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Discorsi del Santo Padre Benedetto XVI

Ultimo Aggiornamento: 09/10/2009 11:18
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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PERÚ

IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Sala del Concistoro
Lunedì, 18 maggio 2009

Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell'Episcopato,

1. Con il cuore pieno della gioia pasquale, dono del Signore Risorto, e come Successore di Pietro, vi porgo il mio cordiale benvenuto, mentre "rendo grazie continuamente al mio Dio per voi" (1 Cor 1, 4). Ringrazio Monsignor Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, Arcivescovo di Trujillo e Presidente della Conferenza Episcopale Peruviana, per le deferenti parole che mi ha rivolto a nome di tutti. In esse riconosco la carità e la dedizione con cui pascete le vostre Chiese particolari.

2. La visita ad limina Apostolorum è un'occasione significativa per rafforzare i vincoli di comunione con il Romano Pontefice e fra di voi, sapendo che tra le vostre preoccupazioni pastorali deve essere sempre presente l'unità di tutta la Chiesa, affinché le vostre comunità, come pietre vive, contribuiscano all'edificazione di tutto il Popolo di Dio (cfr. 1 Pt 2, 4-5). Di fatto, "i vescovi, come legittimi successori degli apostoli e membri del collegio episcopale, sappiano essere sempre tra loro uniti e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese" (Christus Dominus, n. 6). L'esperienza tuttavia ci dice che questa unità non viene mai definitivamente raggiunta e si deve costruire e perfezionare incessantemente, senza arrendersi dinanzi alle difficoltà obiettive e soggettive, con il proposito di mostrare il vero volto della Chiesa cattolica, una e unica.

Anche oggi, come nel corso di tutta la storia della Chiesa, è indispensabile coltivare lo spirito di comunione, valorizzando le qualità di ognuno dei fratelli che la divina Provvidenza ha voluto porre al nostro fianco. In tal modo, le diverse membra del Corpo di Cristo riescono ad aiutarsi reciprocamente per portare avanti l'attività quotidiana (cfr. 1 Cor 12, 24-26; Fil 2, 1-4; Gal 6, 2-3). Perciò è necessario che i Vescovi sentano il costante bisogno di mantenere vivo e tradurre concretamente in pratica l'affetto collegiale, poiché "costituisce un validissimo sostegno per leggere con attenzione i segni dei temi e discernere con chiarezza quello che lo Spirito dice alle Chiese" (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica, Pastores gregis, n. 73).

3. L'unità autentica nella Chiesa è sempre fonte inesauribile di spirito evangelizzatore. A tale riguardo, so che state accogliendo, nei vostri programmi pastorali, l'impulso missionario promosso dalla V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, tenutasi ad Aparecida, e soprattutto la "Missione continentale", affinché ogni fedele aspiri alla santità in un rapporto personale con il Signore Gesù, amandolo con perseveranza e conformando la propria vita ai criteri evangelici, di modo che si creino comunità ecclesiali d'intensa vita cristiana. Certamente, una Chiesa in missione relativizza i propri problemi interni e guarda con speranza ed entusiasmo al futuro. Si tratta di rilanciare lo spirito missionario, non per timore del futuro, ma perché la Chiesa è una realtà dinamica e il vero discepolo di Gesù Cristo prova piacere nel trasmettere gratuitamente agli altri la sua divina Parola e nel condividere con loro l'amore che sgorga dal costato trafitto sulla croce (cfr. Mt 10, 8; Gv 13, 34-35; 19, 33-34; 1 Cor 9, 16). In effetti, quando la bellezza e la verità di Cristo conquistano i nostri cuori, sperimentiamo la gioia di essere suoi discepoli e assumiamo in modo convinto la missione di proclamare il suo messaggio redentore. A tale proposito, vi esorto a invitare tutte le forze vive delle vostre Diocesi a camminare partendo da Cristo e irradiando sempre la luce del suo volto, in particolare per i fratelli che, forse perché si sentono poco valorizzati o non sufficientemente assistiti nei loro bisogni spirituali e materiali, cercano in altre esperienze religiose risposte alle loro inquietudini.

4. Voi stessi, cari Fratelli nell'Episcopato, seguendo l'insigne esempio di santo Toribio di Mogrovejo e di tanti altri santi Pastori, siete chiamati a vivere come audaci discepoli e missionari del Signore. Le visite pastorali assidue alle comunità ecclesiali - anche alle più lontane e umili -, la preghiera prolungata, l'accurata preparazione della predicazione, la paterna attenzione per i sacerdoti, le famiglie, i giovani, i catechisti e gli altri agenti di pastorale, sono il modo migliore per suscitare in tutti l'ardente desiderio di essere messaggeri della Buona Novella della salvezza, aprendovi allo stesso tempo le porte del cuore di quanti vi circondano, soprattutto dei malati e dei più bisognosi.

5. La Chiesa nella vostra Nazione ha potuto contare fin dal suo avvento sulla benefica presenza di generosi membri della vita consacrata. È di grande importanza che continuiate ad accompagnare e incoraggiare fraternamente i religiosi e le religiose presenti nelle vostre Chiese particolari, affinché, vivendo con fedeltà i consigli evangelici secondo il proprio carisma, continuino a rendere una vigorosa testimonianza di amore a Dio, di adesione irremovibile al Magistero della Chiesa e di collaborazione sollecita con i piani pastorali diocesani.

6. Penso ora, in particolare, ai peruviani che non hanno un lavoro e adeguati servizi educativi e sanitari, o a quelli che vivono nelle periferie delle grandi città e in zone isolate. Penso, parimenti, a quanti sono caduti nelle mani della tossicodipendenza o della violenza. Non possiamo disinteressarci di questi nostri fratelli più deboli e amati da Dio, tenendo sempre presente che la carità di Cristo ci spinge (cfr. 2 Cor 5, 14; Rom 12, 9; 13, 8; 15, 1-3).

7. Nel concludere questo sentito incontro, chiedo al Signore Gesù di illuminarvi nel vostro servizio pastorale al Popolo di Dio. A volte vi assalirà lo sconforto, ma le parole di Cristo a san Paolo vi devono confortare nell'esercizio della vostra responsabilità: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12,9).

Con questa viva speranza, vi chiedo di trasmettere il mio affettuoso saluto ai Vescovi emeriti, ai sacerdoti, ai diaconi e ai seminaristi, alle comunità religiose e ai fedeli del Perú.

Che Maria Santissima, Nostra Signora dell'Evangelizzazione, vi protegga sempre con il suo amore di Madre! Mentre invoco la sua intercessione, e quella di tutti i santi e le sante venerati specialmente fra voi, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

A S. E. IL SIGNOR GEORGI PARVANOV,
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DI BULGARIA

Venerdì, 22 maggio 2009

Signor presidente,
signore e signori membri della delegazione governativa,
venerati rappresentanti
della Chiesa ortodossa
e della Chiesa cattolica,

Sono particolarmente lieto di porgere a ognuno di voi i miei più cordiali saluti, in questo incontro che si svolge in occasione della festa annuale dei santi Cirillo e Metodio. In questa felice circostanza, desidero rinnovare i miei sentimenti di amicizia verso l'amato popolo bulgaro, le cui radici spirituali - come testimonia ancora la vostra visita odierna - affondano nella predicazione dei santi compatroni dell'Europa. Saluto ognuno di voi con deferenza ed estendo questi sentimenti alle autorità e a tutto il popolo bulgaro, come pure ai responsabili e ai fedeli della Chiesa ortodossa e della Chiesa cattolica presenti nella vostra amata terra.

Questo incontro ci offre l'opportunità di pensare nuovamente all'opera evangelica e sociale realizzata da quei due insigni testimoni del Vangelo che furono i santi Cirillo e Metodio. La loro eredità spirituale ha segnato la vita dei popoli slavi; il loro esempio ha sorretto la testimonianza e la fedeltà di innumerevoli cristiani che, nel corso dei secoli, hanno dedicato la loro esistenza a diffondere il messaggio di salvezza, operando allo stesso tempo per la costruzione di una società giusta e solidale. Possa la loro testimonianza spirituale rimanere viva nella vostra nazione affinché anche la Bulgaria, attingendo a questa fonte di luce e di speranza, contribuisca efficacemente a costruire un'Europa che resti fedele alle sue radici cristiane! I valori di solidarietà e di giustizia, di libertà e di pace, oggi costantemente riaffermati, acquistano in effetti più forza e solidità nell'insegnamento eterno di Cristo, tradotto nella vita dei suoi discepoli di tutti i tempi.

Sono questi i sentimenti che desidero esprimere a ognuno di voi, assicurandovi della mia stima e della mia vicinanza spirituale. Siate certi anche che la Santa Sede continua a seguire con interesse il cammino della vostra nazione e l'impegno di tutti coloro che lavorano per il suo bene. Di tutto cuore, su ognuno di voi invoco l'abbondanza delle benedizioni divine.

 

 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A S. E. IL SIGNOR GJEORGE IVANOV,
PRESIDENTE DELLA EX-REPUBBLICA JUGOSLAVA
DI MACEDONIA

Venerdì, 22 maggio 2009

Signor presidente,
onorevoli membri della delegazione,
venerati fratelli della Chiesa ortodossa e della Chiesa cattolica!

Anche quest'anno provo gioia nel ricevervi in occasione della solennità dei santi Cirillo e Metodio. Sono lieto del fatto che nel corso della vostra visita per rendere omaggio ai compatroni d'Europa abbiate espresso il desiderio di incontrarmi, un'occasione che è già divenuta una tradizione. Vi ringrazio per questo gesto ed estendo il mio sincero benvenuto e il mio apprezzamento per i sentimenti che manifestate in quest'occasione. Porgo un benvenuto particolare alle autorità e a tutta la popolazione della ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia. Invio anche saluti particolari ai fedeli e a quanti hanno responsabilità pastorali nel vostro Paese. Colgo l'occasione per esprimere i sentimenti di stima e di amicizia che uniscono la Santa Sede all'amato popolo macedone.

La celebrazione annuale della festa dei santi Cirillo e Metodio, maestri della fede e apostoli dei popoli slavi, invita tutti noi che siamo uniti dall'unica fede in Gesù Cristo a contemplare la loro eroica testimonianza evangelica. Al contempo, riceviamo la sfida a preservare il patrimonio di ideali e di valori che hanno trasmesso con le parole e con le azioni. Infatti questo è il contributo più prezioso che i cristiani possono offrire alla costruzione di un'Europa del terzo millennio, che aspira a un futuro di progresso, giustizia e pace per tutti.

La vostra amata patria, influenzata da due grandi santi, cerca di diventare sempre più un luogo di incontro e di dialogo pacifico fra numerose sfere sociali e religiose del Paese. La mia speranza, che rinnovo oggi con tutto il cuore, è continuiate a progredire lungo questo cammino. Mentre invoco la protezione divina sulle autorità della vostra nazione, alla quale rinnovo la vicinanza della Sede Apostolica, desidero assicurarvi della mia stima e della mia amicizia personali.

Ancora una volta, estendo i miei affettuosi buoni auspici a ognuno di voi in questo giorno di festa e offro ferventi preghiere al Signore sia per voi che siete qui oggi sia per tutto il popolo macedone.


 

 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

ALLA COMUNITÀ DELLA
PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA


Sala dei Papi
Sabato, 23 maggio 2009


Venerato Fratello nell'Episcopato,
cari fratelli sacerdoti!

E' per me una gioia rinnovata accogliere e salutare tutti voi, venuti anche quest'anno per manifestare al Successore di Pietro la testimonianza del vostro affetto e della vostra fedeltà. Saluto il Presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, Mons. Beniamino Stella, e lo ringrazio per le parole che mi ha cortesemente rivolto, come pure per il servizio che svolge con grande dedizione. Saluto i suoi collaboratori, le Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino, e voi tutti, che in questi anni della vostra giovinezza sacerdotale vi state preparando a servire la Chiesa e il suo Pastore universale, in un singolare ministero, quale è appunto quello svolto nelle Rappresentanze Pontificie.

In effetti, il servizio nelle Nunziature Apostoliche si può considerare, in qualche misura, come una specifica vocazione sacerdotale, un ministero pastorale che comporta un particolare inserimento nel mondo e nelle sue problematiche spesso assai complesse, di carattere sociale e politico. E' allora importante che impariate a decifrarle, sapendo che il "codice", per così dire, di analisi e di comprensione di queste dinamiche non può essere che il Vangelo e il perenne Magistero della Chiesa. Occorre che vi formiate alla lettura attenta delle realtà umane e sociali, a partire da una certa sensibilità personale, che ogni servitore della Santa Sede deve possedere, e usufruendo di una esperienza specifica da acquisire durante questi anni. Inoltre, quella capacità di dialogo con la modernità che vi è richiesta, nonché il contatto con le persone e le istituzioni che esse rappresentano, esigono una robusta struttura interiore e una solidità spirituale in grado di salvaguardare e anzi di evidenziare sempre meglio la vostra identità cristiana e sacerdotale. Solo così potrete evitare di risentire degli effetti negativi della mentalità mondana, e non vi lascerete attrarre né contaminare da logiche troppo terrene.

Poiché è il Signore stesso che vi domanda di svolgere nella Chiesa questa missione, attraverso la chiamata del vostro Vescovo che vi segnala e vi pone a disposizione della Santa Sede, è al Signore stesso che dovete sempre e soprattutto far riferimento. Nei momenti di oscurità e di difficoltà interiore, volgete il vostro sguardo verso Cristo che un giorno vi ha fissati con amore e vi ha chiamati a stare con Lui e ad occuparvi, alla sua scuola, del suo Regno. Ricordate sempre che è essenziale e fondamentale per il ministero sacerdotale, in qualunque modo lo si eserciti, mantenere un legame personale con Gesù. Egli ci vuole suoi "amici", amici che cercano la sua intimità, seguono i suoi insegnamenti e si impegnano a farlo conoscere ed amare da tutti. Il Signore ci vuole santi, cioè tutti "suoi", non preoccupati di costruirci una carriera umanamente interessante o comoda, non alla ricerca del plauso e del successo della gente, ma interamente dediti al bene delle anime, disposti a compiere fino in fondo il nostro dovere con la consapevolezza di essere "servi inutili", lieti di poter offrire il nostro povero apporto alla diffusione del Vangelo.

Cari sacerdoti, siate, in primo luogo, uomini di intensa preghiera, che coltivano una comunione di amore e di vita con il Signore. Senza questa solida base spirituale come sarebbe possibile perseverare nel vostro ministero? Chi così lavora nella vigna del Signore sa che quanto viene realizzato con dedizione, con sacrificio e per amore, non va mai perduto. E se talora ci è dato di assaporare il calice della solitudine, dell'incomprensione e della sofferenza, se il servizio ci risulta talora pesante e la croce qualche volta dura da portare, ci sostenga e ci sia di conforto la certezza che Dio sa rendere tutto fecondo. Noi sappiamo che la dimensione della croce, ben simboleggiata nella parabola del chicco di grano che sepolto in terra muore per dare frutto - immagine usata da Gesù poco prima della sua passione - è parte essenziale della vita di ogni uomo e di ogni missione apostolica. In ogni situazione dobbiamo offrire la lieta testimonianza della nostra adesione al Vangelo, accogliendo l'invito dell'apostolo Paolo a vantarci solamente della croce di Cristo, con l'unica ambizione di completare in noi stessi ciò che manca della passione del Signore, a favore del suo Corpo che è la Chiesa (cfr Col1,24).

Occasione quanto mai preziosa per rinnovare e rafforzare la vostra risposta generosa alla chiamata del Signore, per intensificare la vostra relazione con Lui, è l'Anno Sacerdotale, che avrà inizio il prossimo 19 giugno, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e Giornata di santificazione sacerdotale. Valorizzate al massimo questa opportunità per essere sacerdoti secondo il cuore di Cristo, come san Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d'Ars, del quale ci apprestiamo a celebrare il 150º anniversario della morte. Alla sua intercessione e a quella di sant'Antonio Abate, Patrono dell'Accademia, affido questi voti ed auspici. Vegli materna su di voi e vi protegga Maria, Madre della Chiesa. Quanto a me, mentre vi ringrazio per la vostra odierna visita, vi assicuro il mio speciale ricordo nella preghiera, e imparto di cuore la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi, alle reverende Suore, al personale della Casa e a tutti coloro che vi sono cari.


 

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APERTURA DEL CONVEGNO PASTORALE DELLA DIOCESI DI ROMA
SUL TEMA: "APPARTENENZA ECCLESIALE E CORRESPONSABILITÀ PASTORALE"

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica di San Giovanni in Laterano
Martedì, 26 maggio 2009


Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
cari religiosi e religiose,
cari fratelli e sorelle!

Seguendo una ormai felice consuetudine, sono lieto di aprire anche quest'anno il Convegno diocesano pastorale. A ciascuno di voi, che qui rappresentate l'intera comunità diocesana, rivolgo con affetto il mio saluto e un sentito ringraziamento per il lavoro pastorale che svolgete. Per vostro tramite, estendo a tutte le parrocchie il mio saluto cordiale con le parole dell'apostolo Paolo: «A quanti sono in Roma, diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7). Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario per le incoraggianti parole che mi ha rivolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti, e per l'aiuto che, unitamente ai Vescovi Ausiliari, mi offre nel quotidiano servizio apostolico a cui il Signore mi ha chiamato come Vescovo di Roma.

E' stato appena ricordato che, nel corso del passato decennio, l'attenzione della Diocesi si è concentrata per tre anni inizialmente sulla famiglia; poi, per un successivo triennio, sull'educazione alla fede delle nuove generazioni, cercando di rispondere a quella «emergenza educativa», che è per tutti una sfida non facile; e da ultimo, sempre con riferimento all'educazione, sollecitati dalla Lettera enciclica Spe salvi, avete preso in considerazione il tema dell'educare alla speranza. Mentre ringrazio con voi il Signore del tanto bene che ci ha dato di compiere — penso in particolare ai parroci e ai sacerdoti che non si risparmiano nel guidare le comunità loro affidate — desidero esprimere il mio apprezzamento per la scelta pastorale di dedicare tempo ad una verifica del cammino percorso, con lo scopo di mettere a fuoco, alla luce dell'esperienza vissuta, alcuni ambiti fondamentali della pastorale ordinaria, al fine di meglio precisarli, e renderli più condivisi. A fondamento di questo impegno, al quale attendete già da alcuni mesi in tutte le parrocchie e nelle altre realtà ecclesiali, ci deve essere una rinnovata presa di coscienza del nostro essere Chiesa e della corresponsabilità pastorale che, in nome di Cristo, tutti siamo chiamati ad esercitare. E proprio su questo aspetto vorrei ora soffermarmi.

Il Concilio Vaticano II, volendo trasmettere pura e integra la dottrina sulla Chiesa maturata nel corso di duemila anni, ha dato di essa «una più meditata definizione», illustrandone anzitutto la natura misterica, cioè di «realtà imbevuta di divina presenza, e perciò sempre capace di nuove e più profonde esplorazioni» (Paolo VI, Discorso di apertura della seconda sessione, 29 settembre 1963). Orbene, la Chiesa, che ha origine nel Dio trinitario, è un mistero di comunione. In quanto comunione, la Chiesa non è una realtà soltanto spirituale, ma vive nella storia, per così dire, in carne e ossa. Il Concilio Vaticano II la descrive «come un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano». (Lumen gentium, 1). E l'essenza del sacramento è proprio che si tocca nel visibile l’invisibile, che il visibile toccabile apre la porta a Dio stesso. La Chiesa, abbiamo detto, è una comunione, una comunione di persone che, per l'azione dello Spirito Santo, formano il Popolo di Dio, che è al tempo stesso il Corpo di Cristo. Riflettiamo un po' su queste due parole-chiave. Il concetto “Popolo di Dio” è nato e si è sviluppato nell'Antico Testamento: per entrare nella realtà della storia umana, Dio ha eletto un popolo determinato, il popolo di Israele, perché sia il suo popolo. L'intenzione di questa scelta particolare è di arrivare, per il tramite di pochi, ai molti, e dai molti a tutti. L'intenzione, con altre parole, dell'elezione particolare è l'universalità. Per il tramite di questo Popolo, Dio entra realmente in modo concreto nella storia.

E questa apertura all'universalità si è realizzata nella croce e nella risurrezione di Cristo. Nella croce Cristo, così dice San Paolo, ha abbattuto il muro di separazione. Dandoci il suo Corpo, Egli ci riunisce in questo suo Corpo per fare di noi una cosa sola. Nella comunione del “Corpo di Cristo” tutti diventiamo un solo popolo, il Popolo di Dio, dove - per citare di nuovo san Paolo - tutti sono una cosa sola e non c'è più distinzione, differenza, tra greco e giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro, scita, schiavo, ebreo, ma Cristo è tutto in tutti. Ha abbattuto il muro della distinzione di popoli, di razze, di culture: tutti siamo uniti in Cristo. Così vediamo che i due concetti – “Popolo di Dio” e “Corpo di Cristo” - si completano e formano insieme il concetto neotestamentario di Chiesa. E mentre “Popolo di Dio” esprime la continuità della storia della Chiesa, “Corpo di Cristo” esprime l'universalità inaugurata nella croce e nella risurrezione del Signore. Per noi cristiani, quindi, “Corpo di Cristo” non è solo un'immagine, ma un vero concetto, perché Cristo ci fa il dono del suo Corpo reale, non solo di un'immagine. Risorto, Cristo ci unisce tutti nel Sacramento per farci un unico corpo. Quindi il concetto “Popolo di Dio” e “Corpo di Cristo” si completano: in Cristo diventiamo realmente il Popolo di Dio. E “Popolo di Dio” significa quindi “tutti”: dal Papa fino all'ultimo bambino battezzato. La prima Preghiera eucaristica, il cosiddetto Canone romano scritto nel IV secolo, distingue tra servi – “noi servi tuoi” - e “plebs tua sancta”; quindi, se si vuol distinguere, si parla di servi e plebs sancta, mentre il termine “Popolo di Dio” esprime tutti insieme nel loro comune essere la Chiesa.

All'indomani del Concilio questa dottrina ecclesiologica ha trovato vasta accoglienza, e grazie a Dio tanti buoni frutti sono maturati nella comunità cristiana. Dobbiamo però anche ricordare che la recezione di questa dottrina nella prassi e la conseguente assimilazione nel tessuto della coscienza ecclesiale, non sono avvenute sempre e dovunque senza difficoltà e secondo una giusta interpretazione. Come ho avuto modo di chiarire nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre del 2005, una corrente interpretativa, appellandosi ad un presunto «spirito del Concilio», ha inteso stabilire una discontinuità e addirittura una contrapposizione tra la Chiesa prima e la Chiesa dopo il Concilio, travalicando a volte gli stessi confini oggettivamente esistenti tra il ministero gerarchico e le responsabilità dei laici nella Chiesa. La nozione di «Popolo di Dio», in particolare, venne da alcuni interpretata secondo una visione puramente sociologica, con un taglio quasi esclusivamente orizzontale, che escludeva il riferimento verticale a Dio. Posizione, questa, in aperto contrasto con la parola e con lo spirito del Concilio, il quale non ha voluto una rottura, un'altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre identico, unico soggetto del Popolo di Dio in pellegrinaggio.

In secondo luogo, va riconosciuto che il risveglio di energie spirituali e pastorali nel corso di questi anni non ha prodotto sempre l'incremento e lo sviluppo desiderati. Si deve in effetti registrare in talune comunità ecclesiali che, ad un periodo di fervore e di iniziativa, è succeduto un tempo di affievolimento dell'impegno, una situazione di stanchezza, talvolta quasi di stallo, anche di resistenza e di contraddizione tra la dottrina conciliare e diversi concetti formulati in nome del Concilio, ma in realtà opposti al suo spirito e alla sua lettera. Anche per questa ragione, al tema della vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, è stata dedicata l'assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi nel 1987. Questo fatto ci dice che le luminose pagine dedicate dal Concilio al laicato non erano ancora state sufficientemente tradotte e realizzate nella coscienza dei cattolici e nella prassi pastorale. Da una parte esiste ancora la tendenza a identificare unilateralmente la Chiesa con la gerarchia, dimenticando la comune responsabilità, la comune missione del Popolo di Dio, che siamo in Cristo noi tutti. Dall'altra, persiste anche la tendenza a concepire il Popolo di Dio come ho già detto, secondo un'idea puramente sociologica o politica, dimenticando la novità e la specificità di quel popolo che diventa popolo solo nella comunione con Cristo.

Cari fratelli e sorelle, viene ora da domandarsi: la nostra Diocesi di Roma a che punto sta? In che misura viene riconosciuta e favorita la corresponsabilità pastorale di tutti, particolarmente dei laici? Nei secoli passati, grazie alla generosa testimonianza di tanti battezzati che hanno speso la vita per educare alla fede le nuove generazioni, per curare gli ammalati e soccorrere i poveri, la comunità cristiana ha annunciato il Vangelo agli abitanti di Roma. Questa stessa missione è affidata a noi oggi, in situazioni diverse, in una città dove non pochi battezzati hanno smarrito la via della Chiesa e quelli che non sono cristiani non conoscono la bellezza della nostra fede. Il Sinodo Diocesano, voluto dal mio amato predecessore Giovanni Paolo II, è stato un'effettiva receptio della dottrina conciliare, e il Libro del Sinodo ha impegnato la Diocesi a diventare sempre più Chiesa viva e operosa nel cuore della città, attraverso l'azione coordinata e responsabile di tutte le sue componenti.

La Missione cittadina, che ne seguì in preparazione al
Grande Giubileo del 2000, ha consentito alla nostra comunità ecclesiale di prendere coscienza del fatto che il mandato di evangelizzare non riguarda solo alcuni ma tutti i battezzati. E' stata una salutare esperienza che ha contribuito a far maturare nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nelle associazioni e nei movimenti la consapevolezza di appartenere all'unico Popolo di Dio, che — secondo le parole dell'apostolo Pietro — «Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui» (1 Pt 2,9). E di ciò questa sera vogliamo rendere grazie.

Molta strada tuttavia resta ancora da percorrere. Troppi battezzati non si sentono parte della comunità ecclesiale e vivono ai margini di essa, rivolgendosi alle parrocchie solo in alcune circostanze per ricevere servizi religiosi. Pochi sono ancora i laici, in proporzione al numero degli abitanti di ciascuna parrocchia che, pur professandosi cattolici, sono pronti a rendersi disponibili per lavorare nei diversi campi apostolici. Certo, non mancano le difficoltà di ordine culturale e sociale, ma, fedeli al mandato del Signore, non possiamo rassegnarci alla conservazione dell'esistente.

Fiduciosi nella grazia dello Spirito, che Cristo risorto ci ha garantito, dobbiamo riprendere con rinnovata lena il cammino. Quali vie possiamo percorrere? Occorre in primo luogo rinnovare lo sforzo per una formazione più attenta e puntuale alla visione di Chiesa della quale ho parlato, e questo da parte tanto dei sacerdoti quanto dei religiosi e dei laici. Capire sempre meglio che cosa è questa Chiesa, questo Popolo di Dio nel Corpo di Cristo. E' necessario, al tempo stesso, migliorare l'impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell'insieme di tutti i membri del Popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli «collaboratori» del clero a riconoscerli realmente «corresponsabili» dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato. Questa coscienza comune di tutti i battezzati di essere Chiesa non diminuisce la responsabilità dei parroci. Tocca proprio a voi, cari parroci, promuovere la crescita spirituale e apostolica di quanti sono già assidui e impegnati nelle parrocchie: essi sono il nucleo della comunità che farà da fermento per gli altri.

Affinché tali comunità, anche se qualche volta numericamente piccole, non smarriscano la loro identità e il loro vigore, è necessario che siano educate all'ascolto orante della Parola di Dio, attraverso la pratica della lectio divina, ardentemente auspicata dal recente Sinodo dei Vescovi. Nutriamoci realmente dell'ascolto, della meditazione della Parola di Dio. A queste nostre comunità non deve venir meno la consapevolezza che sono «Chiesa» perché Cristo, Parola eterna del Padre, le convoca e le fa suo Popolo. La fede, infatti, è da una parte una relazione profondamente personale con Dio, ma possiede una essenziale componente comunitaria e le due dimensioni sono inseparabili. Potranno così sperimentare la bellezza e la gioia di essere e di sentirsi Chiesa anche i giovani, che sono maggiormente esposti al crescente individualismo della cultura contemporanea, la quale comporta come inevitabili conseguenze l'indebolimento dei legami interpersonali e l'affievolimento delle appartenenze. Nella fede in Dio siamo uniti nel Corpo di Cristo e diventiamo tutti uniti nello stesso Corpo e così, proprio credendo profondamente, possiamo esperire anche la comunione tra di noi e superare la solitudine dell'individualismo.

Se è la Parola a convocare la Comunità, è l'Eucaristia a farla essere un corpo: «Poiché c'è un solo pane — scrive san Paolo —, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1 Cor 10,17). La Chiesa dunque non è il risultato di una somma di individui, ma un'unità fra coloro che sono nutriti dall'unica Parola di Dio e dall'unico Pane di vita. La comunione e l'unità della Chiesa, che nascono dall'Eucaristia, sono una realtà di cui dobbiamo avere sempre maggiore consapevolezza, anche nel nostro ricevere la santa comunione, sempre più essere consapevoli che entriamo in unità con Cristo e così diventiamo noi, tra di noi, una cosa sola. Dobbiamo sempre nuovamente imparare a custodire e difendere questa unità da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere nelle e tra le comunità ecclesiali. In particolare, vorrei chiedere ai movimenti e alle comunità sorti dopo il Vaticano II, che anche all'interno della nostra Diocesi sono un dono prezioso di cui dobbiamo sempre ringraziare il Signore, vorrei chiedere a questi movimenti, che ripeto sono un dono, di curare sempre che i loro itinerari formativi conducano i membri a maturare un vero senso di appartenenza alla comunità parrocchiale.

Centro della vita della parrocchia, come ho detto, è l'Eucaristia, e particolarmente la Celebrazione domenicale. Se l'unità della Chiesa nasce dall'incontro con il Signore, non è secondario allora che l'adorazione e la celebrazione dell'Eucaristia siano molto curate, dando modo a chi vi partecipa di sperimentare la bellezza del mistero di Cristo. Dato che la bellezza della liturgia «non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell'amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce» (
Sacramentum caritatis n. 35), è importante che la Celebrazione eucaristica manifesti, comunichi, attraverso i segni sacramentali, la vita divina e riveli agli uomini e alle donne di questa città il vero volto della Chiesa.

La crescita spirituale ed apostolica della comunità porta poi a promuoverne l'allargamento attraverso una convinta azione missionaria. Prodigatevi pertanto a ridar vita in ogni parrocchia, come ai tempi della Missione cittadina, ai piccoli gruppi o centri di ascolto di fedeli che annunciano Cristo e la sua Parola, luoghi dove sia possibile sperimentare la fede, esercitare la carità, organizzare la speranza. Questo articolarsi delle grandi parrocchie urbane attraverso il moltiplicarsi di piccole comunità permette un respiro missionario più largo, che tiene conto della densità della popolazione, della sua fisionomia sociale e culturale, spesso notevolmente diversificata. Sarebbe importante se questo metodo pastorale trovasse efficace applicazione anche nei luoghi di lavoro, oggi da evangelizzare con una pastorale di ambiente ben pensata, poiché per l'elevata mobilità sociale la popolazione vi trascorre gran parte della giornata.

Infine, non va dimenticata la testimonianza della carità, che unisce i cuori e apre all'appartenenza ecclesiale. Alla domanda come si spieghi il successo del Cristianesimo dei primi secoli, l'ascesa da una presunta setta ebrea alla religione dell'Impero, gli storici rispondono che fu particolarmente l'esperienza della carità dei cristiani che ha convinto il mondo. Vivere la carità è la forma primaria della missionarietà. La Parola annunciata e vissuta diventa credibile se si incarna in comportamenti di solidarietà, di condivisione, in gesti che mostrano il volto di Cristo come di vero Amico dell'uomo. La silenziosa e quotidiana testimonianza della carità, promossa dalle parrocchie grazie all'impegno di tanti fedeli laici, continui ad estendersi sempre di più, perché chi vive nella sofferenza senta vicina la Chiesa e sperimenti l'amore del Padre, ricco di misericordia. Siate, dunque, «buoni samaritani» pronti a curare le ferite materiali e spirituali dei vostri fratelli. I diaconi, conformati con l'ordinazione a Cristo servo, potranno svolgere un utile servizio nel promuovere una rinnovata attenzione verso le vecchie e le nuove forme di povertà. Penso inoltre ai giovani: carissimi, vi invito a porre a servizio di Cristo e del Vangelo il vostro entusiasmo e la vostra creatività, facendovi apostoli dei vostri coetanei, disposti a rispondere generosamente al Signore, se vi chiama a seguirlo più da vicino, nel sacerdozio o nella vita consacrata.

Cari fratelli e sorelle, il futuro del cristianesimo e della Chiesa a Roma dipende anche dall'impegno e dalla testimonianza di ciascuno di noi. Invoco per questo la materna intercessione della Vergine Maria, venerata da secoli nella Basilica di Santa Maria Maggiore come Salus populi romani. Come fece con gli Apostoli nel Cenacolo in attesa della Pentecoste, accompagni anche noi e ci incoraggi a guardare con fiducia al domani. Con questi sentimenti, mentre vi ringrazio per il vostro diuturno lavoro, imparto di cuore a tutti una speciale Benedizione Apostolica.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA


Aula del Sinodo
Giovedì, 28 maggio 2009


Cari Fratelli Vescovi italiani,

sono lieto di incontrarvi ancora una volta tutti insieme, in occasione di questo significativo appuntamento annuale che vi vede riuniti in assemblea per condividere le ansie e le gioie del vostro ministero nelle Diocesi della diletta Nazione italiana. La vostra assemblea, infatti, esprime visibilmente e promuove quella comunione di cui la Chiesa vive, e che si attua anche nella concordia delle iniziative e dell’azione pastorale. Con la mia presenza vengo a confermare quella comunione ecclesiale che ho visto costantemente accrescersi e rinsaldarsi. In particolare, ringrazio il Cardinale Presidente che, a nome di tutti, ha confermato la fraterna adesione e la cordiale comunione con il magistero e il servizio pastorale del Successore di Pietro, riaffermando così la singolare unità che lega la Chiesa in Italia alla Sede Apostolica. In questo clima di comunione si può nutrire proficuamente della Parola di Dio e della grazia dei sacramenti il popolo cristiano, che sperimenta il profondo inserimento nel territorio, il vivo senso della fede e la sincera appartenenza alla comunità ecclesiale: tutto ciò grazie alla vostra guida pastorale, al servizio generoso di tanti presbiteri e diaconi, di religiosi e fedeli laici che, con assidua dedizione, sostengono il tessuto ecclesiale e la vita quotidiana delle numerose parrocchie disseminate in ogni angolo del Paese.

Non ci nascondiamo le difficoltà che esse incontrano nel condurre i propri membri ad una piena adesione alla fede cristiana. Non a caso si invoca da varie parti un loro rinnovamento nel segno di una crescente collaborazione dei laici, e di una loro corresponsabilità missionaria.

Per queste ragioni avete voluto opportunamente approfondire nell’azione pastorale l’impegno missionario, che ha caratterizzato il cammino della Chiesa in Italia dopo il Concilio, mettendo al centro della riflessione della vostra assemblea il compito fondamentale dell’educazione. Come ho avuto modo a più riprese di ribadire, si tratta di una esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa, che oggi tende ad assumere i tratti dell’urgenza e, perfino, dell’emergenza. Avete avuto modo, in questi giorni, di ascoltare, riflettere e discutere sulla necessità di porre mano ad una sorta di progetto educativo che nasca da una coerente e completa visione dell’uomo quale può scaturire unicamente dalla perfetta immagine e realizzazione che ne abbiamo in Cristo Gesù.

È Lui il Maestro alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione alla quale ogni fedele, con diverse modalità, è chiamato. In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella «speranza affidabile» (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo. In riferimento a questo fondato atto d’amore per l’uomo può sorgere una alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale.

La conclusione, domenica prossima, del triennio dell’Agorà dei giovani italiani, che ha visto impegnata la vostra Conferenza in un percorso articolato di animazione della pastorale giovanile, costituisce un invito a verificare il cammino educativo in atto e a intraprendere nuovi progetti per una fascia di destinatari, quella delle nuove generazioni, estremamente ampia e significativa per le responsabilità educative delle nostre comunità ecclesiali e della società tutta. L’opera formativa, infine, si allarga anche all’età adulta, che non è esclusa da una vera e propria responsabilità di educazione permanente. Nessuno è escluso dal compito di prendersi a cura la crescita propria e altrui verso la «misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).

La difficoltà di formare autentici cristiani si intreccia fino a confondersi con la difficoltà di far crescere uomini e donne responsabili e maturi, in cui coscienza della verità e del bene e libera adesione ad essi siano al centro del progetto educativo, capace di dare forma ad un percorso di crescita globale debitamente predisposto e accompagnato. Per questo, insieme ad un adeguato progetto che indichi il fine dell’educazione alla luce del modello compiuto da perseguire, c’è bisogno di educatori autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia. In questo Anno paolino, che abbiamo vissuto nell’approfondimento della parola e dell’esempio del grande Apostolo delle genti, e che avete in vari modi celebrato nelle vostre Diocesi e proprio ieri tutti insieme nella Basilica di San Paolo fuori le mura, risuona con singolare efficacia il suo invito: «Fatevi miei imitatori» (1 Cor 11,1).

Un vero educatore mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel compito di educare coloro che gli sono affidati. Ne siamo consapevoli noi stessi, posti come guide in mezzo al popolo di Dio, ai quali l’apostolo Pietro rivolge, a sua volta, l’invito a pascere il gregge di Dio facendoci «modelli del gregge» (1 Pt 5,3).

Risulta pertanto singolarmente felice la circostanza che ci vede pronti a celebrare, dopo l’anno dedicato all’Apostolo delle genti, un Anno sacerdotale. Siamo chiamati, insieme ai nostri sacerdoti, a riscoprire la grazia e il compito del ministero presbiterale. Esso è un servizio alla Chiesa e al popolo cristiano che esige una profonda spiritualità. In risposta alla vocazione divina, tale spiritualità deve si nutrirsi della preghiera e di una intensa unione personale con il Signore per poterlo servire nei fratelli attraverso la predicazione, i sacramenti, una ordinata vita di comunità e l’aiuto ai poveri. In tutto il ministero sacerdotale risalta, in tal modo, l’importanza dell’impegno educativo, perché crescano persone libere e responsabili, cristiani maturi e consapevoli.

Non c’è dubbio che dallo spirito cristiano attinga vitalità sempre rinnovata quel senso di solidarietà che è profondamente radicato nel cuore degli italiani e trova modo di esprimersi con particolare intensità in alcune circostanze drammatiche della vita del Paese, ultima delle quali è stato il devastante terremoto che ha colpito talune aree dell’Abruzzo. Ho avuto modo, nella mia visita a quella terra tragicamente ferita, di rendermi conto di persona dei lutti, del dolore e dei disastri prodotti dal terribile sisma, ma anche della fortezza d’animo di quelle popolazioni insieme al movimento di solidarietà che si è prontamente avviato da tutte le parti d’Italia. Le nostre comunità hanno risposto con grande generosità alla richiesta di aiuto che saliva da quella regione sostenendo le iniziative promosse dalla Conferenza Episcopale tramite le Caritas. Desidero rinnovare ai Vescovi abruzzesi e, attraverso di loro, alle comunità locali l’assicurazione della mia costante preghiera e della perdurante affettuosa vicinanza.

Da mesi stiamo constatando gli effetti di una crisi finanziaria ed economica che ha colpito duramente lo scenario globale e raggiunto in varia misura tutti i Paesi. Nonostante le misure intraprese a vari livelli, gli effetti sociali della crisi non mancano di farsi tuttora sentire, e anche duramente, in modo particolare sulle fasce più deboli della società e sulle famiglie. Desidero pertanto esprimere il mio apprezzamento e incoraggiamento per l’iniziativa del fondo di solidarietà denominato “Prestito della speranza”, che avrà proprio domenica prossima un momento di partecipazione corale nella colletta nazionale, che costituisce la base del fondo stesso.

Questa rinnovata richiesta di generosità, che si aggiunge alle tante iniziative indette da numerose Diocesi, evocando il gesto della colletta promossa dall’apostolo Paolo a favore della Chiesa di Gerusalemme, è una eloquente testimonianza della condivisione dei pesi gli uni degli altri. In un momento di difficoltà, che colpisce in modo particolare quanti hanno perduto il lavoro, ciò diventa un vero atto di culto che nasce dalla carità suscitata dallo Spirito del Risorto nel cuore dei credenti. È un annuncio eloquente della conversione interiore generata dal Vangelo e una manifestazione toccante della comunione ecclesiale.

Una forma essenziale di carità su cui le Chiese in Italia sono vivamente impegnate è anche quella intellettuale. Ne è un esempio significativo l’impegno per la promozione di una diffusa mentalità a favore della vita in ogni suo aspetto e momento, con un’attenzione particolare a quella segnata da condizioni di grande fragilità e precarietà. Tale impegno è ben testimoniato dal manifesto “Liberi per vivere. Amare la vita fino alla fine”, che vede il laicato cattolico italiano concorde nell’operare affinché non manchi nel Paese la coscienza della piena verità sull’uomo e la promozione dell’autentico bene delle persone e della società. I “sì” e i “no” che vi si trovano espressi disegnano i contorni di una vera azione educativa e sono espressione di un amore forte e concreto per ogni persona. Il pensiero torna dunque al tema centrale della vostra assemblea - il compito urgente dell’educazione - che esige il radicamento nella Parola di Dio e il discernimento spirituale, la progettualità culturale e sociale, la testimonianza dell’unità e della gratuità.

Carissimi Confratelli, pochi giorni appena ci separano dalla solennità di Pentecoste, in cui celebreremo il dono dello Spirito che abbatte le frontiere e apre alla comprensione della verità tutta intera. Invochiamo il Consolatore che non abbandona chi a Lui si rivolge, affidandoGli il cammino della Chiesa in Italia e ogni persona che vive in questo amatissimo Paese. Venga su tutti noi lo Spirito di vita e accenda i nostri cuori col fuoco del suo infinito amore.

Di cuore benedico voi e le vostre comunità!


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR DANZANNOROV BOLDBAATAR,

NUOVO AMBASCIATORE DELLA MONGOLIA

PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Eccellenza,

sono lieto di porgerle un cordiale benvenuto mentre presenta le Lettere che l'accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Mongolia presso la Santa Sede. Grato per il saluto affettuoso che mi ha trasmesso da parte del suo Presidente, signor Nambaryn Enkhbayar, lo ricambio con i miei migliori auguri per la sua salute e il suo benessere. Assicuro lui e tutti i cittadini della Mongolia delle mie preghiere, mentre continuano a promuovere la pace e l'armonia sociale nel Paese e all'estero.

Sono grato, signor Ambasciatore, del fatto che lo spirito di cooperazione che ha contraddistinto i vincoli diplomatici fra la Mongolia e la Santa Sede sia stato così fecondo. Un riconoscimento esplicito e reciproco dei benefici ottenuti attraverso le relazioni diplomatiche ha preparato il terreno per l'instaurazione della Prefettura Apostolica di Ulaanbaatar, rendendo così possibile coordinare in maniera più efficace la cura pastorale dei cattolici in Mongolia e dando un nuovo impulso alle loro attività caritative per il bene di tutti i suoi concittadini. Un segno particolare di questa feconda collaborazione è stata la dedicazione della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo nel luglio 2002, che si è svolta nella lieta occasione del decimo anniversario dell'instaurazione dei vincoli diplomatici fra la Mongolia e la Santa Sede. Desidero esprimere personalmente la mia profonda gratitudine per tutto ciò che il governo e le autorità civili fecero per rendere possibile quell'evento storico. Non solo ha contribuito a creare un senso di unità fra i fedeli cattolici nel suo Paese e i credenti nel resto del mondo, ma ha anche reso una chiara testimonianza del rispetto di vecchia data della Mongolia per la libertà religiosa. Questo fondamentale diritto umano, consacrato nella Costituzione della Mongolia e sostenuto dai suoi cittadini in quanto conduce al pieno sviluppo della persona umana, permette loro di cercare la verità, impegnarsi nel dialogo e compiere il proprio dovere di rendere gloria a Dio, liberi da qualsiasi coercizione indebita.

L'opportunità per i fedeli di differenti religioni di parlarsi e di ascoltarsi ha un ruolo vitale nel rafforzamento della famiglia umana. Lei, signor Ambasciatore, ha fatto riferimento all'iniziativa coraggiosa di Chinggis Khan nel tredicesimo secolo, che invitò musulmani, cristiani, buddisti e taoisti a vivere insieme nelle steppe della Mongolia:  un gesto che continua a trovare espressione nell'apertura del popolo mongolo, che tiene in grande considerazione i costumi religiosi tramandati di generazione in generazione e che mostra un rispetto profondo per tradizioni diverse dalle proprie. Questa serietà religiosa è stata particolarmente evidente quando la Mongolia è emersa da anni di oppressione sotto un regime totalitario. In questo tempo di pace e di stabilità maggiori, incoraggio sinceramente la creazione di spazi che facilitino lo scambio amichevole di idee sulla religione e sul modo in cui contribuisce al bene della società civile. Le persone che praticano la tolleranza religiosa hanno l'obbligo di condividere la saggezza di questo principio con l'umanità intera, cosicché tutti gli uomini e tutte le donne possano percepire la bellezza della coesistenza tranquilla e abbiano il coraggio di edificare una società che rispetti la dignità umana e agisca secondo l'ordine divino di amare il prossimo (cfr. Marco, 12, 32).

Eccellenza, questo spirito di cooperazione fraterna servirà alla Mongolia nella sua lotta per raggiungere obiettivi di sviluppo nei prossimi anni. Come ha osservato, fra i primi vi è la riduzione della povertà e della disoccupazione. Questi obiettivi sono posti in un ambito di generale crescita economica ed equa distribuzione dei beni che il suo Paese desidera sostenere sul lungo periodo. I valori di correttezza e di fiducia sul mercato sostenuti dal popolo mongolo sono un fondamento saldo per raggiungere questi obiettivi. I criteri per elaborare programmi a questo fine devono riflettere la giustizia sia sociale sia commutativa (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 303). Devono tener conto del valore oggettivo dell'opera resa, della dignità dei soggetti che la eseguono, delle necessità diverse dei cittadini e del merito che giustamente corrisponde alla qualità del lavoro svolto (cfr. Centesimus annus, n. 35).

La Mongolia è un Paese che riconosce che il benessere umano non può essere misurato solo in termini di ricchezza. Il conseguimento dell'educazione, di cui abilità letterarie e artistiche sono indicatori affidabili, è anche una caratteristica essenziale di una società florida. Apprezzo che il suo Paese abbia evidenziato la necessità di estendere le opportunità educative per il miglioramento di tutto il suo popolo. Di certo, i sistemi di istruzione non devono trascurare la formazione tecnologica che permette agli studenti di acquisire e mantenere un'occupazione remunerativa in quest'epoca di rapida globalizzazione e di progresso tecnologico. Al contempo, un'educazione integrale riguarda l'uomo nella sua interezza e non solo nella sua capacità di produrre. In particolare, i giovani meritano una formazione spirituale e intellettuale completa che apra loro gli occhi sulla dignità di ogni persona umana e li spinga a coltivare le virtù necessarie a porsi al servizio di tutta l'umanità. Quindi, incoraggio le iniziative intraprese dal suo governo per potenziare l'accesso all'educazione e per sostenerla con una chiara idea di ciò che è autenticamente bene per gli esseri umani.

Da parte sua, la comunità cattolica, sebbene ancora piccola in Mongolia, è orgogliosa di offrire la sua assistenza nella promozione del dialogo interreligioso e dello sviluppo, nell'ampliamento delle opportunità educative e nel raggiungimento dei nobili obiettivi che rafforzano la solidarietà della famiglia umana e si rivolgono all'azione del divino nel mondo. Pur riconoscendo la dovuta autonomia della comunità politica, la Chiesa cattolica è obbligata a cooperare con la società civile in modi adatti alle circostanze del tempo e del luogo in cui le due si trovano a vivere insieme.

Quindi la ringrazio, signor Ambasciatore, per la cordiale rassicurazione circa il desiderio della Mongolia di basarsi sui risultati delle relazioni diplomatiche fra la sua nazione e la Santa Sede. All'inizio della sua missione, la assicuro che i vari uffici della Curia Romana saranno i primi ad assisterla nello svolgimento dei suoi doveri e invoco le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente su di lei, sui membri della sua famiglia e su tutti i cittadini della Mongolia.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA LA SIGNORINA CHITRA NARAYANAN,
NUOVA AMBASCIATRICE DELL'INDIA
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Signora Ambasciatore,

sono lieto di accoglierla oggi e di accettare le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica dell'India presso la Santa Sede. Ringraziandola per le parole cordiali con le quali si è rivolta a me a nome e in vece del Governo, le chiedo di ricambiare con i miei saluti deferenti Sua Eccellenza la signora Pratibha Patil, presidente della Repubblica, e il rieletto primo Ministro, Sua Eccellenza il signor Manmohan Singh, assicurandoli delle mie preghiere per il loro benessere e per quello di tutto il popolo indiano.

L'India è una terra fertile dalla saggezza antica. Il suo popolo, che rappresenta molte religioni e culture, è sensibile alla necessità di consapevolezza, integrità e coesistenza armoniosa con il proprio prossimo per il benessere generale personale e sociale. L'immensa varietà presente entro i confini dell'India offre una vasta gamma di possibilità di dialogo fra filosofie e tradizioni religiose, intente a studiare le questioni più profonde della vita. Coltivare questo dialogo non solo arricchisce la sua nazione, ma serve come esempio per le altre nazioni in tutta l'Asia, di fatto in tutto il mondo.

Nonostante le difficoltà finanziarie che attualmente tutta la comunità globale deve affrontare, l'India ha compiuto notevoli progressi negli ultimi anni. Altre nazioni hanno tratto ispirazione dalla diligenza, dall'ingegnosità umana e dalla perspicacia che hanno contribuito alla crescita del suo Paese. Una maggiore prosperità richiede una più elevata vigilanza per garantire che i poveri siano protetti dallo sfruttamento da parte dei meccanismi sfrenati dell'economia, che spesso tendono a beneficare solo pochi. Questo è il motivo che anima l'ambizioso programma di lavoro rurale del suo Paese che è stato elaborato per aiutare gli svantaggiati, in particolare i poveri delle zone rurali, a procurarsi la sussistenza partecipando a progetti di costruzione e ad altre iniziative di cooperazione. Questi programmi dimostrano che il lavoro non è mai un mero prodotto, ma una attività umana. Essi vanno realizzati in modo da sostenere la dignità umana e rifiutare qualsiasi tentazione di favoritismo, corruzione o frode.

Il principio di sussidiarietà ha un valore particolare a questo proposito. Una società che permette a organizzazioni subordinate di svolgere le loro corrette attività, incoraggia i cittadini a partecipare attivamente all'edificazione del bene comune, ponendosi al servizio di altri e impegnandosi ad appianare le differenze secondo giustizia e pacificamente.

La sussidiarietà presuppone e promuove la responsabilità individuale nell'unirsi a tutti i membri della società per ricercare il bene degli altri come il proprio. Sebbene le strutture burocratiche siano necessarie, bisogna sempre ricordare che i vari livelli di governo, nazionale, regionale e locale, sono orientati al servizio dei cittadini, perché essi stessi sono amministrati da cittadini.

I sistemi di governo democratici devono essere controllati da una vasta partecipazione sociale. Avendo di recente vissuto un'importante tornata elettorale, l'India ha mostrato al mondo che questo processo democratico chiave non solo è possibile, ma può anche essere condotto in un'atmosfera di civiltà e di pace. Mentre i nuovi eletti affrontano le varie sfide, confido nel fatto che lo stesso spirito di paziente cooperazione prevalga, sostenendoli nella loro grande responsabilità di redigere bozze di legge e deliberare politiche sociali. Che siano pronti a subordinare interessi particolari, ponendoli nel contesto più ampio del bene comune che è un obiettivo essenziale e indispensabile di autorità politica (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 409).

Signora Ambasciatore, come Sommo Pastore della Chiesa cattolica, mi unisco ai responsabili religiosi e governativi del mondo che condividono il desiderio comune che tutti i membri della famiglia umana godano della libertà di praticare la religione e di impegnarsi nella vita civile senza timore di ripercussioni negative a motivo del loro credo. Quindi non posso non esprimere la mia profonda preoccupazione per i cristiani che hanno sofferto per lo scoppio di violenza in alcune aree dell'India. Oggi, ho l'opportunità di esprimere il mio apprezzamento per gli sforzi che il suo Paese ha compiuto per gli afflitti, offrendo loro riparo e assistenza, conforto e riabilitazione, così come per le misure prese per condurre indagini e celebrare processi equi al fine di risolvere questi problemi. Esorto tutti a mostrare rispetto per la dignità umana rifiutando l'odio e rinunciando alla violenza in tutte le sue forme.

Da parte sua, la Chiesa cattolica nel suo Paese continuerà a svolgere un ruolo di promozione della pace, dell'armonia e della riconciliazione fra seguaci di tutte le religioni, in particolare attraverso l'educazione e la formazione nelle virtù della giustizia, della tolleranza e della carità. Infatti, questo è un obiettivo intrinseco a tutte le forme autentiche di educazione perché, in conformità con la dignità della persona umana e con la chiamata di tutti gli uomini e di tutte le donne a vivere in comunità, mirano ad alimentare virtù morali e a preparare i giovani ad abbracciare le proprie responsabilità sociali con una sensibilità raffinata per ciò che è buono, giusto e nobile.

Signora Ambasciatore, mentre assume le sue responsabilità nell'ambito della comunità diplomatica accreditata presso la Santa Sede, le porgo i miei buoni auspici per il felice esito della sua alta missione. Sia certa che i vari uffici e dicasteri della Curia Romana saranno sempre pronti ad assisterla. Su di lei e sull'amato popolo dell'India invoco abbondanti benedizioni divine.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR CHARLES BORROMÉE TODJINOU,
NUOVO AMBASCIATORE DEL BENIN
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Signor Ambasciatore,

Sono lieto di accoglierla in Vaticano mentre presenta le Lettere che l'accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario del Benin presso la Santa Sede. Le esprimo la mia gratitudine per le cortesi parole che mi ha rivolto e anche per il messaggio cordiale che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza il signor Boni Yayi, presidente della Repubblica. In cambio, nel felice ricordo della visita che mi ha reso in Vaticano, le sarei riconoscente se potesse trasmettergli i miei ringraziamenti e assicurarlo dei miei voti cordiali per tutta la nazione, affinché progredisca con coraggio lungo le vie dello sviluppo umano e spirituale.

Come lei ha osservato nel suo discorso, signor Ambasciatore, l'attuale crisi finanziaria mondiale rischia di compromettere i meritori sforzi compiuti da numerosi Paesi per il loro sviluppo. È così più che mai necessario che tutte le componenti della nazione lavorino insieme al servizio del bene comune. Ciò esige pertanto che s'instauri una democrazia autentica, fondata su una concezione corretta della persona umana. Nel corso degli ultimi anni, il suo Paese si è impegnato coraggiosamente lungo questo cammino, con il particolare sostegno della Chiesa cattolica e di altre componenti religiose. Lo sviluppo di un simile processo di democratizzazione è una garanzia per la pace sociale, per la stabilità e l'unità del Paese, se si basa sulla dignità di ogni persona, sul rispetto dei diritti dell'uomo e sul "bene comune", accettato come fine e criterio per regolare la vita politica (cfr. Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 407). In questa prospettiva, l'instaurarsi di un dialogo sincero fra le persone e fra le istituzioni è molto importante.

Desidero rendere omaggio anche all'impegno del suo Paese a favore del consolidamento della pace e della stabilità in diverse regioni del mondo. Questo segno di solidarietà verso nazioni provate, soprattutto in Africa, è un contributo notevole per la promozione dei valori di bene, di verità e di giustizia e per la difesa di vite innocenti. La ricerca della pace e della riconciliazione è una grave responsabilità per quanti hanno il compito di guidare le nazioni, poiché la violenza, che non risolve mai i problemi, è un attacco inaccettabile alla dignità dell'uomo.

La sua presenza qui questa mattina, signor Ambasciatore, testimonia le buone relazioni esistenti fra il Benin e la Santa Sede. In tale contesto, mi permetta di ricordare l'opera eminente svolta dal cardinale Bernardin Gantin, dalla cui vita la comunità cattolica del Paese ha ricevuto un impulso particolare e la cui personalità è sempre rispettata e ammirata da tutti gli abitanti del Benin. Possa il suo impegno generoso verso la Chiesa, il Benin e l'Africa, restare per molti suoi concittadini un esempio di abnegazione e di dono di sé per gli altri!

Come lei ha sottolineato, Eccellenza, il Benin è una terra d'accoglienza, di ospitalità e di tolleranza. Radicata fra il popolo del Benin da molti anni, la Chiesa cattolica prosegue l'opera intrapresa al servizio della nazione, offrendo così il proprio contributo allo sviluppo del Paese in numerosi ambiti, in particolare in quelli dell'educazione, della salute e della promozione umana. Intende in tal modo associarsi allo sforzo nazionale affinché ognuno, e ogni famiglia, possa vivere nella dignità. Questa partecipazione della Chiesa alla vita sociale è una parte importante della sua missione. In effetti, poiché desidera annunciare e rendere attuale il Vangelo nel cuore delle relazioni sociali, la Chiesa non può restare indifferente davanti ad alcune realtà che costituiscono la vita degli uomini. Sono pertanto lieto di sapere che queste opere della Chiesa sono apprezzate dalla popolazione e che godono anche del sostegno delle Autorità.

Lo sviluppo di relazioni armoniose fra i cattolici e i membri delle altre religioni, che nel vostro Paese sono generalmente fatte di comprensione reciproca, è a sua volta da incoraggiare. Le diversità culturali o religiose devono permettere un arricchimento qualitativo di tutta la società. Come ho avuto occasione di dire di recente, "insieme dobbiamo mostrare, con il rispetto reciproco e la solidarietà, che ci consideriamo membri di un'unica famiglia: la famiglia che Dio ha amato e riunito dalla creazione del mondo fino alla fine della storia umana" (Discorso ai partecipanti al Forum cattolico-musulmano, 6 novembre 2008). È dunque auspicabile che una conoscenza reciproca sempre più vera e lucida consenta l'espressione di un'intesa sui valori fondamentali, soprattutto su quelli che concernono la tutela e la promozione della vita e della famiglia, come pure una cooperazione in tutto ciò che promuove il benessere comune.

Mi permetta, signor Ambasciatore, di salutare attraverso di lei la comunità cattolica del suo Paese, unita attorno ai suoi vescovi. Auspico che i cattolici siano in mezzo al popolo del Benin semi di speranza e di pace. Li invito a collaborare con tutti per edificare una società sempre più solidale e fraterna.

Signor Ambasciatore, in questo giorno in cui lei inizia la sua missione presso la Sede Apostolica, le formulo i miei voti migliori di successo e le assicuro che troverà sempre presso i miei collaboratori comprensione e sostegno per il suo felice compimento.

Invoco di tutto cuore sulla sua persona, sulla sua famiglia, sui suoi collaboratori e anche su tutto il popolo del Benin e i suoi dirigenti, l'abbondanza delle Benedizioni dell'Onnipotente.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR ROBERT CAREY MOORE-JONES,
NUOVO AMBASCIATORE DI NUOVA ZELANDA
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Signor Ambasciatore,

Sono lieto di darle il benvenuto in Vaticano e di accettare le Lettere credenziali con cui viene nominato Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Nuova Zelanda presso la Santa Sede. Le chiedo di voler gentilmente trasmettere al Governatore generale, al primo Ministro John Key e al suo Governo, nonché a tutto il popolo della Nuova Zelanda, i miei sinceri buoni auspici e di assicurarli delle mie preghiere per il benessere del Paese.

L'impegno della Chiesa nella società civile è radicato nella sua convinzione che il progresso umano autentico - sia per gli individui sia per le comunità - dipende dal riconoscimento della dimensione spirituale propria di ogni persona. È da Dio che gli uomini e le donne ricevono la loro dignità fondamentale (cfr. Genesi, 1, 27) e la capacità di trascendere gli interessi particolari per cercare la verità e le bontà al fine di trovare uno scopo e un significato nella vita. Questa ampia prospettiva costituisce la struttura entro la quale è possibile contrastare ogni tendenza ad adottare condotte superficiali nella politica sociale che affrontino solo i sintomi delle tendenze negative nella vita delle famiglie e delle comunità invece delle loro cause. Infatti, quando il cuore spirituale dell'umanità viene portato alla luce, le persone sono spinte a superare se stesse per riflettere su Dio e sulle meraviglie della vita umana:  l'essere, la verità, la bellezza, i valori morali e i rapporti che rispettano la dignità altrui. In questo modo si può trovare un solido fondamento per unire la società e sostenere una visione comune di speranza.

I giovani di Aotearoa sono giustamente noti per la loro generosità e per il loro senso acuto di ciò che è giusto. Apprezzando i molti privilegi che vengono loro offerti, prontamente s'impegnano nel volontariato e nel servizio al prossimo, cogliendo al contempo le vaste opportunità loro concesse per la propria realizzazione personale e per il loro sviluppo culturale e accademico. La Giornata mondiale della gioventù, celebrata per la prima volta in Oceania lo scorso anno, mi ha dato l'opportunità di conoscere un po' lo spirito delle migliaia di giovani neozelandesi che vi hanno partecipato. Prego affinché questa nuova generazione di cristiani in Nuova Zelanda incanali il suo entusiasmo per forgiare amicizie al di là delle divisioni e creare luoghi in cui vivere la fede nel e per il nostro mondo, ambienti di speranza e di carità pratica. Così facendo essi sono in grado di aiutare gli altri giovani che possono essere ingannati dal miraggio di false promesse di felicità e di appagamento o che si trovano a lottare ai margini della società.

Eccellenza, la diversità culturale porta grande ricchezza al tessuto sociale della Nuova Zelanda oggi. La crescente presenza nella vostra terra di comunità di migranti di diverse tradizioni religiose, insieme a una partecipazione sempre maggiore del Governo alle questioni riguardanti il Pacifico e l'Asia, ha aumentato la consapevolezza dei frutti che si possono ottenere attraverso il dialogo interreligioso. Infatti, non molto tempo fa, la sua nazione ha ospitato il Terzo Dialogo Interconfessionale Regionale di Asia e Pacifico nella località storica di Waitangi. Tuttavia, alcuni continuano a mettere in discussione il ruolo della religione nella sfera pubblica e faticano a immaginare come potrebbe servire la società, specialmente in una cultura profondamente secolare. Naturalmente tutto ciò fa aumentare la responsabilità dei credenti di rendere testimonianza del significato del rapporto fondamentale di ogni uomo e di ogni donna con Dio, a immagine del quale sono stati creati.

Quando il dono di Dio della ragione umana viene esercitato riguardo alla verità che egli ci rivela, i nostri poteri di riflessione vengono arricchiti di sapienza, andando dunque oltre l'empirico e il frammentario, e in tal modo danno espressione alle nostre aspirazioni umane comuni più profonde. Così, il dibattito pubblico, invece di rimanere intrappolato nello stretto orizzonte di particolari gruppi di interesse, viene allargato e reso responsabile della fonte autentica del bene comune e della dignità di ogni membro della società. Lungi dal costituire una minaccia alla tolleranza delle differenze o alla pluralità culturale, la verità rende possibile il consenso, assicura che le scelte politiche siano determinate da principi e valori e arricchisce la cultura con tutto ciò che è buono, edificante e giusto.
 

L'attività diplomatica della Nuova Zelanda, predominante nel Pacifico e considerevole in Asia e oltre, è caratterizzata da un forte impegno a favore della giustizia e della pace, del buon governo, di uno sviluppo economico sostenibile e della promozione dei diritti umani. La vostra generosa offerta di personale nelle attività per il mantenimento della pace può essere constatata dalle Isole Salomone al Sudan, e fra le iniziative innovative della Nuova Zelanda nel campo degli aiuti esteri un importante esempio recente è quello dello sviluppo del turismo ecologico in Afghanistan. Come lei Eccellenza ha ricordato, la Santa Sede ha collaborato strettamente con la Nuova Zelanda nell'elaborazione della Convenzione per la messa al bando delle munizioni a grappolo; un risultato che illustra bene il bisogno di un'etica che derivi dalla verità della persona umana perché sia al centro di tutti i rapporti internazionali, compresi quelli di difesa.

Signor Ambasciatore, la Chiesa cattolica in Nuova Zelanda continua a fare tutto il possibile per mantenere le fondamenta cristiane della vita civile. È profondamente coinvolta nella formazione spirituale e intellettuale dei giovani, specialmente attraverso le sue scuole. Inoltre il suo lavoro caritativo si estende a quanti vivono ai margini della società e sono fiducioso che, attraverso la sua missione di servizio, risponderà con generosità alle nuove sfide sociali che man mano si presentano. A questo riguardo, desidero cogliere l'opportunità per esprimere la mia vicinanza spirituale a quelle famiglie in Nuova Zelanda che, come altre nel mondo, stanno soffrendo per gli effetti dell'attuale incertezza economica. Penso in particolare a quanti hanno perso il proprio lavoro e ai giovani che hanno difficoltà a ottenere un impiego.

Eccellenza, sono certo che la sua nomina servirà a rafforzare ulteriormente i vincoli di amicizia che già esistono tra la Nuova Zelanda e la Santa Sede. Mentre assume le sue nuove responsabilità, potrà constatare che i numerosi uffici della Curia Romana sono pronti ad assisterla nell'adempimento dei suoi doveri. Su di lei e sui suoi concittadini invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio Onnipotente.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR GEORGE JOHANNES,
NUOVO AMBASCIATORE DEL SUD AFRICA
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Eccellenza,

È un piacere per me darle il benvenuto in Vaticano e ricevere le Lettere credenziali che la accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica del Sud Africa preso la Santa Sede. La ringrazio per i gentili saluti e i sentimenti di buona volontà che ha espresso a nome del presidente Jacob Zuma. Li ricambio con piacere e le chiedo di voler trasmettere le mie congratulazioni e i miei buoni auspici a Sua Eccellenza mentre assume le funzioni di Presidente, nonché alle autorità civili e al popolo del suo Paese.

La transizione rapida e pacifica del Sud Africa a un governo democratico è stata largamente acclamata e la Santa Sede ha seguito con interesse e incoraggiamento questa fase storica di cambiamento. Nessuno può dubitare che molti meriti per i progressi realizzati vadano attribuiti alla straordinaria maturità politica e alle qualità umane dell'ex presidente Nelson Mandela. Egli è stato promotore di perdono e di riconciliazione e gode di grande rispetto nel suo Paese e presso la comunità internazionale. Le chiedo di volergli gentilmente trasmettere i miei auguri personali per la sua salute e il suo benessere. Desidero anche rendere merito al contributo di tutti quegli uomini e quelle donne straordinari, la cui integrità, rispecchiata dal loro atteggiamento onesto verso il lavoro, ha contribuito a porre le fondamenta per un futuro di pace e di prosperità per tutti.

Le dimensioni del territorio, la sua popolazione, le sue risorse economiche e la generosità del suo popolo fanno del Sud Africa uno dei Paesi più influenti del continente. Ciò gli offre un'opportunità unica per sostenere altri Paesi africani nei loro sforzi di raggiungere la stabilità e il progresso economico. Avendo superato l'isolamento collegato al periodo dell'apartheid, attingendo però alla propria esperienza dolorosa, il suo Paese ha compiuto sforzi lodevoli per favorire la riconciliazione in altre terre attraverso le sue forze per il mantenimento della pace e le sue iniziative diplomatiche. Paesi come il Rwanda, l'Angola, il Mozambico, il Malawi e lo Zimbabwe hanno beneficiato di questa assistenza. Incoraggio il Sud Africa a rafforzare il suo impegno nel nobile compito di assistere altre nazioni sulla via della pace e della riconciliazione e, soprattutto in questi tempi economicamente difficili, a continuare a utilizzare le sue notevoli risorse umane e materiali in modi che portino al buon governo e alla prosperità dei Paesi vicini.

Indubbiamente vi sono molte sfide su questo cammino, non ultima il gran numero di profughi nella regione. Sono tuttavia fiducioso che sia possibile continuare ad affrontare queste difficoltà con lo stesso spirito di solidarietà e di generosità già dimostrato da sudafricani.

Signor Ambasciatore, lei ha parlato di alcune delle sfide sociali che si presentano al suo Paese e dell'elaborazione di piani per farvi fronte. Una persistente povertà e la mancanza di servizi di base e di possibilità d'impiego sono presenti in alcune aree e hanno suscitato molti altri problemi, tra cui la violenza e l'insicurezza, l'abuso di sostanze tossiche, le tensioni etniche e la corruzione. L'angoscia e l'aggressività causati dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla disgregazione delle famiglie rendono ancora più urgente la necessità che il Governo faccia fronte a queste difficoltà. A tale riguardo, mi rallegro nell'osservare gli sforzi compiuti per assicurare le condizioni necessarie per attirare gli investimenti internazionali e creare maggiori opportunità d'istruzione e di lavoro, specialmente per i giovani.

Eccellenza, nel suo discorso lei parla del grande conseguimento di un Governo democratico universale come fondamento per una vita migliore per tutti. Il popolo del Sud Africa ha mostrato grande coraggio morale e saggezza nel far fronte alle ingiustizie del passato. Sono fiducioso che nell'attuale lotta contro la povertà e la corruzione questo coraggio e questa saggezza prevarranno di nuovo. Il suo Governo sta giustamente promovendo lo sviluppo di servizi sanitari ed educativi, unitamente a uno sviluppo economico sostenibile, cercando di sradicare la povertà e di consolidare un clima di sicurezza. Le famiglie dovrebbero essere assistite nei loro bisogni e riconosciute come agenti indispensabili nella costruzione di una società sana, mentre i bambini e i giovani hanno il diritto di vedere esaudito il loro desiderio di una buona formazione, di attività extrascolastiche, e di avere garantita l'opportunità di inserirsi nel mondo del lavoro. La corruzione ha l'effetto di scoraggiare le iniziative commerciali e gli investimenti, oltre che di togliere ogni illusione alle persone. Il dinamismo che il Sud Africa ha introdotto nella lotta contro di essa è pertanto estremamente importante e deve essere riconosciuto e accolto da ogni cittadino. Spetta specialmente ai responsabili civili assicurare che la lotta per sradicare la corruzione sia sostenuta con imparzialità e accompagnata dal rispetto per un potere giudiziario indipendente e dallo sviluppo costante di una forza di polizia altamente professionale. Offro il mio incoraggiamento per questi difficili compiti e confido che gli ostacoli continueranno a essere superati.

La Chiesa cattolica è fiduciosa che i servizi da essa offerti negli ambiti dell'educazione, dei programmi sociali e dell'assistenza sanitaria hanno un impatto positivo sulla vita del Paese. Essa contribuisce alla fibra morale della società promuovendo l'integrità, la giustizia e la pace e insegnando il rispetto della vita dal concepimento fino alla morte naturale. In particolare, la Chiesa prende sul serio il suo ruolo nella campagna contro la diffusione del Hiv/Aids, enfatizzando la fedeltà all'interno del matrimonio e l'astinenza al di fuori di esso. Al contempo offre grande assistenza a livello pratico alle persone affette da questa malattia nel suo continente e in tutto il mondo. Incoraggio le persone e le istituzioni della sua nazione a continuare a offrire sostegno, sia nel Paese sia nella regione, a tutti coloro che cercano di alleviare la sofferenza umana attraverso la ricerca, l'assistenza pratica e il sostegno spirituale.

Signor Ambasciatore, le auguro ogni successo nella sua missione e l'assicuro della pronta cooperazione dei dicasteri della Curia Romana. Possa Dio Onnipotente concedere a lei, Eccellenza, alla sua famiglia e alla nazione che rappresenta, abbondanti benedizioni di benessere e di pace!


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR BEYON LUC ADOLPHE TIAO,
NUOVO AMBASCIATORE DEL BURKINA FASO
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Signor Ambasciatore,

è con piacere che la accolgo mentre presenta le Lettere che la accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario del Burkina Faso presso la Santa Sede. La ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto e anche per i voti deferenti che mi ha trasmesso da parte di Sua Eccellenza il signor Blaise Compaoré, presidente della Repubblica. In cambio vorrà farsi interprete della mia alta considerazione per la sua persona e per il popolo del Burkina Faso, al quale auspico di vivere nella pace e nella fraternità.

Signor Ambasciatore, la crisi economica che il mondo sta attualmente vivendo rende ancora più fragili le economie africane e le famiglie vedono aumentare le proprie difficoltà, soprattutto a causa dell'incremento della povertà, della disoccupazione e delle malattie. In tale contesto alcuni giovani sono anche costretti ad andare lontano dal proprio Paese per cercare un futuro migliore e per aiutare le loro famiglie. Auspico vivamente che si stabilisca un'autentica solidarietà fra i Paesi industrializzati e quelli più poveri. È particolarmente necessario in momenti di crisi che l'aiuto allo sviluppo non diminuisca, ma che le promesse fatte in più di un'occasione siano effettivamente mantenute. Tuttavia, come ho avuto occasione di dire nel mio recente viaggio in Africa, "gli stessi africani, lavorando insieme per il bene della loro comunità, devono essere gli agenti primari del loro sviluppo" (Luanda, 20 marzo 2009). Si potranno così prendere in considerazione gli autentici valori dei popoli africani e si potrà evitare che siano meri destinatari di schemi elaborati da altri. In questa prospettiva, mi rallegro del servizio importante reso dalla Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel, che ha da poco celebrato a Ouagadougou il venticinquesimo anniversario della sua esistenza. Essa è un segno eloquente della solidarietà della Chiesa cattolica verso i Paesi del Sahel particolarmente colpiti dalla siccità, dalla fame e dalla desertificazione, e della sua effettiva partecipazione alla lotta contro quei mali che costituiscono una minaccia per una vita degna della popolazioni.

Affinché un reale sviluppo della società possa realizzarsi, il ripristino della concordia e della sicurezza nella regione, al quale il vostro Paese è particolarmente attento, è di fondamentale importanza. I risultati già ottenuti mostrano che solo attraverso un dialogo paziente si possono risolvere le controversie e si possono instaurare la pace e la giustizia. Desidero incoraggiare gli uomini e le donne amanti della pace e in particolare le persone che hanno responsabilità nella società a proseguire con coraggio i loro sforzi affinché la stabilità e la tranquillità ritrovate permettano di rafforzare relazioni di fraternità e di solidarietà fra i popoli della regione, in una profonda fiducia reciproca.

Signor Ambasciatore, come lei ha sottolineato, attraverso le sue opere nel campo della sanità, dell'educazione o dell'azione sociale, la Chiesa cattolica è profondamente impegnata nella società del Burkina Faso. Attraverso il suo servizio alla popolazione, desidera contribuire, nel ruolo che le è proprio, a rispondere alle numerose e importanti sfide a cui le famiglie devono far fronte. Così la salvaguardia del valori familiari deve essere per tutti una preoccupazione importante, poiché la famiglia rappresenta il primo pilastro dell'edificio sociale. Di conseguenza le manifestazioni di uno sfaldamento del tessuto familiare non possono che portare a situazioni delle quali i bambini e i giovani saranno spesso le vittime. L'educazione e la formazione delle giovani generazioni sono a loro volta di fondamentale importanza per il futuro della Nazione. Dinanzi alle difficoltà della vita, è necessario che la società dia ai più giovani motivi per vivere e sperare.

Per contribuire all'edificazione della Nazione, il consolidamento dei vincoli di amicizia fra tutti i credenti è un compito che va portato avanti senza tregua. Mi rallegro in modo particolare per le buone relazioni e collaborazioni che, nel vostro Paese, mantengono da molti anni cristiani e musulmani. Ricercando una comprensione sempre migliore, nel rispetto reciproco, e rifiutando ogni forma di violenza e d'intolleranza, i credenti rendono a Dio una testimonianza eloquente e fanno progredire il bene comune.

Al termine di questo incontro, Signor Ambasciatore, desidero altresì salutare attraverso di lei i vescovi del Burkina Faso e anche tutti i membri della comunità cattolica, di cui conosco il dinamismo. Mentre ci prepariamo a celebrare la seconda Assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, li invito in modo particolare a ricordare nella preghiera la preparazione e lo svolgimento di questo grande evento ecclesiale e a essere, in collaborazione con tutti i loro concittadini, artefici di riconciliazione, di giustizia e di pace.

Signor Ambasciatore, mentre inaugura la sua missione presso la Santa Sede, formulo i miei voti cordiali per il suo felice svolgimento. Auspicando che le relazioni armoniose che esistono fra il Burkina Faso e la Santa Sede proseguano e si sviluppino - la recente apertura di una Nunziatura apostolica a Ougadougou ne è un felice segno - la assicuro della disponibilità dei miei collaboratori, presso i quali troverà sempre un'accoglienza attenta e una comprensione cordiale.

Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e sui suoi collaboratori dell'Ambasciata, come pure sui responsabili e su tutti gli abitanti del Burkina Faso, chiedo all'Onnipotente di effondere l'abbondanza dei suoi Benefici.

 


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR NEVILLE MELVIN GERTZE,
NUOVO AMBASCIATORE DI NAMIBIA
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Eccellenza,

è con piacere che la accolgo in Vaticano e ricevo le Lettere che la accreditano quale Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica di Namibia presso la Santa Sede. La ringrazio per i saluti cortesi che ha espresso a nome del Presidente della Repubblica, il signor Hifikepunye Pohamba. La prego di trasmettergli la mia gratitudine e i miei buoni auspici. Desidero anche chiederle cortesemente di portare i miei saluti ai membri del Governo, alle autorità civili e a tutti i suoi concittadini.

Le relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e i singoli Paesi servono a creare un ambito in cui interessi comuni vengono soddisfatti e salvaguardati, e, al contempo, si creano opportunità per entrambe le parti di promuovere valori comuni ai livelli nazionale e internazionale. Sono soddisfatto della cooperazione che in così poco tempo ha prodotto molti risultati positivi per la Santa Sede e la Namibia.
 

Signor Ambasciatore, come sa bene, l'Africa offre un panorama vario di realtà politiche, economiche e sociali. Alcune di esse sono storie positive, altre non hanno soddisfatto le aspettative delle persone che tali iniziative intendevano servire. La Namibia ha una storia relativamente breve come membro della famiglia di nazioni indipendenti. I suoi concittadini e i loro funzionari eletti hanno tratto beneficio dall'osservare esempi di altri Paesi. Nel corso del tempo ciò ha portato a riconoscere la necessità di proteggere le risorse nazionali, minerarie e agricole, a controllare il loro sfruttamento razionale e a usarle per il bene comune. Gli sforzi per i processi di estrazione dell'uranio e della lavorazione dei diamanti sotto una vigilanza responsabile sono iniziative positive.
 
Infatti la trasparenza, le pratiche commerciali oneste e il buon governo sono essenziali per uno sviluppo economico sostenibile. Sono lieto di osservare che la Costituzione del suo Paese incorpora una chiara consapevolezza delle responsabilità ecologiche dello Stato. Mentre continuate a lottare per una distribuzione equa della ricchezza che offra maggiori possibilità di miglioramento per quanti sono meno fortunati, incoraggio la nazione a continuare lungo il cammino del rafforzamento del bene comune, consolidando le pratiche e le istituzioni democratiche e cercando giustizia per tutti.

Signor Ambasciatore, la Santa Sede confida nel fatto che il suo Paese possa contribuire a sviluppi positivi in Africa e nella comunità internazionale. A motivo di questa storia di indipendenza e integrazione pacifiche, della sua unità nella diversità, della sua gestione responsabile delle risorse naturali, la Namibia può essere da esempio per lo sviluppo di altri Paesi. È inoltre importante che la voce della Namibia venga fatta udire in incontri internazionali poiché le esigenze e le aspirazioni attuali delle persone del suo continente devono essere presentate oggettivamente e da una prospettiva africana, non soltanto secondo gli interessi di altri.
 

La Chiesa cattolica è lieta di esercitare la propria missione in un clima di libertà religiosa. Il contributo della Chiesa alla vita civile si può vedere non solo nei risultati ottenuti dai singoli cristiani o dalle singole istituzioni, ma anche nell'impatto del suo messaggio. Annunciando il Vangelo e incoraggiando atteggiamenti di fede, speranza e carità, la Chiesa invita a una vita virtuosa, sostenuta da quella forza spirituale e morale che deriva dalla fede e si esprime nell'integrità, nell'uso responsabile della libertà, nel rispetto e nella tolleranza degli altri. Le persone, in particolare i responsabili politici, economici e culturali, che sono ispirati, in un modo o nell'altro, da queste o da simili prospettive spirituali e morali contribuiscono al bene della società nelle sue dimensioni politiche, economiche e sociali.
 

La missione di evangelizzazione della Chiesa include una forte testimonianza di iniziative generose a favore dei bisognosi. Signor Ambasciatore, come ha detto nel suo discorso, la Chiesa nel suo Paese ha sviluppato nel corso degli anni una presenza diffusa di comunità e istituzioni di buona volontà, dedicate all'attenzione pastorale, all'educazione, all'istruzione professionale e alla sollecitudine per chi vive situazioni difficili. Attraverso scuole e centri di formazione specialistica, ospedali e istituzioni caritative la Chiesa esercita quell'amore del prossimo espresso chiaramente nel comandamento supremo. Prego affinché le istituzioni cattoliche del Paese continuino a offrire la loro esperienza per la promozione e lo sviluppo degli abitanti della Namibia in accordo con le necessità presenti e future.

So che una delle priorità del programma di governo è prestare maggiore attenzione alla salute della popolazione e, in particolare, alla cura dei malati di Hiv/Aids. In quest'area la Chiesa continuerà a offrire la propria assistenza volentieri. È convinta che solo una strategia basata sull'educazione alla responsabilità individuale nell'ambito di una visione morale della sessualità umana, in particolare attraverso la fedeltà coniugale, possa avere un impatto reale sulla prevenzione di questa malattia. La Chiesa è lieta di partecipare a questo compito, in particolare nel campo dell'educazione, in cui i giovani vengono formati come membri responsabili della società.

Signor Ambasciatore, ho espresso liberamente alcuni pensieri ispirati dall'attuale situazione del suo Paese, con amore per il suo popolo e fiducia nel futuro della Namibia. Desidero che la sua missione abbia successo e la invito ad avvalersi della cooperazione volontaria dei dicasteri della Curia Romana. Che Dio Onnipotente conceda a lei, Eccellenza, alla sua famiglia, alla nazione che rappresenta, abbondanti e durature benedizioni di benessere e di pace!


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR ROLF TROLLE ANDERSEN,
NUOVO AMBASCIATORE DI NORVEGIA
PRESSO LA SANTA SEDE


Venerdì, 29 maggio 2009

Eccellenza,

Sono lieto di porgerle il benvenuto in Vaticano e di accettare le Lettere che la accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario del Regno di Norvegia presso la Santa Sede. Desidero esprimere la mia gratitudine per i buoni auspici che porta da parte di re Harald V. Le chiedo di voler trasmettere a Sua Maestà i miei cordiali saluti e di assicurarlo delle mie costanti preghiere per tutto il popolo della sua nazione. È particolarmente opportuno che la cerimonia odierna, che segna un momento importante nelle nostre relazioni diplomatiche, avvenga in un tempo in cui stiamo per ricordare il ventesimo anniversario della storica visita di Papa Giovanni Paolo II ai Paesi scandinavi.

Non solo il suo Paese è benedetto da un livello notevole di prosperità, ma ha anche una lunga storia di aiuto agli altri Paesi meno fortunati. In seguito agli sconvolgimenti finanziari degli ultimi mesi, la Norvegia è stata rapida nell'offrire un'esperta assistenza ad altri Paesi per aiutarli a resistere alla tempesta, pur sperimentando anche lei la sua parte di difficoltà economiche conseguenti alla crisi. Nell'aprire le sue porte a un numero consistente di profughi e d'immigranti, per molti anni la Norvegia si è dimostrata un Paese generoso e accogliente. Come lei Eccellenza ha osservato, l'effetto di quest'affluire di persone sulla società norvegese, e specialmente sulla piccola comunità cattolica, è stato quello di introdurre una varietà culturale ed etnica molto più vasta. Ciò ha a sua volta suscitato riflessioni più profonde sui presupposti e sui valori che governano la vita in Norvegia oggi e sul suo posto nel mondo moderno.

"Beati gli operatori di pace". Queste parole di Gesù (Matteo, 5, 9) sono state prese molto a cuore dai norvegesi, la cui cultura è stata profondamente forgiata dalla sua millenaria storia cristiana. L'impegno della Norvegia a favore del mantenimento della pace è chiaramente illustrato dal suo coinvolgimento ad alto livello nell'Organizzazione delle Nazioni Unite, il cui primo Segretario Generale, Trygve Lie, era norvegese, proprio come molti alti funzionari attuali. La Santa Sede apprezza profondamente il contributo del suo Paese alla risoluzione dei conflitti in alcune delle zone più tormentate del mondo. Dallo Sri Lanka all'Afghanistan, dal Sudan alla Somalia, dal Ciad alla Repubblica Democratica del Congo, la Norvegia ha sempre fatto la sua parte, nei negoziati di pace, invitando le parti a rispettare il diritto internazionale, negli aiuti umanitari, contribuendo alla ricostruzione e al mantenimento della pace o promovendo la democrazia e fornendo consigli esperti riguardo alla costruzione dell'infrastruttura sociale. Essendo appena ritornato dalla mia Visita Apostolica in Terra Santa, sono particolarmente consapevole del lavoro fondamentale svolto dal suo Paese nel mediare negli accordi di pace tra Israele e l'Autorità palestinese. Spero e prego che lo spirito di riconciliazione e la ricerca di giustizia che hanno dato vita agli Accordi di Oslo alla fine prevalgano e portino una pace duratura ai popoli di quella tormentata regione.

Oltre a queste sollecitudini umanitarie, i norvegesi hanno preso molto a cuore le esigenze dell'ambiente naturale, ponendo particolare enfasi sullo sviluppo di risorse di energia rinnovabili e occupandosi delle cause e delle conseguenze dei cambiamenti climatici. Caratteristica della visione a lungo termine del suo Paese per il bene del pianeta e il benessere dei suoi abitanti è l'iniziativa del Global Seed Vault, inteso a garantire la sopravvivenza di innumerevoli varietà di vita vegetale, affinché specialmente le fonti alimentari vitali possano essere protette dal rischio di estinzione.

In tutte queste attività il suo Paese è spinto dai valori etici fondamentali di cui lei, Eccellenza, ha parlato, valori che sono radicati nella cultura cristiana della Norvegia, e che pertanto sono fondamentali per le prospettive e gli obiettivi che essa condivide con la Santa Sede. In meno di trent'anni di relazioni diplomatiche, tante cose sono state fatte. La stretta cooperazione tra la Santa Sede e il Regno di Norvegia - insieme ad altre nazioni - nel redigere e ratificare la recente convenzione che bandisce le munizioni a grappolo ne è un buon esempio. Attendo con piacere di sviluppare e rafforzare ulteriormente i nostri eccellenti rapporti in molti campi, al fine di promuovere la visione etica che condividiamo per costruire un mondo più umano e più giusto.

A livello interno, la comunità cattolica in Norvegia, per quanto piccola, è ansiosa di svolgere la sua parte nella vita nazionale e di far sentire la propria voce nei dibattiti pubblici. Ho menzionato prima la riflessione approfondita attualmente in corso sui presupposti e sui valori che governano la società norvegese, e qui la comunità cattolica, con il suo consistente patrimonio di dottrina sociale, può offrire un contributo prezioso. Come molti Paesi europei oggi, la Norvegia è sempre più chiamata a esaminare le implicazioni del diritto alla libertà religiosa nel contesto di una società liberale e pluralistica. Sono fiducioso che gli alti principi etici e la generosità tanto caratteristica dell'attività della Norvegia sulla scena internazionale prevarranno anche al suo interno, di modo che tutti i cittadini del suo Paese saranno liberi di praticare la propria religione e tutte le diverse comunità religiose saranno libere di regolare le loro questioni conformemente alle loro credenze e ai loro sistemi giuridici, dando in tal modo un contributo particolare al bene comune.

Eccellenza, nel farle i miei migliori auguri per il successo della sua missione, desidero assicurarla che i vari dicasteri della Curia Romana sono pronti a fornirle aiuto e sostegno nell'adempimento dei suoi doveri. Su di lei, Eccellenza, sulla sua famiglia e su tutto il popolo del Regno di Norvegia invoco di cuore le abbondanti benedizioni di Dio.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
AI NUOVI AMBASCIATORI
IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE COLLETTIVA
DELLE LETTERE CREDENZIALI


Venerdì, 29 maggio 2009

Eccellenze,

questa mattina, vi ricevo con gioia per la presentazione delle Lettere che vi accreditano come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari dei vostri Paesi presso la Santa Sede: la Mongolia, l'India, la Repubblica del Benin, la Nuova Zelanda, la Repubblica Sudafricana, il Burkina Faso, la Namibia e la Norvegia. Vi ringrazio per avermi trasmesso le cortesi parole dei vostri rispettivi capi di Stato. Vi chiedo gentilmente di trasmettere loro in cambio i miei saluti cordiali e i miei voti deferenti per le loro persone e per l'alta missione al servizio del loro Paese e dei loro popoli. Mi permetto altresì di salutare per mezzo di voi tutte le Autorità civili e religiose delle vostre nazioni, come pure i vostri concittadini. Le mie preghiere e i miei pensieri vanno in particolare alle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi. Siate certi che esse desiderano collaborare fraternamente all'edificazione nazionale apportando, al meglio delle loro possibilità, il loro contribuito specifico fondato sul Vangelo.

Signora e signori Ambasciatori, l'impegno al servizio della pace e il rafforzamento delle relazioni fraterne fra le nazioni è al centro della vostra missione di diplomatici. Oggi, nella crisi sociale ed economica che il mondo sta vivendo, è urgente prendere nuovamente coscienza che una lotta deve essere condotta, in modo efficace, per instaurare una pace autentica in vista della costruzione di un mondo più giusto e più prospero per tutti. In effetti, le ingiustizie spesso evidenti fra le nazioni, o al loro interno, come pure tutti i processi che contribuiscono a suscitare divisioni fra i popoli o a emarginarli, sono pericolosi attacchi alla pace e creano seri rischi di conflitto. Pertanto noi siamo tutti chiamati a offrire il nostro contributo al bene comune e alla pace, ognuno secondo le proprie responsabilità.

Come ho scritto nel mio Messaggio per la Giornata mondiale della pace, il primo gennaio scorso, "una delle strade maestre per costruire la pace è la globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana. Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale tra Paesi ricchi e quelli poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi" (n. 8). La pace si può costruire solo cercando con coraggio di eliminare le disuguaglianze generate da sistemi ingiusti, al fine di assicurare a tutti un livello di vita che permetta un'esistenza degna e prospera.
 

Tali disuguaglianze sono divenute ancora più evidenti a causa della crisi finanziaria ed economica attuale che si sta diffondendo attraverso vari canali nei Paesi a basso reddito. Mi limito a menzionarne alcuni: il riflusso degli investimenti esteri, il crollo della domanda delle materie prime e la tendenza al ribasso dell'aiuto internazionale. A ciò si aggiunge la diminuzione delle rimesse inviate alle famiglie rimaste nel proprio Paese da parte dei lavoratori emigrati, vittime della recessione che affligge anche i Paesi che li accolgono. Questa crisi si può trasformare in catastrofe umana per gli abitanti di molti Paesi deboli.

Quelli che vivevano già in una povertà estrema, sono i primi ad essere colpiti perché sono i più vulnerabili. Questa crisi fa anche cadere nella povertà persone che prima vivevano in modo decente, senza tuttavia essere agiate. La povertà aumenta e ha conseguenze gravi e a volte irreversibili. Così, la recessione generata dalla crisi economica può divenire una minaccia per l'esistenza stessa di innumerevoli individui. I bambini ne sono le prime vittime innocenti e bisogna proteggerli in modo prioritario. La crisi economica ha anche un altro effetto.

La disperazione che provoca porta alcune persone alla ricerca angosciata di una soluzione che permetta loro di sopravvivere quotidianamente. Questa ricerca è accompagnata, a volte purtroppo, da atti individuali o collettivi di violenza che possono condurre a conflitti interni che rischiano di destabilizzare ancora di più società indebolite. Per affrontare l'attuale situazione di crisi e trovarle una soluzione, alcuni Paesi hanno deciso di non diminuire il loro aiuto a quelli più minacciati, proponendosi al contrario di aumentarlo. Bisognerebbe che il loro esempio fosse seguito da altri Paesi industrializzati, al fine di permettere ai Paesi nel bisogno di sostenere la loro economia e di consolidare le misure sociali destinate a proteggere le popolazioni più bisognose. Faccio appello a una fraternità e solidarietà più grandi e a una generosità globale realmente vissuta. Questa condivisione esige dai Paesi industrializzati che ritrovino il senso della misura e della sobrietà nell'economia e nello stile di vita.

Signora e Signori Ambasciatori, voi non ignorate che nuove forme di violenza si sono manifestate in questi ultimi anni e che si fondano, purtroppo, sul Nome di Dio per giustificare pratiche pericolose. Conoscendo la debolezza dell'uomo, Dio non gli ha forse rivelato sul Sinai le seguenti parole: "Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano" (Esodo, 20, 7)?
Simili sconfinamenti hanno a volte portato a vedere nelle religioni una minaccia per le società. Queste vengono allora attaccate e screditate, sostenendo che non sono fattori di pace. I responsabili religiosi hanno il dovere di assistere i credenti e di illuminarli affinché possano progredire in santità e interpretare le parole divine nella verità. È opportuno dunque favorire l'emergere di un mondo in cui religioni e società possano aprirsi le une alle altre, e ciò grazie all'apertura che praticano al loro interno e fra di loro. Sarebbe offrire un'autentica testimonianza di vita.

Sarebbe creare uno spazio che renda il dialogo positivo e necessario. Apportando al mondo il suo contributo specifico, la Chiesa cattolica desidera rendere testimonianza di una visione positiva del futuro dell'umanità. Sono convinto "della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società" (
Discorso all'Eliseo, Parigi, 12 settembre 2008).

La vostra missione presso la Santa Sede, signora e signori Ambasciatori, è appena cominciata. Troverete presso i miei collaboratori il sostegno necessario per svolgerla bene. Formulo nuovamente i miei voti più cordiali per il buon esisto della vostra delicata funzione. Possa l'Onnipotente sostenere e assistere voi, i vostri cari, i vostri collaboratori e tutti i vostri concittadini! Che Dio vi colmi dell'abbondanza delle sue benedizioni!

 


 

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DIALOGO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
CON I
BAMBINI DELLA PONTIFICIA OPERA
 DELL'INFANZIA MISSIONARIA


Aula Paolo VI
Sabato, 30 maggio 2009

Prima domanda

Mi chiamo Anna Filippone, ho dodici anni, sono ministrante, vengo dalla Calabria, diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. Papa Benedetto, il mio amico Giovanni ha il babbo italiano e la madre ecuadoriana ed è molto felice. Pensi che le diverse culture un giorno potranno vivere senza litigare nel nome di Gesù?

Ho capito che volete sapere come noi, da bambini, abbiamo fatto ad aiutarci reciprocamente. Devo dire che ho vissuto gli anni della scuola elementare in un piccolo paese di 400 abitanti, molto lontano dai grandi centri. Eravamo quindi un po' ingenui e in questo paese c'erano, da una parte, agricoltori molto ricchi e anche altri meno ricchi ma benestanti, e, dall'altra, poveri impiegati, artigiani. La nostra famiglia poco prima dell'inizio della scuola elementare era arrivata in questo paese da un altro paese, quindi eravamo un po' stranieri per loro, anche il dialetto era diverso. In questa scuola, quindi, si riflettevano situazioni sociali molto diverse. Vi era tuttavia una bella comunione tra di noi. Mi hanno insegnato il loro dialetto, che io non conoscevo ancora. Abbiamo collaborato bene e, devo dire, qualche volta naturalmente anche litigato, ma dopo ci siamo riconciliati e abbiamo dimenticato quanto era avvenuto.

Questo mi sembra importante. Qualche volta nella vita umana sembra inevitabile litigare; ma importante resta, comunque, l'arte di riconciliarsi, il perdono, il ricominciare di nuovo e non lasciare amarezza nell'anima. Con gratitudine mi ricordo di come tutti abbiamo collaborato: uno aiutava l'altro e andavamo insieme sulla nostra strada. Tutti eravamo cattolici, e questo era naturalmente un grande aiuto. Così abbiamo imparato insieme a conoscere la Bibbia, cominciando dalla creazione fino al sacrificio di Gesù sulla croce, e poi anche gli inizi della Chiesa. Abbiamo imparato insieme il catechismo, abbiamo imparato insieme a pregare, ci siamo insieme preparati per la prima confessione, per la prima comunione: quello fu un giorno splendido. Abbiamo capito che Gesù stesso viene da noi e che Lui non è un Dio lontano: entra nella mia propria vita, nella mia propria anima. E se lo stesso Gesù entra in ognuno di noi, noi siamo fratelli, sorelle, amici e dobbiamo quindi comportarci come tali.

Per noi, questa preparazione sia alla prima confessione come purificazione della nostra coscienza, della nostra vita, e poi anche alla prima comunione come incontro concreto con Gesù che viene da me, che viene da noi tutti, sono stati fattori che hanno contribuito a formare la nostra comunità. Ci hanno aiutato ad andare insieme, a imparare insieme a riconciliarci quando era necessario. Abbiamo fatto anche piccoli spettacoli: è importante anche collaborare, avere attenzione l'uno per l'altro. Poi a otto o nove anni mi sono fatto chierichetto. In quel tempo non c'erano ancora le chierichette, ma le ragazze leggevano meglio di noi. Esse quindi leggevano le letture della liturgia, noi facevamo i chierichetti. In quel tempo erano ancora molti i testi latini da imparare, così ognuno ha avuto la sua parte di fatica da fare. Come ho detto, non eravamo santi: abbiamo avuto i nostri litigi, ma tuttavia c'era una bella comunione, dove le distinzioni tra ricchi e poveri, tra intelligenti e meno intelligenti non contavano.
 
Era la comunione con Gesù nel cammino della fede comune e nella responsabilità comune, nei giochi, nel lavoro comune. Abbiamo trovato la capacità di vivere insieme, di essere amici, e benché dal 1937, cioè da più di settanta anni, non sia più stato in quel paese, siamo restati ancora amici. Quindi abbiamo imparato ad accettarci l'un l'altro, a portare il peso l'uno dell'altro.

Questo mi sembra importante: nonostante le nostre debolezze ci accettiamo e con Gesù Cristo, con la Chiesa troviamo insieme la strada della pace e impariamo a vivere bene.

Seconda domanda

Mi chiamo Letizia e ti volevo fare una domanda. Caro Papa Benedetto XVI, cosa voleva dire per te quando eri ragazzo il motto: «I bambini aiutano i bambini»? Avresti mai pensato di diventare Papa?

A dire la verità, non avrei mai pensato di diventare Papa, perché, come ho già detto, sono stato un ragazzo abbastanza ingenuo in un piccolo paese molto lontano dai centri, nella provincia dimenticata. Eravamo felici di essere in questa provincia e non pensavamo ad altre cose. Naturalmente abbiamo conosciuto, venerato e amato il Papa — era Pio XI — ma per noi era a un'altezza irraggiungibile, un altro mondo quasi: un nostro padre, ma tuttavia una realtà molto superiore a tutti noi. E devo dire che ancora oggi ho difficoltà a capire come il Signore abbia potuto pensare a me, destinare me a questo ministero. Ma lo accetto dalle sue mani, anche se è una cosa sorprendente e mi sembra molto oltre le mie forze. Ma il Signore mi aiuta.

Terza domanda


Caro Papa Benedetto, io sono Alessandro. Volevo chiederti: tu sei il primo missionario, noi ragazzi come possiamo aiutarti ad annunciare il Vangelo?

Direi che un primo modo è questo: collaborare con la Pontificia Opera dell'Infanzia Missionaria. Così siete parte di una grande famiglia, che porta avanti il Vangelo nel mondo. Così appartenete a una grande rete. Vediamo qui come si rispecchia la famiglia dei popoli diversi. Voi state in questa grande famiglia: ognuno fa la sua parte e insieme siete missionari, portatori dell'opera missionaria della Chiesa. Avete un bel programma, indicato dalla vostra portavoce: ascoltare, pregare, conoscere, condividere, solidarizzare. Questi sono gli elementi essenziali che realmente sono un modo di essere missionario, di portare avanti la crescita della Chiesa e la presenza del Vangelo nel mondo. Vorrei sottolineare alcuni di questi punti.

Anzitutto, pregare. La preghiera è una realtà: Dio ci ascolta e, quando preghiamo, Dio entra nella nostra vita, diventa presente tra di noi, operante. Pregare è una cosa molto importante, che può cambiare il mondo, perché rende presente la forza di Dio. Ed è importante aiutarsi nel pregare: preghiamo insieme nella liturgia, preghiamo insieme nella famiglia. E qui direi che è importante cominciare la giornata con una piccola preghiera e poi anche finire il giorno con una piccola preghiera: ricordare i genitori nella preghiera. Pregare prima del pranzo, prima della cena, e in occasione della comune celebrazione della domenica. Una domenica senza la messa, la grande preghiera comune della Chiesa, non è una vera domenica: manca proprio il cuore della domenica e così anche la luce per la settimana. E potete aiutare anche gli altri — specialmente quando forse a casa non si prega, non si conosce la preghiera — insegnare agli altri a pregare: pregare con loro e così introdurre gli altri nella comunione con Dio.

Poi, ascoltare, cioè imparare realmente che cosa ci dice Gesù. Inoltre, conoscere la Sacra Scrittura, la Bibbia. Nella storia di Gesù impariamo — come ha detto il Cardinale — il volto di Dio, impariamo come è Dio. E’ importante conoscere Gesù profondamente, personalmente. Così egli entra nella nostra vita e, tramite la nostra vita, entra nel mondo.

E anche condividere, non volere le cose solo per se stessi, ma per tutti; dividere con gli altri. E se vediamo un altro che forse ha bisogno, che è meno dotato, dobbiamo aiutarlo e così rendere presente l'amore di Dio senza grandi parole, nel nostro personale piccolo mondo, che fa parte del grande mondo. E così diventiamo insieme una famiglia, dove uno ha rispetto per l'altro: sopportare l'altro nella sua alterità, accettare proprio anche gli antipatici, non lasciare che uno sia marginalizzato, ma aiutarlo a inserirsi nella comunità. Tutto questo vuol dire semplicemente vivere in questa grande famiglia della Chiesa, in questa grande famiglia missionaria: Vivere i punti essenziali come la condivisione, la conoscenza di Gesù, la preghiera, l'ascolto reciproco e la solidarietà è un'opera missionaria, perché aiuta a far sì che il Vangelo diventi realtà nel nostro mondo.


 

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CELEBRAZIONE MARIANA
PER LA CONCLUSIONE DEL MESE DI MAGGIO
IN VATICANO

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Giardini Vaticani
Sabato, 30 maggio 2009

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle,

vi saluto tutti con affetto, al termine della tradizionale veglia mariana, che conclude il mese di Maggio in Vaticano. Quest’anno essa ha acquistato un valore tutto speciale, perché cade alla vigilia di Pentecoste. Radunandovi insieme, spiritualmente raccolti intorno alla Vergine Maria, e contemplando i misteri del Santo Rosario, avete rivissuto l’esperienza dei primi discepoli, riuniti nel Cenacolo con “la madre di Gesù”, “perseveranti e concordi nella preghiera” in attesa della venuta dello Spirito Santo (cfr At 1,14). Anche noi, in questa penultima sera di maggio, dal colle Vaticano invochiamo l’effusione dello Spirito Paraclito su di noi, sulla Chiesa che è in Roma e su tutto il popolo cristiano.

La grande festa di Pentecoste ci invita a meditare sul rapporto tra lo Spirito Santo e Maria, un rapporto strettissimo, privilegiato, indissolubile. La Vergine di Nazaret fu prescelta per diventare la Madre del Redentore ad opera dello Spirito Santo: nella sua umiltà, trovò grazia agli occhi di Dio (cfr Lc 1,30). In effetti, nel Nuovo Testamento noi vediamo che la fede di Maria, per così dire, “attira” il dono dello Spirito Santo. Prima di tutto nel concepimento del Figlio di Dio, mistero che lo stesso arcangelo Gabriele spiega così: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” (Lc 1,35). Subito dopo Maria si recò ad aiutare Elisabetta, ed ecco che quando giunge da lei e la saluta, lo Spirito Santo fa sussultare il bambino nel grembo dell’anziana parente (cfr Lc 1,44); e tutto il dialogo tra le due madri è ispirato dallo Spirito di Dio, soprattutto il cantico di lode con cui Maria esprime i suoi sentimenti profondi, il Magnificat. L’intera vicenda della nascita di Gesù e della sua prima infanzia è guidata in maniera quasi palpabile dallo Spirito Santo, anche se non viene sempre nominato. Il cuore di Maria, in perfetta consonanza con il Figlio divino, è tempio dello Spirito di verità, dove ogni parola e ogni avvenimento vengono custoditi nella fede, nella speranza e nella carità (cfr Lc 2,19.51).

Possiamo così essere certi che il cuore santissimo di Gesù in tutto l’arco della vita nascosta a Nazaret ha sempre trovato nel cuore immacolato della Madre un “focolare” sempre acceso di preghiera e di costante attenzione alla voce dello Spirito. Testimonianza di questa singolare sintonia tra Madre e Figlio nel cercare la volontà di Dio, è quanto avvenne alle nozze di Cana. In una situazione carica di simboli dell’alleanza, quale è il banchetto nuziale, la Vergine Madre intercede e provoca, per così dire, un segno di grazia sovrabbondante: il “vino buono” che rimanda al mistero del Sangue di Cristo. Questo ci conduce direttamente al Calvario, dove Maria sta sotto la croce insieme con le altre donne e con l’apostolo Giovanni. La Madre e il discepolo raccolgono spiritualmente il testamento di Gesù: le sue ultime parole e il suo ultimo respiro, nel quale Egli incomincia ad effondere lo Spirito; e raccolgono il grido silenzioso del suo Sangue, interamente versato per noi (cfr Gv 19,25-34). Maria sapeva da dove veniva quel sangue: si era formato in lei per opera dello Spirito Santo, e sapeva che quella stessa “potenza” creatrice avrebbe risuscitato Gesù, come Egli aveva promesso.

Così la fede di Maria sostenne quella dei discepoli fino all’incontro con il Signore risorto, e continuò ad accompagnarli anche dopo la sua Ascensione al cielo, nell’attesa del “battesimo nello Spirito Santo” (cfr At 1,5). Nella Pentecoste, la Vergine Madre appare nuovamente come Sposa dello Spirito, per una maternità universale nei confronti di tutti coloro che sono generati da Dio per la fede in Cristo. Ecco perché Maria è per tutte le generazioni immagine e modello della Chiesa, che insieme allo Spirito cammina nel tempo invocando il ritorno glorioso di Cristo: “Vieni, Signore Gesù” (cfr Ap 22,17.20).

Cari amici, alla scuola di Maria, impariamo anche noi a riconoscere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare le sue ispirazioni e a seguirle docilmente. Egli ci fa crescere secondo la pienezza di Cristo, secondo quei frutti buoni che l’apostolo Paolo elenca nella Lettera ai Galati: “Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22). Vi auguro di essere ricolmi di questi doni e di camminare sempre con Maria secondo lo Spirito e, mentre vi esprimo la mia lode per la partecipazione a questa celebrazione serale, imparto di cuore a tutti voi e ai vostri cari la Benedizione Apostolica.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

ALLA COMUNITÀ DEL SEMINARIO FRANCESE DI ROMA


Sala Clementina
Sabato, 6 giugno 2009

 

Signori Cardinali,
Cari fratelli nell'Episcopato,
Signor Rettore,
Cari sacerdoti e seminaristi,

È con gioia che vi accolgo in occasione delle celebrazioni che segnano in questi giorni un momento importante della storia del Pontificio Seminario Francese di Roma. La Congregazione dello Spirito Santo che, dalla sua fondazione, se ne è assunta la tutela, l'affida ora, dopo un secolo e mezzo di fedele servizio, alla Conferenza dei Vescovi di Francia.

Dobbiamo rendere grazie al Signore per l'opera svolta in questa istituzione in cui, dalla sua apertura, circa 5000 seminaristi o giovani sacerdoti sono stati preparati alla loro futura vocazione. Rendendo omaggio al lavoro dei membri della Congregazione del Santo Spirito, Padri e Fratelli, desidero affidare in modo particolare al Signore gli apostolati che la Congregazione fondata dal venerabile Padre Liberman conserva e sviluppa in tutto il mondo - e specialmente in Africa - a partire dal proprio carisma che non ha perduto nulla della sua forza e della sua pertinenza. Possa il Signore benedire la Congregazione e la sua missione!

Il compito di formare sacerdoti è una missione delicata. La formazione proposta nel seminario è esigente, poiché sarà una porzione del popolo di Dio a essere affidata alla sollecitudine pastorale dei futuri sacerdoti, quel popolo che Cristo ha salvato e per il quale ha dato la propria vita. È bene che i seminaristi si ricordino che se la Chiesa si mostra esigente con loro, è perché dovranno prendersi cura di coloro che Cristo ha a così caro prezzo attratto a sé. Le attitudini richieste ai futuri sacerdoti sono numerose: la maturità umana, le qualità spirituali, lo zelo apostolico, il rigore intellettuale... Per conseguire queste virtù, i candidati al sacerdozio non solo devono poter esserne i testimoni fra i loro formatori, ma ancor di più devono poter essere i primi beneficiari di queste qualità vissute e dispensate da quanti hanno il compito di farli crescere. È una legge della nostra umanità e della nostra fede il fatto che, molto spesso, siamo capaci di dare solo ciò che abbiamo ricevuto in precedenza da Dio attraverso le mediazioni ecclesiali e umane che Egli ha istituito. Chi riceve il compito del discernimento e della formazione deve ricordarsi che la speranza che ha per gli altri è in primo luogo un dovere per se stesso.

Questo passaggio di testimone coincide con l'inizio dell'Anno sacerdotale. È una grazia per il nuovo gruppo di sacerdoti formatori riuniti dalla Conferenza dei Vescovi di Francia. Mentre questa riceve la sua missione, le viene data, come a tutta la Chiesa, la possibilità di scrutare più profondamente l'identità del sacerdote, mistero di grazia e di misericordia. Mi compiaccio di citare qui quell'eminente personalità che fu il Cardinale Suhard, dicendo a proposito dei ministri di Cristo: "Eterno paradosso del sacerdote. Egli ha in sé i contrari. Concilia, a prezzo della sua vita, la fedeltà a Dio con la fedeltà all'uomo. Ha l'aria povera e senza forze... Non ha in mano né i mezzi politici, né le risorse finanziarie, né la forza delle armi, di cui altri si servono per conquistare la terra. La sua forza è di essere disarmato e di "potere ogni cosa in Colui che lo fortifica"" (Ecclesia n. 141, p. 21, dicembre 1960). Possano queste parole che evocano così bene la figura del santo Curato d'Ars risuonare come una chiamata vocazionale per molti giovani cristiani di Francia che desiderano una vita utile e feconda per servire l'amore di Dio!

Il Seminario Francese ha la particolarità di essere situato nella città di Pietro; per rispondere al voto di Paolo VI (cfr. Discorso agli ex-alunni del Seminario francese, 11 settembre 1968), auspico che nel corso del loro soggiorno a Roma, i seminaristi possano, in modo privilegiato, familiarizzare con la storia della Chiesa, scoprire l'ampiezza della sua cattolicità e la sua unità vivente attorno al Successore di Pietro, e che sia così impresso per sempre nel loro cuore di pastori l'amore della Chiesa.

Invocando su voi tutti abbondanti grazie del Signore per intercessione della Beata Vergine Maria, di santa Chiara e del beato Pio IX, imparto di cuore a tutti voi, alle vostre famiglie, agli ex-alunni che non sono potuti venire e al personale laico del Seminario, la Benedizione Apostolica.


 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL VENEZUELA

IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Lunedì, 8 giugno 2009

Signor Cardinale
Cari Fratelli nell'episcopato

1. Vi do il mio cordiale benvenuto, pastori della Chiesa in Venezuela, a questo incontro in occasione della vostra visita ad limina e, come Successore di Pietro, ringrazio il Signore per questa occasione di confermare i miei fratelli nella fede (cfr. Lc 22, 32) e di partecipare con loro alle loro gioie e alle loro preoccupazioni, ai loro progetti e alle loro difficoltà.

Ringrazio anzitutto Mons. Ubaldo Ramón Santana Sequera, Arcivescovo di Maracaibo e Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana, per le sue parole, che manifestano la vostra comunione con il Vescovo di Roma e Capo del Collegio Episcopale, così come le sfide e le speranze del vostro ministero pastorale.

2. Le sfide che dovete affrontare nel vostro compito pastorale sono infatti sempre più abbondanti e difficili, e inoltre negli ultimi tempi si sono incrementate a causa di una grave crisi economica mondiale. Il momento attuale offre tuttavia numerosi e veri motivi di speranza, di quella speranza capace di riempire i cuori di tutti gli uomini, che "può essere solo Dio - il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora fino alla fine" (Spe salvi, 27).

Come ha fatto coi discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24, 13-35), il Signore risuscitato cammina anche al nostro fianco, infondendoci il suo spirito di amore e fortezza, affinché possiamo aprire i nostri cuori a un futuro pieno di speranza e di vita eterna.

3. Avete di fronte a voi, cari Fratelli, un appassionante compito di evangelizzazione e avete iniziato la "Missione per il Venezuela", in linea con la Missione Continentale promossa dalla V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, in Aparecida. Anche questi sono tempi di grazia per coloro i quali si dedicano totalmente alla causa del Vangelo. Confidate nel Signore. Lui renderà fecondi i vostri impegni e i vostri sacrifici.

Vi incoraggio, dunque, a incrementare le iniziative per far conoscere in tutta la loro integrità e bellezza la figura e il messaggio di Gesù Cristo. Perciò, oltre a una buona formazione dottrinale di tutto il Popolo di Dio, è importante promuovere una profonda vita di fede e preghiera. Nella liturgia e nel dialogo intimo della preghiera personale o comunitaria il Risorto viene incontro a noi, trasformando il nostro cuore con la sua presenza amorosa.

Desidero ricordare anche la necessità della vita spirituale dei Vescovi. Questi, configurati pienamente con Cristo Capo dal sacramento dell'Ordine, sono in certo modo per la Chiesa loro affidata un segno visibile del Signore Gesù (cfr. Lumen gentium, 21). Perciò, il ministero pastorale deve essere un riflesso coerente di Gesù, Servo di Dio, mostrando a tutti l'importanza fondamentale della fede, così come il bisogno di mettere al primo posto la vocazione alla santità (cfr. Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Pastores gregis, 12).

4. Per svolgere una fruttuosa azione pastorale è indispensabile la stretta comunione affettiva ed effettiva tra i Pastori del Popolo di Dio, che devono "essere sempre tra loro uniti e dimostrarsi solleciti di tutte le Chiese" (Christus Dominus, 6). Quest'unità, che oggi e sempre deve essere promossa ed espressa in maniera visibile, sarà fonte di consolazione e di efficacia apostolica nel ministero che vi è stato affidato.

5. Lo spirito di comunione vi deve portare a prestare speciale attenzione ai vostri sacerdoti. Questi, collaboratori immediati del ministero episcopale, devono essere i primi destinatari della vostra cura pastorale, devono essere trattati con la vicinanza e con fraterna amicizia. Ciò li aiuterà a svolgere con dedizione il ministero ricevuto e anche ad accogliere con spirito filiale, se fosse necessario, gli avvertimenti riguardo aspetti che devono migliorare o correggere. Perciò, vi incoraggio a raddoppiare gli sforzi per stimolare lo zelo pastorale tra i presbiteri, in particolare durante questo prossimo anno sacerdotale che ho voluto indire.

A questo si aggiunge l'interesse che bisogna mostrare riguardo al Seminario Diocesano, per incoraggiare una attenta e competente selezione e formazione di coloro che sono stati chiamati a essere pastori del Popolo di Dio, senza risparmiare mezzi umani e materiali per questo.

6. I fedeli laici, da parte loro, partecipano secondo il loro modo specifico alla missione salvifica della Chiesa (cfr. Lumen gentium, 33). Come discepoli e missionari di Cristo, sono chiamati a illuminare e ordinare le realtà temporali affinché rispondano al disegno amoroso di Dio (ibid. 31). Perciò, c'è bisogno di un laicato maturo, che testimoni fedelmente la sua fede e senta la gioia della sua appartenenza al Corpo di Cristo, al quale è necessario offrire, tra l'altro, un'adeguata conoscenza della dottrina sociale della Chiesa. In questo senso, apprezzo il vostro impegno per irradiare la luce del Vangelo sugli avvenimenti di maggior rilievo che riguardano il vostro Paese, senza cercare nessun altro interesse se non la diffusione dei più autentici valori cristiani, in vista anche di favorire la ricerca del bene comune, la convivenza armonica e la stabilità sociale.

Vi affido in modo particolare i bisognosi. Continuate a promuovere le molteplici iniziative di carità della Chiesa in Venezuela, affinché i nostri fratelli più bisognosi possano sperimentare la presenza tra di loro di Colui che ha dato la sua vita sulla Croce per tutti gli uomini.

7. Vorrei concludere con una parola di speranza e incoraggiamento per il vostro compito; contate sempre sul mio sostegno, sulla mia sollecitudine e sulla mia vicinanza spirituale. Vi chiedo di portare i miei affettuosi saluti a tutti i membri delle vostre Chiese particolari: ai Vescovi emeriti, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli laici, in modo speciale agli sposi, ai giovani, agli anziani e alle persone che soffrono. Con questi sentimenti, e invocando la protezione della Vergine Maria, Nostra Signora di Coromoto, tanto amata in tutto il Venezuela, vi imparto di cuore la benedizione apostolica.

 

 

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DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE"

Sala Clementina
Sabato, 13 giugno 2009

  

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

illustri e cari amici!

Grazie per questa vostra visita, che si colloca nel contesto della vostra annuale riunione. Vi saluto tutti con affetto e vi sono grato per quanto voi fate, con provata generosità, al servizio della Chiesa. Saluto e ringrazio il Conte Lorenzo Rossi di Montelera, vostro Presidente, che ha interpretato con fine sensibilità i vostri sentimenti, esponendo a grandi linee l’attività della Fondazione. Ringrazio anche coloro che, in lingue diverse, hanno voluto presentarmi l’attestato della comune devozione. L’odierno nostro incontro assume un significato e un valore particolare alla luce della situazione che vive in questo momento l’intera umanità.

In effetti, la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni. Bene ha fatto, quindi, la vostra Fondazione ad affrontare, nel Convegno internazionale svoltosi ieri, il tema della ricerca e della individuazione di quali siano i valori e le regole a cui il mondo economico dovrebbe attenersi per porre in essere un nuovo modello di sviluppo più attento alle esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità umana.

Sono lieto di apprendere che avete esaminato, in particolare, le interdipendenze tra istituzioni, società e mercato partendo, in accordo con l’Enciclica Centesimus annus del mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, dalla riflessione secondo la quale l’economia di mercato, intesa quale “sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia” (n. 42), può essere riconosciuta come via di progresso economico e civile solo se orientata al bene comune (cfr n. 43). Tale visione però deve anche accompagnarsi all’altra riflessione secondo la quale la libertà nel settore dell’economia deve inquadrarsi “in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale”, una libertà responsabile “il cui centro è etico e religioso” (n. 42). Opportunamente l’Enciclica menzionata afferma: “Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti” (n. 43).

Auspico che le indagini sviluppate nei vostri lavori, ispirandosi agli eterni principi del Vangelo, elaborino una visione dell'economia moderna rispettosa dei bisogni e dei diritti dei deboli. Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale. Prendo altresì atto con compiacimento di quanto state operando a favore del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica), alle cui finalità, da voi condivise, attribuisco grande valore per un dialogo interreligioso sempre più fecondo.

Cari amici, grazie ancora una volta per la vostra visita; assicuro per ciascuno di voi un ricordo nella preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.


 

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