto strettamente san Tommaso a san Francesco. È strano, ma pare sia stato dimenticato che nel santificare i sensi o i semplici fatti naturali, entrambi questi santi imitavano un maestro che non era Aristotele e tanto meno Ovidio, quando san Francesco si muoveva con umiltà tra gli animali o san Tommaso disputava cortesemente con i gentili.

Chi non capisce questo, non capisce il punto essenziale della religione, quand’anche si trattasse di una superstizione; peggio ancora, a sfuggirgli è la parte che considererebbero più superstiziosa. Mi riferisco alla sconcertante storia del Dio-uomo del Vangelo.
Alcuni non la capiscono neppure quando conoscono san Francesco e il suo modo genuino e privo di fondamento culturale di essere attratto dal Vangelo. Parlano della disponibilità di san Francesco a imparare dai fiori e dagli uccelli come del segno premonitore di un rinascimento pagano, mentre i fatti dicono chiaramente due cose. La prima è che si tratta di una reminiscenza del Nuovo Testamento; la seconda è che se proprio la si vuol vedere come segno premonitore, lo sarebbe casomai del realismo aristotelico contenuto nella Summa di san Tommaso d’Aquino.
Hanno la vaga sensazione che rendere più umana la divinità significhi renderla pagana, senza accorgersi che l’umanizzazione della divinità è proprio il dogma più forte, più rigoroso e più incredibile del Credo.

San Francesco diventava più simile a Cristo, e non soltanto a Buddha, quando contemplava i gigli del campo o gli uccelli del cielo; e san Tommaso diventava più cristiano, e non soltanto più aristotelico, quando asseriva che Dio e l’immagine di Dio erano venuti in contato con il mondo sensibile attraverso la materia.
Questi santi erano degli umanisti nella più corretta accezione del termine, in quanto affermavano l’enorme importanza dell’essere umano nello schema teologico delle cose. Ma non erano umanisti avviati sulla via del progresso che conduce al modernismo e al totale scetticismo in quanto proprio nel loro umanesimo erano assertori di un dogma che oggi viene spesso considerato come la più vana credenza del superumanesimo. Rafforzavano il vacillante dogma dell’Incarnazione, che gli scettici considerano il più difficile cui prestare fede.
La divinità di Cristo è l’osso più duro di tutta la teologia cristiana.”

(Gilbert K. Chesterton; San Tommaso d'Aquino, 1933)
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Ovvero: "Forse verrò frainteso se dico che con il suo amore per gli animali san Francesco ci ha salvati dal buddhismo, e che con la sua passione per la filosofia greca san Tommaso ci ha salvati dal platonismo." (G. K. Chesterton)


"San Tommaso d’Aquino è ricomparso recentemente nella cultura contemporanea delle università e nei salotti in un modo che anche solo una decina d’anni fa sarebbe stato sorprendente. È la reazione che ha prodotto è fuori di dubbio molto diversa da quello che aveva reso famoso san Francesco quasi vent’anni fa.

Il santo è un farmaco perché è un antidoto.
E per vero questo è un motivo per cui spesso il santo è un martire: viene scambiato per un veleno perché è un antidoto. In genere è uno che cerca di ricondurre il mondo alla ragione, mettendo in evidenza le cose che il mondo trascura che non sono certamente sempre le stesse nelle varie epoche
.

Eppure ogni generazione cerca istintivamente il proprio santo e non si tratta di ciò che la mente vuole ma di quello di cui ha bisogno.
È questo il significato frainteso delle parole rivolte ai primi santi: “voi siete il sale della terra” che ha indotto l’ex Kaiser con affermare con grande solennità che i suoi robusti tedeschi erano il sale della terra, intendendo con ciò soltanto che erano i più grandi e grossi della terra e di conseguenza i migliori. Ma il sale condisce e conserva la carne, non perché è simile ad essa, ma perché è molto diverso.
Cristo non ha detto ai suoi apostoli che erano persone eccellenti o le sole persone eccellenti, ma che erano persone eccezionali, costantemente fuori dalla norma e incompatibili con la norma; e il messaggio circa il sale della terra è veramente acuto, pungente e gustoso come il sapore del sale. E questo perché quelle erano persone eccezionali che non dovevano perdere la loro eccezionalità.

“Se il sale perdesse il suo sapore, con cosa si potrebbe insaporirlo?” è un problema molto più significativo di qualsiasi lagnanza sul prezzo della cane migliore. Se il mondo diventa troppo mondano la chiesa può rimproverarlo, ma se è la chiesa a diventare troppo mondana il mondo non è certo in grado di rimproverarla per la sua mondanità.
Ne consegue che il paradosso della storia è che ciascuna generazione viene convertita dal santo che le si contrappone più nettamente.

San Francesco esercitava una misteriosa e quasi inquietante attrattiva sui vittoriani, cioè su quegli inglesi del XIX secolo che in apparenza erano oltremodo soddisfatti dei loro traffici e si affidavano al loro buon senso. Non soltanto un inglese abbastanza soddisfatto di se come Matthew Arnold ma anche i liberali inglesi che lui criticava per il loro autocompiacimento cominciarono a scoprire a poco a poco il mistero medievale attraverso la straordinaria storia narrata dalle piume e dalle fiamme dei dipinti agiografici di Giotto.

C’era qualcosa nella storia di san Francesco che riusciva ad aprirsi un varco tra tutte le più famose e più futili caratteristiche degli inglesi, tra tutte quelle caratteristiche di umanità che gli inglesi tengono celate: un cuore sensibile, una mente vagamente poetica, l’amore per la natura e per gli animali. San Francesco d’Assisi è stato l’unico cattolico medievale a conquistarsi fama in Inghilterra per motivi propri. E questo perché i suoi meriti erano gli stessi che il mondo moderno aveva la sensazione di aver trascurato. Il ceto medio inglese aveva trovato il proprio unico missionario nella figura per cui nutriva maggior disprezzo: un mendicante italiano.

Quindi, come il XIX secolo si era aggrappato alla poetica francescana proprio perché aveva trascurato la poesia, così i XX secolo si sta già aggrappando alla teologia razionale tomista perché ha trascurato la logica.
In un mondo troppo statico il cristianesimo era ricomparso nei panni di un vagabondo, e in un mondo diventato troppo tumultuoso il cristianesimo era ricomparso nei panni si un maestro di logica.

Nel mondo di Herbert Spencer la gente cercava un rimedio contro l’indigestione; nel mondo di Einstein cerca un rimedio contro le vertigini. Nel primo caso aveva vagamente percepito il fatto ch era stato dopo un lungo periodo di digiuno che san Francesco aveva composto il cantico delle creature come inno alla terra prodiga di frutti. Nel secondo caso ha già vagamente percepito che anche solo per cominciare a capire Einstein prima era necessario capire come usare l’intelletto.
Si comincia a capire che, come il XVIII secolo si era identificato come l’età della ragione e il XIX secolo come l’età d buon senso, il XX secolo non più neanche lontanamente identificarsi come altro che l’età di una non comune mancanza di buon senso. In queste condizioni il mondo ha bisogno di un santo, ma soprattutto ha bisogno di un filosofo.

E, tanto per rendere giustizia al mondo, va detto che i due casi di cui sopra dimostrano che sa per istinto di che cosa ha bisogno.
La terra era veramente piatta per quei vittoriani che ripetevano a oltranza che era rotonda, e La Verna delle stigmate era l’unico monte che si ergeva su quella pianura.
Ma la terra è un terremoto, un terremoto senza sosta e apparentemente destinato a non finire mai, per i nostri contemporanei per i quali Newton è stato spazzato via insieme a Tolomeo. E per loro c’è qualcosa di più scosceso e di più inimmaginabile di una montagna: un pezzo di terreno veramente solido, o la posizione di una persona veramente equilibrata.

Ecco che ai nostri giorni i due santi anno affascinato due generazioni, quella dei romantici e quella degli scettici”.

(Gilbert Keith CHESTERTON; Saint Thomas Aquinas, 1933)
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Il segreto di Chesterton secondo Ubaldo Casotto

Come la meraviglia vanificò l'agguato del nulla


Qual è il segreto di una persona? Per scoprirlo bisogna innanzitutto credere che esista un segreto nascosto in ogni persona. Superato questo scoglio - e non è così semplice - la cosa migliore è incontrare questa persona, anzi lasciarsi incontrare da essa, il che equivale, sempre, a lasciarsi sorprendere. Può sembrare paradossale, ma se non si è pronti a lasciarsi sorprendere accade che la vita scorra senza colore né sapore, senza quel tocco di magia che permette agli uomini di gustare appieno l'esistenza, pregustando cioè quella gioia che sta "al di là" ma è anche già segretamente riposta nel mistero dell'esistenza quotidiana.

Ha quindi ragione Chesterton quando afferma che "incontrare un uomo è un'esperienza unica, anche se lo si incontra solo per un'ora o due". Per quasi due ore - che sono volate - Ubaldo Casotto domenica scorsa al teatro Manzoni di Roma ha permesso al pubblico di fare quell'esperienza unica, cioè di incontrare nel senso più pieno del termine un uomo, lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), uno dei giganti della letteratura e del pensiero del xx secolo, spesso trascurato dalla cosiddetta critica ufficiale italiana.

Il giornalista Casotto, attualmente vicedirettore de "Il Riformista", è un "amico" di vecchia data di Chesterton avendo dedicato, tra l'altro, la sua tesi di laurea al romanziere londinese. Il pubblico ha così potuto apprezzare il modo sicuro e il tono familiare con cui il relatore si è mosso all'interno dell'opera di Chesterton per illustrarne i punti cardine, i nodi salienti, le spigolature più significative.

Alcune parole-chiave consentono di offrire l'accesso al segreto dell'inventore di padre Brown:  realismo, tradizione, paradosso, ragione, libertà, visione, meraviglia, mistero, avventura.

Ascoltando le tante citazioni dalle opere principali di Chesterton ci si rende conto che pur non avendo avuto figli naturali, lo scrittore inglese ha avuto però diversi figli spirituali; solo per fare qualche nome:  Clive S. Lewis, John R.R. Tolkien, Michael Ende.

In un discorso pubblico del 1986 proprio Ende, lo scrittore tedesco autore del best-seller fantasy La storia infinita, ha affermato che l'essenza della bellezza risiede nel mistero e nella meraviglia. Niente di più vicino alla sensibilità di Chesterton per il quale la vera avventura nella vita non è sposarsi, ma nascere. Nel momento in cui si nasce, trovandosi accolto in una famiglia, l'uomo entra in un'avventura, in qualcosa che egli non può mai controllare del tutto - per questo la vita non è mai noiosa, neanche quando appare ripetitiva e monotona - s'incammina in un sentiero pieno di indizi e di segni che indicano tutti una stessa direzione, la cui unica spiegazione è l'esistenza di un punto, che non vediamo, verso cui tutte quelle frecce convergono.

La realtà dunque implica l'esistenza del mistero perché la indica continuamente. È qui il problema dell'uomo contemporaneo:  non è che non sa risolvere l'enigma del mondo, è che non vede l'enigma. Il punto sta allora nella visione:  se non si è pronti a lasciarsi sorprendere dal reale, l'alternativa, dice Casotto, è il nulla, il nichilismo, l'indifferenza al tutto nella quale sprofondano le nostre giornate, la nausea e la noia che il mondo e gli altri ci trasmettono - e che noi trasmettiamo - quando manca quello sguardo pieno di stupore e gratitudine. Di fronte al mondo noi dobbiamo essere riconoscenti di ogni cosa perché ogni cosa è stata strappata al nulla.

La nostra scoperta del mondo è un elenco da aggiornare quotidianamente, come quella pagina del Robinson Crusoe:  "Un uomo sopra un piccolo scoglio con poca roba strappata al mare:  la parte più bella del libro è la lista degli oggetti salvati dal naufragio. La più grande poesia è un inventario (...) tutte le cose sono sfuggite per un capello alla perdizione:  tutto è stato salvato da un naufragio". Ed è forte l'eco biblica in questa riflessione di Chesterton che cammina nel mondo come dentro una foresta di simboli, un universo di segni; e, come il bambino, si getta golosamente alla scoperta del reale:  "La vita è un'avventura ma solo l'avventuriero lo scopre".

Eppure Chesterton non nasce cattolico, ma arriva alla fede solo nel 1922, dopo un viaggio lungo e non facile. Sottolinea Casotto che Chesterton abbracciò e capì il cattolicesimo perché fece un uso sempre spregiudicato, cioè largo, della ragione, poiché, per lui, il farsi cattolico "dilata la mente". Si comprende allora facilmente il gusto del giovane Joseph Ratzinger nel leggere Chesterton - come all'epoca facevano tra gli altri anche Montini, Luciani, Wojtyla - e dove nasce l'insistenza dell'attuale Pontefice di sottolineare l'esigenza di "allargare la ragione".

Chesterton ha avuto molti "figli" ma anche diversi "padri", a conferma che non si può dare senso e gusto alla vita se non nel solco di una tradizione. Casotto si è soffermato forse sui due principali:  Francesco d'Assisi e Tommaso d'Aquino anche per il fatto che a entrambi i santi cattolici lo scrittore ha dedicato due splendidi racconti biografici. Francesco e Tommaso, come a dire:  la follia per Cristo e la ragione; lo stupore e il senso profondo della libertà; la spiritualità creaturale e la dimensione sanamente materiale della fede. Chesterton - questo il suo segreto - è riuscito a coniugare tutte queste diverse dimensioni nella sua vita e nella sua vasta opera letteraria. (andrea monda)


(©L'Osservatore Romano - 20 gennaio 2010)
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03/03/2010 11:11

La storia e le ragioni della conversione di Gilbert Chesterton


Intervista a Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana



di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 1° marzo 2010 (ZENIT.org).- La Lindau ha appena ripubblicato uno dei libri più famosi di Gilbert Chesterton  la "Chiesa Cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento".

Si tratta del libro in cui Chesterton racconta la sua conversione religiosa avvenuta nel 1922

Con la consueta genialità, ironica e brillante, il grande scrittore inglese racconta la trepidazione della sua anima perennemente in bilico durante le tre fasi che precedono l'ingresso nella Chiesa di Roma: l'assunzione di un atteggiamento intellettualmente onesto nei confronti di essa, quindi la sua progressiva e irresistibile scoperta e infine l'impossibilità di abbandonarla una volta entratovi.

Per Chesterton il cattolicesimo è una forza sempre nuova, in grado di competere con le altre religioni (oltre che con le altre confessioni cristiane) e con le ideologie prodotte dalla modernità dei suoi tempi (socialismo, spiritismo).

Al termine del pellegrinaggio lo scrittore inglese arriva alle stesse conclusioni del Pontefice Benedetto XVI, scoprendo che il fondamento della autentica universalità della Chiesa risiede nella razionalità e nella libertà del cattolicesimo.

Nell'introduzione al volume Marco Sermarini, Presidente della Società Chestertoniana Italiana, ha scritto che "quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un ‘discorso ecclesiastico' o clericale. Può partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perché per lui fu così: il Mistero che fa tutte le cose si manifestò nella sua vita attraverso gli umili ma potenti segni dell'allegria familiare, del gusto del bello scorto nelle cose di tutti i giorni".

Per conoscere a fondo Chesterton e le ragioni che lo portarono alla conversione, ZENIT ha intervistato Marco Sermarini, uno degli italiani che più hanno studiato l'autore inglese.

Perché ha caldeggiato e introdotto questo libro?

Sermarini: E' una delle opere che riescono meglio a far capire il pensiero di Chesterton sul fatto religioso, anzi, sulla sua adesione piena di ragione e di cuore al cattolicesimo; e soprattutto perché è molto utile oggi alle persone che si troveranno a leggerla.

A chi la fede già l'ha avuta in dono, perché permetterà di ripercorrerne le ragioni fondanti. A chi non ce l'ha ma la desidera, perché comprenderà quanto essa sia importante in aiuto alla ragione. A chi non ce l'ha e neppure la cerca, perché troverà un cattolico contento, arguto, intelligente e pure simpaticissimo in grado di fargli venire la voglia di averla.

Chesterton è ancora attuale oggi? Quali sono le opere e i concetti che lo rendono moderno?

Sermarini: Credo di avere in parte risposto. Tante volte tra amici ci troviamo a dire che ci vorrebbe un Chesterton (e vi assicuro che non ce n'è uno alla sua altezza, nessuno si offenda: troppo intelligente, troppo simpatico, troppo leggero e serio al tempo stesso, troppo battagliero e lontano dalle seduzioni di "destra sinistra centro"), ma poi scopriamo che se ci fossero sempre più chestertoniani in giro a far conoscere il suo pensiero sarebbe già molto più di qualcosa.

Ossia, se si riuscisse a far conoscere sempre più il suo pensiero, tutti se ne gioverebbero moltissimo. Infatti, in maniera apparentemente inspiegabile ci troviamo spesso a leggere nelle sue opere cose che stanno accadendo oggi, e che lui cento anni fa aveva già viste e capite. L'inspiegabilità è solo apparente, perché Chesterton aveva un'intelligenza acutissima illuminata da una fede cristallina, e quindi riusciva a leggere molto più lontano di tanti altri quello che già era iscritto nei fatti che stava vivendo e nelle idee del suo tempo.

Fra le sue opere le più rappresentative sono Ortodossia, Autobiografia, Uomovivo, la "saga" di Padre Brown e altre ancora. Ciò che lo caratterizza in modo assoluto è l'uso rigoroso della ragione dietro i fuochi artificiali dei suoi paradossi e della sua scoppiettante ironia. Stanley Jaki, letta l'Ortodossia e in particolare il capitolo "The Ethics of Elfland" (La morale delle favole), disse che quello era il modo assolutamente più sano di usare la ragione... scusate se è poco.

Quali sono le ragioni della sua conversione dall'anglicanesimo al cristianesimo? Quante di queste ragioni sono ancora valide e in che modo molti anglicani potrebbero rientrare nella Chiesa cattolica ripercorrendo il cammino di Chesterton?

Sermarini: I motivi della sua conversione vanno letti in Ortodossia, nella sua Autobiografia e nel libro che ho avuto la gioia di presentare. Chesterton fu battezzato anglicano, ma la famiglia aderì alla fede unitariana. In seguito egli si abbandonò ad una sorta di scetticismo che lo portò, complice anche la frequentazione con ambienti esoterici ed il clima culturale dettato dal decadentismo, sull'orlo della più insana delle idee.

Successivamente ad una sorta di esperienza mistica descritta in una lettera al suo carissimo amico Edmund Clerihew Bentley (vi si afferma che "è imbarazzante parlare con Dio faccia a faccia come si parla con un amico..."), Chesterton comprende il valore immenso della vita, qualunque ne sia la "qualità" o il "livello", e da ciò nasce la gratitudine che egli si darà come compito e vocazione della sua vita. Dirà nel suo diario giovanile di voler passare il resto della sua vita a ringraziare Dio di tutto (cosa che fece, in realtà).

Si riavvicinerà prima alla chiesa anglicana grazie alla moglie Frances Blogg, che ne era una sincera fedele, e ad alcune figure di pastori particolarmente significative. Successivamente, grazie alla frequentazione con l'amico di una vita Hilaire Belloc e con padre John O'Connor (che gli ispirerà il padre Brown degli omonimi Racconti), conosce sempre meglio il cattolicesimo ed inizia a difenderlo con le sue opere. Ortodossia è la punta di diamante della sua produzione in questo versante.

Dico sempre che andrebbe messa in programma nei seminari e nelle università cattoliche come materia di studio, potrebbe solo fare del gran bene. Per anni fu considerato cattolico pur non essendolo ancora, tanto che la notizia della sua conversione nel 1922 colse moltissimi di sorpresa e creò non poche "prese di distanza", non ultima quella di George Bernard Shaw che gli disse: "No, Gilbert, ora stai andando troppo avanti...". Il cattolicesimo per lui è la cosa cercata da gran tempo, come colui che crede di trovare una nuova esotica terra e invece riscopre la sua cara vecchia patria. Il cattolicesimo è la pienezza del cristianesimo, per Chesterton, ed è questo il motivo tuttora attuale che chiunque può adottare nel fare un passo simile a quello di Gilbert.

Chi sono gli unitariani e perché la loro negazione della divinità di Cristo è oggi così diffusa anche in ambiti vicini alla Chiesa cattolica?

Sermarini: Chesterton da giovane frequentò la Chiesa Unitariana, seguendo padre e madre. Gli unitariani predicano una sorta di cristianesimo privato dello scandalo inaccettabile della divinità di Cristo, fatto di amicizia, concordia e pace ma allontanato dalla loro vera autentica scaturigine.

Oggi sembra un'eresia tornata di moda, complice il dilavamento nei discorsi di uomini di Chiesa della sana dottrina (quella che Chesterton nell'Ortodossia vede sintetizzata nel Credo degli Apostoli) ad una sorta di morale civile di più alto rango, il che fa comprendere come mai il senso comune chestertoniano non sia più di casa in certi ambienti mentre passano con facilità tante idee distorte, quali eutanasia, eugenetica, opzioni libere nel cosiddetto orientamento sessuale, tanta intolleranza verso il cattolicesimo vero.

In che modo e perché Chesterton potrebbe aiutare nel rafforzamento della fede cristiana?

Sermarini: Chesterton era integralmente cattolico, intelligentemente cattolico, cordialmente cattolico, allegramente cattolico: chi meglio di lui potrebbe aiutarci? Tra amici spesso diciamo che Chesterton potrebbe essere considerato il San Tommaso d'Aquino del XX e del XXI secolo. Era buono e molto allegro ed amava tutti, anche i suoi avversari culturali (basterà guardare alla sua sincera amicizia con Shaw, Wells e tanti altri personaggi molto distanti da lui culturalmente).

Ci sono delle persone in Gran Bretagna che si stanno organizzando per chiedere la beatificazione di Chesterton. Lei che cosa ne pensa? L'Associazione che lei dirige sta pensando di promuovere iniziative per caldeggiare tale beatificazione?

Sermarini: Nel mondo anglosassone già da qualche tempo si parla della "santità di Chesterton": tanti sono gli indizi che ci fanno pensare che egli abbia vissuto in maniera esemplare la fede cattolica, basti solo elencare le personalità che gli debbono a loro volta la fede, acquistata dopo la lettura delle sue opere: sir Alec Guinness, Clive Staples Lewis, Joseph Pearce e tanti altri.

Molti di noi debbono tanto a Chesterton, per cui già gira una preghiera per chiedere al Signore di manifestare la Sua gloria in Gilbert, che non era solo un grande intellettuale, ma era soprattutto un uomo straordinariamente buono, dal cuore innocente di bambino. Chi vuole può trovare la preghiera nel nostro blog (http://uomovivo.blogspot.com) e in quello della Società Chestertoniana Inglese (in quest'ultimo tradotta in varie lingue). Noi non vogliamo anticipare il giudizio della Chiesa, ma per noi è un grande amico già da adesso, per il mistero della Comunione dei Santi. Inoltre presto uscirà un libretto di preghiere commentate da alcune citazioni di Chesterton, Le preghiere dell'Uomo Vivo, per i tipi di Fede & Cultura.

A Settembre il Pontefice Benedetto XVI si recherà in Gran Bretagna. In che modo la vicenda e le opere di Chesterton potrebbero aiutare la sua opera di nuova evangelizzazione? 

Sermarini: Papa Benedetto fa spessissimo delle uscite... chestertoniane (una volta lo ha anche citato, seppure senza nominarlo), e a Chesterton lo accomuna proprio l'idea dell'amicizia tra fede e ragione ed il considerare la fede cattolica come la più avvincente delle avventure. La Gran Bretagna ha un grande bisogno di Chesterton: deve ritrovare il senso comune, l'amore per le sue vere radici, la sua originaria allegrezza. Chesterton potrebbe essere una delle punte di diamante avanzatissime di un ritorno degli inglesi alla fede cattolica, assieme al venerabile John Henry Newman, al cardinale Manning e a tanti altri che hanno fatto e continuano a fare il passo di Gilbert.

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12/04/2010 18:50

Tradotto per la prima volta integralmente in italiano "The Catholic Church and Conversion" di Gilbert Keith Chesterton

L'architetto della certezza


di Paolo Pegoraro

Gilbert Keith Chesterton aveva 48 anni quando si convertì alla Chiesa di Roma. Il fratello Cecil e alcuni amici erano approdati al cattolicesimo parecchi anni prima; e qualcuno, proprio grazie alle opere di Gilbert. Cosa, allora, lo trattenne così a lungo? Fu, in buona parte, per il debito di gratitudine verso la moglie Frances. Chesterton, racconterà nella sua Autobiografia, si formò in un contesto di rispettabilità atea. Anche i genitori, nonostante l'adesione al culto unitariano, erano scettici nei confronti del soprannaturale. Non che questo potesse impedire al ventenne Gilbert di sperimentare "la solidità oggettiva del peccato":  attacchi depressivi, un'ossessione morbosa per l'iconografia del male, compagni di college che negavano la distinzione tra giusto e sbagliato, la deriva spiritistica e l'impiego per alcuni mesi in una casa editrice specializzata in occultismo andavano formando in lui una concezione della vita tutt'altro che attraente. Il biennio 1894-95 fu particolarmente cupo. Chesterton cercò di arginare questa "congestione dell'immaginazione" con la sua peculiare dottrina del ringraziamento, secondo la quale qualsiasi cosa era migliore del nulla. Ai suoi occhi era, però, una palese compensazione:  "Chiamavo me stesso ottimista, perché mi trovavo così orribilmente vicino ad essere pessimista".

L'aiuto più solido e duraturo per uscire da quella situazione di stallo gli venne dall'esterno:  nell'autunno 1896 conobbe la sua futura moglie, Frances Blogg. Fu amore a prima vista. Frances era una fervente anglocattolica e Gilbert le fu eternamente grato per averlo traghettato dall'unitarianesimo alla Chiesa d'Inghilterra. Scoprì così che la sua rabberciata "filosofia del ringraziamento" era già stata sistematizzata in secoli di cristianesimo. Fu grazie a padre John O'Connor, però, che Gilbert conobbe la peculiarità della Chiesa cattolica:  era l'unica religione che osasse scendere con lui fino al fondo di se stesso.
Il cattolicesimo ne sapeva più di lui non solo intorno al bene, ma perfino intorno al male. E quando, dopo la conversione, gli verrà chiesto perché fosse passato alla Chiesa di Roma, Chesterton risponderà che "non v'è nessun altro sistema religioso che dichiari "veramente" di liberare la gente dai peccati".
Il confronto con la Chiesa cattolica si fece più serrato intorno al 1910:  Gilbert cominciava a manifestare il desiderio di entrarvi formalmente e suo fratello Cecil compì il passo un paio di anni dopo. A trattenere Gilbert fino al 1922, come egli confidò, fu proprio il timore di ferire profondamente Frances, pregiudicando ai suoi occhi l'anglocattolicesimo come "qualcosa d'insufficiente". D'altra parte, Chesterton covava ancora incertezze dottrinali. Il suo atteggiamento nei confronti della fede era una simpatia prevalentemente sentimentale, come notò Hilaire Belloc. La conversione di una mente prodigiosa come la sua doveva infilarsi in una strettoia necessaria, la consapevolezza di non vivere tra credi tutti uguali in un cosmo indifferente:  "Il punto non è davvero cosa un uomo sia costretto a credere, bensì che cosa debba credere; che cosa non può fare a meno di credere".

Acquisire sempre maggiore chiarezza gli richiese tempo e studio. Si tuffò negli scritti di John Henry Newman e di san Tommaso d'Aquino. Sulle sue labbra non fu uno slogan affermare che "diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo". Fu una vera fatica intellettuale, che paragonò allo studio di teoremi matematici; quando ne riemerse - sempre secondo Belloc - era "un architetto della certezza". Nel 1922, infine, lacerato tra l'obbligo morale a riconoscere la verità e l'amore per la moglie, Chesterton chiese a padre O'Connor di sondare il terreno. Saputo che Frances ne sarebbe stata sollevata si fece battezzare quattro giorni dopo. Frances lo avrebbe seguito il primo novembre 1926. L'anno seguente sarebbero comparsi The Catholic Church and Conversion e il quarto volume del ciclo di padre Brown, dedicato proprio a padre O'Connor, dove più nettamente il protagonista compare per quello che è:  un sacerdote cattolico.

La prima opera nella quale Chesterton racconta le ragioni della sua svolta, torna ora nelle mani del lettore italiano - per la prima volta con una traduzione integrale - con il titolo La Chiesa cattolica. Dove tutte le verità si danno appuntamento (Torino, Lindau, 2010, pagine 128, euro 13) e una bella prefazione di Marco Sermarini, presidente della Società chestertoniana italiana. Particolarmente interessanti le pagine nelle quali Chesterton descrive le grandi "stagioni esistenziali" della conversione. Dopo aver messo in dubbio i luoghi comuni disseminati da secoli di propaganda e aver constatato sulla base dell'esperienza la verità del cattolicesimo, cominciò per Gilbert la fase "più vera e terribile", quella in cui cercò di sottrarsi alla conversione. In quell'ultimo periodo tutto appariva ristretto, visto come attraverso una feritoia. Eppure, una volta entratovi, Chesterton constatò che "la Chiesa è molto più grande dentro che fuori", niente meno che "un continente" con dentro "tutto, persino le cose che si rivoltano contro".

Nella Chiesa di Roma lo scrittore inglese riconobbe l'interezza, opposta a questo o quel singolo dogma cavalcato fino allo sfinimento, e la lungimirante sapienza, che permette all'uomo di sottrarsi a mode intellettuali che si danno il cambio ogni 30 o 40 anni, e si rivelano essere solo vecchi errori. In confronto alla Chiesa di Roma niente gli appariva altrettanto ampio, niente così nuovo e familiare:  era come "se un uomo trovasse il suo salotto e il suo focolare nel cuore della Grande Piramide". Dove andrei ora - si chiede infine Chesterton - se abbandonassi la Chiesa cattolica? L'unica alternativa sarebbe stata tornare al paganesimo:  fuggire nei boschi gridando "che quella particolare vetta alpina o albero in fiore è sacro e va venerato".


(©L'Osservatore Romano - 12-13 aprile 2010)
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