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8-15 maggio 2009 Benedetto XVI Pellegrino in Terra Santa

Ultimo Aggiornamento: 17/05/2009 07:21
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Dall'8 al 15 maggio il dodicesimo viaggio internazionale di Benedetto XVI

Pellegrino in Terra Santa

in dialogo con gli ebrei


di Norbert J. Hofmann
Salesiano, segretario della Commissione
per i rapporti religiosi con l'Ebraismo



Già i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno compiuto pellegrinaggi in Terra Santa, visitando i luoghi sacri e pregando. Dall'8 al 15 maggio Papa Benedetto XVI, ricalcando le orme dei suoi predecessori, visiterà la Terra Santa per "pregare in particolare per il dono prezioso dell'unità e della pace sia all'interno della regione sia per la famiglia umana di tutto il mondo" (Discorso alla delegazione del Gran Rabbinato di Israele, in Vaticano, il 12 marzo 2009).
Paolo VI compì il suo viaggio nel 1964, durante lo svolgimento del concilio Vaticano ii, che stilò un documento sul rapporto della Chiesa cattolica con le religioni del mondo. La visita di Giovanni Paolo II nel marzo 2000 si inserisce invece nella cornice dell'anno giubilare della storia bimillenaria del cristianesimo.

Studiando il programma del viaggio di Benedetto XVI, si nota subito che è simile a quello di Giovanni Paolo II. Fin dall'inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha voluto preservare e approfondire l'eredità di Papa Wojtyla, anche in riferimento al dialogo con l'ebraismo, che Benedetto XVI considera soprattutto nella prospettiva della riconciliazione e della collaborazione per la giustizia e per la pace. Benedetto XVI ricalcherà anche le orme di Giovanni Paolo II come pellegrino in Terra Santa, ma imprimerà a questo viaggio un proprio marchio in base alla sua personalità.

Più aspetti caratterizzeranno questo viaggio. La prima motivazione l'ha già espressa il Papa:  viaggerà come pellegrino e vorrà pregare nei luoghi santi. Incontrerà la Chiesa cattolica locale per sostenerla nella sua non facile situazione. Inoltre questo viaggio avrà anche una dimensione ecumenica perché le comunità cristiane in Terra Santa sono una minoranza che va scomparendo.

All'orizzonte c'è naturalmente anche la promozione del dialogo interreligioso con gli ebrei e i musulmani. Infine, in questa regione del mondo, con tutti i suoi problemi e la sua imponderabilità, non potrà mancare un appello alla pace e alla convivenza armoniosa di tutte le religioni e le culture.

Per quanto concerne il dialogo con l'ebraismo, nei suoi discorsi con i rappresentanti ebrei Benedetto XVI ha sottolineato il significato autentico della dichiarazione conciliare Nostra aetate (n. 4). Il 30 ottobre 2008, nel ricevere una delegazione dell'International Jewish Committee on Interreligious Consultations (Ijcic), un'organizzazione centrale ebraica internazionale per il dialogo interreligioso, il Papa ha parlato dell'appello, contenuto nella Dichiarazione, a una rinnovata comprensione teologica del rapporto fra la Chiesa e il popolo ebraico:  "Quella Dichiarazione, che ha condannato con fermezza tutte le forme di antisemitismo, è stata sia una pietra miliare significativa nella lunga storia dei rapporti fra cattolici ed ebrei sia un invito a una rinnovata comprensione teologica dei rapporti fra la Chiesa e il popolo ebraico".

Affinché la Nostra aetate (n. 4) potesse realizzarsi sempre più concretamente a livello ecclesiale, nel 1974 la Santa Sede istituì la Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo, che si occupa dell'organizzazione e della gestione del dialogo con gli ebrei.
Quarantaquattro anni dopo la promulgazione della Nostra aetate nel 1965, bisogna ricordare anche la storia intensa e interessante di questo documento. Infatti, in questi anni, a livello sia locale sia universale, i vincoli di amicizia e la fiducia reciproca fra ebrei e cattolici sono aumentati ed eventuali crisi nel dialogo potranno essere risolte insieme e in modo costruttivo. Il legame che unisce ebrei e cristiani è da sempre molto forte:  possono imparare molto gli uni dagli altri e hanno una solida base di valori comuni.

È soprattutto il caso del dialogo istituzionale fra la Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo e il Gran Rabbinato di Israele, cominciato ufficialmente a giugno 2002, ma in realtà avviato da Papa  Giovanni Paolo II durante la sua visita in Israele nel marzo 2000 e sviluppatosi molto bene negli anni scorsi. Complessivamente si sono svolti otto incontri a Gerusalemme e a Roma, nei quali si sono affrontati temi importanti quali, per esempio, la sacralità della vita umana, il significato della famiglia, la rilevanza delle Sacre Scritture per la società e l'educazione dei giovani, il rapporto fra autorità religiose e civili, l'importanza della libertà di religione. Dichiarazioni congiunte hanno evidenziato il fondamento comune delle posizioni ebraiche e cattoliche.

Il 16 gennaio 2004 Giovanni Paolo II ricevette in Vaticano i due rabbini capo d'Israele. Benedetto XVI lo ha fatto il 15 settembre 2005. Infine, il 12 marzo 2009 il Papa ha ricevuto una delegazione del Gran Rabbinato di Gerusalemme insieme a interlocutori cattolici.

Entrambi i Pontefici hanno definito questo dialogo "un segno di grande speranza". Il Gran Rabbinato è in Israele la massima autorità religiosa per l'ebraismo ortodosso, che in tale Paese costituisce una maggioranza schiacciante. Il dialogo con il Gran Rabbinato di Gerusalemme ha portato sicuramente a un miglioramento dei rapporti, a livello mondiale, con gli ebrei ortodossi i quali all'inizio erano un po' esitanti nell'entrare in dialogo.

Durante la sua visita in Israele, Benedetto XVI, incontrando entrambi i rabbini capo, farà sicuramente riferimento a questo positivo e importante dialogo e così intensificherà ulteriormente i buoni rapporti.
Il fatto che Israele e il dialogo ebraico-cattolico che vi si svolge abbiano un significato particolare per gli ebrei di tutto il mondo è naturale in quanto essi considerano questo Paese "terra dei loro antenati", in cui è cominciata la storia salvifica di Dio con il suo popolo eletto.

Tuttavia questa terra non è sacra solo per gli ebrei, ma anche per i cristiani perché l'ebreo Gesù di Nazaret vi è cresciuto in un contesto ebraico, vi ha annunciato il suo messaggio del regno eterno di Dio e vi ha affrontato la morte in croce, alla quale Dio, suo padre, l'ha strappato con la risurrezione.
Dunque, nell'Antico Testamento "la terra" e "il popolo" sono beni che erano già stati promessi ai patriarchi. Popolo e terra hanno anche connotazioni religiose ed entrambi si identificano concretamente con il popolo e con il Paese d'Israele. Di tale popolo fanno parte gli ebrei, siano essi nello Stato israeliano o nella diaspora. La terra viene spesso identificata con lo Stato di Israele. Per tutti gli ebrei è stato dunque importante il riconoscimento ufficiale dello Stato di Israele da parte della Santa Sede.

In quest'ultimo, sin dalla sua fondazione, è presente un delegato apostolico della Santa Sede, anche se il riconoscimento diplomatico formale è avvenuto solo nel dicembre 1993. Nel corso dell'anno successivo vi è stato uno scambio ufficiale di ambasciatori. Ma poiché con l'atto di riconoscimento non si erano risolte tutte le questioni pendenti, fu istituita una commissione che si sarebbe occupata dello status legale della Chiesa cattolica, della questione fiscale e di altri aspetti giuridici.

L'interesse della Santa Sede è stato sempre quello di ottenere un libero accesso ai luoghi santi e la possibilità di svolgere attività pastorali in Terra Santa senza limitazioni o impedimenti. Però le trattative della commissione preposta dalla Santa Sede e dallo Stato d'Israele non sono ancora terminate. Per questo motivo si auspica che la visita di Papa Benedetto XVI in Israele conduca a una loro conclusione positiva.

Il viaggio di Benedetto XVI in Israele promuoverà e approfondirà il dialogo con l'ebraismo. Là, numerose istituzioni si occupano della promozione del dialogo fra cristiani ed ebrei o di quello interreligioso fra le tre religioni monoteistiche, ma la loro opera dipende sempre da grandi gesti e immagini suggestive.
Il secondo Papa in raccoglimento davanti al Muro del pianto o a colloquio con le autorità religiose dell'ebraismo a Gerusalemme dimostrerà all'opinione pubblica israeliana che i rapporti fra la Chiesa cattolica e l'ebraismo sono divenuti migliori e più profondi. Forse, in questo modo si potrà suscitare un po' più di interesse per il cristianesimo nella società israeliana, in cui i cristiani sono una minoranza che va sempre più scomparendo e in cui la maggior parte della popolazione ha spesso scarse conoscenze della realtà cristiana.

Un altro compito dei cattolici in tutto il mondo consiste nel promuovere la conoscenza dell'ebraismo nell'educazione e nell'istruzione. Parimenti, l'ebraismo è invitato, soprattutto in Israele, a trasmettere nozioni sul cristianesimo in ambito pedagogico.
Il dialogo fra cristiani ed ebrei avrà dunque un futuro fecondo, se le prossime generazioni cresceranno nella conoscenza reciproca delle due tradizioni religiose e si organizzeranno incontri comuni, che contribuiranno ad abbattere i pregiudizi e a creare amicizia. In quanto esseri umani deriviamo tutti da quel Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza (cfr. Genesi 1, 26-27). Egli desidera che, nonostante le nostre differenze e imperfezioni, viviamo insieme in pace e in armonia, indipendentemente dalla tradizione religiosa alla quale apparteniamo.
Ebrei e cristiani possono approfondire la loro amicizia sulla base della comune origine religiosa e, rispettandosi reciprocamente, considerare le loro differenze una fonte di arricchimento.



(©L'Osservatore Romano - 18 aprile 2009)
[Modificato da Cattolico_Romano 18/04/2009 13:05]
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PELLEGRINAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA (8 - 15 MAGGIO 2009) - PROGRAMMA

Venerdì 8 maggio 2009

Roma
09.30    Partenza in aereo dall’Aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Fiumicino (Roma) per l’Aeroporto Internazionale Queen Alia di Amman (Giordania).

Amman
14.30    CERIMONIA DI BENVENUTO all’Aeroporto internazionale Queen Alia di Amman. Discorso del Santo Padre.
15.30    VISITA AL CENTRO "REGINA PACIS" di Amman. Discorso del Santo Padre.
17.40    VISITA DI CORTESIA ALLE LORO MAESTÀ IL RE E LA REGINA DI GIORDANIA nel Palazzo Reale al-Husseinye di Amman.

Sabato 9 maggio 2009
07.15    Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman.

Monte Nebo
09.15    VISITA ALL’ANTICA BASILICA DEL MEMORIALE DI MOSÈ sul Monte Nebo. Discorso del Santo Padre.

Madaba
10.30    BENEDIZIONE DELLA PRIMA PIETRA DELL’UNIVERSITÀ DI MADABA DEL PATRIARCATO LATINO. Discorso del Santo Padre.

Amman
11.30    VISITA AL MUSEO ASCEMITA E ALLA MOSCHEA AL-HUSSEIN BIN-TALAL di Amman.
11.45    INCONTRO CON I CAPI RELIGIOSI MUSULMANI, CON IL CORPO DIPLOMATICO E CON I RETTORI DELLE UNIVERSITÀ GIORDANE all’esterno della Moschea al-Hussein bin-Talal di Amman. Discorso del Santo Padre.

17.30    CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON I SACERDOTI, I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE, I SEMINARISTI E I MOVIMENTI ECCLESIALI nella Cattedrale Greco-Melkita di S. Giorgio di Amman. Discorso del Santo Padre.

Domenica 10 maggio 2009
10.00    SANTA MESSA nell’International Stadium di Amman. Omelia del Santo Padre.
   RECITA DEL REGINA COELI nell’International Stadium di Amman. Parole del Santo Padre.
12.45    Pranzo con i Patriarchi e i Vescovi e con il Seguito Papale nel Vicariato Latino di Amman.

Bethany beyond the Jordan
17.30    VISITA A BETHANY BEYOND THE JORDAN - SITO DEL BATTESIMO.
18.00    BENEDIZIONE DELLE PRIME PIETRE DELLE CHIESE DEI LATINI E DEI GRECO-MELKITI a Bethany beyond the Jordan. Discorso del Santo Padre.

Lunedì 11 maggio 2009

Amman
07.30    Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Amman.
10.00    CERIMONIA DI CONGEDO all’Aeroporto Internazionale Queen Alia di Amman. Discorso del Santo Padre.
10.30    Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale Queen Alia di Amman (Giordania) per l’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv (Israele).

Tel Aviv
11.00    CERIMONIA DI BENVENUTO all’Aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Discorso del Santo Padre.

Gerusalemme
16.15    VISITA DI CORTESIA AL PRESIDENTE DELLO STATO DI ISRAELE nel Palazzo Presidenziale di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.
17.45    VISITA AL MEMORIALE DI YAD VASHEM a Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.
18.45    INCONTRO CON ORGANIZZAZIONI PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO nell’Auditorium del Notre Dame of Jerusalem Center di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

Martedì 12 maggio 2009
09.00    VISITA ALLA CUPOLA DELLA ROCCIA sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme.

   VISITA DI CORTESIA AL GRAN MUFTI sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

10.00    VISITA AL MURO OCCIDENTALE di Gerusalemme.

10.45    VISITA DI CORTESIA AI DUE GRAN RABBINI DI GERUSALEMME nel Centro Hechal Shlomo di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

11.50    PREGHIERA DEL REGINA COELI CON GLI ORDINARI DI TERRA SANTA nel Cenacolo di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

12.30    Breve visita alla Concattedrale dei Latini di Gerusalemme.

13.00    Pranzo con gli Ordinari di Terra Santa, con gli Abati e con il Seguito Papale nel Patriarcato dei Latini di Gerusalemme.

16.30    SANTA MESSA nella Josafat Valley di Gerusalemme. Omelia del Santo Padre.

Mercoledì 13 maggio 2009

Betlemme
09.00    CERIMONIA DI BENVENUTO nel Piazzale antistante il Palazzo Presidenziale di Betlemme. Discorso del Santo Padre.

10.00    SANTA MESSA nella Piazza della Mangiatoia di Betlemme. Omelia del Santo Padre.

12.30    Pranzo con gli Ordinari di Terra Santa, con la Comunità dei Francescani e con il Seguito Papale nel Convento di Casa Nova di Betlemme.

15.30    VISITA PRIVATA ALLA GROTTA DELLA NATIVITÀ di Betlemme.

16.10    VISITA AL CARITAS BABY HOSPITAL di Betlemme

16.45    VISITA ALL’AIDA REFUGEE CAMP di Betlemme. Discorso del Santo Padre.
18.00    VISITA DI CORTESIA AL PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ NAZIONALE PALESTINESE nel Palazzo Presidenziale di Betlemme.

18.40    CERIMONIA DI CONGEDO nel cortile del Palazzo Presidenziale. Discorso del Santo Padre.

Giovedì 14 maggio 2009

Nazaret
10.00    SANTA MESSA sul Monte del Precipizio a Nazaret. Omelia del Santo Padre.

12.30    Pranzo con gli Ordinari locali, con la Comunità dei Francescani e con il Seguito Papale nel Convento dei Francescani di Nazaret.

15.50    INCONTRO CON IL PRIMO MINISTRO DELLO STATO DI ISRAELE nel Convento dei Francescani di Nazaret.

16.30    SALUTO AI CAPI RELIGIOSI DELLA GALILEA nell’Auditorium del Santuario dell’Annunciazione di Nazaret. Discorso del Santo Padre.

17.00    VISITA ALLA GROTTA DELL’ANNUNCIAZIONE di Nazaret.

17.30    CELEBRAZIONE DEI VESPRI CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I RELIGIOSI E LE RELIGIOSE, I MOVIMENTI ECCLESIALI E GLI OPERATORI PASTORALI DELLA GALILEA nella Basilica superiore dell’Annunciazione di Nazaret. Discorso del Santo Padre.

Venerdì 15 maggio 2009

Gerusalemme
07.30    Santa Messa in privato nella Cappella della Delegazione Apostolica di Gerusalemme.

09.15    INCONTRO ECUMENICO nella Sala del Trono della Sede del Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

10.15    VISITA AL SANTO SEPOLCRO di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.
11.10    VISITA ALLA CHIESA PATRIARCALE ARMENA APOSTOLICA DI S. GIACOMO di Gerusalemme. Discorso del Santo Padre.

Tel Aviv
13.30    CERIMONIA DI CONGEDO all’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. Discorso del Santo Padre.

14.00    Partenza in aereo dall’Aeroporto Internazionale Ben Gurion di Tel Aviv (Israele) per l’Aeroporto di Ciampino (Roma).

Roma
16.50    Arrivo all’Aeroporto di Ciampino (Roma).

Fuso orario

Roma: + 2 UTC

Giordania, Israele e Territori Nazionali Palestinesi: + 3 UTC

www.vatican.va
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Pubblicato il programma della visita papale in Terra Santa, studiamone i particolari

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 26 marzo 2009 (ZENIT.org).

Durante il suo viaggio in Terra Santa nel maggio prossimo, Benedetto XVI visiterà il Muro del Pianto, la Spianata delle Moschee, la grotta della Natività e Nazaret, secondo quanto si apprende dal programma ufficiale del viaggio, pubblicato questo giovedì dalla Santa Sede.

Il programma ripete nei suoi momenti chiave la storica visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa nel marzo 2000, anche se prevede un giorno in più e un maggiore spazio per gli incontri di tipo ecumenico e interreligioso.

Come per il suo predecessore, anche per Papa Benedetto XVI la prima tappa del viaggio sarà la Giordania, con una visita al monte Nebo, il luogo in cui la tradizione afferma che Mosè vide da lontano la Terra Promessa.

E' anche prevista una Messa ad Amman (nell'International Stadium), così come una visita di cortesia ai re di Giordania.

Come novità di questo viaggio, Benedetto XVI visiterà il Museo Hashemita e la Moschea Al-Hussein e incontrerà i leader religiosi musulmani e i rettori delle università del Paese. Porrà anche la prima pietra dell'università cattolica di Madaba.

Come Giovanni Paolo II, il Papa visiterà il Giordano, anche se si recherà allo stesso luogo in cui secondo la tradizione Gesù ricevette il Battesimo dalle mani di Giovanni, dove benedirà le prime pietre di una chiesa latina e di un'altra greco-melchita.

Al suo arrivo in territorio israeliano, il Papa visiterà in primo luogo Gerusalemme, mentre Giovanni Paolo II andò prima nei territori dell'Autorità Palestinese.
A Gerusalemme, visiterà il Muro Occidentale e il Memoriale di Yad Vashem e saluterà i due Gran Rabbini nel Centro Hechal Shlomo.

Farà visita anche al Gran Mufti e si recherà alla Spianata delle Moschee, ma a differenza di Giovanni Paolo II visiterà la Cupola della Roccia, la moschea in cui si venera la Roccia sulla quale Abramo si accingeva a sacrificare suo figlio e da cui il Profeta Maometto sarebbe andato in cielo.

                

Secondo la tradizione, si tratta del terzo luogo più sacro dell'islam, dopo La Mecca e Medina, ed è anche un luogo sacro per gli ebrei, perché lì è il cuore dell'antico Tempio di Gerusalemme.
A Gerusalemme è anche previsto, come fece Giovanni Paolo II, un incontro con organizzazioni dedite al dialogo interreligioso e con le comunità cristiane, nonché una visita al Santo Sepolcro.

Come novità, è prevista un'Eucaristia nella Josafat Valley.

Il Papa si dirigerà poi a Betlemme, dove celebrerà un'Eucaristia nella Piazza della Mangiatoia e visiterà un campo di rifugiati, l'Aida Refugee Camp (Giovanni Paolo II visitò quello di Deheisha). E' anche prevista una visita al Caritas Baby Hospital e al Presidente dell'Autorità Palestinese.

Per terminare il viaggio, Benedetto XVI si recherà in Galilea, a Nazaret, dove visiterà la Grotta dell'Annunciazione e incontrerà il Primo Ministro di Israele.
 
Celebrerà anche un'Eucaristia sul Monte del Precipizio (da dove la tradizione afferma che i concittadini tentarono di gettare Gesù dopo la sua predicazione nella Sinagoga).

A differenza di quanto fece Giovanni Paolo II, la visita in questa zona sarà breve e non prevede né il Monte delle Beatitudini né Cafarnao o Tabga, dove la tradizione ricorda la Moltiplicazione dei Pani.

Prima di tornare a Roma, il Papa prevede di incontrare anche il Patriarca Greco-ortodosso di Gerusalemme e il Patriarca della Chiesa armena.
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03/05/2009 08:17

incalzano le polemiche: il Papa perchè non va a Gaza? è giusto questo?
vi lascio con un commento stupendo di padre Giovanni Scalese.
..

giovedì 23 aprile 2009

Il Papa e la kefiah


Al di là delle preoccupazioni e delle perplessità
sul viaggio del Santo Padre in Terra Santa, questa immagine allarga il cuore, innanzi tutto perché dimostra che anche i palestinesi vogliono bene a Benedetto XVI, e poi perché è la prova che il Papa, al di là di certe opinabili decisioni dettate dalla ragion di Stato, è davvero il padre di tutti.

Ma quanto ci scommettete che questa immagine creerà non poche noie al Papa? Quanto ci scommettete che la visita allo Yad Vashem e al Muro del Pianto non saranno sufficienti atti di riparazione per questo gesto? Già immagino i titoli dei giornali israeliani, che verranno poi ripresi da tutta la "libera" stampa internazionale: "Il Papa dalla parte dei terroristi!".

Naturalmente, qualcuno penserà che sto esagerando; ma nel frattempo si legga questo articolo di Giacomo Galeazzi su La Stampa. Come potete vedere, siamo arrivati al punto che il Papa deve avere il benestare del governo israeliano per decidere chi ricevere in udienza. Notate che Mazen Ghanaim non è un rappresentante del governo di Gaza o del movimento di Hamas in esilio; egli è il legittimo sindaco di una cittadina araba della Galilea (quindi dello Stato di Israele). Ebbene, il Papa non può riceverlo, perché "è un sostenitore del terrorismo e un fomentatore di conflitti". E meno male che è in corso a Ginevra la conferenza contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza!



martedì 21 aprile 2009

Blondet e il Papa

Ho sempre nutrito una grande ammirazione per Maurizio Blondet, fin dai tempi in cui scriveva per Avvenire. Poi, quando fu cacciato dal quotidiano della CEI e incominciò a scrivere sul sito Effedieffe, ne divenni un assiduo lettore. Lo trovavo un giornalista anticonformista, informatissimo, colto e, soprattutto, libero. Le sue analisi coglievano sempre nel segno (non altrettanto le sue profezie...); ci teneva informati di fatti totalmente ignorati dai grandi mezzi di comunicazione. Non mi perdevo alcun pezzo da lui pubblicato fino a quando l'Editore non decise di mettere il sito a pagamento. Una scelta legittima, che non mi sono mai permesso di contestare, ma che non ho mai compreso. Sinceramente, mi sembra molto strano che dei lettori consiglino un sito a farsi pagare.

Due sono le cose: o quei messaggi sono falsi; o quei lettori sono dei provocatori. E se questa ipotesi è vera, Effedieffe c'è cascata in pieno: non so quale sia l'attuale audience del sito, ma sono più che convinto che i lettori si sono drasticamente ridotti. Naturalmente, liberi di fare le loro scelte: hanno deciso di rinchiudersi nel loro salotto buono, dove ci si incensa a non finire ("Magistrale, Direttore!"); ma in tal modo impediscono alle loro idee di diffondersi liberamente della rete. Ciò nonostante, di tanto in tanto mi affaccio sul sito, per vedere se c'è qualcosa di nuovo (dopo la "criptazione", è stata introdotta una sezione "free", dove vengono pubblicati alcuni articoli più significativi).

È così che durante lo scorso fine-settimana ho potuto leggere un articolo dal titolo Un terribile abbaglio, nel quale Blondet riferisce innanzi tutto della scelta de L'Osservatore Romano di pubblicare in prima pagina un commento contro la legge sciita di subordinazione della moglie al marito (legge che autorizzerebbe lo "stupro domestico") e poi riporta la notizia che il Papa, nel prossimo viaggio in Terra Santa, non visiterà Gaza. Entrambe le cose, secondo Blondet, andrebbero ricondotte a precise scelte di Benedetto XVI, che pertanto viene duramente criticato. Basti qui riportare una frase: "Quello del Papa è uno spaventoso abbaglio morale e intellettuale, purtroppo, si vede, ricorrente nei tedeschi. Ahimè, io temo che questa non-visita a Gaza, questa insensibilità, sia la pietra tombale sulla Chiesa cattolica". Si possono immaginare le reazioni dei lettori, la maggioranza dei quali cattolici. Per tale motivo ieri ha dovuto dare Qualche risposta ai suoi lettori (non posso darvi il link, perché l'articolo è per i soli abbonati; io ho potuto leggerlo solo grazie a un amico).

Che dire? Primo: che la nuova linea editoriale de L'Osservatore Romano sia quanto mai politicamente corretta, penso che sia sotto gli occhi di tutti. Che sia stato lo stesso Benedetto XVI a scegliere la nuova direzione, non lo si può in alcun modo contestare; ma che sia il Papa in persona a dare il benestare per le notizie e i commenti che vengono pubblicati, ho qualche dubbio.

Secondo. Che Papa Ratzinger abbia le sue personali propensioni politiche, non credo che sia uno scandalo (chi non ne ha?). Ovviamente non dobbiamo sentirci condizionati nelle nostre scelte politiche, semplicemente perché il Papa la pensa in un certo modo. È più che evidente in Benedetto XVI una simpatia per il sistema americano. Lo disse espressamente nel famoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: "... la rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno diverso da quello teorizzato dalle tendenze radicali emerse nella seconda fase della rivoluzione francese" (una tesi molto comune negli ambienti accademici, ma non per questo indiscutibile). Dal Papa non dobbiamo attenderci orientamenti di ordine politico, ma indicazioni in materia di fede e di morale.

Terzo. Prima di criticare il Papa anche in questioni opinabili, dovremmo concedergli un certo credito. Faccio un esempio: quando, poco dopo la sua elezione al pontificato, condannò senza processo Padre Maciel, ebbi da ridire, perché mi sembrava ingiusto condannare una persona senza riconoscergli neppure il diritto alla difesa. Ora capisco il perché di quel comportamento: Papa Ratzinger sapeva tante cose che noi non sapevamo; le prove degli addebiti (conosciuti e non ancora noti) erano così schiaccianti che era meglio concludere così la vicenda, senza creare ulteriori scandali. Voglio dire: non sempre sappiamo (e non siamo tenuti a sapere) tutti i motivi che determinano il comportamento di una persona, tanto più quando questa persona è il Papa. Perché il Papa non va a Gaza? Perché non vuole andare? Ma è così evidente che non glielo permettono. Se ricordate, lo avevo scritto subito dopo l'annuncio della visita. Si dirà: allora, meglio non andare in Terra Santa! Che cosa avevo detto io fin dall'inizio? Che cosa hanno sempre detto i cristiani palestinesi (leggetevi, a questo proposito, l'interessante intervista del Patriarca Twal pubblicata ieri da ZENIT)? Ieri anche Raffaella ha dovuto confessare di non essere proprio entusiasta del viaggio in Israele (vedi qui); ma poi ha aggiunto: "So che è desiderio del Santo Padre e lo rispetto". Io non sarei così sicuro che sia "desiderio del Santo Padre"; ho già scritto più volte che questo viaggio "s'ha da fare". Il Papa non è così libero come noi crediamo: in certi casi è costretto ad agire in un certo modo per "ragion di Stato".

Quarto. A parte tutte le precedenti considerazioni, rimane la possibilità che il Papa, in tutti i settori che non sono di sua stretta competenza (fede e morale), possa sbagliare. Dobbiamo accettarlo; la cosa non deve scandalizzarci più di tanto. Se ora ammettiamo che i Papi del passato hanno commesso errori (e chiediamo scusa anche quando non ci viene richiesto), perché non dovrebbero sbagliare i Papi di oggi? E se sbagliano, è legittimo criticarli (in maniera civile, ovviamente). Io stesso, come ho già detto, temo che un'eccessiva accondiscendenza alle pretese di Israele e del sionismo possa nuocere gravemente alla Chiesa (verrà il giorno in cui le sarà rinfacciata tale debolezza, così come oggi le vengono rinfacciati i silenzi durante il nazismo); ma da qui ad arrivare al catastrofismo blondettiano ("Ahimè, io temo che questa non-visita a Gaza, questa insensibilità, sia la pietra tombale sulla Chiesa cattolica"), credo che ne passi.

In ogni caso, per terminare, dirò che a prescindere dalle debolezze, dagli errori o dalle colpe dei singoli Pontefici, il Papa rimmarrà sempre per noi il "dolce Cristo in terra". Volete che i Papi ai tempi di santa Caterina fossero migliori di quelli attuali? Eppure ciò non impedì alla nostra Santa Patrona di vedere in loro il vicario di Cristo; non solo, ma il "dolce Cristo in terra". E l'allontanamento dal Papa inevitabilmente comporta, anche per chi è animato dalle migliori intenzioni, l'allontanamento da Cristo e dalla sua Chiesa.
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Vademecum del viaggio del papa in Terra Santa. Ma c’è chi non lo vuole

Il programma del viaggio che Benedetto XVI farà in Terra Santa dall’8 al 15 maggio è noto. È indicato minuto per minuto nel sito ufficiale del Vaticano.

L’incognita è su come l’annunciata agenda prenderà corpo. Le premesse non sono tutte pacifiche.

L’annuncio del viaggio ha sollevato fin dall’inizio delle opposizioni molto aspre proprio da parte di coloro che il papa andrà a visitare: i vescovi, il clero e i cattolici arabi. L’ha confermato e spiegato senza mezzi termini il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, in un’
intervista al sito ufficiale della Custodia Francescana della Terra Santa.


“È vero che la comunità cristiana locale, palestinese, ha espresso e ci ha manifestato il suo disappunto, i suoi interrogativi e i suoi timori. Ed essendo venuti a conoscenza, prima di loro, del progetto di Sua Santità, ci siamo anche noi interrogati sull’opportunità di questo viaggio. Il fatto che il Santo Padre venga in un momento difficile, in una regione difficile, a incontrare un popolo estremamente sensibile, ci ha fatto riflettere. Ci siamo consultati con gli organizzatori, con lo stesso Santo Padre, e, qui a Gerusalemme, con i nostri fratelli vescovi dell’assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa, i quali presentavano le stesse inquietudini della comunità cristiana locale. In seguito al nostro scambio, avendo constatato che il programma del pellegrinaggio era ben bilanciato, nei suoi momenti dedicati alla Giordania, alla Palestina e a Israele, abbiamo finito per riconoscere che questo viaggio non poteva che essere un bene, una benedizione per tutti. […] Ma è innegabile che questi tre punti critici permangano: il Santo Padre verrà in un momento difficile – soprattutto dopo la guerra di Gaza –, in una regione difficile, per render visita a una popolazione molto sensibile”.


Per seguire il viaggio del papa il sito della Custodia ha predisposto una sezione on line ad esso dedicata:
Benedetto XVI pellegrino in Terra Santa. In essa si troveranno schede storiche e foto dei luoghi santi visitati dal papa, interviste e commenti di esponenti della Chiesa locale e di personalità arabocristiane, la cronaca quotidiana del viaggio.


Sui rapporti politici tra il Vaticano e Israele, vedi in www.chiesa:
A Gaza il Vaticano alza bandiera bianca“.

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03/05/2009 08:25

Il Papa in Terra Santa: editoriale di padre Lombardi

Fervono gli ultimi preparativi per l’ormai prossimo
pellegrinaggio del Papa in Terra Santa che si svolgerà dall’8 al 15 maggio. Benedetto XVI inizierà il viaggio dalla Giordania, visiterà l’antica Basilica del Memoriale di Mosè sul Monte Nebo, poi sarà a Gerusalemme, Betlemme e Nazaret. Tra le tappe principali della visita, oltre ai luoghi santi cristiani, lo Yad Vashem, la Cupola della Roccia sulla Spianata delle Moschee, il Muro Occidentale e un campo di rifugiati palestinesi. 

                         

Ma ascoltiamo l’editoriale di padre Federico Lombardi per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:


Il giorno della partenza di Benedetto XVI per la Terra Santa è ormai imminente. Il viaggio più atteso e forse più impegnativo finora del suo pontificato. Viaggio di fede anzitutto, viaggio che più di ogni altro è veramente pellegrinaggio: ai luoghi più santi della storia della salvezza e soprattutto della incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.

Desiderio spirituale di ogni cristiano, è diventato spontanea priorità per i pontefici da quando i loro viaggi internazionali sono diventati una possibilità concreta. Non per nulla proprio il pellegrinaggio in Terra Santa di Paolo VI è stato il primo in assoluto di tali viaggi. Momento veramente storico e di grazia per la Chiesa cattolica che celebrava il Concilio, per il cammino ecumenico con l’incontro con il Patriarca Atenagora, per l’invocazione della pace fra i popoli della regione e del mondo. Giovanni Paolo II dovette attendere a lungo prima di poter compiere il desiderio di questo pellegrinaggio, ma poi ebbe la gioia di compierlo serenamente, nel cuore del grande Giubileo, vero culmine del suo grande pontificato, con momenti di preghiera di intensità sublime e con gesti memorabili di amicizia e vicinanza ai popoli ebreo e palestinese e alle loro sofferenze passate e contemporanee.

Ora è la volta di Papa Benedetto. Sappiamo quanto la situazione politica nell’area sia incerta, quanto le prospettive di pacificazione siano fragili. Ma il Papa si mette in cammino ugualmente, con un coraggio ammirabile che si fonda nella fede, per parlare di riconciliazione e di pace. Tutti lo dobbiamo accompagnare non solo con una preghiera ordinaria, ma con quella mobilitazione spirituale che Giovanni Paolo II chiamava la “grande preghiera”. Perche la Chiesa si rinnovi alle sue sorgenti, l’unione fra i cristiani si avvicini, l’odio lasci finalmente il passo alla riconciliazione.
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05/05/2009 06:04

Il cardinale Sandri parla della prossima visita del Papa

Una missione di speranza


"Il pellegrino di Cristo, suo vicario in terra come successore dell'apostolo Pietro, si farà pellegrino della pace che solo Dio può dare ai figli sempre e comunque amati. La visita papale sia un monito a tutti i responsabili ad ogni livello perché non si attardino a liberare definitivamente la pace, come la colomba di Noè". Sono le parole del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in occasione della presentazione del volume di Giorgio Bernardelli Terra Santa. Viaggio dove la fede è giovane (Roma, Editrice Ave, 2009, pagine 160, euro 11,00) con prefazione di padre Pierbattista Pizzaballa.

Il libro propone un itinerario di visita diviso in otto giorni, attraverso i quali il pellegrino è invitato a scoprire la Terra Santa e l'importanza della sua missione, come ha sottolineato il cardinale Sandri durante l'incontro - svoltosi nella sala Marconi della Radio Vaticana - al quale è intervenuta anche Chiara Finocchietti, vicepresidente nazionale dell'Azione cattolica italiana per il settore giovani. "Alla Terra Santa - ha detto il prefetto - è affidata una missione di speranza. È la speranza di una celeste Gerusalemme; di una definitiva convocazione dall'Oriente e dall'Occidente di tutti i popoli nella lode del Signore; di una comunione piena con Dio nella città della pace illuminata dall'Agnello glorioso. Per questo la Gerusalemme storica e i cristiani che la abitano fisicamente o col cuore, e soprattutto con la fede - il salmo recita:  "tutti là siamo nati"! - devono condividere la missione di unità e di pace, propria della Chiesa, e che trova in questa città una insuperabile icona. E forse per questo la nostra pubblicazione, nell'ottavo giorno, quello del Risorto, conclude l'itinerario, che passa da Nazaret al Tabor, dal lago di Tiberiade alla valle del Giordano, da Gerusalemme a Betlemme, con la tappa a Nevé Shalom, all'oasi della pace".

La missione della Terra Santa, secondo il porporato, non è solo quella di incarnare la speranza, ma anche di testimoniare "una giovinezza perenne offerta alla Chiesa e tramite la Chiesa all'umanità. Le memorie storiche degli inizi del cristianesimo, di cui la Terra Santa è disseminata, rendono più attenta la comunità ecclesiale locale e quanti ad essa si uniscono come pellegrini, alla grazia delle origini cristiane, e alla perenne possibilità di attingere la vita divina contenuta nei misteri di Cristo. Il legame con quelle origini assicura il futuro ecclesiale".

"La Terra Santa - ha proseguito il cardinale prefetto - è testimone di un silenzio, che conosce due apici:  l'incarnazione e la croce, ed è come avvolto dal silenzio del sepolcro vuoto, che si fa certezza in colui che come risorto rende "inarrestabili" i testimoni, i quali anche oggi confermano la realtà costante, anch'essa bimillenaria, del martirio cristiano. Anche ai nostri giorni il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. Il silenzio di Dio si è fatto Parola, insuperabile nell'eloquenza dell'amore misericordioso, e si è compiuta nella Pasqua del Signore. È un silenzio quello di Dio che non può essere eluso. Interpella ogni uomo e ogni donna. Diremmo che è assordante nella sua verità di amore. Forse per questo la violenza e l'odio, la guerra e la morte hanno sempre tentato di soffocarlo".

Il porporato ha poi ricordato che l'inizio del suo servizio alle Chiese orientali cattoliche è stato segnato dal pellegrinaggio compiuto in Israele, Palestina e Giordania. In quel viaggio ha potuto incontrare le varie realtà ecclesiali e religiose della Terra Santa, coloro che sono le "pietre vive":  i cattolici latini, il Patriarca di Gerusalemme, i vescovi, i sacerdoti, i francescani della custodia, i fedeli delle altre Chiese cattoliche dei diversi riti orientali e quelli che non sono in piena comunione, oltre ai rappresentanti dell'ebraismo e dell'islam. "Non c'è luogo al mondo - ha affermato il prefetto - nel quale i cristiani di ogni confessione e i credenti nel vero Dio, come tanti altri cercatori di Dio provenienti dal mondo intero, possano vantare il privilegio e la fatica di una quotidiana frequentazione".

L'intervento del cardinale Sandri si è concluso con l'assicurazione della preghiera di tutto il popolo di Dio per la buona riuscita della visita di Benedetto XVI in Terra Santa.



(©L'Osservatore Romano - 4-5 maggio 2009)
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05/05/2009 06:05

L'invito del Papa all'Angelus 

    

C’è un’altra intenzione per la quale oggi vi invito a pregare: il viaggio in Terra Santa che compirò, a Dio piacendo, dal prossimo venerdì 8 maggio al venerdì 15. Sulle orme dei miei venerati predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, mi farò pellegrino ai principali luoghi santi della nostra fede. Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà.
Quale Successore dell’apostolo Pietro, farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa. Inoltre, mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa. Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi (cfr Gv 11,52).

Rivolgendoci ora alla Vergine Maria, la invochiamo quale Madre del Buon Pastore, affinché vegli sui nuovi Presbiteri della Diocesi di Roma, e perché in tutto il mondo fioriscano numerose e sante vocazioni di speciale consacrazione al Regno di Dio.

www.vatican.va

Prendiamo il Rosario e con quest'Arma potente affidiamo a Maria Ausiliatrice e Madre dei Cristiani il viaggio e la Missione del Sommo Pontefice...

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06/05/2009 07:04

Alla vigilia del viaggio in Terra Santa

Un sogno di Papa Benedetto


Pubblichiamo un articolo uscito su "La Croix" del 2-3 maggio. L'autore, religioso dei frati minori, insegna allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.

di Frédéric Manns



L'orologio di piazza San Pietro aveva battuto le undici. La luce soffusa dalla finestra del Palazzo apostolico si era appena spenta. Papa Benedetto andava finalmente a riposarsi un po', dopo una giornata trascorsa a preparare il suo viaggio in Terra Santa. Un cielo stellato scintillava sulla Città eterna. Sul colonnato del Bernini le statue dei santi continuavano a vegliare sulla città. La vastità della piazza che si disegnava con le sue ombre dava l'impressione di condurre a ben altro che al più piccolo Stato del mondo:  là batteva il cuore della cristianità.

All'improvviso una stella più brillante delle altre s'illuminò. Guardai quell'apparizione con occhi spalancati dalla meraviglia. Era una stella cadente? No, perché illuminava una per una le statue del colonnato. Probabilmente un nuovo asteroide, che era appena apparso nel cielo di Roma. Curiosamente le statue si animavano e cominciavano a parlarsi (gli adulti non mi crederanno:  si credono più importanti dei cedri del Libano; quindi consiglio loro di non leggere il seguito, poiché potrebbero sentirsi a disagio).

Francesco d'Assisi prese la parola. Le altre statue si voltarono verso di lui per ascoltarlo. Un mormorio, come un cinguettio di uccelli, percorse la piazza in ogni senso:  "Il Santo Padre ha deciso di visitare la Terra Santa dove i miei figli operano in mezzo a tante difficoltà da otto secoli. Oggi ha preparato questo viaggio nei minimi dettagli. Ho cercato di sussurrare al suo orecchio ciò che doveva dire e ciò che doveva tacere. L'Oriente è un vulcano in piena attività. "Gli uomini dimenticano di spazzare il camino dei vulcani" diceva il Piccolo Principe".

Santa Chiara l'interpellò:  "Anche le mie figlie sono presenti in Terra Santa, Francesco. Tu sai che fu privilegio di una donna essere la prima testimone della resurrezione di Cristo. La preghiera delle mie figlie l'illuminerà più dei consigli dei tuoi figli. - Hai ragione, Chiara. Esse dovranno pregare molto perché la visita di Papa Benedetto si svolga bene e rechi frutto. La loro presenza silenziosa, e quella delle altre contemplative, è più preziosa dei tanti lavori dei miei figli. Sì, Papa Benedetto ha deciso di visitare i Luoghi santi e i cristiani coraggiosi che con il loro Patriarca si sacrificano e vivono in mezzo ai musulmani e agli ebrei. È questo il vero dialogo tra le religioni di ogni giorno di cui la Chiesa ha tanto bisogno".

Antonio, il santo di Padova, si voltò verso Francesco. "Padre Francesco, tu che hai avuto il merito di vivere la Passione di Cristo portando le sue stimmate, sai quanto il Santo Padre soffre in questo momento. La stampa si è scatenata contro di lui come mai prima d'ora. Il nuovo sport degli uomini politici in Europa consiste nello sparare sul Papa. - Sì, frate Antonio, riprese san Francesco, tutto deve essere subordinato allo spirito della santa preghiera, che manca tanto in questa Europa, scossa dalla crisi economica e che trova nel Papa un capro espiatorio".

San Domenico intervenne:  "I miei figli sono anch'essi presenti nel paese di Gesù. Ma dove va la Chiesa? Essa deve parlare di eternità mentre si vorrebbe che sposasse le cause del nostro tempo. Oggi è al centro, persino tra i suoi fedeli, di un dibattito tanto importante quanto appassionato. I miei figli a Gerusalemme, grazie al lavoro meraviglioso realizzato a prezzo dell'obbedienza da fratel Joseph-Marie Lagrange, continuano a ricordare al mondo l'importanza della Parola di Dio. Il Sinodo, lo scorso anno, ha d'altronde voluto rimettere nuovamente la parola di Gesù al centro della vita cristiana".

San Benedetto si girò verso san Francesco:  "Il Santo Padre, prendendo il mio nome, ha voluto mettersi sotto la mia protezione. I miei figli e le mie figlie danno una testimonianza meravigliosa in Terra Santa. Insegnano ai cristiani a pregare e a lavorare. Ricordano l'urgenza di celebrare la nuova liturgia nei Luoghi santi".

Prima che Francesco avesse il tempo di rispondere, sant'Ignazio di Loyola intervenne:  "Anche i miei figli insegnano le Sacre Scritture. Hanno avuto per lungo tempo il privilegio di essere i soli a farlo, prima che i tuoi reclamassero tale diritto. Sosteniamo questo Papa della tolleranza, paladino del dialogo fra le religioni:  egli è andato  in  Turchia,  deve  fare  il  viaggio a Gerusalemme. Non è Giovanni Paolo II, protagonista dell'attualità, ma non è nemmeno l'oscurantista che si vorrebbe denigrare. Alcuni anticlericali non accettano più che l'autorità morale del Papa sussista mentre quella dei capi di Stato non esiste più. È l'ultimo bastione dell'autorità che la stampa intende combattere e distruggere. Ma la Chiesa è costruita sulla roccia. Non abbiamo nulla da temere. I miei figli hanno sempre difeso il Santo Padre...".

Francesco intervenne:  "Fratelli miei, se continuiamo a conversare tutta la notte, sveglieremo il Santo Padre che fatica a prendere sonno! La nostra preghiera silenziosa l'accompagnerà e farà tacere le critiche infondate dei giornalisti. Don Bosco mi ricorderà che anche i suoi figli sono attivi in Terra Santa e hanno difeso Pio xii che ha salvato tanti ebrei... Paolo vi e Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di visitare i Luoghi santi e di portare parole di speranza al piccolo gregge di cristiani che è lì testimone vivente della morte e della resurrezione di Cristo. Benedetto XVI seguirà i loro passi e porterà anche lui un messaggio di pace a questo Oriente lacerato dall'odio e dalla guerra. Ricorderà che non vi sarà pace senza riconciliazione né riconciliazione senza perdono. Isacco e Ismaele si rallegreranno nel vedere il Papa invitare i loro figli al dialogo, affinché il padre Abramo possa gioire nel vedere il giorno del Signore.

Ricordo l'11 ottobre 1962 e la solenne processione di apertura del concilio Vaticano ii, con duemila vescovi in piviale e mitra bianca che precedevano il vecchio Papa Giovanni sulla sedia gestatoria. Ricordo l'8 dicembre 1965 e Paolo vi che chiudeva il concilio rivolgendo i suoi messaggi al mondo. È qui che si sono svolte le principali celebrazioni del Grande giubileo del 2000. Bisogna assolutamente che il Vaticano ii ispirato dallo Spirito Santo divenga realtà nella Chiesa".
La notte scura ripiombò sulla città. Le statue del colonnato del Bernini tornarono di pietra e il Papa vide san Francesco in sogno.



(©L'Osservatore Romano - 6 maggio 2009)
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07/05/2009 09:25

MESSAGGIO IN OCCASIONE DEL PELLEGRINAGGIO IN TERRA SANTA

Come sapete, dopodomani partirò per la Terra Santa. Perciò rivolgo ora uno speciale messaggio alle popolazioni Giordane, Israeliane e Palestinesi.

My dear friends, this Friday I leave Rome for my Apostolic Visit to Jordan, Israel and the Palestinian Territories. I wish this morning to take the opportunity through this radio and television broadcast to greet all the peoples of those lands. I am eagerly looking forward to being with you and to sharing with you your aspirations and hopes as well as your pains and struggles. I will be coming among you as a pilgrim of peace.My primary intention is to visit the places made holy by the life of Jesus, and, to pray at them for the gift of peace and unity for your families, and all those for whom the Holy Land and the Middle East is home. Among the many religious and civic gatherings which will take place over the course of the week, will be meetings with representatives from the Muslim and Jewish communities with whom great strides have been made in dialogue and cultural exchange. In a special way I warmly greet the Catholics of the region and ask you to join me in praying that the visit will bear much fruit for the spiritual and civic life of all who dwell in the Holy Land. May we all praise God for his goodness. May we all be people of hope. May we all be steadfast in our desire and efforts for peace.

Miei cari amici, questo venerdì lascerò Roma per la mia Visita Apostolica in Giordania, Israele e Territori Palestinesi. Stamane, attraverso questa trasmissione radiofonica e televisiva, desidero cogliere l'opportunità di salutare tutte le popolazioni di quei Paesi. Attendo con ansia di poter essere con voi e di condividere le vostre aspirazioni e speranze, sofferenze e lotte. Verrò fra voi come pellegrino di pace. La mia intenzione principale è di visitare i luoghi resi santi dalla vita di Gesù e lì di pregare per il dono della pace e dell'unità per le vostre famiglie e per tutti coloro per i quali la Terra Santa e il Medio Oriente sono la casa. Fra i numerosi incontri religiosi e civili che si svolgeranno nel corso della settimana, vi saranno quelli con rappresentanti delle comunità musulmane ed ebraiche, con le quali si sono compiuti grandi progressi nel dialogo e nello scambio culturale. Saluto con affetto particolare i cattolici della regione e chiedo loro di unirsi a me nella preghiera affinché la visita rechi molti frutti per la vita spirituale e civile di quanti vivono in Terra Santa. Lodiamo tutti Dio per la sua bontà! Che possiamo essere tutti persone di speranza! Che possiamo essere tutti determinati nel nostro desiderio e nei nostri sforzi di pace!




 

 

 

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

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08/05/2009 10:51

Benedetto XVI in Terra Santa

Un pellegrinaggio

nel rispetto dei diritti di ogni popolo




Portare speranza e pace nella regione, nel rispetto dei diritti di tutti i popoli di Terra Santa. È questo il significato centrale del viaggio che Benedetto XVI si appresta a compiere dall'8 al 15 maggio. Ne è convinto l'arcivescovo Antonio Franco, da tre anni nunzio apostolico in Israele e in Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina. Nell'intervista rilasciataci alla vigilia della partenza del Papa, il nunzio assicura che c'è molta attesa tra le popolazioni locali, nonostante sin dal primo annuncio i media abbiano dato all'opinione pubblica chiavi di lettura diverse. "Se c'è stata qualche voce contraria al viaggio tra i cristiani - afferma il rappresentante pontificio - è stato solo per la difficoltà della situazione politica e sociale".

Del resto "la Chiesa locale è felice di accogliere il Papa come Padre e pastore. Sono anche sicuro - ha aggiunto - che la volontà dei presidenti dello Stato di Israele e dell'Autorità palestinese è retta". E proprio in merito a quest'ultimo aspetto il presule ha sottolineato come vi sia "certamente un interesse vivo alla visita del Papa da parte dell'Autorità palestinese e del popolo che lotta per vedere riconosciuti i propri diritti. La posizione della Santa Sede, del resto, è sempre stata di sostegno a questi diritti, così come a quelli del popolo israeliano. Una posizione un po' scomoda, a ben vedere, perché ci sono diritti per entrambe le parti, per tutti e due i popoli". Ma - puntualizza - "non ci sono più diritti per una parte e meno per l'altra. I diritti hanno valore universale".
Monsignor Franco si augura inoltre che la presenza del Papa accenda qualche scintilla di speranza. "Bisogna, prima di tutto, volere davvero la pace e impegnarsi attivamente per creare le condizioni che la favoriscano", conclude auspicando "che la visita di Benedetto XVI possa dare in qualche modo una spinta decisiva verso una convivenza pacifica nella giustizia".




(©L'Osservatore Romano - 8 maggio 2009)
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08/05/2009 10:52

Alle radici della fede


Il percorso in Terra Santa di Benedetto XVI è un viaggio alle radici della fede per tornare sui cammini di Dio. E non di un dio qualunque, ma di Colui che, manifestatosi in molti modi ad Abramo, ai patriarchi, a Mosè e ai profeti, si è fatto uomo in Gesù di Nazaret, il Messia morto e risorto. Il viaggio è dunque, innanzi tutto, un pellegrinaggio.
Simile a quello di milioni di persone che, spesso affrontando fatiche e difficoltà, lo hanno intrapreso nel corso dei millenni. Per salire a Gerusalemme, la città santa, recitando i salmi detti delle ascensioni, secondo l'uso - che rimonta ad almeno venticinque secoli fa - del popolo dell'alleanza, rimasto fedele nonostante dispersioni e persecuzioni.
Un itinerario ripetuto da Giuseppe, da Maria e da Gesù. Poi dagli apostoli e dai seguaci del rabbi crocifisso. Da donne appassionate - come Elena, madre dell'imperatore Costantino, e sessant'anni dopo, intorno all'anno 385, la pellegrina spagnola Egeria - e da uomini di ogni tempo. Dal vescovo Melitone di Sardi, che vi si recò verso il 170 per vedere i luoghi delle Scritture, a Girolamo, che vi ricercò la "verità ebraica" della Bibbia, fino al ritorno dei successori di Pietro.
E se Pio X nel 1904 salutava tra le lacrime i pellegrini italiani in partenza per la Terra Santa, che sapeva di non potere visitare, fu Paolo VI nel 1964, con un sorprendente ed essenziale itinerario, a iniziare i suoi viaggi sui passi di Cristo, mentre Giovanni Paolo II segnò lo straordinario giubileo bimillenario con un pellegrinaggio che è vivo nella memoria del mondo.
Ora, Benedetto XVI torna in Giordania, Israele e Territori palestinesi per celebrare la fede e per confermare l'amicizia della Chiesa di Roma nei confronti di tutti:  dai credenti musulmani - con i quali è possibile un cammino comune - al popolo ebraico, fino ai cristiani di ogni confessione. In un viaggio il cui intento politico è soltanto quello di contribuire a una pace che deve tradursi in giustizia e sicurezza per tutti i popoli di una terra davvero santa.

g. m. v.

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08/05/2009 11:27

Tra confronto autentico e rafforzamento di legami profondissimi

Ratzinger e l'ebraismo


In occasione dell'inizio del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa pubblichiamo il testo dell'articolo scritto dal nostro direttore per il numero in uscita della rivista "Vita e Pensiero".



Nell'imminenza del viaggio in Terra Santa di Benedetto XVI bisogna riconoscere che la vicenda della revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani ha avuto effetti anche positivi. Al di là di ogni altra possibile considerazione, infatti, la bufera mediatica che si è scatenata è stata occasione per un ulteriore chiarimento del nodo storico costituito dal rapporto con l'ebraismo. In generale da parte del cristianesimo, ma più in particolare della Chiesa cattolica e, specificamente, di Benedetto XVI, anche sul piano personale. Proprio su questo punto il Papa ha reagito, con accenti di stupore quasi incredulo, nella lettera ai vescovi cattolici del 10 marzo 2009, che resterà tra i documenti più alti del suo pontificato.

Da sempre abituato alle discussioni anche difficili, e tuttavia sorpreso dal crescendo delle reazioni e dalla loro piega, tanto inaspettata quanto incredibile, Ratzinger non si è tirato indietro da un giudizio molto severo sul rovesciamento a cui è stata sottoposta la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani, uno dei quali è divenuto mondialmente noto per le sue dichiarazioni negazioniste della Shoah. Queste non erano per la verità ignote, come altre convinzioni, questa volta antiamericane, dello stesso personaggio sulle responsabilità dell'attacco dell'11 settembre 2001, condivise da estremisti di segno tra loro opposto e forse per questo ritenute meno scandalose. Diffuse con un tempismo alquanto sospetto, le dichiarazioni negazioniste non sono state tuttavia segnalate al Papa. Il giorno stesso della pubblicazione del provvedimento - un gesto, a ben vedere, coerente con il Vaticano ii e infatti reso pubblico proprio in coincidenza con il cinquantesimo del suo annuncio per tentare ancora una volta di sanare lo scisma anticonciliare - con una reazione immediata e inequivocabile "L'Osservatore Romano" ha definito inaccettabili tanto le affermazioni negazioniste quanto gli atteggiamenti ostili all'ebraismo di diversi esponenti tradizionalisti. In questo stesso senso, inequivoci e netti sono stati i successivi importanti interventi dello stesso Benedetto XVI, anche attraverso la sua Segreteria di Stato. Fino appunto alla lettera ai vescovi cattolici, un testo scritto per contribuire alla pace nella Chiesa e davvero senza precedenti, che per la franchezza e i toni ha richiamato la lettera di san Paolo ai Galati, non a caso citata dal Papa.

Il gesto di misericordia verso i lefebvriani si è così trasformato - ha dunque sottolineato il vescovo di Roma - "nel suo contrario:  un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio - passi la cui condivisione e promozione fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico". L'affermazione di Ratzinger è insomma una vera e propria rivendicazione, dai toni pacati ma fermi, del suo intero itinerario spirituale, intellettuale e teologico, tanto limpido quanto coerente. Che sin dai suoi primi passi è radicato nella tradizione cristiana e cattolica, e proprio per questo non può prescindere dalle radici ebraiche.

Non è certo possibile ricostruire qui la visione del teologo Ratzinger - disseminata nei numerosissimi scritti - sul rapporto della Chiesa con l'ebraismo, e converrà dunque riprenderne solo i punti principali sintetizzati dall'allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede alcuni anni prima della sua elezione al pontificato. Molto chiare sono soprattutto le affermazioni del futuro Papa nei colloqui con il giornalista tedesco Peter Seewald confluiti nei due libri Salz der Erde ("Sale della terra", 1996) e Gott und die Welt ("Dio e il mondo", 2000). Secondo Ratzinger bisogna senz'altro vivere e pensare in modo nuovo il rapporto con l'ebraismo, anche se questo porterà a una coscienza forse anche maggiore delle differenze; queste però devono essere assunte nel rispetto vicendevole e sempre guardando alle affinità interiori.
Le Scritture Sacre e la figura di Gesù sono naturalmente patrimonio comune, e per questo controverso, tra cristiani ed ebrei. Sfondo sempre presente nella storia (sia cristiana che ebraica), questi due temi di capitale importanza tra loro inestricabilmente connessi sono stati negli ultimi anni ripresi da Ratzinger:  nel 2001 nella breve introduzione al documento della Pontificia commissione biblica su Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana; quindi, a partire dal 2003, nel Gesù di Nazaret, la cui prima parte è stata ultimata e pubblicata dall'autore quando ormai da quasi due anni era divenuto Benedetto XVI, mentre alla seconda parte il Papa sta lavorando in "tutti i momenti liberi", come lui stesso ha confessato nella premessa.

Alla domanda ebraica ai cristiani su cosa abbia portato il loro messia nel mondo rimasto da quasi venti secoli senza pace, nel Gesù di Nazaret - dove rilevante è la valorizzazione della tradizione ebraica, dal giudaismo ellenistico ai testi di Qumran e fino a Martin Buber - è possibile leggere una risposta che anche dal punto di vista unicamente storico è innegabile:  "Egli ha portato il Dio di Israele ai popoli così che tutti i popoli ora lo pregano e nelle Scritture di Israele riconoscono la sua parola, la parola del Dio vivente. Ha donato l'universalità, che è la grande e qualificante promessa per Israele e per il mondo", dando in questo modo "alla promessa messianica una spiegazione, che ha il suo fondamento in Mosè e nei Profeti, ma che dona a essi anche un'apertura completamente nuova" (p. 144). Le divergenze non sono per questo superate, come lo stesso Benedetto XVI sottolinea in dialogo con il rabbino Jacob Neusner, ma certo il confronto può e deve proseguire. Affrontando nodi cruciali per il cristianesimo, ma forse importanti per lo stesso ebraismo, come la valutazione e l'interpretazione delle Scritture ebraiche. A partire dal giudaismo ellenistico e dal suo rapporto con la cultura greca - su questioni come la lettura allegorica, la critica filologica e la stabilizzazione del canone dei testi sacri - fino a giungere al problema costituito dall'eretico Marcione, che nella prima metà del ii secolo esprime il rifiuto più radicale del giudaismo e delle sue Scritture, e alla posizione di Adolf von Harnack, che non a caso lo studiò a fondo nella sua classica monografia, apparsa in prima edizione nel 1920, vero e proprio luogo obbligato per lo sviluppo della teologia non solo protestante. E non sono temi soltanto per eruditi o specialisti, perché si tratta dei fondamenti della lettura cristiana dell'Antico (o Primo) Testamento come si sviluppa già nei primissimi decenni cristiani e, ovviamente, delle ineliminabili radici ebraiche del Nuovo Testamento.

Sui rapporti tra cristiani ed ebrei - caratterizzati da una lunghissima storia di vicinanza, contiguità, contrasti, vessazioni - si è poi stesa l'ombra cupa e spaventosa della Shoah, originata dalla criminale ideologia, pagana e anzi esplicitamente anticristiana, del nazionalsocialismo e dei suoi sostenitori, che della persecuzione e dello sterminio degli ebrei europei furono gli unici responsabili, ma in Paesi di tradizione cristiana dove erano presenti alcuni motivi del secolare antigiudaismo religioso. E proprio la tragedia della Shoah impose un ripensamento radicale dei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo. Dapprima in ambito protestante tedesco, dove minori erano state le resistenze al totalitarismo hitleriano e dove dunque questo ripensamento era più urgente, e quindi da parte della Chiesa cattolica, che soprattutto dopo il Vaticano ii è la più impegnata nel confronto e nell'amicizia con il mondo ebraico.

La scelta di avviare nuovi rapporti con gli ebrei, maturata nella prima metà del Novecento, deve molto ai gesti del cuore di Giovanni XXIII, alle decisioni (in genere misconosciute) di Paolo VI e soprattutto al pontificato di Giovanni Paolo II, che in questo senso ha compiuto passi decisivi, dettati da una straordinaria passione. Questa linea è stata confermata da Benedetto XVI - che di Wojtyla è stato il consigliere più vicino - sin dall'inizio del pontificato, già quando durante l'omelia nella messa inaugurale salutò i "fratelli del popolo ebraico, cui siamo legati da un grande patrimonio spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di Dio". E nella lettera ai vescovi cattolici molto significativo in questo senso è il riferimento, tra le priorità del pontificato, all'esigenza di "rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr. Giovanni, 13, 1) - in Gesù Cristo crocifisso e risorto".

In questi primi quattro anni di pontificato il confronto autentico e il rafforzamento dei legami con gli ebrei sono stati continuamente e ripetutamente ribaditi e ricercati dal Papa, nei diversi incontri con personalità ed esponenti dell'ebraismo, e più ancora in numerosissimi interventi:  basti per esempio riandare al piccolo corpus dei discorsi durante il viaggio in Francia, dove proprio il rapporto con l'ebraismo costituisce uno dei fili conduttori, o alla novità costituita dal primo intervento di un ebreo durante l'assemblea sinodale sulla Parola di Dio. Vi sono certo difficoltà e ostacoli, non di rado frapposti da chi è ostile a questo avvicinamento. Come si è visto più volte a proposito di Pio XII, sul quale invece si sta stabilizzando un nuovo e più equanime consenso storiografico, che non solo ha demolito la "leggenda nera" ma sta correggendo anche la riduzione del pontificato agli anni tragici della guerra. E come è stato ora confermato dalla burrasca innescata dal negazionismo di uno dei quattro vescovi a cui si è tesa la mano. Ma Benedetto XVI, anche su questo, non indietreggia.



(©L'Osservatore Romano - 8 maggio 2009)
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  Verso la Terra Santa

Storie di un pellegrinaggio infinito


di Fabrizio Bisconti

Suggestivo, ricco di significati, emozionante, il viaggio ai "luoghi della memoria" viene da lontano quando individua come mete privilegiate le sedi ritenute sante per la presenza di una divinità e del santuario che segnala una sede terapeutica, dove si consumano guarigioni, dove si elargiscono protezione e immunità, dove si dona la fertilità, così come avveniva nell'antichità a Cuma, a Delfi a Epidauro e a Pergamo o, nella civiltà ebraica, a Hebron, al Monte Nebo, a Gerusalemme, al monte Sinai, per rivivere i grandi eventi della storia della Salvezza.

Il pellegrinaggio cristiano tarda a decollare e, nei primi tre secoli, il fenomeno appare sporadico, riservato specialmente a fedeli orientali, spinti da una "santa" curiosità, come dimostra lo spirito che animò il vescovo cappadoce Alessandro che - secondo Eusebio di Cesarea (Historia ecclesiastica, 6, 11, 2) - poco dopo il 200, si recò a Gerusalemme "per pregare e visitare i luoghi".



E, appena un secolo più tardi, secondo la stessa fonte (Eusebio, Demonstratio evangelica, 6, 18, 23) "tutti coloro che credono in Cristo convergono qui (a Gerusalemme) da ogni parte del mondo non, come per il passato, per ammirare lo splendore della città o per pregare nell'antico tempio... ma per pregare sul monte degli Ulivi". Questo faticoso avvio del fenomeno fu provocato dalle stesse vicende storiche che, in seguito alla distruzione di Gerusalemme, del Tempio, di tutte le testimonianze cristiane, condussero alla ricostruzione della nuova Aelia Capitolina voluta da Adriano (Girolamo, Epistulae, 58, 3) che obliterò i luoghi santi, talché se ne affievolì la memoria, come indicherebbero le vaghe indicazioni topografiche dei primi tre vangeli, senza contare che, in quei primi frangenti, non sembrava urgente riconoscere i luoghi della Gerusalemme storica, a favore di una meta verso cui ogni cristiano doveva tendere, ossia la Gerusalemme Celeste (Giovanni, 4, 23-24), mentre ogni gesto della devozione verso luoghi terreni appariva priva di significato (Luca, 24, 5; Giovanni, 2, 18-22).

Solo al tempo di Costantino, con lo spostamento dell'attenzione dei cristiani verso Oriente e verso Costantinopoli, ma soprattutto da quando l'imperatore aveva recuperato, attraverso una importante operazione archeologica, i luoghi obliterati da Adriano e innalzato su questi monumentali basiliche, il pellegrinaggio trovò nuove ragioni e incremento. All'intervento dell'imperatore, d'altra parte, si aggiunse quello della madre Elena e degli imperatori successivi, che contribuirono alla costruzione di nuovi santuari, ospizi e monasteri, non solo in quelle località rese famose dagli eventi evangelici, ma anche in quelle che conservavano la memoria degli apostoli e degli episodi veterotestamentari.

Se, dunque, le numerose costruzioni a opera di Costantino a Gerusalemme e nella Terra Santa testimoniano già il vivo interesse per i luoghi santi e conferiscono ai pellegrinaggi un nuovo impulso, la madre di Costantino - ancora secondo Eusebio (Vita Constantini, 3, 42) - percorse personalmente la Terra Santa ed Eutropia, la madre di Fausta, moglie dell'imperatore, forse mossa da un sentimento di espiazione per lo spargimento di sangue avvenuto nella famiglia imperiale, si recò presso i sacri luoghi per visitarli e per pregare (Sozomeno, Historia ecclesiastica, 2, 4).
Mentre il Cristianesimo, ai tempi di Teodosio (379-395), diverrà religione di Stato, il pellegrinaggio si allargherà ai livelli meno privilegiati, mentre le autorità ecclesiastiche tenteranno di regolamentare e disciplinare il flusso, anche nella gestione del culto delle reliquie, che scaturì naturalmente da quei viaggi della fede.

Venire in possesso di un ricordo tangibile della storia biblica divenne una delle più urgenti preoccupazioni dei primi pellegrini, che attribuirà a quei ricordi un carattere taumaturgico, talché si diffuse presto il fenomeno che allargava tale valenza all'intera comunità di provenienza dei singoli pellegrini, così che parve un privilegio eccezionale consacrare una chiesa con un frammento della croce, con le reliquie di un martire o con le reliquie ex contactu, ossia i brandea posati sulle tombe sante, l'olio delle lampade accese presso i luoghi venerati, la polvere posata su di essi. Le ampolle di Monza, di Bobbio e quelle provenienti dal santuario di san Mena sono testimonianze dell'usanza diffusa presso i pellegrini di riportare un ricordo tangibile del viaggio compiuto.

Talora il fenomeno delle reliquie raggiunse il livello della superstizione, tanto da essere biasimato dai Padri della Chiesa e specialmente da Agostino (Epistulae, 52, 2), che cercò di porre termine a un commercio stigmatizzato anche da Teodosio (Codex Theodosianum, 9, 17) e che pure non impedì a Macrina, sorella di Basilio e Gregorio di Nissa, di portare un reliquiario al collo che conteneva della terra santa che un tale Esperio teneva appeso nella sua stanza da letto (Agostino, De Civitate Dei, 22, 8).
Tra divieti e infrazioni, i santuari della Terra Santa divennero ricchi per il flusso dei pellegrini, tanto che questi luoghi santi cominciarono a pullulare di guardiani dei santuari, di venditori di reliquie, di mercanti, di artigiani che organizzavano vere e proprie fiere in occasione delle festività religiose. Non dobbiamo poi dimenticare che la munificenza imperiale provvedeva a creare ospizi e altre strutture per l'accoglienza, nonché a dotare i santuari di nuove rendite, alle quali si aggiungevano quelle dei pellegrini illustri e abbienti come san Girolamo, Paola, Melania Maggiore, Porfirio ed Egeria, che avevano abbracciato una vita di preghiera e povertà, lasciando i propri averi alla Chiesa di Gerusalemme.

La più antica descrizione di un pellegrinaggio che si sia conservata data al 333 e fu redatta da un Anonimo di Bordeaux che, muovendosi dalla sua città di origine, ricorda minuziosamente il suo lungo itinerario, che tocca la Gallia Narbonense, le Alpi, l'Italia, il Norico, la Pannonia, la Misia, la Dacia, la Tracia, la Bitinia, la Galazia, la Cappadocia, la Cilicia e la Siria, per giungere in Palestina. Qui, il pellegrino non si ferma a visitare soltanto i luoghi che ricordano la vita di Gesù, ma anche quelli dell'Antico Testamento, facendo riferimento anche al luogo della tomba dei patriarchi in Hebron. Una descrizione dettagliata viene riservata a Gerusalemme e dintorni, dove vengono descritti, in senso orario, i luoghi più idonei alla visita:  la piscina di Bethesda, il palazzo di Salomone, la collina di Sion e il Golgota, facendo riferimento alle recenti costruzioni costantiniane, la valle di Josaphat, il monte degli Ulivi, Betania, Gerico, il Giordano, Betlemme ed Hebron.

Tra il iv e il v secolo, il pellegrinaggio si associò al fenomeno che vide alcune donne romane trasferirsi in Palestina e segnatamente nel 372, Melania Senior (Palladio, Historia Lausica, 46); nel 385, Paola con sua figlia Eustochio (Girolamo, Epistulae, 108); nel 417, Melania junior con Paola, secondo quanto si apprende dalla vita di Geronzio. A queste pellegrine dobbiamo aggiungere la monaca spagnola Egeria, originaria della Galizia, che compì il suo lunghissimo viaggio tra il 381 e il 384. Il suo racconto, pervenutoci mutilo, vede la monaca spagnola al ritorno dalla Tebaide, alla volta del Sinai; da qui, la pellegrina costeggia il Mar Rosso, attraversa il deserto d'Arabia e giunge in Terra Santa, forse per la seconda volta rispetto a un primo sopralluogo narrato nella prima parte del diario. Durante il secondo soggiorno, la pellegrina descrive le celebrazioni liturgiche annuali. Egeria è interessata a tutti i luoghi della memoria:  dalle sedi della rievocazione evangelica e veterotestamentaria alle tombe dei martiri, dalle dimore degli asceti ancora viventi ai santuari degli stiliti. Dove sorgeva un santuario si pregava, veniva celebrata l'eucaristia, si elevavano canti (Peregrinatio, 3, 6; 4, 3; 14, 1), mentre a Gerusalemme le cerimonie divenivano sontuose e si cercava di portare con sé delle reliquie, come i frammenti della croce del Cristo. Purtroppo, Egeria non fornisce particolari descrizioni dei santuari sorti presso i luoghi santi, preferendo, di gran lunga, raccontare la dinamica delle celebrazioni liturgiche. Gli unici elementi topografici che è possibile ricavare dal suo diario riguardano il complesso costantiniano del Santo Sepolcro, desumibili dal dettagliatissimo resoconto delle celebrazioni liturgiche che si svolgevano, durante l'anno, nel santuario gerosolimitano.



Dal circolo dell'Aventino, ossia delle nobildonne raccolte intorno a san Girolamo, emerge - come si è anticipato - la figura di Paola che, nel 385, in seguito alla morte della figlia Blesilla, decide di seguire il grande Padre della Chiesa, affrontando il lungo viaggio verso la Palestina, per visitare i luoghi santi e stabilirsi a Betlemme, dove fonderà un monastero (Girolamo, Epistulae, 108, 6-7). Paola si imbarca a Ostia, con la figlia Eustochio, veleggia a largo dell'isola di Ponza, dove intravede le carceri che avevano visto l'esilio di Domitilla ai tempi di Domiziano, attraversa il Mediterraneo fino a Cipro, dove soggiorna alcuni giorni presso il vescovo Epifanio, per poi raggiungere Seleucia. Da qui, si mette in cammino per la Siria e la Fenicia ed entra nella terra dei filistei per giungere a Gerusalemme. Poi, si muove nelle località della Palestina:  da Betlemme a Hebron, dal monte degli Ulivi a Betania, da Gerico al Giordano e al lago di Tiberiade, dal monte Tabor al villaggio di Naim.

Altri pellegrini eccellenti raggiunsero la Terra Santa, a cominciare da Eucherio, vescovo di Lione, che si recò a Gerusalemme e in Giudea nel 440, visitando i santuari di Gerusalemme, di Betlemme, di Gerico, della valle del Giordano, di Hebron. Anche l'arcidiacono Teodosio visitò la Terra Santa intorno al 530, fermandosi nei principali luoghi della Palestina, ma anche del Libano, dell'Egitto, della Mesopotamia, dell'Armenia, della Persia e della Siria.

Nel 570, un anonimo pellegrino di Piacenza racconta un lungo viaggio che tocca Costantinopoli, Cipro, Sidone, Tiro, Cesarea, Cana, Nazaret, il monte Tabor, Tiberiade, Cafarnao, le sorgenti del Giordano, Gerico, Betania, il monte degli Ulivi. Nella città santa, il pellegrino si reca presso i principali santuari:  dal Santo Sepolcro alla piscina di Bethesda. Poi, il suo viaggio riprende per Betlemme e per Mambre, per giungere, attraverso l'Egitto, al monte Sinai e tornare, infine, a Gerusalemme, dove si trattiene a lungo.
Attraverso esperienze diverse e lungo i secoli il fenomeno del pellegrinaggio, che si puntualizzò e indirizzò verso altre città sante, prima fra tutte la Roma dei martiri e dei principi degli apostoli, assurse ad atteggiamento devozionale e penitenziale e preparò la scelta estrema del monachesimo nelle terre e nei luoghi della memoria segnati dai miracoli del Nuovo Testamento e dai prodigi del Vecchio Testamento. Tuttavia, i pellegrinaggi estremi vennero anche criticati dai Padri della Chiesa:  Gregorio di Nissa esorta a tralasciare i "pellegrinaggi del corpo" e a "pellegrinare" verso il Signore con la preghiera (Epistulae, 2, 18) e Girolamo, pur avendo incitato Paola al viaggio verso la Terra Santa, ricorda che "Antonio e tutte le schiere dei monaci...non hanno visitato Gerusalemme e, ciononostante, le porte del paradiso si sono aperte dinanzi a loro" (Epistulae, 58, 3). Ma qui ci inoltriamo verso un "pellegrinaggio definitivo", che si identifica con l'ascetico distacco dal mondo, in perfetta coerenza con l'atteggiamento di Abramo, che non esitò a uscire dalla sua terra. Il monaco non ha meta precisa, ma si distacca, senza alcuna sofferenza, dalla sua casa e dai suoi cari.

I viaggi faticosi intrapresi, nell'antichità, alla volta della Terra Santa, possono sembrare, ai nostri giorni, delle vere e proprie imprese eroiche, consumate all'insegna della devozione, della penitenza, del sacrificio e forse quegli itinerari, così complicati e resi difficoltosi dai viaggi interminabili per terra e per mare, durati anche degli anni, rivestono un ruolo terapeutico, che attribuisce al viaggio stesso un significato mistico, che rallenta il ritmo dei tragitti e allontana la meta ambita, per questo più preziosa ed emozionante. Ma forse, anche per chi oggi giunge più facilmente presso i luoghi santi, i santuari e le sedi della memoria, rimangono intatte quella emozione e quella commozione che dovettero provare i primi pellegrini cristiani, che piansero, pregarono e riposarono le loro membra provate da quei viaggi così scomodi, ma che ripagavano ogni fatica, ogni rinuncia, ogni prova, tanto da desiderare di rimanere in quelle terre lontane per sempre.



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In occasione del convegno delle presidenze diocesane

La preghiera di Azione cattolica
per il viaggio del Papa


Roma, 7. Accompagnare nella preghiera il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa. Con questa intenzione s'aprirà domani l'annuale convegno delle presidenze diocesane italiane dell'Azione Cattolica (Ac). Per tre giorni - dall'8 al 10 maggio - circa ottocento responsabili dell'associazione, provenienti da oltre 170 diocesi, saranno a Roma per riflettere, discutere e approfondire il tema dell'emergenza educativa, una delle principali sfide poste ai cristiani dalla società contemporanea. Sfida, più volte richiamata da Benedetto XVI, che da sempre vede impegnata l'Azione cattolica. Titolo dell'incontro sarà infatti:  "Chi ama educa. L'impegno dell'Ac per una rinnovata cura educativa". Il convegno costituirà anche l'occasione - spiega un comunicato della presidenza nazionale dell'Ac - "per condividere l'impegno ordinario e i progetti di tutta l'associazione in favore dei cristiani di Terra Santa, e per unirsi in particolare alla gioia della Chiesa che vive in Terra Santa e che accoglierà il successore di Pietro".
L'Azione cattolica italiana, infatti, ha subito raccolto l'invito lanciato domenica 3 da Benedetto XVI al Regina caeli, perché il suo viaggio apostolico in Terra Santa venga sostenuto e accompagnato dalla preghiera di tutti i fedeli. Lo fa proponendo ai propri associati - e in comunione con tute le Ac del mondo - l'esperienza della via lucis, un "itinerario della luce" che ripercorre gli incontri di Gesù risorto attraverso otto tappe, tante quanti saranno i giorni del viaggio del Papa. "La preghiera continuata durante i giorni del pellegrinaggio - si legge ancora nel comunicato - vuole essere il modo dell'associazione di farsi prossima ai fratelli di Terra Santa, e di pregare per i tre impegni che il Santo Padre ha desiderato assumere in questo viaggio:  confermare e incoraggiare i cristiani di Terra Santa; essere pellegrino di pace, testimoniando l'impegno della Chiesa cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione; dare un segnale per il cammino ecumenico e interreligioso".
All'itinerario di preghiera daranno simbolicamente inizio, nel pomeriggio di venerdì 8, gli ottocento delegati presenti al convegno. I lavori proseguiranno con l'introduzione di Alberto Monticone su "Azione cattolica ed educazione:  una storia di fedeltà". Sabato, la relazione del presidente nazionale di Ac, Franco Miano, incentrata sul tema del convegno.



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Il nunzio apostolico Antonio Franco parla del viaggio del Pontefice

Per la Terra Santa la speranza
di una convivenza pacifica nella giustizia


di Gianluca Biccini

Benedetto XVI ha spiegato che quello in Terra Santa sarà un pellegrinaggio di fede e di pace. Ma sin dall'annuncio i media hanno cominciato a offrire all'opinione pubblica chiavi di lettura diverse. Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo Antonio Franco, da tre anni nunzio apostolico in Israele e in Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina. Una vita nella diplomazia della Chiesa, questo presule settantaduenne originario della Campania non smentisce il proprio cognome che nella lingua italiana è un aggettivo per indicare schiettezza, sincerità. 

Quale risonanza ha avuto la notizia del viaggio del Papa? Ci sono stati in Terra Santa atteggiamenti poco favorevoli o segnali di strumentalizzazione?

Se ne iniziò a parlare nell'ottobre 2008 in ambienti ristretti della Chiesa. Poi pian piano, a motivo della necessità dei contatti con i Governi interessati per organizzare il viaggio, la notizia è cominciata a filtrare. Così a dicembre era già stata in qualche modo ufficializzata:  l'atteggiamento era di grande attesa e soddisfazione, anche se c'era qualche riserva. Le preoccupazioni sono aumentate dopo il 27 dicembre, quando è iniziato l'attacco a Gaza. Tanto che a fine gennaio, quando cessate le ostilità si è ricominciato a parlare del viaggio, sembrava aumentato il numero di quanti non lo ritenevano opportuno. Per altri invece, proprio perché c'erano delle situazioni difficili e di grande tensione tra le popolazioni della Terra Santa, il Papa doveva venire con il suo messaggio di pace e di speranza.
Quel che posso affermare con certezza è che se c'è stata qualche voce contraria al viaggio tra i cristiani è stato solo per la difficoltà della situazione politica e sociale e che la Chiesa locale è felice di accogliere il Papa come Padre e pastore. Sono anche sicuro che la volontà dei presidenti dello Stato di Israele  e dell'Autorità palestinese è retta.

Eppure c'è stato chi ha voluto vedere nella visita di Benedetto XVI soprattutto i possibili risvolti politici nel contesto del Vicino Oriente.

Il Papa ha parlato in modo chiaro durante il conflitto. Sin dall'Angelus del 28 dicembre, subito dopo i primi attacchi a Gaza, ha rivolto un inequivocabile appello al cessate il fuoco. Di fronte all'escalation delle operazioni militari, la Santa Sede ha chiesto a israeliani e palestinesi di uscire dal vicolo cieco dello scontro e di ricercare soluzioni negoziali. C'è stata la condanna della violenza da una parte e dall'altra, sebbene ai più la reazione militare israeliana sia apparsa fuori misura.

I media occidentali hanno dato ampio rilievo al clima positivo di attesa diffuso tra i musulmani. Come giudica questo atteggiamento?

Vi è certamente un interesse vivo alla visita del Papa da parte dell'Autorità Palestinese e del popolo che lotta per vedere riconosciuti i propri diritti. La posizione della Santa Sede, del resto, è sempre stata di sostegno a questi diritti, così come a quelli del popolo israeliano. Una posizione un po' scomoda, a ben vedere, perché ci sono diritti per entrambe le parti, per tutti e due i popoli. Non ci sono più diritti per una parte e meno per l'altra. I diritti hanno valore universale.
I palestinesi sanno che nel corso degli anni c'è stato un impegno crescente della Santa Sede:  per questo guardano al Papa come a una persona che conosce la loro realtà e ne difende i diritti. Del resto, lo stesso si potrebbe dire dal punto di vista ebraico, perché la Santa Sede proclama e sostiene chiaramente anche i diritti di Israele.
Ecco allora l'invito a conciliare e armonizzare i diritti nel rispetto reciproco degli uni e degli altri.

E le polemiche che hanno riguardato Benedetto XVI in questi ultimi tempi?

Ci sono state le prese di posizione relative al ruolo di Pio XII durante la seconda guerra mondiale e quelle legate alle dichiarazioni negazioniste del vescovo lefebvriano sulla Shoah. Ma bisogna dire che allo stato attuale tutto è stato ampiamente chiarito, soprattutto durante l'incontro del 12 marzo scorso tra Benedetto XVI e una delegazione del Gran Rabbinato d'Israele.
Per questo adesso sembra esserci un'attesa sincera e molti si rendono conto che Benedetto XVI si pone in continuità con Giovanni Paolo ii e non in contrasto, come purtroppo una certa stampa tende a descrivere sovvertendo la realtà.

È in atto una sorta di esodo dei cristiani dalla Terra Santa, e più in generale da tutto il Medio Oriente, tanto che alcuni esperti parlano di emorragia senza fine. C'è il rischio concreto che la presenza cristiana in questa parte del mondo possa essere ridotta ai minimi termini?

Purtroppo è una realtà che riguarda tutta la regione, non solo la Terra Santa. Posso fare l'esempio dell'Iran che conosco bene:  ai tempi dello Scià i cristiani erano più di trecentomila, sessantamila dei quali cattolici. Oggi le cifre sono ridotte all'osso:  quando infatti i cristiani sono una minoranza, essi subiscono maggiormente le difficoltà ambientali e risentono delle situazioni storiche contingenti.

Ma torniamo alla Terra Santa.

Abbiamo la parte dove ci sono i palestinesi, a maggioranza musulmana, e poi c'è Israele, a maggioranza ebraica. In quest'ultimo caso la Santa Sede ha fatto e sta facendo un lavoro molto intenso per dare una base giuridica alla presenza e all'azione della Chiesa, che a tutt'oggi non ha ancora un riconoscimento legislativo. Ci sono stati due accordi:  quello fondamentale del 30 dicembre 1993 - che aprì la porta alle relazioni diplomatiche - e quello del 1997, per il riconoscimento giuridico della Chiesa e delle sue istituzioni. Ma ambedue non sono stati ancora trasformati in legge dalla Knesset, il parlamento sovrano. Va anche riconosciuto che nella sostanza i Governi hanno finora rispettato tali accordi. Al presente stiamo lavorando sul cosiddetto Accordo economico, che riguarda le questioni fiscali, ma anche l'attività sociale, caritativa ed educativa delle istituzioni della Chiesa e altri aspetti della vita delle nostre comunità.

E nei Territori palestinesi?

Anche qui c'è sempre stato grande rispetto per i cattolici, soprattutto nelle aree dove c'è stata tradizionalmente la presenza della Chiesa, cioè nei Luoghi santi. Per quel che riguarda i musulmani, ad esempio, il governatore di Betlemme un giorno mi ha detto:  noi qui abbiamo sempre celebrato insieme le nostre feste e abbiamo convissuto in armonia. Però anche a Betlemme, dove i cristiani erano maggioranza, oggi sono diminuiti. Molti sono emigrati e continuano a farlo.
C'è stato anche qualche atto di intolleranza a Gaza, come reazione al proselitismo di gruppi evangelici molto aggressivi. Ma in linea di massima il fenomeno migratorio va visto come un fatto sociale e non religioso:  ci sono povertà e insicurezza, non c'è pace, perciò si fugge. Lo fanno anche i musulmani e gli stessi israeliani, ma quando a farlo è la minoranza cristiana le cifre acquistano una maggiore visibilità.
Il dato di fatto è che i cristiani stanno diminuendo. Nostro compito è aiutarli a rimanere facilitando loro la soluzione dei problemi essenziali, come la casa e il lavoro.

Dall'esperienza maturata sul campo quale lettura può dare del viaggio del Papa in una situazione in continua evoluzione?

Sono arrivato il 30 marzo 2006, e quindi da tre anni, durante i quali mi sono impegnato a sviluppare il dialogo per eliminare i pregiudizi tra mondi che comunicano con difficoltà. Il cristianesimo è visto con diffidenza in Israele per motivi storici. Bisogna sforzarsi di farsi capire, stabilire rapporti per far comprendere che siamo davvero sinceri, nella scia della spinta data dal concilio Vaticano ii. Occorrono stima, rispetto e, quando è possibile, collaborazione, per trovare punti di convergenza, per stare insieme. Con Israele abbiamo continuato i negoziati per gli accordi. Ora, con questo Governo da poco in carica si apre una nuova fase, nella quale non abbiamo ancora segnali chiari. Ecco allora che bisogna partire dagli sviluppi positivi degli ultimi anni, con la speranza di concludere almeno i capitoli più importanti degli accordi.
Per i territori palestinesi, invece, tutto è condizionato dalla mancanza di pace. C'è una sorta di ossessione per la sicurezza, in un ambiente di timori e di apprensione che, purtroppo, a volte paralizzano.

Ritiene che per i profughi e per i familiari delle vittime dei raid a Gaza la presenza del Pontefice possa significare un rilancio delle speranze di pace?

Gaza è una realtà molto complessa. La divisione in gruppi tra i palestinesi, aumenta le difficoltà della Striscia. Si è innescato, purtroppo, un circolo vizioso. Loro dicono:  noi reagiamo a Israele perché ci soffoca. Israele dice:  noi rispondiamo al lancio dei vostri missili. È questo il "vicolo cieco" di cui ha parlato il Papa all'Angelus del 28 dicembre 2008, ribadendo poi, nel discorso al Corpo diplomatico del successivo 8 gennaio, che "l'opzione militare non è una soluzione e la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente". Ora c'è tregua, ma occorre lavorare intensamente alla ricerca di soluzioni a lungo termine, senza dimenticare che, per vivere in pace - come tutti vorrebbero - occorre buona volontà da entrambe le parti.

Al di là degli aspetti eminentemente pastorali, che significato assume la visita del Papa nel contesto di tutta la regione mediorientale?

Ci auguriamo che la presenza di Benedetto XVI accenda qualche scintilla di speranza. Vorrei essere ottimista, ma occorre soprattutto essere realisti. La soluzione del problema palestinese purtroppo appare lontana. Bisogna sciogliere ancora molti nodi e occorre un impegno maggiore da parte di tutti. Bisogna, prima di tutto, volere davvero la pace e impegnarsi attivamente per creare le condizioni che la favoriscano. La mia speranza è che la visita di Benedetto XVI possa dare in qualche modo una spinta decisiva verso una convivenza pacifica nella giustizia.



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Benedetto XVI è il terzo Pontefice a recarsi nei Luoghi santi

Sulle orme di Montini e Wojtyla


Inizia  il  pellegrinaggio  di  Benedet-to XVI in Terra Santa:  il terzo di un Pontefice, dopo quelli di Paolo VI nel 1964 e di Giovanni Paolo II nel 2000. Fu proprio Montini, il primo Papa a far uso dell'aereo, a inaugurare nelle fasi conclusive del Vaticano ii la serie dei viaggi internazionali dei vescovi di Roma.
Joseph Ratzinger conosce bene quei luoghi, dove si è recato più volte prima dell'elezione:  nel 1964, trentasettenne, all'epoca in cui era docente all'Università di Münster; poi nel 1992 in occasione del sessantacinquesimo compleanno, quand'era cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; quindi nel 1994, poco dopo il riconoscimento dello Stato di Israele da parte della Santa Sede. Durante quest'ultima visita pregò come un semplice pellegrino, ma tenne anche una discorso su invito dell'International Jewish-Christian conference in cui espresse personale sostegno alle relazioni tra ebrei e cattolici.

Oggi Benedetto XVI vi torna come "pellegrino di pace". Smarcandosi da qualsiasi interpretazione politica dell'avvenimento, lo ha ripetuto dal momento dell'annuncio del viaggio, fino all'udienza generale di ieri, nel messaggio rivolto alle popolazioni giordane, israeliane e palestinesi.
E di pellegrinaggio di pace aveva parlato anche Papa Montini tre mesi dopo l'elezione, quando confidò ai più stretti collaboratori il desiderio di recarsi in Terra Santa. I preparativi vennero tenuti segreti fino al 4 dicembre 1963, quando Paolo VI annunciò la decisione ai padri conciliari.
Partito da Roma esattamente un mese dopo, il 4 gennaio di quarantacinque anni fa, con destinazione Amman, rimase per tre giorni nei luoghi di Cristo, per un pellegrinaggio che egli stesso volle "rapidissimo", improntato alla "semplicità". Un viaggio essenziale, dal timbro penitenziale ed ecumenico. A differenza del suo predecessore Giovanni XXIII - che vi era stato da giovane segretario del vescovo di Bergamo nel 1906, in occasione di un pellegrinaggio nazionale - Montini non era mai stato in Terra Santa. Il successore di Pietro tornava dunque dopo quasi duemila anni nella terra da dove era partito il pescatore di Galilea.
Il sito del battesimo di Cristo al Giordano, Betania, Gerusalemme, le prime tappe. Qui arrivò a piedi e trovò ad accoglierlo una folla immensa. Alla Basilica del Santo Sepolcro pronunciò la famosa frase:  "Siamo venuti come i colpevoli che tornano al luogo del loro delitto... Siamo venuti per batterci il petto e domandarti perdono, per implorare la tua misericordia". La giornata si concluse nella basilica dell'Agonia al Getsemani, dove Paolo VI si inginocchiò presso la pietra bagnata dal sangue di Cristo.
Il mattino seguente si recò in Galilea:  a Nazaret - "scuola del Vangelo" - celebrò la messa nella grotta dell'Annunciazione, poi fu a Cana e a Tiberiade, sulla riva del lago della chiamata di Pietro; quindi a Tabga, per il bacio alla pietra del primato, e a Cafarnao. Seguirono le salite al monte delle Beatitudini e sul Tabor, prima di tornare a Gerusalemme, per la preghiera nel Cenacolo. In serata lo storico incontro nella sede della delegazione apostolica con il Patriarca di Costantinopoli, Atenagora, giunto appositamente dalla Turchia. L'indomani, lunedì 6 gennaio, Paolo VI restituì la visita recandosi nella residenza patriarcale. Il Papa incontrò anche i capi di altre Chiese cristiane. La solennità dell'Epifania culminò con la messa a Betlemme nella grotta della Natività. Infine, al momento del congedo, la limpida difesa di Pio XII.
Appena tre settimane prima, nel dicembre 1963, in quegli stessi luoghi si era recato un giovanissimo vescovo polacco:  Karol Wojtyla. Vi tornò due anni dopo, divenuto arcivescovo di Cracovia. La terza volta fu da Papa, in occasione del pellegrinaggio giubilare compiuto dal 20 al 26 marzo.
Preceduta dalla Lettera apostolica del 29 giugno 1999 e dalla sosta al Monte Sinai, nel mese di febbraio, la visita di Giovanni Paolo II cominciò dal Monte Nebo. L'itinerario di Benedetto XVI ricalcherà quello del predecessore. Tra i momenti forti, allora, vi furono la messa nel Cenacolo - un fatto eccezionale dal momento che il luogo non è oggi una chiesa - e l'incontro con le ferite del popolo ebraico allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah. Indimenticabile resta anche la visita al campo profughi palestinese di Deheisheh, nei pressi di Betlemme.
L'immagine simbolo di quel viaggio immortala Giovanni Paolo II che con un gesto tipicamente ebraico depone un biglietto tra le fessure del Muro Occidentale, con la richiesta di perdono a Dio per "il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire... il popolo dell'Alleanza". (gianluca biccini)



(©L'Osservatore Romano - 8 maggio 2009)
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09/05/2009 06:19

In volo verso la Giordania e appena sbarcato il Papa chiede pace durevole e giustizia per le popolazioni del Medio Oriente

Alleanza di civiltà tra l'occidente e l'islam


dal nostro inviato Gianluca Biccini

La Chiesa non è un potere politico ma una forza spirituale che può incidere positivamente sulla delicata situazione mediorientale. Benedetto XVI è partito stamane per la Terra Santa convinto che la pace sia possibile, soprattutto se le tre grandi religioni monoteistiche dialogano tra loro per favorire realmente quella che egli ha definito, al suo arrivo ad Amman, "un'alleanza di civiltà tra il mondo occidentale e quello musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto".

Lo aveva anticipato durante il volo verso Amman, nel consueto incontro con i giornalisti al seguito. La possibilità di dare un effettivo contributo alla pacificazione dell'intera regione mediorientale, il dialogo con gli ebrei e con l'islam, l'emorragia della presenza cristiana nei territori sono stati i temi delle domande formulate per i giornalisti da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede. Il Pontefice, rispondendo a quella sulle prospettive di pace, ha precisato innanzitutto di non viaggiare come individuo, ma come capo della Chiesa la quale non è un potere politico, ma una forza spirituale che si esprime su tre livelli:  la preghiera, perché Dio può cambiare il corso della storia se milioni di fedeli lo invocano; la formazione delle coscienze, affinché gli uomini siano capaci di percepire la verità, liberandosi da visioni particolaristiche e aprendosi ai valori autentici; e infine la ragione, poiché non essendo parte politica la Chiesa può riflettere e approfondire le posizioni più ragionevoli.

L'impegnativo dodicesimo viaggio internazionale di Benedetto XVI si è aperto quindi con la certezza che in Terra Santa la pace sia possibile. Un concetto che ha ripreso e ampliato parlando nel centro "Regina Pacis" di Amman, dove ha specificato:  "Io vengo semplicemente con un'intenzione e una speranza:  pregare per il regalo prezioso dell'unità e della pace, più specificamente per il Medio Oriente". Una missione soprattutto per le religioni. Il Papa lo ha ribadito rispondendo sull'aereo alla seconda e alla terza domanda preparate dai giornalisti, sulla dimensione del dialogo con ebraismo e islam. Il Pontefice ha evidenziato la comune radice delle tre grandi religioni monoteistiche, e la possibilità di dialogare nonostante "alcuni malintesi" che, ha detto, non devono meravigliare; al contrario, devono essere da stimolo alla ricerca di un linguaggio comune per potersi meglio comprendere.

In proposito Papa Ratzinger ha ricordato come egli stesso in passato si sia fatto promotore di un dialogo trilaterale con ebrei e musulmani, in quanto tra gli artefici di una fondazione che ha curato la pubblicazione di edizioni del Corano, dell'Antico e del Nuovo Testamento.
L'ultima domanda ha riguardato la diminuzione dei cristiani in Medio Oriente e la drammatica situazione di Gaza. Il Papa ha detto di vedere spiragli di speranza per un rinnovato slancio verso la pace. Per questo i cristiani vanno incoraggiati a rimanere in Terra Santa. Essi, ha detto ancora, costituiscono un'importante componente culturale della regione. Da parte sua la Chiesa si impegna a favorire questa permanenza soprattutto attraverso le proprie istituzioni:  ospedali e scuole prima di tutto. Perché Benedetto XVI punta ancora sui giovani e sulla loro capacità di aprirsi agli altri. Le scuole, in particolare, dovranno educare una generazione in grado di impegnarsi nella vita pubblica. In tale contesto l'erigenda università cattolica di Madaba - della quale il Papa benedirà la prima pietra durante la sosta in Giordania - potrà formare una élite cristiana chiamata a lavorare per la pace.

Infine il Pontefice ha ringraziato le associazioni che aiutano concretamente la comunità cattolica di Terra Santa, grazie alle quali i membri di quest'ultima possono trovare il coraggio, l'umiltà e la pazienza per non abbandonare i luoghi delle origini della nostra fede.



(©L'Osservatore Romano - 9 maggio 2009)
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09/05/2009 06:20

Una ragione per tre popoli


La chiave per comprendere il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è racchiusa in una parola:  pellegrinaggio. Il Papa lo ha detto e ripetuto in questi ultimi giorni, insistendo più volte sull'unica intenzione politica di questo suo importante itinerario, che è quella di contribuire alla pace. E sorvolando la Grecia, nell'incontro con i giornalisti, ha precisato con molta chiarezza che desidera contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica. La quale non è un potere politico, bensì una forza spirituale.
Ma in che modo una forza spirituale può essere in grado di influire su una situazione di persistenti tensioni e conflitti che da oltre sessant'anni grava, intricata e drammatica, su una terra che è santa per i tre grandi monoteismi? Perché questa forza spirituale è una realtà. Così come la preghiera, la formazione delle coscienze e l'appello alla ragione - i tre aspetti di questa forza spiegati dal vescovo di Roma ai giornalisti - sono strumenti efficaci per cambiare lo stato delle cose. Confidando nella ragione, comune a ogni uomo, e che dunque è la base per il confronto e l'incontro con tutti, come da anni Benedetto XVI va ripetendo con chiarezza e pazienza.
E che non si tratti di teorie astratte è emerso con evidenza dal discorso rivolto dal Papa all'aeroporto di Amman, davanti a un sovrano e in un Paese che con i fatti stanno dimostrando come può procedere il cammino comune tra musulmani e cristiani, che in Giordania sono una piccola minoranza (come del resto in quasi tutto il Vicino e Medio Oriente). Pellegrino nei luoghi sacri alla memoria di Mosè e di Giovanni Battista, Benedetto XVI si è rallegrato che vi sia rispettata la libertà religiosa. Essa costituisce infatti un diritto irrinunciabile di ogni uomo e di ogni donna che deve essere rispettato ovunque nel mondo.
Di fronte ad Abdullah ii il Papa ha indicato la via maestra per promuovere i diritti umani:  una "alleanza di civiltà" tra mondo occidentale e mondo islamico che possa superare le nefaste dinamiche delle contrapposizioni e dello scontro. In un dialogo che non deve limitarsi a questi due interlocutori, ma estendersi all'ebraismo in un vero e proprio "dialogo trilaterale", come ha auspicato Benedetto XVI di fronte a giornalisti di tutto il mondo. Lo impone la storia comune alle tre religioni monoteiste, lo chiede la ragione. Che è data da Dio a ogni donna e a ogni uomo, senza distinzioni.

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 9 maggio 2009)
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09/05/2009 06:22

Il discorso del Papa durante la cerimonia di benvenuto

La libertà religiosa diritto umano fondamentale


La cerimonia di benvenuto in Giordania si è svolta, poco dopo le 14.30 locali (le 13.30 a Roma) di venerdì 8 maggio, all'aeroporto Queen Alia di Amman dove Benedetto XVI è stato accolto dal re Abdullah ii bin Hussein che gli ha rivolto l'indirizzo di saluto. Il Papa ha quindi pronunciato il discorso che pubblichiamo di seguito.



Your Majesties,
Your Excellencies,
Dear Brother Bishops,
Dear Friends,
It is with joy that I greet all of you here present, as I begin my first visit to the Middle East since my election to the Apostolic See, and I am pleased to set foot upon the soil of the Hashemite Kingdom of Jordan, a land so rich in history, home to so many ancient civilizations, and deeply imbued with religious significance for Jews, Christians and Muslims. I thank His Majesty King Abdullah ii for his kind words of welcome, and I offer my particular congratulations in this year that marks the tenth anniversary of his accession to the throne. In greeting His Majesty, I extend heartfelt good wishes to all members of the Royal Family and the Government, and to all the people of the Kingdom. I greet the Bishops here present, especially those with pastoral responsibilities in Jordan. I look forward to celebrating the liturgy at Saint George's Cathedral tomorrow evening and at the International Stadium on Sunday together with you, dear Bishops, and so many of the faithful entrusted to your care. 

I come to Jordan as a pilgrim, to venerate holy places that have played such an important part in some of the key events of Biblical history. At Mount Nebo, Moses led his people to within sight of the land that would become their home, and here he died and was laid to rest. At Bethany beyond the Jordan, John the Baptist preached and bore witness to Jesus, whom he baptized in the waters of the river that gives this land its name. In the coming days I shall visit both these holy places, and I shall have the joy of blessing the foundation stones of churches that are to be built at the traditional site of the Lord's Baptism. The opportunity that Jordan's Catholic community enjoys to build public places of worship is a sign of this country's respect for religion, and on their behalf I want to say how much this openness is appreciated. Religious freedom is, of course, a fundamental human right, and it is my fervent hope and prayer that respect for the inalienable rights and dignity of every man and woman will come to be increasingly affirmed and defended, not only throughout the Middle East, but in every part of the world.

My visit to Jordan gives me a welcome opportunity to speak of my deep respect for the Muslim community, and to pay tribute to the leadership shown by His Majesty the King in promoting a better understanding of the virtues proclaimed by Islam. Now that some years have passed since the publication of the Amman Message and the Amman Interfaith Message, we can say that these worthy initiatives have achieved much good in furthering an alliance of civilizations between the West and the Muslim world, confounding the predictions of those who consider violence and conflict inevitable. Indeed the Kingdom of Jordan has long been at the forefront of initiatives to promote peace in the Middle East and throughout the world, encouraging interreligious dialogue, supporting efforts to find a just solution to the Israeli-Palestinian conflict, welcoming refugees from neighboring Iraq, and seeking to curb extremism. I cannot let this opportunity pass without calling to mind the pioneering efforts for peace in the region made by the late King Hussein. How fitting that my meeting tomorrow with Muslim religious leaders, the diplomatic corps and University rectors should take place in the mosque that bears his name. May his commitment to the resolution of the region's conflicts continue to bear fruit in efforts to promote lasting peace and true justice for all who live in the Middle East.

Dear Friends, at the Seminar held in Rome last autumn by the Catholic-Muslim Forum, the participants examined the central role played in our respective religious traditions by the commandment of love. I hope very much that this visit, and indeed all the initiatives designed to foster good relations between Christians and Muslims, will help us to grow in love for the Almighty and Merciful God, and in fraternal love for one another. Thank you for your welcome. Thank you for your attention. May God grant Your Majesties happiness and long life! May he bless Jordan with prosperity and peace!

Pubblichiamo di seguito una nostra traduzione italiana del discorso di Benedetto XVI.

Maestà,
Eccellenze,
Cari Fratelli Vescovi,
Cari Amici,
è con gioia che saluto tutti voi qui presenti, mentre inizio la mia prima visita in Medio Oriente dalla mia elezione alla Sede Apostolica, e sono lieto di posare i piedi sul suolo del Regno Ascemita di Giordania, una terra tanto ricca di storia, patria di così numerose antiche civiltà, e profondamente intrisa di significato religioso per Ebrei, Cristiani e Musulmani. Ringrazio Sua Maestà il re Abdullah ii per le sue cortesi parole di benvenuto e Gli porgo le mie particolari congratulazioni in questo anno che segna il decimo anniversario della sua ascesa al trono. Nel salutare Sua Maestà, estendo di cuore i migliori auguri a tutti i membri della Famiglia Reale e del Governo, e a tutto il popolo del Regno. Saluto i Vescovi qui presenti, specialmente quelli con responsabilità pastorali in Giordania. Mi dispongo con gioia a celebrare la liturgia nella Cattedrale di San Giorgio domani sera e nello Stadio Internazionale domenica insieme con Voi, cari Vescovi, e con così numerosi fedeli affidati alla vostra cura pastorale.

Sono venuto in Giordania come pellegrino, per venerare i luoghi santi che hanno giocato una così importante parte in alcuni degli eventi chiave della storia Biblica. Sul Monte Nebo, Mosè condusse la sua gente per gettare lo sguardo entro la terra che sarebbe diventata la loro casa, e qui morì e fu sepolto. A Betania al di là del Giordano, Giovanni Battista predicò e rese testimonianza a Gesù, che egli stesso battezzò nelle acque del fiume che dà a questa terra il nome. Nei prossimi giorni visiterò entrambi questi luoghi santi e avrò la gioia di benedire le prime pietre delle chiese che saranno costruite sul luogo tradizionale del Battesimo del Signore. La possibilità che la comunità cattolica di Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione e a nome dei Cattolici desidero esprimere quanto sia apprezzata questa apertura. La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso, non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo.

La mia visita in Giordania mi offre la gradita opportunità di esprimere il mio profondo rispetto per la comunità Musulmana e di rendere omaggio al ruolo di guida svolto da Sua Maestà il Re nel promuovere una migliore comprensione delle virtù proclamate dall'Islam. Ora che sono passati alcuni anni dalla pubblicazione del Messaggio di Amman e del Messaggio Interreligioso di Amman, possiamo dire che queste nobili iniziative hanno ottenuto buoni risultati nel favorire un'alleanza di civiltà tra il mondo Occidentale e quello Musulmano, smentendo le predizioni di coloro che considerano inevitabili la violenza e il conflitto. In effetti, il Regno di Giordania è da tempo in prima linea nelle iniziative volte a promuovere la pace nel Medio Oriente e nel mondo, incoraggiando il dialogo inter-religioso, sostenendo gli sforzi per trovare una giusta soluzione al conflitto Israeliano-Palestinese, accogliendo i rifugiati dal vicino Iraq, e cercando di tenere a freno l'estremismo. Non posso lasciare passare questa opportunità senza richiamare alla mente gli sforzi d'avanguardia a favore della pace nella regione fatti dal precedente re Hussein. Come appare opportuno che il mio incontro di domani con i leader religiosi musulmani, il corpo diplomatico e i rettori dell'Università abbia luogo nella moschea che porta il suo nome. Possa il suo impegno per la soluzione dei conflitti della regione continuare a portar frutto nello sforzo di promuovere una pace durevole e una vera giustizia per tutti coloro che vivono nel Medio Oriente.

Cari Amici, nel Seminario tenutosi a Roma lo scorso autunno presso il Foro Cattolico-Musulmano, i partecipanti hanno esaminato il ruolo centrale svolto, nelle nostre rispettive tradizioni religiose, dal comandamento dell'amore. Spero vivamente che questa visita e in realtà tutte le iniziative programmate per promuovere buone relazioni tra Cristiani e Musulmani, possano aiutarci a crescere nell'amore verso Dio Onnipotente e Misericordioso, come anche nel fraterno amore vicendevole. Grazie per la vostra accoglienza, Grazie per la vostra cortesia. Che Dio conceda alle loro Maestà felicità e lunga vita! Che Egli benedica la Giordania con la prosperità e la pace!



(©L'Osservatore Romano - 9 maggio 2009)
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