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Festa del Corpus Domini

Ultimo Aggiornamento: 14/06/2009 08:53
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13/06/2009 06:32

Ringrazio anticipatamente la sorella Caterina per le foto e i servizi










 Sorriso


 Occhiolino

SI RITORNA A PREGARE IN GINOCCHIO! FINALMENTE!!







[Modificato da Cattolico_Romano 13/06/2009 06:32]
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“L’Eucaristia, rendendo presente il sacrificio della Croce, ci rende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio” così il Papa nella Santa Messa per la Solennità del Corpus Domini celebrata stasera nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Al termine del rito il Santo Padre ha guidato la processione verso Santa Maria Maggiore. Il servizio di Benedetta Capelli
 
Il Cenacolo, la Pasqua celebrata da Gesù con i discepoli, “l’istituzione dell’Eucaristia come anticipazione e accettazione da parte di Gesù della sua morte”. Sono le immagini evocate da Benedetto XVI per spiegare il “Sacrificio eucaristico” che si rinnova nelle parole: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue ”. Un sacrificio nel quale si “realizza l’espiazione dei peccati” ma che si completa nella nuova alleanza, confermata “non con sacrifici di animali” bensì con il sangue di Gesù, divenuto “sangue della nuova alleanza”. Gesù è “mediatore” di un nuovo patto, “al tempo stesso – aggiunge il Papa – vittima degna di Dio perché senza macchia, e sommo sacerdote che offre se stesso, sotto l'impulso dello Spirito Santo, ed intercede per l’intera umanità”:
 
"La Croce è pertanto mistero di amore e di salvezza, che purifica, come dice la Lettera agli Ebrei, la coscienza dalle 'opere morte', cioè dai peccati, e ci santifica scolpendo l’alleanza nuova nel nostro cuore; l’Eucaristia, rinnovando il sacrificio della Croce, ci rende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio".

 
Rivolgendosi direttamente ai fedeli in ascolto, il Santo Padre ha ricordato come Dio plasma il suo popolo:“l’unico Corpo di Cristo, grazie alla nostra sincera partecipazione alla duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia”:
 
"Nutriti di Cristo, noi, suoi discepoli, riceviamo la missione di essere 'l’anima' di questa nostra città fermento di rinnovamento, pane 'spezzato' per tutti, soprattutto per coloro che versano in situazioni di disagio, di povertà e di sofferenza fisica e spirituale. Diventiamo testimoni del suo amore".

 
Ai sacerdoti ha chiesto di “essere Eucaristia”, testimoni di gioia, esempio di devozione. Evidenziando “il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto”, ha invitato a rinnovare “la nostra fede nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia”. Con “il pane della vita eterna” “il cielo – ha proseguito il Papa - viene sulla terra, il domani di Dio si cala nel presente e il tempo è come abbracciato dall’eternità divina”. Al termine della Messa Benedetto XVI ha guidato la tradizionale processione eucaristica verso Santa Maria Maggiore invocando Gesù affinchè purifichi “questo mondo dal veleno del male, della violenza e dell’odio”.
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Un grazie al sito: www.culturacattolica.it


eucarestia
Raffaello, La Disputa del SS. Sacramento, Vaticano

Il Corpus Domini

La domenica successiva alla Solennità della SS. Trinità si celebra la festa del Corpo e del Sangue del Signore. Prima della riforma liturgica era nota come festa del Corpus Domini (distinta dalla festa del Sanguis Christi celebrata in luglio) La festa del Corpus Domini trova le sue origini nella ambiente fervoroso della Gallia belgica - che San Francesco chiamava amica Corporis Domini - e in particolare grazie alle rivelazioni della B. Giuliana di Retìne. Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un'estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra, da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento.

Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini. La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l'ottava della Trinità. Più tardi, nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l'antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone, il quale - sembra anche grazie al miracolo di Bolsena (1264) - con una Bolla datata 11 agosto 1264 estese la festa a tutta la Chiesa. In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa. Questo diede luogo anche ad alcuni abusi che obbligarono i vescovi nei secoli XV e XVI a disciplinare l'uso delle processioni.

Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all'Istituzione dell'Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l'attenzione si sposta sull'intima relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell'Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.

La stanza della Signatura e l'affresco della "Disputa"

Una perenne testimonianza di questa fede nella Presenza Reale di Cristo nel Sacramento ce la offre un affresco delle Stanze Vaticane: la cosiddetta disputa del Santissimo Sacramento.
Le Stanze Vaticane furono commissionate a Raffaello Sanzio da Giulio II. Giuliano della Rovere (questo il nome di Giulio II) nativo di Savona e nipote di Papa Sisto IV, salì al soglio pontificio nel 1503. Non avendo intenzione di stabilirsi negli appartamenti che erano stati del suo predecessore Alessandro VI, cercò un alloggio che rispondesse ai suoi desideri. Fu così che decise di affrescare le Stanze Vaticane, oggi meglio conosciute come Stanze di Raffaello.
La Stanza della Segnatura nella quale è situato l'affresco della Disputa, prese questo nome più tardi, allorché la camera ospitò l'aula del Tribunale ecclesiastico, quando Raffaello la dipinse essa doveva servire come Biblioteca privata di Giulio II.
 
Raffaello Sanzio giunse a Roma nel 1508, all'età di 25 anni. La sua bellezza fisica e l'amabilità del suo carattere, nonché l'amicizia e la parentela con il Bramante, fecero la sua fortuna: Raffaello divenne in breve il primo pittore di Roma, capace di oscurare persino la fama di Michelangelo Buonarroti.

Nato a Urbino nel 1483, Raffaello ricevette i primi rudimenti di pittura dal padre, Giovanni Santi, pittore assai modesto della cerchia di Melozzo da Forlì. Fu poi scolaro e collaboratore del Perugino, rivelando presto maggior talento del maestro. Il pittore urbinate si accostò alle diverse espressioni artistiche del suo tempo con un'apertura senza precedenti. Nessun altro artista è, come lui, aperto a tutte le esperienze: per lui tutte le interpretazioni si conciliano e si integrano, si riconducono all'unità: non avremmo l'arte di Raffaello senza quella di Pier della Francesca, Perugino, Leonardo, Michelangelo, Tiziano, Bramante. Egli seppe sintetizzare il meglio delle espressioni artistiche altrui, sviluppandolo però con assoluta originalità.

Le figurazioni della Stanza della Segnatura (1508-11) vogliono dimostrare la continuità fra pensiero antico e pensiero cristiano, mediante le allegorie del Bello (il Parnaso) del Bene (le Virtù) e del Vero. La disputa illustra appunto il concorso al Vero, operato dalla teologia. Per la realizzazione di questo affresco Raffaello fece una quantità considerevole di disegni preparatori (40 sono giunti fino a noi, ma dovevano essere molti di più), giustificati probabilmente dal fatto che il pittore urbinate non aveva dimestichezza con il lavoro su grande scala.
Sorprende il fatto che nel più antico dei disegni, altare e Santissimo Sacramento mancano completamente. Fu probabilmente lavorando ai personaggi dell'area sottostante e rifacendosi a modelli leonardeschi, che Raffaello si rese conto dell'assenza di un punto focale in questa zona. L'inserimento dell'altare con l'ostensorio costituì una soluzione brillante che, risolvendo un problema formale, diede maggior coerenza al contenuto religioso.


Pregare nella Chiesa-corpo

La preghiera è il respiro del credente, ma è anche il respiro dell'intero corpo di Cristo. Colui che prega entra nel mistero dell'unità del Corpo mistico di Cristo. Dire mistero non significa tuttavia parlare di qualcosa di astratto e inconoscibile; anzi per il credente fare esperienza attraverso la preghiera della propria appartenenza a un corpo è qualcosa di estremamente concreto.

La concretezza del Corpo che è la Chiesa, sperimentata dal credente, è resa dall'affresco della "Disputa" in maniera spettacolare. Per i contemporanei di Raffaello, dovette essere emozionante l'impatto con la grandiosità del dipinto. Le figure a grandezza naturale occupano la maggior parte del campo visivo della stanza coinvolgendo l'osservatore nella "disputa" e nella contemplazione suscitata dal Mistero della Fede. Un effetto simile a quello che, molto più tardi, avrebbe reso possibile il cinema.

L'orchestrazione delle figure è stata definita un paesaggio di uomini (Ortolani), ma potrebbe essere ancor meglio detta un'architettura di uomini.
Dall'ostensorio divergono ruote sempre più vaste: il cerchio aureo attorno alla colomba, la raggiera del Cristo, la corona di cherubini su cui poggia il Padre e infine l'arco che racchiude l'affresco stesso.

La volta celeste con le sue lamelle dorate è simile all'abside di una chiesa. Al di sotto figure del Nuovo e dell'Antico Testamento occupano l'intera larghezza dello spazio affrescato in una in una grandiosa semplicità architettonica. In primo piano una balaustra, a sinistra, controbilancia una costruzione simile, sulla destra, inserita per mascherare la presenza della cornice della vera porta che rompe la regolarità della composizione. Tutta la scena è racchiusa entro una struttura architettonica che conferisce unità e armonia all'intera composizione e suggerisce l'idea di una volta maestosa che introduce al presbiterio. Il pavimento visto in prospettiva, secondo le leggi normali della veduta, conduce al mistero dell'Eucaristia: non si tratta di un'apparizione o di un miracolo: "la rivelazione" è perfettamente logica, ragione e teologia non possono che confermarla".

L'immagine di questo spazio universale è costruita, equilibrata come un'architettura bramantesca
(Argan), la vera Chiesa per Raffaello è composta da membra viventi e non v'è differenza tra Chiesa come istituto e chiesa quale realtà materiale. I tre ambiti del dipinto ne disegnano i confini: in basso la Chiesa militante, al centro la Chiesa trionfante attorno a Cristo, Maria e San Giovanni Battista, nella volta il Padre fra angeli e cherubini.
Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2, 19-22).

Queste parole di Paolo potrebbero essere considerate un degno commento scritturistico alla Disputa e descrivono anche l'esperienza di ogni credente. Anche Madre Maria Maddalena dell'Incarnazione, fondatrice delle Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento, avvertiva in modo acuto questa familiarità con Dio (la stessa di cui godevano apostoli e profeti), una familiarità che l'adorazione Eucaristica alimenta e rafforza: chi lo visita spesso diviene suo amico e familiare. Sebbene la concezione di Chiesa non fosse quella illuminata dal concilio Vaticano II, la Madre avvertiva con intensità la forza unificante della carità che fa di molti una sola persona ai piedi del Sacro altare: A dire di San Giovanni Crisostomo, la carità che è virtù unitiva, di molte persone che amano ne forma una sola, cosicché essendosi tutte unite insieme, per santa mozione e pio affetto che le trasporta verso questo mistero, le adoratrici altro non sono che un corpo mistico ed una sola persona ai piedi del Sacro altare. Possono così elle esser contente al pensiero che mentre una di loro sta davanti al Signore, lo adora e lo ama, esse stesse stanno in qualche modo a pregarlo insieme con lei, lo adorano e lo amano (Dir 1814 pg 30-31).

Una tale grazia non doveva riguardare solo le Adoratrici, ma essere estesa a tutti i laici che si sarebbero uniti alla loro preghiera: L'unione delle preghiere non è limitata in una sola Chiesa, ove è un numero di anime sante che adorano giorno e notte Gesù sopra l'Altare, ma si estende a tutte quelle persone che fanno opere buone e sante, delle quali sono partecipi quelle stesse che vi concorrono, perché sono fatte a Dio davanti al Santissimo Sacramento; poiché chiunque sta in grazia di Dio partecipa di tutte le opere buone che fanno i giusti qui in terra secondo [quanto afferma] il Real Salmista: "io sono partecipe, o Signore, di tutto quello che fanno coloro che ti temono e osservano i tuoi comandamenti" (Dir 1814 pg 34).

L'Eucaristia è il cuore pulsante della vita interiore della Chiesa grazie al quale la linfa vitale dell'amore circola fra le membra. Ogni membro della Chiesa cresce e si edifica nella sua specifica vocazione, è partecipe delle opere di bene altrui e rende gli altri partecipi del suo bene grazie alla vita di comunione che scaturisce dal Sacramento dell'Altare.

Anche i personaggi della Chiesa militante, dipinti da Raffaello, conservano ciascuno una propria specifica identità. Essi, inoltre, pur nella loro compattezza formale, sono in pieno movimento: meditano, discutono additando l'ostensorio. Pochi guardano verso il cielo, eppure soltanto in cielo è la sicurezza della verità contemplata: lì siedono maestosi e quieti i santi della chiesa trionfante. (E precisamente, a partire da sinistra: Pietro, Adamo, san Giovanni Evangelista e Davide. A destra, invece, troviamo santo Stefano, Mosè, san Giacomo, il patriarca Abramo e san Paolo. Attorno allo Spirito Santo, scritti sui quattro libri compaiono i nomi dei quattro evangelisti).
Mentre nella zona sottostante dotti e teologi, formando due ali oblique, tendono al punto dell'orizzonte che coincide con l'ostensorio, nell'area superiore ogni tensione è eliminata: la Chiesa trionfante forma come un'esedra attorno alla figura di Cristo; i personaggi sono collocati sulla stessa linea della nuvola che sorregge Cristo e il semicerchio che viene a delinearsi è quasi una linea retta.
 
Due ambiti ben distinti, dunque, ma unico lo spazio. Due diverse prospettive, ma unico il mistero contemplato. L'ostia esposta e le tre Persone della Trinità: Spirito Figlio e Padre sono disposti su una linea verticale e ascendente che, rafforzata dai richiami dei bianchi e degli ori, sottolinea da un lato la verità teologica dell'Unico mistero, dall'altro l'unità spaziale della scena.
La preghiera cristiana è la preghiera di un corpo che rompe i confini dello spazio e del tempo e "abbraccia" l'eternità. Colui che prega entra in una dimensione che lo supera e diventa realmente concittadino dei santi e familiare di Dio. Madre Maria Maddalena viveva una particolare comunione con i santi e insegnava a guardare ad essi per superare l'eventuale delusione per le incoerenze della comunità cristiana visibile. La consapevolezza dell'unione con gli angeli e i santi deve aumentare la fiducia e accrescere la speranza che grazie alla loro intercessione la volontà di Dio si farà "come in cielo così in terra".

La centralità e verticalità del mistero eucaristico e trinitario nell'opera della Disputa evidenziano che culto e adorazione sono rivolti a Dio solo. L'invocazione alla Vergine, ai Santi e agli angeli è di diverso segno. Non si tratta più di preghiera di adorazione, ma di comunicazione che manifesta la nostra fede nella comunione del corpo mistico di Cristo. Pregare la Vergine o i Santi è comunicare con essi per accrescere e vivificare la nostra comunione con Cristo che essi sperimentano senza il "velo della carne". Scriveva Madre Maddalena nel Direttorio del 1814: Bisogna che voi vi sforziate di diventare Angeli e Sante imitando le loro virtù. Pregate dunque questi spiriti beati e queste anime sante che hanno già la bella sorte di godere la gloria e la chiara visione di Dio, affinché vi ottengano la grazia di essere simili a loro. Celebrerete poi le loro feste con una devozione angelica, imitandoli particolarmente nell'esercizio della presenza di Dio (pg 10).

La devozione alla Vergine e ai Santi di Madre Maria Maddalena è testimoniata da molti nei processi per la causa di beatificazione. Ella si era affidata interamente alla Vergine Maria definendola la vera fondatrice dell'Istituto:
Vostro fondatore è Iddio medesimo e la sua divina Madre è la vostra Fondatrice; considererete e amerete sempre questa augusta Regina anche come vostra cara ed amorosissima Madre e Protettrice. Ricorrete dunque al suo potente patrocinio in tutti i vostri bisogni senza timore, ma con vera e filiale fiducia. […]
Tutte le monache, ancora oggi, sul suo esempio, dopo la professione temporanea fanno la consacrazione alla Vergine sul modello di quella di San Luigi Maria De Montfort, meglio conosciuta come "schiavitù della Vergine Maria".

Un particolare rapporto di vicinanza e aiuto la Madre lo aveva con Santa Veronica Giuliani; con la reliquia di questa santa la Madre operò un numero elevato di guarigioni miracolose. Era inoltre avvertita dalla medesima, attraverso segnali particolari, circa eventi tristi o gioiosi che le sarebbero accaduti.


Nel mistero del Corpo di Cristo la preghiera gli uni per gli altri

Si è discusso, fra gli studiosi, se questa scena di Raffaello rappresentasse veramente una "disputa" come la definì il Vasari, o non piuttosto il Trionfo dell'Eucaristia che, teologi e dottori, additano accogliendo l'evidenza di quanto avevano teorizzato nei loro sottili trattati. Certo è che "l'evidenza" della Presenza Reale di Cristo nel Mistero dell'Altare è qui difesa: lo confermano le linee prospettiche del pavimento che - come già affermato più sopra - conducono "naturalmente" lo sguardo all'Eucaristia, mistero della fede che la ragione può comprendere e spiegare.
Pregare in seno alla Chiesa, attingendo alla sua ricca tradizione (che nell'affresco è ben rappresentata attraverso padri e dottori), conduce alla verità tutta intera. La Verità, a sua volta, spinge il credente ad intensificare la preghiera per l'unità della Chiesa, le cui divisioni rendono meno efficace l'annuncio del Vangelo.
 
La chiara e luminosa consapevolezza del proprio essere cattolici non contraddice, ma anzi apre al dialogo. Madre Maddalena affermò con vigore la sua adesione alle verità che la Chiesa cattolica professa, ma non cessò di orientare la sua preghiera verso i fratelli separati, verso i non credenti e gli aderenti ad altre religioni, come ebrei e musulmani. O Signore, io credo fermamente tutto quello che ti sei compiaciuto rivelare alla S. Chiesa; non credo ciò perché lo credono gli altri, ma lo credo perché lo hai rivelato Tu, prima verità infallibile, alla S. Chiesa. Sì, io credo ciò Tu hai detto, Gesù mio Salvatore, perché nulla è più vero della verità della tua Parola. Quanto mi dispiace perciò che vi sia al mondo chi non crede in te. Questa vita darei volentieri per testimoniare il tuo S. Vangelo e affinché gli uomini si assoggettassero a crederlo. O mio Dio! Io sono figlia della tua Chiesa e come tale voglio morire…! (Dir 1814 pg19).
Pur nel linguaggio del tempo la preghiera ufficiale delle adoratrici, recitata ad alta voce nella chiesa aperta al pubblico, così si concludeva: io intendo adorarti ora non solamente per quei Cattolici che non ti adorano, ma ancora in supplemento e per la conversione di tutti gli Eretici e Scismatici (cioè Riformati e Ortodossi)
… atei… maomettani ed ebrei


L'adorazione anticipo dell'eternità

Tra i personaggi della Chiesa militante troviamo grandi maestri e teologi. Raffaello ha sapientemente fuso in un'unica chiesa, santi del passato e suoi contemporanei. A sinistra, ad esempio, compaiono artisti come Bramante (nei panni della persona che si sporge sulla balaustra) e il Beato Angelico (con la veste domenicana). Il bel giovane biondo, che con gesto semplice addita la verità indiscutibile del mistero eucaristico, potrebbe essere il ritratto di Francesco Maria della Rovere, erede del ducato di Urbino. Verso l'altare, seduto su uno scranno marmoreo, troviamo Giulio II nei panni di Gregorio Magno (senza barba), accanto al quale siede san Girolamo. Sulla destra invece, identificati sulla base delle scritte nelle aureole, troviamo: (da sinistra a destra) sant'Ambrogio, sant'Agostino (seduti), san Tommaso d'Aquino, papa Innocenzo III, san Bonaventura da Bagnoregio intento nelle lettura a papa Sisto IV, lo zio di Giulio II e Dante Alighieri.
 
Dietro a Dante, potrebbe essere, seminascosta, la testa incappucciata del Savonarola, verso cui Giulio II manifestava aperta simpatia.

Con la fusione tra personaggi del passato e suoi contemporanei l'artista sottolinea la continuità fra i santi di "ieri" e quelli di "oggi": tutti sono parte dell'unica Chiesa di Cristo. La fede nella comunione dei santi deve produrre la consapevolezza dell'importanza della preghiera vicendevole, della preghiera di intercessione. Già l'Apostolo Giacomo affermava: pregate gli uni gli altri per essere salvati (cfr. Gc 5, 16). I Santi non sono soltanto quelli già canonizzati dalla Chiesa; c'è una Chiesa santa in cammino, pellegrina sulla terra, che si nutre della preghiera vicendevole per giungere alla piena maturità di Cristo.

Per Madre Maria Maddalena solo con la preghiera di Adorazione si può realizzare una catena ininterrotta di solidarietà, ove pregare gli uni gli altri: Il Sacrificio stesso della Messa, che è l'omaggio più santo, più perfetto, che possa essere dato in suo onore ha il suo tempo limitato. Gli uomini inoltre, non possono sempre fermarsi ad adorarlo, obbligati, come sono, ad attendere ai bisogni della vita e a soddisfare i doveri del loro impiego; tuttavia molte persone, dell'uno o dell'altro sesso, dividendo le ore della giornata, potrebbero consacrare a questo santo esercizio tutte le ore del giorno. In tal modo il numero degli Adoratori potrà essere così grande che in ogni ora ve ne sarebbe una quantità considerevole e questa prodigiosa moltitudine si conserverà in grazia di Dio unendosi agli Angeli e ai Beati che lo adorano in Cielo e in terra e invocherebbe sopra di sé, e sopra i luoghi ove tali Adoratori saranno, mille e poi mille celesti benedizioni. […] Le nostre chiese, che riceverebbero la gente in folla, diventerebbero tanti Paradisi su questa terra e il nostro Signor Gesù Cristo, che sta perpetuamente sugli altari per farci del bene, non starebbe solo e sarebbe onorato da noi con vera effusione di cuore. Se noi stessimo lì tutti uniti insieme, Dio si piegherebbe alle nostre preghiere ed esaudirebbe gli uni per amore degli altri e (tutti) ritornerebbero tranquilli alle loro case dopo essere stati a pregare nelle chiese (Dir 1814 pg 19.20).

La preghiera davanti all'Eucaristia costituisce un prezioso legame fra i cittadini della terra e quelli del cielo, essa potrebbe a ragione essere definita il respiro dell'unico corpo di Cristo. Se, infatti, l'Eucaristia non sarà eterna e la sua funzione cesserà quando cesserà di esistere questo mondo, l'adorazione, invece, non finirà mai essendo moto spontaneo dell'anima di fronte alla visione beatifica di Dio o (qui ed ora) alla percezione della sua Presenza.

L'adorazione Eucaristica, prolungamento della Messa, è direttamente connessa alla preghiera liturgica. Ed è la liturgia il luogo ove si realizza misticamente la Presenza piena e manifesta dell'intero Corpo di Cristo. Nella liturgia la Chiesa prega per i vivi e per i defunti, chiede l'intercessione dei Santi ed eleva la lode somma al Dio trino ed Unico.
Come lo spazio universale che abbraccia cielo e terra, celebrato da Raffaello nella sua "Disputa", la liturgia è uno spazio mistico entro al quale Chiesa militante, purgante e trionfante canta l'unico inno di gloria al Dio del cielo. In questa coreografia misteriosa e solenne, che si sviluppa attorno all'Eucaristia, cuore pulsante d'Amore, entra come parte integrante e preziosa ogni uomo che prega.


La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico.
Gesù ci aspetta in questo Sacramento dell'amore.
Non risparmiamo il nostro tempo per andare ad incontrarlo nell'adorazione,
nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo.
Non cessi mai la nostra adorazione.

(Giovanni Paolo II Sul mistero e culto della SS. Eucaristia)


    la disputa
fig.1 La Disputa

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INVITIAMO I SACERDOTI (ma anche noi laici cattolici) A FARSI PROMOTORI ED ESECUTORI DI QUANTO PRONUNCIATO DAL SANTO PADRE:

Coerenza eucaristica

83. È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme.(230) Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana.(231) Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l'Eucaristia (cfr 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato.(232)


CONTRO IL PACIFISMO

La dottrina sociale della Chiesa

91. Il mistero dell'Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. La preghiera, che ripetiamo in ogni santa Messa: « Dacci oggi il nostro pane quotidiano », ci obbliga a fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private, perché cessi o perlomeno diminuisca nel mondo lo scandalo della fame e della sottoalimentazione di cui soffrono tanti milioni di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell'Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale. Perché egli possa svolgere adeguatamente i suoi compiti occorre prepararlo attraverso una concreta educazione alla carità e alla giustizia. Per questo, come è stato richiesto dal Sinodo, è necessario che nelle Diocesi e nelle comunità cristiane venga fatta conoscere e promossa la dottrina sociale della Chiesa.(248) In questo prezioso patrimonio, proveniente dalla più antica tradizione ecclesiale, troviamo gli elementi che orientano con profonda sapienza il comportamento dei cristiani di fronte alle questioni sociali scottanti. Questa dottrina, maturata durante tutta la storia della Chiesa, si caratterizza per realismo ed equilibrio, aiutando così ad evitare fuorvianti compromessi o vacue utopie.


La lingua latina

62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del
Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.(184)


La riverenza verso l'Eucaristia


65. Un segnale convincente dell'efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l'Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli.(190) Penso, in senso generale, all'importanza dei gesti e della postura, come l'inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica. Nell'adeguarsi alla legittima diversità di segni che si compiono nel contesto delle differenti culture, ciascuno viva ed esprima la consapevolezza di trovarsi in ogni celebrazione davanti alla maestà infinita di Dio, che ci raggiunge in modo umile nei segni sacramentali.



Adorazione e pietà eucaristica


Il rapporto intrinseco tra celebrazione e adorazione


66. Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli per l'adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l'Assemblea dei Vescovi ha inteso richiamare l'attenzione, non solo con le parole, sull'importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l'intrinseco rapporto tra la santa Messa e l'adorazione del Ss.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un'obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato. In realtà, alla luce dell'esperienza di preghiera della Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già Agostino aveva detto: « nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando – Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo ».(191) Nell'Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l'adorazione eucaristica non è che l'ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d'adorazione della Chiesa.(192) Ricevere l'Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L'atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s'è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, « soltanto nell'adorazione può maturare un'accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell'Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri ».(193)


La pratica dell'adorazione eucaristica


67. Insieme all'Assemblea sinodale, pertanto, raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell'adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria.(194) A questo proposito, di grande giovamento sarà un'adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l'importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all'adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell'Eucaristia.

Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte significativa del loro tempo all'adorazione eucaristica. In tal modo essi offrono a tutti l'esempio di persone che si lasciano plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per la vita dei singoli e delle comunità.


Forme di devozione eucaristica


68. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell'Eucaristia, lo rimanda sempre all'insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti al Sacramento dell'altare, ritengo doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a promuovere momenti di adorazione comunitaria. Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche, soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus Domini, alla pia pratica delle Quarant'ore, ai Congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe. Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di devozione meritano di essere anche oggi coltivate.(195)


Il luogo del tabernacolo nella chiesa


69. In relazione all'importanza della custodia eucaristica e dell'adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo all'adeguata collocazione del tabernacolo all'interno delle nostre chiese.(196) La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione architettonica dell'edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l'altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell'Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante. Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma in proposito l'Ordinamento Generale del Messale Romano.(197) Il giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.



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TESTO INTEGRALE 




ESORTAZIONE APOSTOLICA
POSTSINODALE
SACRAMENTUM CARITATIS
DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
SULL'EUCARISTIA
FONTE E CULMINE DELLA VITA
E DELLA MISSIONE DELLA CHIESA


Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, secondo del mio Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI



 


 

LO SGUARDO DI BENEDETTO XVI MENTRE ADORA L'EUCARESTIA
Processione del Corpus Domini giugno 2008....

 


PROCESSIONE EUCARISTICA ALLA PRAIRIE

MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


Lourdes, domenica 14 settembre 2008

Signore Gesù, Tu sei qui!
E voi, miei fratelli, mie sorelle, miei amici, voi pure siete qui, con me, davanti a Lui!


Signore, duemila anni or sono, Tu hai accettato di salire su di una croce d’infamia per poi risuscitare e restare sempre con noi, tuoi fratelli, tue sorelle. E voi, miei fratelli, mie sorelle, miei amici, voi accettate di lasciarvi afferrare da Lui.

Noi Lo contempliamo. Noi L’adoriamo. Noi L’amiamo. E cerchiamo di amarLo di più. Noi contempliamo Colui che, nel corso della cena pasquale, ha donato il suo Corpo e il suo Sangue ai discepoli, per essere con loro “tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Noi adoriamo Colui che è all’inizio e alla fine della nostra fede, Colui senza il quale noi non saremmo qui sta sera. Colui senza il quale noi non ci saremmo per nulla. Colui senza il quale nulla vi sarebbe, nulla, assolutamente nulla! Lui, per mezzo del quale “tutto è stato fatto” (Gv 1,3), Lui nel quale noi siamo stati creati, per l’eternità, Lui che ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue, Lui è qui, questa sera, davanti a noi, offerto ai nostri sguardi. Noi amiamo – e cerchiamo di amare di più – Colui che è qui, davanti a noi, offerto ai nostri sguardi, alle nostre domande forse, al nostro amore. Sia che camminiamo o siamo inchiodati su di un letto di dolore - che camminiamo nella gioia o siamo nel deserto dell’anima (cfr Num 21,5), Signore, prendici tutti nel tuo Amore: nell’amore infinito, che è eternamente quello del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre, quello del Padre e del Figlio per lo Spirito e dello Spirito per il Padre e per il Figlio. L’Ostia Santa, esposta ai nostri occhi, dice questa potenza infinita dell’Amore manifestata sulla Croce gloriosa.

L’Ostia Santa ci dice l’incredibile abbassamento di Colui che s’è fatto povero per farci ricchi di Sé, Colui che ha accettato di perdere tutto per guadagnarci al Padre suo.

L’Ostia Santa è il Sacramento vivo ed efficace della presenza eterna del Salvatore degli uomini alla sua Chiesa. Fratelli miei, sorelle mie, amici miei, accettiamo, accettate di offrirvi a Colui che ci ha donato tutto, che è venuto non per giudicare il mondo, ma per salvarlo (cfr Gv 3,17), accettate di riconoscere nelle vostre vite la presenza attiva di Colui che è qui presente, esposto ai nostri sguardi. Accettate di offrirGli le vostre proprie vite! Maria, la Vergine santa, Maria, l’Immacolata Concezione, ha accettato, duemila anni or sono, di donare tutto, di offrire il suo corpo per accogliere il Corpo del Creatore. Tutto è venuto da Cristo, anche Maria; tutto è venuto mediante Maria, lo stesso Cristo. Maria, la Vergine santa, è con noi questa sera, davanti al Corpo del Figlio suo, centocinquant’anni dopo essersi rivelata alla piccola Bernadette. Vergine santa, aiutaci a contemplare, aiutaci ad adorare, aiutaci ad amare, ad amare di più Colui che ci ha tanto amato, per vivere eternamente con Lui.

Una folla immensa di testimoni è invisibilmente presente accanto a noi, vicino a questa grotta benedetta e davanti a questa chiesa voluta dalla Vergine Maria; la folla di tutti gli uomini e di tutte le donne che hanno contemplato, venerato, adorato la presenza reale di Colui che si è donato a noi fino all’ultima goccia di sangue; la folla degli uomini e delle donne che hanno passato ore ad adorarLo nel Santissimo Sacramento dell’altare. Questa sera, noi non li vediamo, ma li sentiamo dire a ciascuno e a ciascuna di noi: «Vieni, lasciati attrarre dal Maestro! Egli è qui e ti chiama! (cfr Gv 11,28). Egli vuol prendere la tua vita e unirla alla sua. Lasciati afferrare da Lui! Non guardare più alle tue ferite, guarda alle sue. Non guardare ciò che ti separa ancora da Lui e dagli altri; guarda l’infinita distanza che Egli ha cancellato nell’assumere la tua carne, nel salire sulla Croce che gli hanno preparato gli uomini e nel lasciarsi mandare a morte per mostrarti il suo amore. Nelle sue ferite Egli ti accoglie; nelle sue ferite Egli ti nasconde. Non rifiutarti al suo amore!». La folla immensa di testimoni che s’è lasciata afferrare dal suo amore è la folla dei santi del cielo che non cessano di intercedere per noi. Erano peccatori e lo sapevano, ma hanno accettato di non guardare le loro ferite, di non guardare ormai che le ferite del loro Signore, per scoprirvi la gloria della Croce, per scoprirvi la vittoria della Vita sulla morte. San Pier-Giuliano Eymard ci dice tutto, quando esclama: “La Santa Eucaristia è Gesù Cristo passato, presente e futuro” (Prediche e istruzioni parrocchiali dopo il 1856, 4 - 2,1. Sulla meditazione).

Gesù Cristo passato, nella verità storica della sera nel cenacolo, ove ci conduce ogni celebrazione della santa Messa. Gesù Cristo presente, perché Egli ci dice: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. “Questo è”, al presente, qui e ora, come in tutti i “qui e ora” della storia umana.

Presenza reale, presenza che supera le nostre povere labbra, i nostri poveri cuori, i nostri poveri pensieri. Presenza offerta ai nostri sguardi come qui, stasera, presso questa grotta ove Maria s’è rivelata come Immacolata Concezione.

L’Eucaristia è anche Gesù Cristo futuro, il Gesù Cristo che verrà. Quando contempliamo l’Ostia Santa, il suo Corpo di gloria trasfigurato e risorto, contempliamo ciò che contempleremo nell’eternità, scoprendovi il mondo intero sostenuto dal suo Creatore in ogni istante della sua storia. Ogni volta che ce ne cibiamo, ma anche ogni volta che lo contempliamo, noi l’annunciamo fino a che Egli ritorni: “donec veniat”. Proprio per questo noi lo riceviamo con infinito rispetto.

Alcuni tra noi non possono o non possono ancora riceverLo nel Sacramento, ma possono contemplarLo con fede e amore, ed esprimere il desiderio di potersi finalmente unire a Lui. E’ un desiderio che ha grande valore davanti a Dio: essi attendono con maggior ardore il suo ritorno; attendono Gesù Cristo che deve venire.

Quando un’amica di Bernadette, all’indomani della sua prima comunione, le chiese: “Di che cosa sei stata più felice: della prima comunione e delle apparizioni?”, Bernadette rispose: “Sono due cose che vanno insieme, ma non possono essere confrontate. Io sono stata felice in ambedue” (Emmanuélite Estrade, 4 giugno 1958). 

Il Beato Charles de Foucauld nacque nel 1858, lo stesso anno delle apparizioni di Lourdes. Non lontano dal suo corpo irrigidito dalla morte fu trovata, come il chicco di frumento gettato nella terra, la lunetta contenente il Santissimo Sacramento, che fratel Carlo adorava ogni giorno per lunghe ore.

Il P.de Foucauld ci affida la preghiera scaturita dall’intimità del suo cuore, una preghiera rivolta al Padre celeste, ma che, con Gesù, possiamo in piena verità fare nostra davanti all’Ostia Santa:

«’Padre mio, affido il mio spirito nelle Vostre mani’. E’ l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro Diletto…Possa diventare la nostra, e che essa sia non solo quella del nostro ultimo istante, ma quella di tutti i nostri istanti: «Padre mio, mi rimetto nelle Vostre mani; Padre mio, mi affido a Voi; Padre mio, mi abbandono a Voi; Padre mio, fate di me ciò che vi piacerà; qualunque cosa facciate di me, vi ringrazio: grazie di tutto; sono pronto a tutto, accetto tutto; Vi ringrazio di tutto. Supposto che la Vostra volontà si compia in me, o mio Dio, supposto che la Vostra volontà si compia in tutte le Vostre creature, in tutti i Vostri figli, in tutti coloro che il vostro cuore ama, non desidero null’altro, mio Dio; rimetto la mia anima nelle Vostre mani; Ve la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché Vi amo ed è un bisogno del mio cuore donarmi, rimettermi nelle Vostre mani, senza misura, con infinita confidenza, perché Voi siete il Padre mio».

Diletti fratelli e sorelle, pellegrini di un giorno e abitanti di queste vallate, fratelli Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, religiose, voi tutti che vedete davanti ai vostri occhi l’infinito abbassamento del Figlio di Dio e la gloria infinita della risurrezione, restate in silenzio e adorate il vostro Signore, il nostro Maestro e Signore Gesù Cristo. Restate in silenzio, poi parlate e dite al mondo: non possiamo più tacere ciò che sappiamo. Andate a dire al mondo intero le meraviglie di Dio, presente in ogni momento delle nostre vite, in ogni luogo della terra. Che Dio ci benedica e ci protegga, ci conduca sul cammino della vita eterna, Lui che è la Vita, per i secoli dei secoli.
Amen.
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Cliccando qui: I MIRACOLI EUCARISTICI
troverete molte storie, autentiche, circa la Presenza Reale di Gesù fra noi nell'Eucarestia....

                             


                                       


Al nostro bisogno di preghiera, al nostro desiderio di incontro con il Dio della vita, il Signore risponde con la sua Presenza d’amore.               Siamo qui presenti ad una Presenza. Siamo presenti a Dio ed al tempo stesso Dio è presente a noi. Sentiamo che tutto di Lui interessa a noi e che tutto di noi interessa a Lui. 

  Dal Libro del profeta Isaia (40,10; 41,9-10.13) Ecco il vostro Dio! Ecco, Dio viene con potenza. Dio dice: “Sei tu colui che io ho preso dall’estremità della terra ed ho chiamato dalle regioni più lontane, e ti ho detto: “Mio servo tu sei, ti ho scelto, non ti ho rigettato”.Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra vittoriosa.Poiché io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: “Non temere, io ti vengo in aiuto!”Parola di Dio.
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venerdì 12 giugno 2009

Sant'Antonio & Corpus Domini: le tre mense del Signore.

Quante volte sentiamo parlare delle "due mense" della Parola e dell'Eucaristia? Sant'Antonio invece, di mense ne indica tre. E la seconda è la più dimenticata nella pratica attuale di molti fedeli che pensano di non aver bisogno di nutrirsi ad essa, e saltano così dalla prima alla terza senza passare per la seconda.

Leggiamo dunque questo passo magistrale del Dottore Evangelico per prepararci alla sua Festa ascoltandone un insegnamento sul modo di ricevere il dono del Corpo di Cristo:

Dai Sermoni di Sant'Antonio (In Fest. SS. Inn. §14)

Sant'Antonio predica ai pesci la Parola di DioOsserva che ci sono tre tipi di mensa, e in ognuna c'è una propria refezione. La prima è la mensa della dottrina: «Davanti a me tu prepari una mensa, di fronte a quelli che mi perseguitano» (Sal 22,5), cioè contro gli eretici. La seconda è la mensa della penitenza: «Tranquillità alla tua mensa, piena di grasse vivande» (Gb 36,16). Felice quella penitenza che produce la quiete della coscienza e abbondanza di bene, cioè opere di carità verso i fratelli. La terza è la mensa dell'Eucaristia, di cui dice l'Apostolo: Non potete partecipare alla mensa di Cristo e alla mensa dei demoni (cf. 1Cor 10,21).
Nella prima mensa la refezione è la Parola di vita, nella seconda i gemiti e le lacrime, nella terza la carne e il sangue di Cristo. E anche qui fa' attenzione che non è detto «alla mensa», ma «intorno alla mensa». Intorno a queste mense deve stare ogni cristiano, a somiglianza di coloro che girano avidamente intorno a ciò che desiderano vedere e trovare, ma dove non riescono ad entrare.sant'Antonio ascolta le confessioni, mentre legge i peccati di un penitente incapace di parlare, la lista si cancella
Così costoro devono girare intorno alla mensa della dottrina, per imparare a distinguere il bene dal male, e tra bene e bene; devono girare intorno alla mensa della penitenza per suscitare in sé il dispiacere dei peccati commessi e anche dei peccati di omissione, per confessare le loro colpe, precisando le circostanze, per riparare il danno arrecato, per restituire ciò che hanno illecitamente tolto, per elargire le cose proprie a chi è nel bisogno; devono girare intorno alla mensa eucaristica per credere con fermezza, per accostarsi ad essa con devozione, e ricevere il corpo di Cristo dopo profonda riflessione, reputandosi indegni di tanta grazia.
Preghiamo dunque il Figlio di Dio che ci conceda di ristorarci a questa triplice mensa per essere degni di saziarci alla mensa celeste insieme ai beati Innocenti. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli.

Amen.





Sant'Antonio mostra il Santissimo Sacramento alla mula che si inginocchia
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guardo questa immagine:

                          

e mi dico: guarda questi occhi, Dorotea, è lo sguardo di un uomo di 82 anni che VEDE E CREDE, CREDE E VEDE con ciò che san Tommaso d'Aquino definisce il sesto senso dell'Uomo: LA FEDE!
Una fede nella quale la ragione stessa della fede trova così IL COMPLETAMENTO, NON LA CONTESTAZIONE...
E' una immagine che commuove e ti prende dentro, non può lasciarci indifferenti... Occhiolino

Meditiamo ora ATTENTAMENTE sull'Omelia....CARI SACERDOTI, FATE DI QUESTA OMELIA IL VOSTRO BALUARDO Occhiolino


CELEBRAZIONE DEL CORPO E DEL SANGUE DI CRISTO

OMELIA DEL SANTO PADRE


«Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue».
Cari fratelli e sorelle, queste parole che Gesù pronunciò nell’Ultima Cena, vengono ripetute ogni volta che si rinnova il Sacrificio eucaristico.
Le abbiamo ascoltate poco fa nel Vangelo di Marco e risuonano con singolare potenza evocativa quest’oggi, solennità del Corpus Domini.

Esse ci conducono idealmente nel Cenacolo, ci fanno rivivere il clima spirituale di quella notte quando, celebrando la Pasqua con i suoi, il Signore nel mistero anticipò il sacrificio che si sarebbe consumato il giorno dopo sulla croce.

L’istituzione dell’Eucaristia ci appare così come anticipazione e accettazione da parte di Gesù della sua morte. Scrive in proposito
sant’Efrem Siro: « Durante la cena Gesù immolò se stesso; sulla croce Egli fu immolato dagli altri» (cfr Inno sulla crocifissione 3,1).
«Questo è il mio sangue».

Chiaro è qui il riferimento al linguaggio sacrificale di Israele. Gesù presenta se stesso come il vero e definitivo sacrificio, nel quale si realizza l’espiazione dei peccati che, nei riti dell’Antico Testamento, non era mai stata totalmente compiuta. A questa espressione ne seguono altre due molto significative. Innanzitutto, Gesù Cristo dice che il suo sangue « è versato per molti » con un comprensibile riferimento ai canti del Servo, che si trovano nel libro di Isaia ( cfr cap. 53). 

Con l’aggiunta - "sangue dell’alleanza" -, Gesù rende inoltre manifesto che, grazie alla sua morte, si realizza la profezia della nuova alleanza fondata sulla fedeltà e sull’amore infinito del Figlio fattosi uomo, un’alleanza perciò più forte di tutti i peccati dell’umanità. L’antica alleanza era stata sancita sul Sinai con un rito sacrificale di animali, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, e il popolo eletto, liberato dalla schiavitù dell’Egitto, aveva promesso di eseguire tutti i comandamenti dati dal Signore (cfr Es 24, 3).

In verità, Israele sin da subito, con la costruzione del vitello d'oro, si mostrò incapace di mantenersi fedele a questa promessa e così al patto intervenuto, che anzi in seguito trasgredì molto spesso, adattando al suo cuore di pietra la Legge che avrebbe dovuto insegnargli la via della vita. Il Signore però non venne meno alla sua promessa e, attraverso i profeti, si preoccupò di richiamare la dimensione interiore dell’alleanza, ed annunciò che ne avrebbe scritta una nuova nei cuori dei suoi fedeli (cfr Ger 31,33), trasformandoli con il dono dello Spirito (cfr Ez 36, 25-27). E fu durante l’Ultima Cena che strinse con i discepoli e con l’umanità questa nuova alleanza, confermandola non con sacrifici di animali come avveniva in passato, bensì con il suo sangue, divenuto "sangue della nuova alleanza". La fondò quindi sulla propria obbedienza, più forte, come ho detto, di tutti i nostri peccati.

Questo viene ben evidenziato nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei, dove l'autore sacro dichiara che Gesù è "mediatore di una alleanza nuova" (9,15). Lo è diventato grazie al suo sangue o, più esattamente, grazie al dono di se stesso, che dà pieno valore allo spargimento del suo sangue. Sulla croce, Gesù è al tempo stesso vittima e sacerdote: vittima degna di Dio perché senza macchia, e sommo sacerdote che offre se stesso, sotto l'impulso dello Spirito Santo, ed intercede per l’intera umanità. La Croce è pertanto mistero di amore e di salvezza, che ci purifica – come dice la Lettera agli Ebrei - dalle "opere morte", cioè dai peccati, e ci santifica scolpendo l’alleanza nuova nel nostro cuore; l’Eucaristia, rendendo presente il sacrificio della Croce, ci rende capaci di vivere fedelmente la comunione con Dio.

 
Cari fratelli e sorelle – che saluto tutti con affetto ad iniziare dal cardinale vicario e dagli altri cardinali e vescovi presenti – come il popolo eletto riunito nell’assemblea del Sinai, anche noi questa sera vogliamo ribadire la nostra fedeltà al Signore.
Qualche giorno fa, aprendo l’annuale convegno diocesano, ho richiamato l’importanza di restare, come Chiesa, in ascolto della Parola di Dio nella preghiera e scrutando le Scritture, specialmente con la pratica della lectio divina, della lettura meditata e adorante della Bibbia.
So che tante iniziative sono state promosse al riguardo nelle parrocchie, nei seminari, nelle comunità religiose, all’interno delle confraternite, delle associazioni e dei movimenti apostolici, che arricchiscono la nostra comunità diocesana. Ai membri di questi molteplici organismi ecclesiali rivolgo il mio fraterno saluto.

La vostra numerosa presenza a questa celebrazione, cari amici, pone in luce che la nostra comunità, caratterizzata da una pluralità di culture e di esperienze diver- se, Dio la plasma come «suo» popolo, come l’unico Corpo di Cristo, grazie alla nostra sincera partecipazione alla duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. Nutriti di Cristo, noi, suoi discepoli, riceviamo la missione di essere «l’anima» di questa nostra città ( cfr Lettera a Diogneto, 6: ed. Funk, I, p. 400; vedi anche Lumen gentium, 38) fermento di rinnovamento, pane « spezzato » per tutti, soprattutto per coloro che versano in situazioni di disagio, di povertà e di sofferenza fisica e spirituale. Diventiamo testimoni del suo amore.

Mi rivolgo particolarmente a voi, cari sacerdoti, che Cristo ha scelto perché insieme a Lui possiate vivere la vostra vita quale sacrificio di lode per la salvezza del mondo. Solo dall’unione con Gesù potete trarre quella fecondità spirituale che è generatrice di speranza nel vostro ministero pastorale.

Ricorda
san Leone Magno che « la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient’altro che a diventare ciò che riceviamo » (Sermo 12, De Passione 3,7, PL 54).
Se questo è vero per ogni cristiano, lo è a maggior ragione per noi sacerdoti.
Essere, divenire Eucaristia! Sia proprio questo il nostro costante desiderio e impegno, perché all’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza.

Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri di Cristo e testimoni della sua gioia. È ciò che i fedeli attendono dal sacerdote: l’e- sempio cioè di una autentica devozione per l’Eucaristia; amano vederlo trascorrere lunghe pause di silenzio e di adorazione dinanzi a Gesù come faceva il santo Curato d’Ars, che ricorderemo in modo particolare durante l’ormai imminente Anno Sacerdotale.

San Giovanni Maria Vianney amava dire ai suoi parrocchiani: « Venite alla comunione... È vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno » (Bernard Nodet, Le curé d’Ars. Sa pensée – Son coeur, éd. Xavier Mappus, Paris 1995, p. 119).

Con la consapevolezza di essere inadeguati a causa dei peccati, ma bisognosi di nutrirci dell’amore che il Signore ci offre nel sacramento eucaristico, rinnoviamo questa sera la nostra fede nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia. Non bisogna dare per scontata questa fede!
C’è oggi il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia. È sempre forte la tentazione di ridurre la preghiera a momenti superficiali e frettolosi, lasciandosi sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioni terrene.
 

Quando tra poco ripeteremo il Padre Nostro, la preghiera per eccellenza, diremo: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» , pensando naturalmente al pane d’ogni giorno per noi e per tutti gli uomini. Questa domanda però contiene qualcosa di più profondo. Il termine greco epioúsios, che traduciamo con « quotidiano » , potrebbe alludere anche al pane « sopra- sostanziale», al pane « del mondo a venire».

Alcuni
Padri della Chiesa hanno visto qui un riferimento all’Eucaristia, il pane della vita eterna, del nuovo mondo, che ci è dato nella Santa Messa, affinché sin da ora il mondo futuro abbia inizio in noi. Con l’Eucaristia dunque il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si cala nel presente e il tempo è come abbracciato dall’eternità divina.
Cari fratelli e sorelle, come ogni anno, al termine della Santa Messa, si snoderà la tradizionale processione eucaristica ed eleveremo, con le preghiere e i canti, una corale implorazione al Signore presente nell’ostia consacrata.

Gli diremo a nome dell’intera città: resta con noi Gesù, facci dono di te e dacci il pane che ci nutre per la vita eterna! Libera questo mondo dal veleno del male, della violenza e dell’odio che inquina le coscienze, purificalo con la potenza del tuo amore misericordioso.

E tu, Maria, che sei stata donna « eucaristica » in tutta la tua vita, aiutaci a camminare uniti verso la meta celeste, nutriti dal Corpo e dal Sangue di Cristo, pane di vita eterna e farmaco dell’immortalità divina.

Amen!
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Il sacrificio glorioso dell'Eucaristia

Un amore paziente e intramontabile


di Inos Biffi

L'Eucaristia è il sacramento del sacrificio di Gesù Cristo. Per comprenderla occorre richiamare insieme l'Ultima Cena e l'immolazione della croce con la sua dimensione di gloria. Nell'Ultima Cena Gesù porta a compimento l'antica Pasqua ebraica e la converte nella Pasqua cristiana, dove alla consumazione dell'antico agnello subentra quella del suo "Corpo dato", e il calice del vino è sostituito dal calice del suo "Sangue versato", suggello della nuova alleanza (Luca, 22, 19-20).

Nasce, così, il sacramento della "cena del Signore" (I Corinzi, 12, 20), che i discepoli consumeranno in memoria di lui e secondo il suo mandato:  "Fate questo in memoria di me" (Luca, 22, 19).



Ma, se nell'Ultima Cena il pane spezzato e offerto da Gesù è il suo "Corpo dato", e il calice da lui fatto passare è il calice del "sangue versato" vuol dire che gli apostoli prendono già parte al suo sacrificio, oggettivamente presente in forma "profetica". Storicamente esso non era ancora avvenuto:  quella era la "notte in cui veniva tradito" (1 Corinzi, 11, 23); l'immolazione di Gesù sarebbe venuta successivamente sul Calvario.

Ed è puntualmente questa immolazione in croce che si deve considerare per comprendere sia la "realtà" del rito eucaristico istituito nella cena pasquale ardentemente desiderata (Luca, 22, 14), sia la ragione della sua ripresentazione sacramentale. Per questo è guida ispirata particolarmente la splendida e acuta Lettera agli Ebrei, con la sua dottrina sulla "perfezione" del sacrificio di Cristo:  una dottrina che la teologia forse non ha sufficientemente e coerentemente illustrato.

L'immolazione della croce scioglie e consuma il valore transitorio di tutti i sacrifici levitici, per imporsi e risaltare come il sacrificio perfetto e intramontabile. I primi erano precari e destinati a ripetersi:  I sacerdoti che li compivano erano, infatti, segnati dalla mortalità (per cui dovevano essere sostituiti) e insieme dalla debolezza (per cui quei sacrifici si esaurivano e dovevano essere ripetuti). Erano sacrifici imperfetti, privi di valore permanente:  incapaci di operare una purificazione definitiva, si stemperavano nel tempo.

Al contrario, il sacerdote della nuova alleanza, Gesù Cristo, non è attraversato dalla mortalità, non è affetto da debolezza, non è compromesso con il peccato, che, per il suo ripetersi, richiede il rinnovarsi del sacrificio di purificazione.

Gesù è un sacerdote - si legge nella Lettera agli Ebrei - "santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso" (Ebrei, 7, 26-27). Nella nuova alleanza il primo sacrificio è abolito e ne è stabilito uno "nuovo" (10, 9), e sia il sacerdote sia il sacrificio risultano perfetti e non passano.

Immolando se stesso, Gesù, Sommo Sacerdote, Figlio di Dio, conferisce alla sua offerta, che non è più carnale ma "spirituale", un valore che non si consuma. Essa non è composta di puri elementi storici per loro natura destinati a passare, ma è in grado di oltrepassare la momentaneità:  "Noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" (Ebrei, 10, 10).
Questa offerta è dunque inestinguibile, non "catturata" e non prigioniera di un momento del tempo, bensì comprensiva e aperta su tutti i tempi e su tutti i luoghi. Noi diremmo:  sempre "attraente" e "trascendente" in quanto procurata da Cristo con "il proprio sangue".

Rileggendo e trasformando la liturgia del giorno dell'espiazione, l'autore della Lettera agli Ebrei afferma:  "Cristo, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna" (9, 11-12).

"Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui" (Ebrei, 9, 24-25); egli "una volta sola, alla pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso" (v. 26).
Quello di Cristo appare, così, un sacrificio "celeste", ossia un sacrificio perennemente presente dinanzi a Dio, un'offerta permanente, che i sacrifici terrestri solo raffiguravano (Ebrei, 9, 23). Commenta un esegeta:  "Alla presenza della scekina egli non offre sacrificio nuovo alcuno. Quella donazione, una e unica, continua" (Cesare Marcheselli-Casale).

Importa sottolinearlo:  l'unico sacrificio di Cristo è quello della croce - "punto d'arrivo di tutto un decorso di esistenza in se stessa già redentiva" - ma esso "già allora portava in sé tutto il potenziale del sacrificio celeste".

A essere radicalmente "celeste" è lo stesso sacrificio della croce. "La morte sacrificale di Cristo - osserva un altro esegeta - non è un atto distinto dalla sua comparsa al cospetto di Dio" (Harold Attridge); propriamente Gesù "non celebra ininterrottamente una liturgia celeste poiché il suo sacrificio fu un evento unico. La liturgia "celeste" è in fondo l'unica dimensione interiore e spirituale del suo sacrifico che è del tutto fisico".

Non esistono due sacrifici:  quello storico e quello glorioso in cielo, ma l'unico sacrificio, quello del Calvario, che è intimamente glorioso, e quindi celeste ed eterno. Se gli mancasse la prerogativa di essere "celeste", il sacrificio della croce svanirebbe. È una fantasia immaginare Gesù risorto da un lato e il suo sacrificio storico, presente nell'Eucaristia, dall'altro; o il Gesù crocifisso, presente nel sacramento, separato e distinto dall'unico Gesù reale vivente, che è il Gesù celeste e glorioso.



Il sacrificio della croce è la persona di Gesù nel suo donarsi. La perennità del sacrificio della croce è la perennità della persona di Gesù in questo amore oblativo. E l'Eucaristia è il sacramento dell'amore paziente e glorioso di Cristo consumato sulla croce e in certo modo confermato con la risurrezione.

La risurrezione o la glorificazione di Gesù, infatti, non fanno che rivelare questo valore celeste e glorioso, e per ciò intramontabile, del sacrificio della croce. Il sacrificio della croce è duraturo a motivo della gloria, inclusa nella sua storia. Senza questa dimensione di gloria, non ci sarebbe possibilità di sacramento. Di più:  senza questa gloria apparsa con la risurrezione, non ci sarebbe stato neppure il sacrificio della croce, o questo sarebbe stato a sua volta un sacrificio passeggero, irrecuperabile nel sacramento.

In altre parole:  l'immolazione di Gesù sulla croce è stata senz'altro un sacrificio storico, segnato dal tempo, come professiamo nel credo:  "Patì sotto Ponzio Pilato", e collocato in un luogo preciso:  il Calvario. Ma, se esso fosse stato esclusivamente storico, avrebbe subìto la sorte di tutti gli eventi che sorgono e avvengono nella storia:  sarebbe stato destinato a passare, logorato dal corso temporale, e a vivere solo in un ricordo attenuato.

Ciò che rende, invece, singolare e incomparabile il sacrificio della croce è la dimensione assolutamente nuova che il suo avvenimento storico racchiude. Esattamente grazie a essa è possibile la sua memoria "reale".
 L'immolazione del Calvarioè ripresentabile nel convito eucaristico, per il fatto di essere un sacrificio celeste, perfetto, spirituale, secondo le connotazioni che la lettera agli Ebrei riconosce al sacrificio di Cristo.

Ne consegue che "quanto continua ad avvenire in terra, sacrifici quotidiani da parte di sacerdoti della nuova alleanza, è solo attualizzazione di quel suo unico sacrificio sacerdotale e redentivo" (Harold Attridge).

Senza dubbio, l'aver compreso la messa come "sacramento" del sacrificio della croce, ossia come il sacrificio stesso della croce in una modalità nuova, quella del segno efficace - per il quale essa è ritrovata dentro un nuovo tempo e un nuovo spazio - è stato un traguardo teologico decisivo.
In tal modo si sono abbandonate definitivamente tanto le teorie che ricercavano nella messa, a livelli vari e diverse forme, degli elementi sacrificali, quanto le teorie in cui col carattere oblativo non risaltava anche il carattere sacrificale, e per questo la definizione della messa appunto come "sacramento del sacrificio" appare felice.

Ma bisogna procedere ulteriormente e dire che il sacrificio della croce è ripresentabile nel sacramento, perché è un sacrificio dove la storia è ricolma di gloria e quindi è un sacrificio celeste, nel senso della Lettera agli Ebrei. Il sacrificio storico della croce è ripresentabile perché glorioso.
Ma deve anche apparire chiaro che è, originariamente, Gesù risorto e Signore e non la celebrazione come tale, a rendere presente nell'Eucaristia il sacrificio della croce.

Cristo, in virtù della sua signoria e con l'istituzione nell'Ultima Cena, ha legato il suo sacrificio temporale capace di "redenzione eterna" (Ebrei, 9, 11) al nostro spazio e alla nostra storia, perché fosse fruibile mediante i segni da lui istituiti.
Il sacramento eucaristico non ripete l'immolazione:  questa si ritrova ed è raggiunta nel "sacro convito" a motivo della condiscendenza del Signore, il quale, potendo disporre del sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue, incessantemente lo ridona a noi.

Questo vale per l'Eucaristia e vale per tutti i sacramenti, i quali, prima che gesti della Chiesa, sono gesti del Signore, vivente in continua e gloriosa intercessione per noi alla destra del Padre. La Chiesa e i suoi ministri non agiscono in nome proprio, ma in nome e per la potestà di Cristo - in persona Christi - in atto in cielo e sulla terra.

Ogni volta è dal Crocifisso risuscitato che noi riceviamo il "Corpo dato" e il "Sangue sparso". Per ciò dove c'è l'Eucaristia, là c'è tutto il Paradiso.


(©L'Osservatore Romano - 14 giugno 2009)
[Modificato da Cattolico_Romano 13/06/2009 18:52]
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SS. Corpo e Sangue di Cristo: il Caleidoscopio che salva la vita

di padre Angelo del Favero
 
 ROMA, venerdì, 12 giugno 2009 (ZENIT.org).-

Il primo giorno degli azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: 'dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?'. (…) Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala già pronta; lì preparate la cena per noi. (…) Venuta la sera, egli arrivò con i dodici.

Ora mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: “In verità vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà”. Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: 'Sono forse io?'. Egli disse loro: 'Uno dei dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui, ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!'.

E mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: 'Prendete, questo è il mio corpo'. Poi prese un calice e rese grazie. Lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: 'Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti (…)'”
(Mc 14,12.17-19.22-25).

Ho voluto aggiungere e sottolineare i versetti omessi dal Lezionario odierno perché mi sembra impossibile comprendere l’istituzione del Sacramento dell’amore “estremo” di Gesù, omettendo il racconto del  tradimento.

E’ proprio a questo, infatti, che Gesù volge anzitutto il suo sguardo introducendo con un solenne “Amen” (tradotto con “In verità”) l’annuncio del mistero dell’Eucaristia, mistero d’amore del suo Cuore che si lascia trafiggere da un amico  per liberare lui e tutti noi dall’inimicizia del peccato.
Con questo “Amen”, il Signore non intende semplicemente un “ascoltatemi bene”, ma dichiara apertamente il consenso della sua volontà: bere fino in fondo il calice che non i discepoli (“dove vuoi che andiamo a preparare la pasqua?”), ma il Padre gli ha preparato, accettando l’imminente glorificazione della croce.

Amen” perciò equivale a “Eccomi...avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).  Per Gesù, ora, questa parola è il tradimento di Giuda.
Il Signore volontariamente porge la guancia al bacio dell’amico omicida (come non pensare, con timore e tremore, anche alle nostra labbra che si accostano ogni domenica al Corpo del Signore?), per rivelare e comunicare in tal modo, e per tale dolorosissima via, l’amore infinito di Dio per ogni uomo (Esortazione apostolica “Sacramentum Caritatis”, n. 1).

Una consegna di Sé che era stata decisa trentatre anni prima
, quando lo stesso Amen era risuonato nel Cieli, nel giorno in cui, a Nazaret, una fanciulla aveva permesso a Cristo di entrare nel mondo dicendo: “Ecco, io vengopoiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7).

Singolarissima affermazione!

Il Figlio del Dio invisibile, il “Verbo della vita”, non si era ancora fatto Carne nel grembo di Maria, e “già” acconsentiva, nel Seno del Padre, al tradimento di uno dei suoi discepoli, già anelava a farsi “Eucaristia”. L’Incarnazione, infatti, è in vista dell’Ultima Cena, della Redenzione operata dal sangue di Cristo, come rivelano le parole della consacrazione: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. Questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.

Sì, l’Amen di Gesù,  nella “grande sala arredata e già pronta al piano superiore”, è l’eco di quello da Lui pronunciato davanti agli Angeli al “piano superiore” e nella “grande sala” del Cielo, per aderire al disegno salvifico del Padre per noi: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7). Commenta la Bibbia “Via, Verità e Vita”: “Dio non gradisce animali e cose, ma la persona umana (“corpo” sta per tutto l’uomo), che aderisce liberamente alla volontà di Dio. E’ questo il nuovo sacrificio, che abolisce i precedenti e che ci ha resi santi (cf v. 10).”.

Ecco: la preparazione della grande sala arredata ci orienta verso la preparazione del corpo. Ma di quale corpo si tratta? E come intendere tale preparazione?

Infatti si può preparare materialmente una sala e si prepara l’olocausto di tori e di capri da offrire in sacrificio, ma non si prepara il corpo di una persona, dal momento che il corpo non è un oggetto di cui si può disporre, ma è la persona che liberamente dispone di sé.

Questa soggettiva preparazione è allora l’obbedienza della volontà personale, chiamata ad aderire liberamente alla volontà di Dio.Il Padre, tuttavia, ha dovuto “preparare” qualcosa per il suo Figlio: gli ha preparato “una sala” piccolissima, da Lui stesso arredata 14-15 anni prima con ogni bellezza e splendore, gli ha preparato il  “corpo” di cui parla implicitamente Gesù, il corpo di una madre, il corpo immacolato di Colei che doveva essere l’Arca santa e viva del Signore.

Vediamo allora che il più grande evento della storia umana, non solo è coinciso con l’istante del concepimento di un uomo, ma è stato preparato dalla grazia di un singolarissimo privilegio concesso nell’istante del concepimento di una donna.

Queste considerazioni ci aiutano a comprendere le parole del mirabile canto eucaristico dell’”Ave verum”, cosi chiamato dalle sue prime due parole latine: “Ave verum corpus natum de Maria Virgine; vere passum, immolatum in cruce pro homine, cuius latus perforatum fluxit aqua et sanguine. (…)”: Ave vero corpo nato da Maria Vergine che veramente patì e fu immolato per l’uomo sulla croce, il cui costato trafitto sgorgò acqua e sangue. (…)”. Commenta così Raniero Cantalamessa:”E’ il Gesù nato da Maria a Betlemme, lo stesso che “passò facendo del bene a tutti” (At 10,38), che morì sulla croce e risuscitò il terzo giorno, colui che vive oggi nel mondo, non una sua vaga presenza spirituale, e, come dice qualcuno, la sua “causa”. L’Eucaristia è il modo inventato da Dio per rimanere per sempre l’Emmanuele, il Dio-con-noi” (in “Questo è il mio corpo”, l’Eucaristia alla luce dell’Adoro te devote e dell’Ave verum”, p. 130).

Dice “modo inventato” non per farci riflettere sulla fantasia di Dio, ma per inabissarci nell’inconcepibile amore di Gesù, il quale “trasforma un evento di rottura – il bacio di Giuda - in un mezzo atto a stabilire la comunione con Dio e i fratelli, la trasformazione del sangue criminalmente versato dai nemici in sangue di alleanza. Questa trasformazione è veramente stupenda, è una straordinaria vittoria dell’amore.” (Card. A. Vanhoye, Accogliamo Cristo nostro Sommo Sacerdote, E.S. con Benedetto XVI, p. 102).

Questa mirabile capacità di trasformazione dell’odio omicida in amore che da la vita, è il “pleroma”, la pienezza amorosa, dinamica e corporale dell’Eucaristia, che Gesù, Vite vera, comunica a noi suoi tralci, perché portiamo più frutto, quel “di più” umanamente impossibile che Egli comanda ai discepoli nell’Ultima Cena: “Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,1s).

Trasformare una coscienza che odia a morte il suo prossimo in una che è pronta a dare la vita per lui, è opera possibile solo al Dio dell’Eucaristia, come promette oggi Eb 9,13-14: “Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte , perché serviamo al Dio vivente?”.

L’espressione “Spirito eterno” non indica lo Spirito Santo, ma la potenza divina che sostiene l’umanità di Gesù nella sua passione e morte di croce, una potenza in grado non solamente di purificare la macchie delle opere omicide, ma anche di “restaurare” in toto il capolavoro divino della coscienza umana, spesso deturpato al punto da non riconoscere più la Verità, perché questa stessa è diventata “una deificazione della soggettività, di cui la coscienza è oracolo infallibile, che non può essere messa in questione da niente e da nessuno.” (Benedetto XVI, “L’elogio della coscienza”, p. 42).  

Questo diabolico e perverso suggerimento operato dalla “dis-coscienza” di molti, è provato con dolorosa evidenza da quella “menzogna sul corpo” che caratterizza oggi la mentalità comune: “Il corpo non è più percepito spontaneamente dal soggetto come la forma concreta di tutte le sue relazioni nei confronti di Dio, degli altri e del mondo,…appare piuttosto come uno strumento al servizio di un progetto di benessere, elaborato e perseguito dalla ragione tecnica, la quale calcola come potrà trarne il profitto migliore.” (id., p. 42-43).

Da un simile inganno non può che provenire “l’individualismo, il materialismo, l’utilitarismo e l’ideologia edonista della realizzazione di se stessi da parte di se stessi” (p. 42).

Con tale presupposto ideologico la negazione teorica e pratica della dignità assoluta della vita umana (assoluta significa non solo il suo valore non negoziabile, ma la sua piena ed inscindibile presenza nell’essere umano per ciò stesso che è un uomo sin dal concepimento) è consequenziale.Al di là delle ragioni antropologiche e culturali di tutto ciò, la più vera e radicale interpretazione è quella data da Benedetto XVI: “In sintesi possiamo dire che la radice ultima dell’odio e di tutti gli attacchi contro la vita umana è la perdita di Dio. Dove Dio scompare, scompare anche la dignità assoluta della vita umana.” (id., p. 47).

Potrei aggiungere: dove scompare Cristo, come “Via, verità e vita” dell’uomo, “Pietra d’angolo” del cosmo e della storia, dove cioè scompare la fede nel mistero del Corpo di Cristo (Incarnazione ed Eucaristia), anche la luce vera della coscienza finisce per impallidire e smorzarsi del tutto. Allora non si riconosce più che il rispetto incondizionato per la vita dell’uomo appena concepito è la vera ed unica pietra angolare di un umanesimo integrale, capace di costruire e ricostruire la civiltà dell’amore.

La verità dell’uomo è Cristo, e il Corpo di Cristo è la verità del corpo dell’uomo, del corpo di ogni uomo sin dal primo istante della sua esistenza nel grembo della madre.

Per questo ogni violazione della dignità assoluta della vita umana è  un gravissimo peccato di profanazione eucaristica del Corpo di Cristo, capace di smembrare mortalmente l’intero corpo dell’umanità, straziandolo in frantumi e frammenti come un aborto volontario.

Ma è proprio il santissimo Corpo di Cristo che impedisce la distruzione totale dell’uomo e dell’umanità che Egli ha assunto. Infatti l’Eucaristia è il sacramento di quella divina Misericordia con la quale il Padre guarda la debolezza mortale della nostra sfinita umanità come da un caleidoscopio. E come questo strumento riesce a trasformare, nello sguardo stupito, alcuni frammenti di oggetti rotti e inutilizzati in un disegno armonioso di sorprendente bellezza, così attraverso il caleidoscopio del Corpo di Cristo, che è il suo Cuore Misericordioso, Dio vede l’umanità ricomposta nella bellezza del suo progetto originario: la somiglianza con il suo Figlio divino.

La vede perché vede Gesù in ogni essere umano concepito sotto il cuore della Madre. Ed è così che Maria guarda ogni madre che si è lasciata indurre nella tentazione di  sopprimere il frutto benedetto del suo seno.
[Modificato da Cattolico_Romano 14/06/2009 08:53]
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