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Nella Pléiade le opere di Calvino a cinquecento anni dalla nascita

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 07:04
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Nella Pléiade le opere di Calvino a cinquecento anni dalla nascita

Il riformatore che disincarnò l'Incarnazione


di Alain Besançon

Pochi francesi hanno lasciato un'impronta duratura, visibile e riconosciuta sulla faccia della terra. Non penso a quelli che hanno lanciato una moda intellettuale e artistica, perché ce ne sono molti. E neppure a quelli che fanno parte dei classici dell'umanità, come Montaigne, Pascal, Balzac, Cézanne e molti altri. Penso solo a quanti hanno spinto una parte dell'umanità europea a deviare dal suo cammino storico abituale, che hanno avuto la forza di imprimerle un'altra direzione. Non ne vedo che due:  Rousseau, senza dubbio, che ha rimodellato il XIX secolo, e anche il XX, ma ancora di più Calvino (10 luglio 1509 - 27 maggio 1564). Proprio perché era straordinario, non c'era finora nella collezione più apprezzata dei classici francesi un volume di Calvino. L'opera completa di Rousseau è stata pubblicata da tempo. Lutero ha già un volume. Ecco dunque finalmente Calvino nella Pléiade (Calvin, Oeuvres, édition établie par Francis Higman et Bernard Roussel, Paris, Gallimard, 2009, pagine 1432, euro 45).



Si è potuto sostenere che senza Calvino la riforma luterana sarebbe rimasta una questione tedesca e a lungo andare avrebbe potuto essere riassorbita. Dopo tutto l'offensiva cattolica, all'inizio del XVII secolo aveva già ristabilito la gerarchia nei porti del Baltico, appena prima della fulminea controffensiva svedese, sovvenzionata da Richelieu. Ci furono riavvicinamenti per tutto il XVII secolo. Bossuet e Leibniz li sognavano, Bach non aveva problemi a mettere in musica messe. Nulla di simile con i calvinisti, severamente separati, come da un muro.

Fu piuttosto sotto la forma calvinista che sotto quella luterana che la Riforma avanzò in Polonia e in Ungheria. In Francia il partito calvinista arrivò quasi a impadronirsi dello Stato monarchico, e anche dopo la notte di San Bartolomeo, che lo decapitò, poté ancora sostenere trent'anni di guerra e non fu mai eliminato.

La forza del calvinismo sta nell'avere diffuso il suo modello di cristianesimo nelle aree più progredite, l'Olanda, la parte più dinamica dell'Inghilterra, la Scozia, e infine, e soprattutto, gli Stati Uniti. In Olanda, mi diceva un collega che vi ha vissuto a lungo e che ha ascoltato dal Nunzio questa battuta, il paesaggio religioso oggi è diviso tra i calvinisti protestanti, i calvinisti cattolici, i calvinisti ebrei, i calvinisti liberi pensatori. Tanto è profonda l'impronta lasciata dal riformatore francese.

Non entrerò nell'immensa letteratura a lui dedicata. Tutt'al più vorrei sfatare alcuni pregiudizi comuni.
Data la violenza delle polemiche rivolte contro di lui, non è inutile affermare che Calvino è un cristiano. Egli aderisce pienamente ai simboli di Nicea e di Costantinopoli. Professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica (preferisce dire universale) e apostolica. Crede nella Trinità, al peccato originale e a quello attuale, alla salvezza attraverso Gesù Cristo. Sebbene non voglia che si preghi la Madre di Dio, la onora e crede fermamente alla sua verginità perpetua. Mantiene due sacramenti, il Battesimo e la Cena. Contrariamente a ciò che a volte si dice, crede nella presenza reale, anche se non ammette la concezione cattolica della transustanziazione.

In materia dogmatica, Calvino, di una generazione più giovane di Lutero, è un luterano, puro e semplice. A Strasburgo, in ambito riformato, dove ha acquisito le sue convinzioni definitive, ha aderito pienamente, e senza nulla cambiare, ai due principi della giustificazione per fede, (sola fide, sola gratia) e della sovranità della Bibbia (sola scriptura). Sono due principi che il concilio di Trento, troppo tardi, purtroppo, poiché la rottura era già avvenuta, ha riconosciuto che potevano essere accolti nell'ortodossia.



Se vi è un punto a partire dal quale si percepisce meglio che Calvino si discosta dalla tradizione cattolica, e va persino più lontano di Lutero, è il suo iconoclasmo determinato che non immaginava potesse essere alla radice di una divergenza grave. Non sopportava il coacervo di tutto quello che si era accumulato nelle chiese del suo tempo, immagini troppo venerate, reliquie dubbie, nelle quali vedeva non senza ragione una ricaduta nell'idolatria. Ma facendo profonda pulizia nei templi, e, nello stesso tempo, tagliando nel folto delle tradizioni dogmatiche, espellendo il vasto magma delle devozioni popolari, non credo che si sia reso conto di alterare il dogma dell'Incarnazione, che, tuttavia, non cessava di professare in modo sincero. Lo spingeva verso l'astrazione, lo estenuava. Lo intellettualizzava. Disincarnava l'Incarnazione.

Nell'Istituzione cristiana, lo espone more geometrico. S'inseriva così nella grande corrente dell'individualizzazione del rapporto con Dio, sorta all'inizio del XIV secolo, e che non ha smesso di affermarsi fino a oggi. Individualismo, rapporto personale, autonomo, con Dio, la società, lo Stato, la Legge:  è con tutta la modernità che Calvino era anticipatamente in sintonia. E pure con la razionalizzazione, sebbene vi fosse in lui anche un'alta ispirazione mistica (cfr. C.A. Keller, Calvin mystique, 2001). Da parte mia credo che questa sia molto forte, sebbene Calvino diffidi di essa e la nasconda il più possibile. Io la percepisco persino in Kant.

Lutero era stato incapace di fondare una vera Chiesa. Ne aveva affidato la guida ai principi. Nella sua speranza di far nascere una cristianità più pura e più perfetta di quella con la quale rompeva, riteneva che il principe cristiano avrebbe potuto esserne il "vescovo naturale". Calvino non condivide questa illusione. Egli fonda un sistema ecclesiale compenetrato nella società civile e allo stesso tempo sufficientemente indipendente, sottoposto da un lato al magistrato legittimo, ma dall'altro, capace di tenerlo a distanza e di influenzarlo. L'organizzazione calvinista è una creazione geniale. Essa è capace di adattarsi alla monarchia, spingendola verso l'accettazione della rappresentanza; al patriziato delle città moderne, il suo ambito favorito; alle repubbliche aristocratiche; alle repubbliche democratiche. Resiste agilmente a tutti i cambiamenti e le rivoluzioni della modernità. La sua superiorità storica - voglio dire la sua efficacia - è patente, paragonata alla rigidità autoritaria del mondo luterano. E naturalmente paragonata all'immensa, alla complessa, all'antica organizzazione cattolica, così difficile da muovere.

Nella dottrina calvinista c'è un punto celebre, la predestinazione. Suppone che Dio assegni liberamente ogni uomo alla salvezza o alla condanna, ancor prima del peccato originale che lo ha radicalmente corrotto e che gli fa meritare, con tutti gli altri, in piena giustizia, la dannazione eterna. Dottrina che Calvino stesso giudicava "dura". Ma bisogna intenderla, da parte del cristiano che vi aderisce, come un affidarsi con totale fiducia a Dio. Come una pienezza dell'abbandono alla provvidenza divina. Di modo che, una volta compiuto questo passo supremo dell'atto di fede, il fedele sente e sa di far parte dei predestinati alla salvezza. Superata questa prova, che si può paragonare a quella di Abramo al momento di sacrificare suo figlio, il calvinista si sente in possesso della sua salvezza. È ormai tranquillo. Può e deve occuparsi della santificazione del mondo alla quale è chiamato, con un sentimento di riconoscenza dovuta e fervente a quel Dio che l'ha salvato gratuitamente.

È un'occupazione a tempo pieno che non lascia troppo spazio all'arte e alla speculazione. Lutero confondeva la giustificazione e la santificazione, Calvino le distingue e le ordina l'una all'altra. La dottrina della predestinazione supralapsaria ("precedente la caduta") è stata ormai abbandonata dalla maggior parte delle comunità della tradizione calvinista, ma non da tutte. La confortante certitudo salutis è sempre lì.

Ritorniamo ora all'edizione che ci propone la Pléiade. Nella bibliografia noto che la sola edizione completa delle opere di Calvino è quella pubblicata in Germania fra il 1863 e il 1990, in non meno di 52 volumi. I grandi riformatori non scioperavano. Un'altra edizione è in corso dal 1992 presso Droz. Le edizioni scelte in francese non hanno l'aria di essere numerose, e neppure abbondanti.

Una decisione meraviglia. Non si trova nella Pléiade il testo più classico di Calvino, l'Istituzione della religione cristiana, né quello del 1536 in latino - Calvino ha ventisei anni - e neppure quello del 1541 in francese. Calvino rielaborò la propria opera fino alla sua morte. Le edizioni correnti che ci si può procurare oggi, e che non sono critiche, si fondano su quella del 1560. Se la Pléiade non ha ritenuto utile pubblicare il compendium canonico del pensiero calvinista, è, suppongo, perché lo si può trovare facilmente altrove. Non include neppure un altro testo fondamentale, ossia il Catechismo detto di Ginevra, pubblicato in francese nel 1542. Il volume, forse il più raro che ho fra le mani, è stato pubblicato in Sud Africa, dove si è conservato il calvinismo più rigoroso.

L'interesse degli editori, Francis Higman e Bernard Roussel, non sembra centrato sulla teologia di Calvino, ma sulla sua persona, il suo pensiero, la sua vita, il suo stile. La loro prefazione è un modello di concisione e di precisione. Essi hanno trovato il modo di risolvere in poche righe il problema lasciato da Max Weber. Offrono una interpretazione convincente sulla natura del regime ginevrino, non così teocratico come si crede, visto che i magistrati civili mantenevano il controllo. Sulla presunta "cattiveria" di Calvino. Sulla lingua e sulla grafia, adottata in questa edizione. Trung Tran dà tutte le spiegazioni necessarie. Le note abbondanti, erudite, necessarie, occupano un terzo del volume.
 


La materia è suddivisa così. Je n'ai pas cherché à plaire ("Non ho cercato di piacere") riunisce le prime lettere di Calvino (a Louis du Tillet, e in particolare a Sadoleto) che danno un'idea della sua formazione e del suo carattere dalla sua nascita in Piccardia ai suoi studi di diritto all'università di Orléans. Segue una selezione di commenti biblici. Calvino ha commentato instancabilmente le Scritture. Pronunciava circa 250 sermoni all'anno, che duravano ognuno un'ora abbondante e che sono per la maggior parte spiegazioni bibliche. Sulla dottrina:  l'Istituzione e il Catechismo sono sostituiti da altri testi, come il Piccolo trattato della santa Cena, la Dichiarazione per mantenere la vera fede, la Breve risoluzione sui sacramenti.

Calvino ha lottato su tutti i fronti. Contro i papisti, soprattutto, ma anche contro i "nicodemiti" (quelli che cercavano un compromesso con Roma) e contro i battisti. La fede battista è quella che viene chiamata "riforma radicale", quella che fa a meno di un'organizzazione ad ampio raggio d'azione e di pastori regolarmente ordinati. I battisti furono oggetto nel secolo della Riforma di una caccia spietata a cui parteciparono protestanti e cattolici. Nonostante questi massacri spaventosi, li ritroviamo oggi in piena forma negli Stati Uniti, dove il loro numero supera di gran lunga quello di tutte le altre denominazioni protestanti, calvinisti compresi. Hanno conservato vive la logica e l'essenza dello spirito calvinista.
Il volume termina con gli ultimi scritti testamentari di Calvino. Come si sa, volle essere seppellito in modo così discreto e semplice che non si sa dove si trovi esattamente la sua tomba nel cimitero di Ginevra. Come Mosè.

Lo studio sulla lingua di Calvino occupa un grande spazio in questo volume. A buon diritto. L'ho praticata un po'. Ho fatto un po' fatica a entrarvi, ma poi sono stato affascinato da questa lingua marmorea, atemporale. Eccone i principi, da Calvino stesso esposti nel suo Trattato contro gli anabattisti:  "Esporre e dedurre le materie distintamente e con un certo ordine, chiarire un punto dopo l'altro. Soppesare bene e guardare da vicino le frasi della scrittura per estrarne il senso vero e naturale. Servirsi di una semplicità e rotondità di parola che non sia lontana dal linguaggio comune. Io cerco di disporre in ordine ciò che dico, al fine di permetterne una più chiara e più facile comprensione". Era una novità. All'epoca, tutti ammiravano lo stile di Calvino, il suo "miele", anche se, per i cattolici, era un miele "avvelenato". Quello che mi colpisce è che il programma retorico di Calvino precede e annuncia il programma metodologico di Cartesio. Siamo nello stesso clima di pensiero.

Un clima francese abbastanza tipico, o piuttosto uno dei climi francesi. Rousseau, l'altro autore decisivo, è di un altro clima.


(©L'Osservatore Romano - 3 luglio 2009)
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Non è proprio il caso di elogiare Calvino!

Don Spataro propone di evitare il “buonismo ecumenico”



di Antonio Gaspari


ROMA, mercoledì, 2 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Nel quinto centenario della nascita di Giovanni Calvino, si è sviluppato in Italia un intenso e acceso dibattito sulla figura e sugli insegnamenti del protestante riformatore francese Giovanni Calvino (1509-1564).

A proposito delle opere di Calvino, pubblicate nella prestigiosa collana editoriale francese della Pleiade, edizioni Gallimard, lo storico francese Alain Besançon ha formulato su ‘L’Osservatore Romano’, giudizi positivi nei confronti del riformatore protestante, scrivendo che “l’organizzazione calvinista, è una creazione geniale” e perfino la dottrina calvinista della predestinazione potrebbe essere in qualche modo riabilitata. Mentre don Roberto Spataro sdb, Preside dello Studium Theologicum Salesianum “Saints Peter and Paul” di Gerusalemme ha scritto un lungo e dettagliato saggio su “Cristianità” (marzo 2009), in cui illustra le ragioni del perchè non è proprio il caso di celebrare il quinto centenario della nascita di Calvino.Per meglio comprendere le implicazioni della discussione in atto, ZENIT ha intervistato il salesiano don Roberto Spataro.

Lei sostiene che Giovanni Calvino non ha meriti per essere commemorato. Perché?

Spataro: Le commemorazioni hanno una duplice finalità: ricordare fatti positivi e personaggi esemplari a cui ispirarsi o episodi da biasimare affinché non si ripetano più. Nel caso di Calvino ci sono aspetti negativi che rendono, quanto meno, imbarazzante il suo ricordo per tutti coloro che hanno realmente a cuore il cammino ecumenico e sono pensosi del futuro dell'umanesimo cristiano europeo. Meglio adottare un prudente riserbo.

Pochi ricordano la storia di Calvino violento e intollerante. Può illustracene la storia?

Spataro: Ha proprio ragione. I maîtres à penser del laicismo di ieri e di oggi non perdono occasione per ricordare episodi tipici della presunta intolleranza della Chiesa Cattolica ed eccoli pronti a menzionare Giordano Bruno o Galileo Galilei. Difficile trovare chi parli, ad esempio, delle carneficine provocate dalla violenza e dall'intolleranza giacobina.

La memoria che seleziona è sempre un po' sospetta. Ma torniamo a Calvino. A Ginevra egli introdusse un’organizzazione teocratica della comunità cristiana, abolendo, di fatto, ogni forma di distinzione tra dimensione civile e religiosa e imponendo una legislazione implacabilmente opprimente, tra il 1541 e il 1564. Il regime teocratico che installò governò la città attraverso una serie di ordinanze che prevedevano severe punizioni non solo per deviazioni dottrinali ma anche per atti quali la danza, il gioco, la vendita e la consumazione di birra.

Il governo fu affidato alla responsabilità ministeriale dei quattro ordini introdotti da Calvino: pastori, dottori, anziani e diaconi. Il Concistorio, composto dai pastori e da dodici anziani eletti dalle autorità civili, diventò una sorta di suprema corte inquisitoria e giudicante finanche la vita privata dei cittadini.

Una cappa, plumbea e asfissiante, gravò su Ginevra. Molte furono le vittime del sistema calvinista. I grandi peccatori come i sacrileghi, gli adulteri e gli avversari ostinati della nuova fede, venivano consegnati al consiglio cittadino per la punizione.

Furono eseguite molte condanne a morte, più ancora all’esilio. La tortura fu usata nel modo più rigoroso. La lista delle vittime è tristemente lunga: il predicatore Sebastiano Castillo, biblista che proponeva un’interpretazione del Cantico dei Cantici sgradita a Calvino, fu costretto all’esilio. Il medico Girolamo Bolsec, un ex-monaco carmelitano apostata che aveva osato contestare la dottrina della predestinazione insegnata da Calvino, fu bandito dalla città nel 1551.

L’affaire Perrin è sintomatico della situazione imposta a Ginevra a Calvino e dei metodi da egli adoperati per reprimere ogni forma di dissenso. In questo episodio, infatti, si ritrovano tutti gli elementi che concorrono a mostrare il volto spaventoso di questo “riformatore”: proibizione dell’espressione delle gioie più umane, come la danza in occasione di un matrimonio, sistema inquisitorio, carcere, esilio ed anche spargimento di sangue.Protagonista ne fu Ami Perrin, che inizialmente era stato un sostenitore di Calvino. Questi i fatti: in occasione di un matrimonio tra giovani di distinte famiglie borghesi, si festeggiò con un ballo. Il Concistorio convocò tutti i partecipanti che, per paura, ricusarono l’accusa, eccetto due di essi, tra cui Ami Perrin che fu costretto a fare ammenda del “crimine commesso”.

Sua moglie, però, Franchequine Perrin, figlia di François Faivre, personaggio altolocato a Ginevra, continuò a protestare pubblicamente e, provocatoriamente, a danzare ancora. Poiché godeva dell’appoggio di molti cittadini, stanchi delle vessazioni del Concistorio, comparvero anche scritti anonimi contro Calvino e i suoi partigiani. Infuriato, quest’ultimo ordinò una perquisizione in casa di uno degli amici delle famiglie Perrin et Faivre, Jacques Gruet. All’interno fu ritrovato materiale compromettente: quaderni e annotazioni polemiche verso il regime teocratico di Calvino.La punizione fu implacabile: condanna a morte per decapitazione.

Il caso più noto è quello di Michele Serveto, il medico spagnolo che negava il dogma della Trinità. Benché condannato in Francia, Serveto, probabilmente con la dissimulata accondiscendenza del blando tribunale inquisitorio cattolico, fuggì e si rifugiò proprio a Ginevra, ove, riconosciuto, fu immediatamente condannato a morte e arso vivo, nel 1553.

Il ruolo giocato da Calvino in questa vicenda mostra lati umani veramente riprovevoli: non solo fanatica intolleranza ma anche ricorso allo spionaggio, spirito vendicativo e, a vicenda conclusa, menzogneri tentativi di ritrattazione delle sue responsabilità.

Secondo le ricerche da lei condotte, Calvino diffuse un ostile e rabbioso livore anticattolico. Lei ha scritto che “i martiri cattolici torturati e giustiziati durante le persecuzioni perpetrate dai calvinisti costituiscono una pagina cospicua del martirologio e inducono a una silenziosa riflessione in questo quinto centenario della nascita di Calvino”. Potrebbe farci qualche esempio?

Spataro: Ecco una sintesi del pensiero del riformatore sulla Chiesa Cattolica romana con citazioni tratte dalle sue opere. “È una consorteria di preti perversa e fatta di menzogne che pratica, al posto della Cena un sacrificio abominevole e che si compiace di superstizioni infinite: le sue riunioni pubbliche sono come scuole d’idolatria ed empietà.

Ci si può separare da essa senza scrupolo né timore. È più un’immagine di Babilonia che la Città santa di Dio”. I provvedimenti che lo “zelo” riformatore di Calvino introdusse sono ispirati da una furia iconoclasta tesa a far scomparire ogni traccia della spiritualità e della pietà cattolica per rimpiazzarla con una fede espressa in forme irrispettose della ricchezza di un’autentica antropologia che sappia valorizzare la sensibilità, le emozioni, la corporeità, insomma la caro cardo salutis. E Calvino è stato un “cattivo maestro”: i calvinisti olandesi, gli “ugonotti” francesi si macchiarono di crimini efferati contro coloro che desideravano conservare la fede dei loro Padri.

Le cronache riportano episodi raccapriccianti: preti crocifissi, sventrati per poi riempire il cadavere di avena data in pasto agli animali, esecrabili mutilazioni del corpo. Orrori, questi, che furono associati alla dissacrazione di chiese, d’immagini venerate e persino delle realtà più sante: si diede pure il caso dell’Eucaristia profanata al punto da darla in pasto ad una bestia.

Nel suo saggio lei argomenta anche un travisamento del Vangelo da parte di Calvino. In che senso?

Spataro: Al cuore della proposta religiosa di Calvino c’è la dottrina della doppia predestinazione, secondo la quale, essendo tutta l’umanità “massa dannata” a causa del peccato originale, per un imperscrutabile giudizio divino, alcuni soggetti sono destinati all’inferno ed altri alla salvezza eterna. Si tratta di una deformazione radicale del Vangelo che pregiudica l’universalità della Redenzione di Cristo, annulla l’annuncio liberante della predicazione apostolica secondo la quale “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi” (1 Tim 2,4), immiserisce la speranza cristiana. Questo si legge nella magna charta del Calvinismo, la Christianae Religionis Institutio: “Noi intendiamo per predestinazione l’eterna disposizione di Dio, in virtù della quale egli ha deciso tra sé ciò che deve accadere, conformemente alla sua volontà, di ogni singolo uomo.

Gli uomini non sono infatti tutti creati con lo stesso destino, ma agli uni viene assegnata la vita eterna e agli altri l’eterna dannazione. Or quindi, come il singolo è creato per l’uno o per l’altro fine, così noi diciamo: egli è predestinato alla vita o alla morte”. Leggendo questa pagina è inevitabile domandarsi: Il Dio di Calvino è ancora il Dio del Vangelo, testimoniato e rivelato da Cristo? È ancora il Padre, testimoniato e rivelato da Cristo, che ama e che chiede amore filiale?

Ci sono ancora altri aspetti che rendono la domanda legittima. Il Vangelo di Cristo propone un comportamento etico fondato sulla libera adesione e non sulla pressione di uniformità che fu esattamente la degenerazione morale provocata dall’imposizione del governo teocratico ginevrino teorizzata negli scritti dottrinali di Calvino.

Che cosa rimane del “se vuoi” evangelico nella Ginevra soggiogata al verbo calvinista? Il clima di “caccia alle streghe” che rattristò la Ginevra calvinista e la spiritualità puritana, ispirata a Calvino, snatura la gioia evangelica, il godimento della creazione, mai del tutto corrotta dal peccato, e rinnovata dall’opera della Redenzione.

Ma se questa è la storia, perché alcuni vorrebbero quasi “beatificare” Giovanni Calvino?

Spataro: Io non so se ci siano in giro persone che vogliano “beatificare” Calvino. Certamente, quest'anno, in occasione del quinto centenario della sua nascita, all'interno della Chiesa Cattolica ci sono manifestazioni di un certo “buonismo ecumenico”, dalle quali ho modestamente voluto mettere in guardia con il mio contributo.

L'ecumenismo avanza anzitutto con la pratica della carità fraterna, della quale mi consenta – non hanno dato eccellente prova alcuni esponenti della comunità valdese italiana che hanno diffuso in rete la loro disapprovazione nei confronti del mio saggio, attribuendomi epiteti che potrei eufemisticamente definire irrispettosi.

Forse sarebbe stato più proficuo produrre un saggio storico-teologico per stabilire un auspicabile dialogo. Il cammino ecumenico progredisce, serenamente e fiduciosamente, nell'approfondimento della Rivelazione, che ha anche un suo contenuto veritativo. Il “buonismo ecumenico” invece annulla le differenze o le “anestetizza” in un melting-pot in cui le verità teologiche, accolte dalla fede ed illustrate dalla ragione, perdono i loro contorni.

Anche il cammino ecumenico ha tanto bisogno della naturale amicizia tra fede e ragione, tanto raccomandata dal Magistero dell'attuale Pontefice. Mi sembra che per questi motivi sia meglio evitare qualsiasi elogio di Calvino.
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