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Pio XII e gli ebrei: Verità storica senza pregiudizi

Ultimo Aggiornamento: 27/05/2009 18:19
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Benedetto XVI invita a riconoscere l'azione umanitaria di Eugenio Pacelli durante la persecuzione nazista e fascista

Pio XII e gli ebrei
Verità storica senza pregiudizi


Occorre riconoscere senza pregiudizi ideologici la verità storica su Pio XII. È l'invito di Benedetto XVI nel corso dell'udienza di giovedì 18 settembre ai partecipanti al simposio della Pave the Way, una Fondazione ebraica impegnata a riscoprire e valorizzare l'azione umanitaria di Papa Pacelli per le vittime della guerra e, in particolare, per gli ebrei.

Stimato Signor Krupp,
Gentili Signore e Signori,
è per me un vero piacere incontrarvi al termine dell'importante simposio promosso dalla Pave the Way Foundation, che ha visto la partecipazione di eminenti studiosi per riflettere insieme sull'opera generosa compiuta dal mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII, durante il difficile periodo del secolo scorso, che ruota attorno al secondo conflitto mondiale. A ciascuno di voi rivolgo il mio più cordiale benvenuto. Saluto in modo particolare il Sig. Gary Krupp, Presidente della Fondazione, e gli sono grato per i sentimenti espressi a nome di tutti i presenti. Gli sono inoltre riconoscente per le informazioni che mi ha dato su come si sono svolti i vostri lavori in questo vostro simposio, in cui avete analizzato senza preconcetti gli eventi della storia, unicamente preoccupati di ricercare la verità. Il mio saluto si estende a quanti si sono a voi uniti in questa vostra visita, e colgo volentieri l'occasione per inviare il mio cordiale pensiero ai vostri familiari e alle persone a voi care.
Durante questi giorni la vostra attenzione si è rivolta alla figura e all'infaticabile azione pastorale e umanitaria di Pio XII, Pastor Angelicus. È passato mezzo secolo dal suo pio transito, avvenuto qui, a Castel Gandolfo nelle prime ore del 9 ottobre 1958, dopo una malattia che ne ridusse gradualmente il vigore fisico. Questo anniversario costituisce una importante opportunità per approfondirne la conoscenza, per meditarne il ricco insegnamento e per analizzare compiutamente il suo operato. Tanto si è scritto e detto di lui in questi cinque decenni e non sempre sono stati posti nella giusta luce i veri aspetti della sua multiforme azione pastorale. Scopo del vostro simposio è proprio quello di colmare alcune di tali lacune, conducendo una attenta e documentata analisi su molti suoi interventi, soprattutto su quelli a favore degli ebrei che in quegli anni venivano colpiti ovunque in Europa, in ossequio al disegno criminoso di chi voleva eliminarli dalla faccia della terra. Quando ci si accosta senza pregiudizi ideologici alla nobile figura di questo Papa, oltre ad essere colpiti dal suo alto profilo umano e spirituale, si rimane conquistati dall'esemplarità della sua vita e dalla straordinaria ricchezza del suo insegnamento. Si apprezza la saggezza umana e la tensione pastorale che lo hanno guidato nel suo lungo ministero e in modo particolare nell'organizzazione degli aiuti al popolo ebraico.
Grazie a un vasto materiale documentario da voi raccolto, arricchito da molteplici e autorevoli testimonianze, il vostro simposio offre alla pubblica opinione la possibilità di conoscere meglio e più compiutamente ciò che Pio XII ha promosso e compiuto a favore degli ebrei perseguitati dai regimi nazista e fascista. Si apprende allora che non risparmiò sforzi, ovunque fosse possibile, per intervenire direttamente oppure attraverso istruzioni impartite a singoli o ad istituzioni della Chiesa cattolica in loro favore. Nei lavori del vostro convegno sono stati anche evidenziati i non pochi interventi da lui compiuti in modo segreto e silenzioso proprio perché, tenendo conto delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era possibile evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Questa sua coraggiosa e paterna dedizione è stata del resto riconosciuta ed apprezzata durante e dopo il tremendo conflitto mondiale da comunità e personalità ebraiche che non mancarono di manifestare la loro gratitudine per quanto il Papa aveva fatto per loro. Basta ricordare l'incontro che Pio XII ebbe, il 29 novembre del 1945, con gli 80 delegati dei campi di concentramento tedeschi, i quali in una speciale udienza loro concessa in Vaticano, vollero ringraziarlo personalmente per la generosità dal Papa dimostrata verso di loro, perseguitati durante il terribile periodo del nazifascismo.
Gentili Signore e Signori, grazie per questa vostra visita e per il lavoro di ricerca che state compiendo. Grazie alla Pave the Way Foundation per la costante azione che dispiega nel favorire i rapporti e il dialogo tra le varie Religioni, in modo che esse offrano una testimonianza di pace, di carità e di riconciliazione. È mio vivo auspicio infine che quest'anno, che ci ricorda il 50° della morte di questo mio venerato Predecessore, offra l'opportunità di promuovere studi più approfonditi sui vari aspetti della sua persona e della sua attività, per giungere insieme a conoscere la verità storica, superando così ogni restante pregiudizio. Con tali sentimenti invoco sulle vostre persone e sui lavori del vostro simposio la benedizione di Dio.

(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2008)

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La Fondazione “Pave the Way” cerca la verità su Pio XII

Dichiarazioni a ZENIT del suo presidente dopo l'incontro con il Papa

di Jesús Colina

CASTEL GANDOLFO, giovedì, 18 settembre 2008 (ZENIT.org).- La Fondazione “Pave the Way” ha organizzato un simposio a Roma per ristabilire la verità storica sull'impegno di Pio XII a favore degli ebrei. Il suo presidente Gary Krupp, ebreo, ha confidato a ZENIT le sue impressioni dopo che Benedetto XVI ha ricevuto i partecipanti al congresso questo giovedì.

Krupp riconosce che sarà difficile dissipare la “leggenda nera” su Pio XII, che alcuni hanno accusato di essere il Papa di Hitler.

“Il nostro simposio era estremamente significativo, dato che la Fondazione 'Pave the Way' crede che questo problema continuerà anche dopo l'apertura degli Archivi Segreti Vaticani relativi agli anni della Seconda Guerra Mondiale”, ha affermato Krupp, statunitense e fondatore della “Pave the Way”.

Nel congresso, spiega, si è scoperto che molti messaggi e molte istruzioni di Pio XII per salvare gli ebrei “sono stati verbali o in codice e i ricercatori degli archivi sembrano credere che ciò che non è stato scritto non sia accaduto, e di fronte alla mancanza di scoperta di nuovi documenti nasceranno accuse di distruzione intenzionale di documenti”.

Papa Benedetto XVI ha spiegato questo giovedì nel corso dell'udienza ai partecipanti al simposio che quest'opera del Pontefice è stata sviluppata “in modo segreto e silenzioso proprio perché, tenendo conto delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, solo in tale maniera era possibile evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei”.

Di fronte a questi pregiudizi, la Fondazione ha raccolto le testimonianze di ebrei salvati da membri della Chiesa cattolica in obbedienza a indicazioni di Pio XII.

“Queste testimonianze in video e il nostro libro di documenti sono aperti all'analisi di tutti sulla nostra pagina web www.ptwf.org”, ha spiegato il fondatore.

Sull'udienza concessa da Benedetto XVI, Krupp ha confessato che “è stata molto gratificante, perché il Papa è stato estremamente gentile nel manifestare la sua gratitudine alla Fondazione 'Pave the Way' per i nostri sforzi di iniziare a offrire prove concrete”.


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Pio XII e i mass media

Intervista con Umberto Tarsitano, autore di un libro sull'argomento

di Miriam Díez i Bosch

ROMA, giovedì, 18 settembre 2008 (ZENIT.org).- L'atteggiamento positivo della Chiesa nei confronti dei media si deve a un Papa: Pio XII.

Lo sostiene Umberto Tarsitano, portavoce del Vescovo della diocesi di San Marco Argentano – Scalea e docente di Comunicazione sociale presso l’Istituto di Scienze Religiose “San Ciriaco Abate” di Belvedere Marittimo, nel suo libro “Il Messo di Dio Pio XII e i mass media”, con Prefazione di Giulio Andreotti (Edizioni Lulu 2008).

Pio XII non sembra a prima vista un Papa mediatico come Giovanni Paolo II. Lo era veramente?

Tarsitano: Vi è un rapporto costante tra i media e questo Papa. Già suo padre è tra i fondatori dell’Osservatore Romano, vive in famiglia le dinamiche del giornale.

Negli anni in cui è segretario di Stato, durante il pontificato di Pio XI, con Marconi, ha un ruolo determinante alla nascita di Radio Vaticana. Più volte e costantemente incontra i giornalisti.

Si occupa nei suoi scritti di radio, cinema, televisione. Gira un film – “Pastor Angelicus” – in cui illustra la vita dentro il Vaticano. Analizza più volte il rapporto delle masse con gli strumenti della comunicazione. A fine del suo Pontificato scriverà l’Enciclica “Miranda Prorsus”, che rappresenta la sintesi della dottrina della Chiesa Cattolica circa la comunicazione.

La visione positiva da parte della Chiesa del ruolo dei mezzi di comunicazione si ha grazie a Papa Pio XII. Si ha inoltre la consapevolezza del ruolo evangelizzatore della comunicazione. Pio XII traccia la strada alle novità del Concilio Vaticano II anche in ordine alla comunicazione sociale.

In un suo scritto, Papa Pio XII riconosce alla comunicazione “il più prezioso dei servizi sociali”, coniando già nel 1955 il termine che successivamente è stato adottato dal Concilio Vaticano II nella definizione dei media quali strumenti della comunicazione sociale.

Sono molti gli interventi di Pio XII sui media tenuti durante le tante udienze. Dagli scritti di Papa Pacelli sulla mondo dei media si coglie un interesse del Papa ad approfondire anche taluni aspetti tecnici e scientifici.

L’eredità di Pio XII è in parte ancora da scoprire. Per ciò che concerne i media, buon erede di Pio XII è stato sicuramente Giovanni Paolo II.

Lei suggerisce che sarebbe utile approfondire lo stretto rapporto nell’ambito della comunicazione tra Eugenio Pacelli e Karol Wojtyla. Perché?

Tarsitano: Così come sottolinea nella postfazione al libro la professoressa Annalisa Venditti, nel 1947 Karol Wojtyla era giovane studente in Roma e durante un’udienza Pio XII e il futuro Giovanni Paolo II ebbero modo di scambiarsi alcune battute. Oltre al contatto durante l’udienza, Pio XII è stato il Papa degli anni della formazione di Wojtyla.

Karol Wojtyla sicuramente ha approfondito il Magistero di Papa Pacelli. Il futuro Papa conosceva, ad esempio, come l’Anno Santo del 1950 era diventato uno dei primi eventi con la partecipazione della grandi masse. Ancora ad esempio, sarebbe interessante capire da dove nasceva l’interesse e l’impegno del giovane Wojtyla nel teatro…

Pio XII, un Papa spesso criticato e al centro del dibattito storico. Per lei è stato frainteso?

Tarsitano: Eugenio Pacelli è stato Papa negli anni più terribili del Novecento. Le aberrazioni dei regimi totalitari, le tensioni a livello mondiale, i cambiamenti epocali vissuti, hanno certamente reso non facile un ruolo così importante.

Al tempo stesso la straordinarietà della persona, dotato di un alto senso di diplomazia e fortemente legato alla visone evangelica della vita, hanno fatto epidermicamente incarnare in questo Pontefice non solo il ruolo di Vicario di Cristo in terra ma anche quello di Messo di Dio: Colui – così come dice Dante Alighieri – che è “dal ciel messo”.

I mass media hanno avuto, dopo la morte di Papa Pacelli, un ruolo di cassa di risonanza di taluni aspetti sensazionali che gli storici di diversa estrazione non hanno condiviso. Gli storici che parlavano a difesa di Pio XII spesso non hanno avuto molto spazio da parte dei media.

Il film “Il Vicario” del 1964, di Hochhut ha diffuso l’equivoco di Pio XII quale persona codarda e antisemita, e ha contribuito non poco a sviare la verità.

I comunicatori che avranno modo di conoscere gli aspetti legati al mondo dei media, riscopriranno la grandezza di questo Pontefice.

E cosa possono imparare del rapporto tra Pio XII e l'opinione pubblica?

Tarsitano: Negli anni dei regimi, l’opinione pubblica era soggiogata ai voleri dei dittatori. Successivamente nel dopoguerra il rischio della mancanza di una pubblica opinione era costituito dai cambiamenti epocali in atto.

Papa Pacelli cercava di far arrivare un messaggio forte alle coscienze, e al tempo stesso riconosceva nella stessa Chiesa cattolica il diritto alla formazione dell’opinione pubblica.

Per Pio XII era salutare nella Chiesa, la formazione di una pubblica opinione, naturalmente per le questioni lasciate alla libera discussione. Pio XII anche in questa materia traccia la strada al Concilio Vaticano II.


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Pio XII, il Papa calunniato
 di Andrea Tornelli

Nonostante una quantità sbalorditiva di testimonianze contrarie, molte provenienti da ambienti ebraici, perdura la leggenda nera di un Papa che sarebbe stato “nemico degli Ebrei”. All’origine della calunnia ci sono dossier fabbricati ad arte dal comunismo sovietico. Scoperti nuovi documenti.

[Da «il Timone» n. 64, giugno 2007]

La figura di Pio XII, mentre procede l’iter della causa di beatificazione e si avvicina il cinquantesimo anniversario della morte (avvenuta nell’ottobre 1958), continua ad essere al centro di polemiche ma anche di nuove scoperte documentali che contribuiscono a correggere la leggenda nera sul Papa «silenzioso» se non addirittura «filonazista» costruita in questi decenni. Una leggenda nera che risale agli ambienti dell’Unione Sovietica: è ormai accertato che le informazioni servite per realizzare il dramma «Il Vicario», la piece teatrale di Rolf Hochhuth che diede l’avvio alla campagna di accuse, provenivano dagli archivi dei servizi segreti comunisti della Germania dell’Est. Dossier fabbricati ad arte per screditare il Papa e la Chiesa.

Nuovi documenti finiti dagli archivi del Reich a quelli della Germania comunista, pubblicati per la prima volta dal quotidiano La Repubblica nei mesi scorsi attestano, invece, che Pio XII era descritto dai nazisti come un nemico, un «avversario abile e temuto», un capo religioso molto attivo nell’aiuto e nel soccorso a polacchi ed ebrei, e in attesa di «un cambiamento della situazione in Germania».

Purtroppo, a queste nuove e importanti acquisizioni non corrisponde un cambiamento di mentalità. Lo hanno dimostrato le recenti polemiche per la didascalia posta sotto la foto di Pio XII al memoriale dell’Olocausto, lo Yad Vashem di Gerusalemme. Il Pontefice è stato collocato in mezzo ai capi di Stato razzisti (e già questo è motivo di indignazione), e la didascalia incriminata, nel descrivere Pacelli come una figura «controversa», contesta tra l’altro al Pontefice la mancanza di interventi verbali o scritti contro la deportazione degli ebrei, la mancanza di interventi per bloccare la razzia del ghetto di Roma e un «silenzio» che non diede «linee guida» in favore degli israeliti perseguitati al clero in Europa. Ognuno di questi punti è formulato in modo discutibile nel radiomessaggio del 24 dicembre 1942, Pacelli parlò delle «centinaia di migliaia di persona le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o un progressivo deperimento». Ed è attestato che non appena fu informato della razzia nel ghetto di Roma il Papa mise in atto vari tentativi di fermarla. Uno di questi, grazie al generale Reiner Stahel, portò Himmler a dare l’ordine di sospendere i rastrellamenti già nel primo pomeriggio del 16 ottobre 1943, il giorno in cui erano iniziati. Così come appare del tutto incongruente affermare che la Santa Sede non diede direttive umanitarie in favore dei perseguitati: una tesi smentita da tantissime testimonianza.

A questo proposito sono interessanti quelle inedite raccolte dal professor Michael Tagliacozzo, storico ebreo di origini italiane sopravvissuto alla Shoah perché accolto nel palazzo papale del laterano, profondo studioso dell’Olocausto. Sono attestati che si aggiungono ai moltissimi già noti e pubblicati e che mostrano l’assoluta inconsistenza della tesi contenuta nella didascalia del museo Yad Vashem. Eccone alcuni stralci: «Desidero raccontarvi della Roma ebraica, del gran miracolo di avere trovato qui migliaia di ebrei. La Chiesa, i conventi, frati e suore - e soprattutto il Pontefice - sono accorsi all’aiuto e al salvataggio degli ebrei, sottraendoli agli artigli dei nazisti e dei loro collaborazionisti fascisti italiani. Grandi sforzi, non scevri da pericoli, sono stati fatti per nascondere ed alimentare gli ebrei durante i mesi dell’occupazione tedesca… Tutta la Chiesa è stata mobilitata allo scopo, operando con grande fedeltà... Il Vaticano è stato il centro di ogni attività di assistenza e salvataggio nelle condizioni della realtà del dominio nazista». (Sergente maggiore Joseph Bancover, uno dei capi del movimento sionista laburista).
«Tutti i profughi raccontano il lodevole aiuto da parte del Vaticano. Sacerdoti hanno messo in pericolo la loro vita per nascondere e salvare gli ebrei. Lo stesso Pontefice ha partecipato all’opera di salvataggio degli ebrei». (Lettera dal fronte italiano del soldato Eliyahu Lubisky, membro del kibbutz socialista «Beth Alpha»).
«Grande fu l’aiuto che venne agli ebrei dal Vaticano e dalle varie autorità ecclesiastiche... che mosse da spirito di carità si adoperarono per lenire i dolori dei nostri correligionari e per proteggerli dalle persecuzioni». (Bollettino Ebraico d’informazioni del 18 settembre 1944).
«… Riconoscenza che poi, come ognuno di noi ben sa, dobbiamo tributare in misura quanto mai grande e sentita verso la Chiesa cattolica e verso il suo augusto capo, Sua Santità Pio XII al quale… feci già da tempo pervenire l’espressione della gratitudine vivissima di tutta la nostra popolazione». (Relazione della Comunità israelitica di Roma, 20 ottobre 1944).
«A Roma il 16 ottobre 1943, fu organizzata una vasta retata nel vecchio quartiere ebraico… Il clero italiano partecipò all’opera di salvataggio e i monasteri aprirono agli ebrei le loro porte. Il Pontefice intervenne personalmente a favore degli ebrei arrestati a Roma». (Dalla relazione introduttiva del Procuratore Gideon Hausner al processo Eichmann, 18 aprile 1961).

Come si può ben vedere, un coro di gratitudine per l’aiuto ricevuto. Il tempo è galantuomo e c’è da prevedere che nuovi documenti contribuiranno a restituire a questo grande Papa il posto che si merita. È ad esempio del tutto falso che Pio XII avesse un qualsiasi tipo di avversione per gli ebrei. Negli anni del liceo il giovane Eugenio aveva stabilito dei solidi legami d’amicizia con alcuni compagni. Il rapporto con uno di questi è particolarmente interessante in quanto si tratta di un giovane, Guido Mendes, appartenente alla comunità ebraica di Roma. Discendente di una famosa famiglia di dottori e studiosi di medicina che risaliva fino al medico di corte del re Carlo I d’Inghilterra. All’indomani della morte di Pio XII, il dottor Mendes, che all’epoca viveva a Ramat Gan, in Israele, racconterà al quotidiano Jerusalem Post dell’amicizia che lo aveva legato al Papa fin dai tempi in cui frequentavano insieme il Visconti. «Pacelli è stato il primo papa che ha condiviso, negli anni della sua giovinezza, una cena dello Shabbat in una casa ebraica e che ha discusso informalmente di teologia ebraica con eminenti membri della comunità di Roma». Mendes ricorda che visitava casa Pacelli e che Eugenio visitava casa sua, e che «scambiavano tra loro quelli che erano i loro interessi e i loro ideali». Ricorda intorte che pur vivendo in un periodo in cui l’atmosfera predominante era anticlericale e avversa al cattolicesimo, Pacelli era sempre pronto a intervenire in difesa della Chiesa. Il futuro Pio XII aveva manifestato molto interesse per la religione ebraica e aveva chiesto all’amico di poter prendere in prestito dalla sua biblioteca un libro del rabbino Ben Herzog. Terminato il liceo, uno si sarebbe avviato agli studi ecclesiastici, l’altro a quelli di medicina. Ciononostante riusciranno a incontrarsi ancora e la profondità del loro legame si sarebbe manifestata in modo particolare nel 1938, quando Pacelli, già cardinale di Stato da diversi anni, si sarebbe prodigato ad aiutare la famiglia Mendes colpita dalle leggi antisemite promulgate dal governo fascista italiano. Il cardinale otterrà per loro la possibilità di recarsi al sicuro in Svizzera, da dove, l’anno successivo, espatrieranno in Palestina. Dopo la guerra, Guido Mendes e Pio XII avranno ancora due incontri definiti dal medico ebreo «estremamente cordiali», nei quali parleranno, tra l’altro, dello statuto della città di Gerusalemme. Mendes ricorderà che papa Pacelli, nel corso di un incontro con un gruppo di ebrei sopravvissuti dai campi di concentramento, aveva detto loro: «Fra breve tempo, voi avrete uno Stato d’Israele».

Un altro, significativo frammento, permette di ricostruire quale fosse l’atteggiamento personale del Pontefice nei confronti degli israeliti, come attesta un articolo pubblicato il 28 aprile 1944 sul quotidiano The Palestine Post (oggi Jerusalem Post). Sotto il titolo A Papal Audience in Wartime (Una udienza papale in tempo di guerra) e la firma «by Refugee» (in calce è scritto che l’autore dell’articolo è arrivato in Palestina nella nave di rifugiati, «Nassa»), l’autore raccontava che nell’autunno del 1941 era stato ricevuto, insieme ad altri ebrei, in udienza da Pio XII. Quando il Papa gli si era avvicinato, il giovane aveva rivelato di essere nato in Germani ma di essere ebreo. Il Papa aveva risposto: «Dimmi figliolo, cosa posso fare per te?». Il giovane aveva raccontato del naufragio di ebrei rifugiati che erano stati salvati da una nave italiana nel mar Egeo e fatti prigionieri in un campo di internati in una isola locale. Il Pontefice aveva ascoltato con attenzione e si era preoccupato della condizione fisica e sanitaria degli ebrei fatti prigionieri. Secondo l’articolo pubblicato su The Palestine Post, Pio XII aveva aggiunto: «Hai fatto bene a venire da me per raccontarmi questa storia, ero già stato informato in proposito. Vieni domani con un rapporto scritto e consegnato alla segreteria di Stato che si prenderà cura della questione. So bene cosa questo significhi e spero che tu sia sempre fiero di essere un ebreo». L’autore dell’articolo assicurava che il Papa aveva alzato la voce in modo che tutti nella sala potessero ascoltarlo chiaramente: «Figliolo, ciò di cui sei meritevole solo il Signore lo sa, ma credimi, tu hai la stessa dignità di ogni altro essere umano che vive sulla nostra terra! E ora, mio amico ebreo, vai con al protezione di Dio, e non dimenticare mai, tu devi sentirti fiero di essere un ebreo».
Concludeva l’autore dell’articolo che, dopo aver detto ad alta voce queste parole, Pio XII aveva alzato la mano per dargli la benedizione, ma «si fermò, sorrise e con le dita mi toccò la testa e mi invitò a sollevarmi, visto che ero inginocchiato».

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«La campagna di disinformazione, nome in codice “Posizione 12”, era stata approvata da Nikita Krusciov con l’intento di screditare moralmente il Papa, facendolo apparire come un gelido simpatizzante dei nazisti e un silenzioso testimone dell’Olocausto. L’apice dell’azione di propaganda sarebbe stata, secondo Pacepa, la rappresentazione nel 1963 della celebre opera teatrale “Il Vicario”, scritta dal drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, che demolì la figura di Pacelli, e da cui il regista Costa-Gavras avrebbe tratto nel 2002 il suo film “Amen”».
(Marco Ansaldo, I dossier di Hitler su Pio XII. “Quel Papa è nostro nemico”, in la Repubblica, 29 marzo 2007).

Bibliografia

Andrea Tornielli, Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro, Mondadori 2007.
Andrea Tornielli, Pio XII, il Papa degli ebrei, Piemme, 2001.

© il Timone
www.iltimone.org
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Il rabbino che demolì la leggenda nera di Pio XII
 di Foberto Persico

Lo storico ebreo David Dalin rende giustizia a un pontefice che si oppose sempre al nazismo.

[Da «Tempi» num. 37 del 13/09/2007]

Un suo articolo uscito anni addietro sul Weekly Standard (26 febbraio 2001) aveva suscitato un vespaio: un rabbino che chiede, pubblicamente e con abbondanza di argomentazioni, che Pio XII, "il Papa di Hitler" accusato di complicità nello sterminio degli ebrei o quantomeno di connivenza col nazismo, sia incluso fra i "giusti" è certo un evento che fa notizia. A firmare la clamorosa apertura era stato rabbi David Dalin, uno degli esponenti di spicco del conservatorismo ebraico, quella corrente del giudaismo che combina un fermo rispetto dei princìpi religiosi tradizionali con una leale apertura alla civiltà moderna e ai suoi metodi di critica storica. Non è certo uomo che si fa condizionare dai pregiudizi e dai luoghi comuni, rabbi Dalin, se è così libero da aver accettato la proposta di insegnare Storia e teorie politiche all’Ave Maria University di Naples, Florida, il cattolicissimo ateneo fondato dall’ex proprietario di Domino’s Pizza, Tom Monaghan, convertito dalla lettura di Clive Staples Lewis e banditore (nonché generoso finanziatore) di una specie di crociata personale per sottrarre la cultura della Chiesa americana allo strapotere dei liberal.
E sono proprio costoro, i cattolici non praticanti o del "dissenso", i bersagli polemici de La leggenda nera del Papa di Hitler, il libro, ora edito anche in Italia, in cui Dalin ha sviluppato le sue tesi anticonformiste. Nel saggio il rabbino accusa costoro di sfruttare la tragedia degli ebrei per i propri fini. «Pochissimi fra i molti libri recenti su Pio XII e l’Olocausto - scrive Dalin - riguardano veramente Pio XII e l’Olocausto. Gli attacchi in formato bestseller al papa e alla Chiesa cattolica sono in realtà una contesa interna al cattolicesimo sulla direzione della Chiesa di oggi. L’Olocausto è semplicemente la più grande clava di cui di-spongono i cattoliberal contro i cattolici tradizionali, nel loro tentativo di colpire il papa e quindi di distruggere i tradizionali insegnamenti cattolici, specialmente sulle questioni relative alla sessualità, inclusi l’aborto, la contraccezione, il celibato e il ruolo delle donne nella Chiesa. La polemica antipapale di ex seminaristi come Garry Wills e John Cornwell (autore de Il papa di Hitler), di ex preti come James Carroll, e di altri cattolici liberal non praticanti o arrabiati, sfrutta la tragedia del popolo ebraico durante l’Olocausto per promuovere la loro agenda politica, quella di costringere la Chiesa odierna a dei cambiamenti. Questo dirottamento dell’Olocausto dev’essere respinto. La verità su papa Pio XII dev’essere ripristinata. La guerra culturale liberal contro la tradizione - di cui la controversia su papa Pio XII è un microcosmo - dev’essere riconosciuta per ciò che è, un assalto all’istituzione della Chiesa cattolica e alla religione tradizionale. Questo è un cattivo uso dell’Olocausto a cui gli ebrei devono opporsi. L’Olocausto non può essere adoperato per scopi partigiani in un tale dibattito».

Nelle pagine che seguono, Dalin si dedica alacremente al compito, mettendo alla berlina le falsità, le parzialità, gli errori di metodo storico dei libri che accusano Pio XII. Sottolinea la complicità dei mezzi di comunicazione, sempre pronti a dare risonanza alle voci di accusa e a silenziare la difesa: perfino Cornwell, ricorda Dalin, in una intervista all’Economist del dicembre 2004 aveva preso le distanze dal proprio libro, ma la ritrattazione era caduta in un silenzio inversamente proporzionale al clamore di cui era stato circondato il libro. Passa quindi in rassegna le pubblicazioni più serie in materia, dal celebre (e guardacaso mai ristampato) Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo, pubblicato nel 1967 dal console israeliano a Milano Pinchas Lapide, che afferma che Pio XII «fu lo strumento di salvezza di almeno 700 mila, ma forse anche 860 mila, ebrei che dovevano morire per mano nazista», al recente, documentatissimo e in attesa di traduzione Hitler, the War and the Pope di Ronald J. Rychlak. Rabbi Dalin mostra come tutti gli storici seri siano concordi nel riconoscere l’avversione di papa Pacelli per il nazismo, la sua instancabile opera in difesa degli ebrei, il suo totale appoggio a decisi oppositori del regime come il vescovo Van Galen, la sofferta decisione di evitare un’accusa pubblica motivata dal timore, fondato, che essa avrebbe avuto come unica conseguenza un inasprimento delle persecuzioni. E non tralascia un ampio excursus storico, in cui mostra come «il papato ha una lunga tradizione filosemita, che risale almeno al pontificato di Gregorio Magno del sesto secolo».

Le SS islamiche alla guerra santa

Ma il capitolo forse più impressionante del libro di Dalin è quello dedicato al vero antisemitismo dei nostri tempi, quello musulmano, terribilmente impersonato dal gran muftì di Gerusalemme Haj Amin al Husseini. Erede di una tradizione antisemita che risale al massacro degli ebrei di Medina, compiuto da Maometto in persona, distintosi fin dagli anni Venti del Novecento negli eccidi dei primi coloni ebraici stanziati in Palestina, con l’avvento al potere di Hitler Husseini perseguì tenacemente una «alleanza con la Germania, contro l’ebraismo mondiale, per realizzare la Soluzione Finale del problema ebraico dovunque». Trasferitosi nel 1941 a Berlino, dove fu accreditato come leader riconosciuto di tutti gli arabi, «pubblicamente - e ripetutamente - invocò la distruzione dell’ebraismo europeo». Nel 1943, in Bosnia, partecipò al reclutamento di musulmani per una compagnia di SS, i famigerati "soldati Hangar" che sterminarono il 90 per cento degli ebrei di quel paese e bruciarono innumerevoli chiese e villaggi cristiani. Dopo la guerra, poi, Husseini riparò in Egitto, dove fece entrare segretamente un ex ufficiale di un commando nazista, affinché insegnasse gli elementi della guerriglia ai giovani che il muftì stava reclutando: il più brillante tra quei ragazzi si chiamava Yasser Arafat. «"Il più pericoloso chierico della storia contemporanea", per usare la frase di Cornwell - sintetizza Dalin - non fu Pio XII ma Haj Amin al Husseini, il cui fondamentalismo islamico è stato tanto pericoloso durante la Seconda guerra mondiale quanto lo è oggi. Il gran muftì fu il collaboratore par excellence dei nazisti: il "muftì di Hitler". Il "papa di Hitler" è un mito». 

© Editoriale Tempi Duri
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Pio XII, un rabbino contro la leggenda nera
 di Matteo Luigi Napolitano

Lo studioso ebreo americano David G. Dalin interviene nella querelle su Pacelli: «Macchè Papa di Hitler, andrebbe anzi collocato fra i Giusti che salvarono molti perseguitati dalla Shoah».

[Da «Avvenire», 18 luglio 2007]

Nel febbraio del 2001 un noto accademico ebreo, il rabbino David Dalin, pubblicò sul Weekly Standard un articolo destinato a fare il giro del mondo. In questo articolo (pubblicato anche in Italia dalla Rivista di studi politici internazionali), Dalin affrontava i nodi storiografici riguardati Pio XII, esaminandoli sotto una luce nuova. Senza preoccuparsi di addentrarsi su un terreno minato per le relazioni tra ebrei e cattolici, Dalin prendeva nettamente le distanze dai tanti miti che avevano distorto, nel corso degli anni, l’immagine e la memoria di Eugenio Pacelli, che i più accesi accusatori consideravano, a seconda delle sfumature culturali, silenzioso e passivo testimone della Shoah o addirittura complice del nazifascismo.

Il mito del "Papa di Hitler", effetto del successo mediatico del Vicario di Hochhuth e di libri come quello di John Cornwell, andava quindi sfatato una volta per tutte. Il Rabbino non risparmiava critiche anche a quanti, sull’onda delle "citazioni in serie", avevano fatto un uso deliberatamente strumentale delle fonti, alterandole e quindi alterando la verità storica.
Che l’analisi del "caso Pio XII" risenta di questo problema era noto da tempo. Come abbiamo osservato in altra occasione, si dimentica troppo spesso che su Pio XII esiste non solo una letteratura apologetica, ma anche una letteratura "ipologetica", che trascura di considerare le fonti nel loro insieme prima di emettere un giudizio, che quasi sempre è di condanna senza appello di quel papa.

Pochi ad esempio hanno notato che gli accusatori di Pacelli sono deboli su punti storiografici non trascurabili. Si prenda ad esempio il caso della "razzia" degli ebrei romani del 16 ottobre 1943. Quasi tutti gli accusatori di Pio XII si sono basati su un telegramma del 28 ottobre 1943, in cui l’ambasciatore tedesco in Vaticano, von Weizsäcker, scriveva a Berlino che «nonostante le pressioni esercitate su di lui da diverse parti, il papa non si è la sciato indurre a nessuna dichiarazione di protesta contro la deportazione degli ebrei di Roma» e che «sebbene egli si renda conto che tale atteggiamento gli verrà rimproverato dai nostri nemici e dai circoli protestanti dei paesi anglosassoni con intenti di propaganda anticattolica, in questo delicato problema ha fatto di tutto per non peggiorare le relazioni con il Governo e le autorità a Roma»; pertanto si poteva «considerare liquidata questa spiacevole faccenda per le relazioni tedesco-vaticane». Nessuno di costoro ha notato che l’ambasciatore tedesco nascose al suo governo un evento assai importante. Egli fu infatti convocato in Vaticano proprio la mattina del 16 ottobre, per sentirsi dire che «è doloroso per il Santo Padre che proprio a Roma, sotto gli occhi del Padre comune, siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono ad una stirpe determinata». Sono queste le esatte parole che il Segretario di Stato pronunciò. Egli poi esortò l’interlocutore tedesco ad adoperarsi per far cessare le deportazioni, ammonendolo che la Santa Sede non doveva «essere messa nella necessità di protestare», perché in tal caso essa si sarebbe affidata «per le conseguenze, alla Divina Provvidenza».

Fu la pubblicazione dei documenti della Santa Sede a correggere il tiro e a informarci del colloquio tra l’ambasciatore tedesco e il Segretario di Stato. Avendo von Weizsäcker omesso d’informare Hitler di tale colloquio, era chiaro che dagli archivi tedeschi non si poteva conoscere l’esatta dinamica degli eventi. E per quanto oggi la verità sul 16 ottobre 1943 sia pienamente conosciuta, molti deliberatamente la ignorano, preferendo i dispacci tedeschi che potremmo definire come il "silenzio di von Weizsäcker" sulla razzia degli ebrei romani.

Contro questi esempi di letteratura "ipologetica" interviene Dalin anche nel suo ultimo libro, ora in uscita in Italia col titolo La leggenda nera del papa di Hitler (Piemme). La disamina di Dalin non parte con Pio XII, ma tocca i rapporti tra ebrei e cattolici nel corso dei secoli, dimostrando come essi non siano stati del tutto infruttuosi. Per l’eminente rabbino americano, il fecondo terreno dell’attuale dialogo ha radici antiche, di cui nel libro si troveranno molti esempi. E’ ovvio che il rapporto tra ebrei e cattolici non fu sempre lineare e sereno; ma è del pari chiaro per Dalin che il cristianesimo è stato uno dei migliori alleati dell’ebraismo, alla luce di eventi storici che non si limitano certo al quadrante europeo.

L’idea del rabbino è anzi che, forse oggi più che mai, sia necessario rafforzare quest’alleanza, alla luce delle minacce che provengono dal fondamentalismo islamico. Per questa ragione Dalin trova insensate, oltre che infondate, le ricorrenti accuse a Pio XII provenienti da alcuni settori culturali ebraici, vedendovi (ci si passi il termine) un plateale autogol. Perché per lo studioso ebreo un tale atteggiamento alimenta un dilagante anticattolicesimo, che altro non è che una nuova forma di antisemitismo.

Ci si scaglia contro Eugenio Pacelli. Ma egli dovrebbe per Dalin essere considerato un "Giusto tra le Nazioni", per il suo ruolo decisivo nel salvataggio degli ebrei dalla Shoah: non solo a Roma ma dovunque gli israeliti fossero minacciati. Del resto, quanti cattolici "Giusti" onorati da Yad Vashem non hanno fatto risalire a Pio XII la loro opera? Dimenticando tutto questo, si trascura di arginare i veri conati antisemiti di oggi: uno dei più plateali è la diffusione nel mondo islamico, a livello di bestseller, delle edizioni in arabo dei Protocolli dei Savi anziani di Sion e del Mein Kampf di Hitler. La via di uscita è quindi riprendere le fila di un sereno dialogo fra ebrei e cattolici, che non consideri la storia ancella di posizioni precostituite.

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Note su alcune recenti dichiarazioni di Amos Luzzatto a proposito di Pio XII
 del Prof. Matteo Luigi Napolitano - Membro del Comitato scientifico della CADL

[Fonte: Catholic Anti-Defamation League onlus -
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Sul “Corriere della Sera” del 6 giugno 2007 (p. 17), appaiono le seguenti dichiarazioni di Amos Luzzatto, ex Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, in relazione alle recenti ricerche (come quella di Andrea Tornielli nel libro Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro, Milano, Mondadori, 2007) che confutano la “leggenda nera” su quel Papa: «Leggenda nera, leggenda grigia, oppure di chissà quale colore – ha dichiarato Luzzatto al “Corriere della Sera” - quello che è documentato è che da Pio XII non arrivò mai un atto pubblico di opposizione contro gli stermini di massa. Saremmo lieti di prenderne atto se ci venissero mostrati» Pio XII, continua Luzzatto, «non disse una parola sul rastrellamento al ghetto che partì solo dopo che l’ambasciatore tedesco presso la Santa sede disse che non ci sarebbero state particolari proteste da parte del Vaticano. L’unico argomento possibile è che il Papa temeva una rappresaglia contro la Chiesa e i suoi fedeli».

La presentazione di Luzzatto è storicamente del tutto inesatta, e come tale tendenziosa. Infatti il telegramma con cui l’ambasciatore tedesco in Vaticano «disse che non ci sarebbero state particolari proteste da parte del Vaticano» è del 28 ottobre 1943 e quindi segue, non precede, il rastrellamento degli ebrei romani. Inoltre quella stessa presentazione dei fatti che Luzzatto sottoscrive in pieno, è ormai smentita dalle fonti esistenti da quasi trent’anni.

Giova pertanto vedere che cosa avviene tra Vaticano e Germania quando si verifica la razzia degli ebrei romani, si quel “sabato nero” dell’ottobre 1943.

***

Partiamo da un personaggio poco noto. E’ Fritz Kolbe, un funzionario tedesco che durante la guerra passò documenti importanti ai servizi segreti americani. Questo personaggio ha lasciato traccia di sé in un fondo denominato “Kappa”, le cui carte riguardano il Vaticano. Vi si trova, fra l’altro, anche una comunicazione dell’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weizsäcker, resa nota da padre Graham sulle pagine di Civiltà Cattolica [1].

Questo documento racconta della convocazione dell’ambasciatore tedesco in Vaticano immediatamente dopo la retata compiuta da Kappler nel quartiere ebraico di Roma, il 16 ottobre 1943 (ma invero, a quel che sembra, iniziata nella tarda serata del giorno prima) [2]. Che cosa si dissero Maglione e von Weizsäcker, quel 16 ottobre?

Saputo della retata, Maglione aveva chiesto a von Weizsäcker d’intervenire in favore degli ebrei romani, «in nome dell’umanità, della carità cristiana». «Io mi attendo sempre che mi si domandi: perché mai voi rimanete in codesto vostro ufficio» rispose Weiszäcker. Maglione disse che tuttavia non gli avrebbe rivolto una simile domanda. «Le dico semplicemente: Eccellenza, che ha un cuore tenero e buono, veda di salvare tanti innocenti. È doloroso per il Santo Padre che proprio a Roma, sotto gli occhi del Padre comune siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono ad una stirpe determinata». «Che farebbe la Santa Sede se le cose avessero a continuare?», chiese l’ambasciatore tedesco. «La Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione», fu la risposta del Segretario di Stato. A questo punto, Weizsäcker espresse tutta la sua ammirazione per l’opera svolta sino a quel momento dal Vaticano. Ma, visibilmente preoccupato, prospettò le gravi conseguenze per un passo della Santa Sede. Maglione, dopo averlo rassicurato sul fatto che gli si stava solo chiedendo d’intervenire per un senso d’umanità, lasciandolo libero nel suo proposito di non svelare a Berlino i contenuti della loro conversazione, aggiunse che la Santa Sede avrebbe cercato di non far nulla contro il popolo germanico. «Dovevo però pur dirgli che la Santa Sede non deve essere messa nella necessità di protestare: qualora la Santa Sede fosse obbligata a farlo, si affiderebbe, per le conseguenze, alla Divina Provvidenza» [3].

Ed ecco come von Weizsäcker riferì al suo governo dei contatti avuti con la Santa Sede. Scriveva egli il 17 ottobre, quindi subito dopo il colloquio col Cardinal Maglione:

Posso confermare la reazione del Vaticano di fronte alla deportazione degli ebrei di Roma, come vi ha riferito mons. Hudal. La Curia è particolarmente colpita, perché l’azione si è svolta, per così dire, sotto le finestre del papa. La reazione sarebbe forse attenuata se gli ebrei fossero utilizzati per dei lavori in Italia. Gli ambienti ostili di Roma colgono l’occasione per costringere il Vaticano ad uscire dal riserbo. Si afferma che, nelle città francesi dove erano accaduti fatti analoghi, i vescovi avevano preso apertamente posizione. E il papa, come capo supremo della Chiesa e vescovo di Roma non potrebbe farne a meno. Si è cominciato a paragonare il papa attuale con il più energico Pio XI. La propaganda dei nostri nemici all’estero coglierà certamente questa occasione per provocare una tensione fra la Chiesa e noi [4].

Qualche giorno dopo, il 28 ottobre 1943, von Weizsäcker tornò sull’argomento con il seguente dispaccio:

Nonostante le pressioni esercitate su di lui da diverse parti, il papa non si è lasciato indurre a nessuna dichiarazione di protesta contro la deportazione degli ebrei di Roma. Sebbene egli si renda conto che tale atteggiamento gli verrà rimproverato dai nostri nemici e dai circoli protestanti dei paesi anglosassoni con intenti di propaganda anticattolica, in questo delicato problema ha fatto di tutto per non peggiorare le relazioni con il Governo e le autorità a Roma. Dato che qui a Roma non si dovrebbero più prendere misure contro gli ebrei, possiamo considerare liquidata questa spiacevole faccenda per le relazioni tedesco-vaticane [5]

Come si vede, von Weizsäcker tenne all’oscuro il suo Governo, non solo del colloquio avuto il 16 ottobre con il Cardinal Maglione, ma anche della prospettiva che la Santa Sede protestasse contro la deportazione degli ebrei romani. I suoi dispacci, inoltre, rivelavano una forma quanto mai involuta, autorizzando a trarre alcune precise conclusioni:

Egli non aveva mai riferito, per ragioni che giudicava valide, che il Vaticano aveva protestato il 16 ottobre, usando un linguaggio indiretto, destinato poi ad essere male interpretato nel dopoguerra. A quel tempo egli si limitò a dire che «la Curia è particolarmente preoccupata a causa di quanto era accaduto, per così dire sotto la finestra del Papa», senza fare menzione di un’esplicita convocazione del cardinale Segretario di Stato. L’obliquo e apparentemente casuale ritorno su questo argomento, due giorni dopo, è rivelatore del metodo di Weizsäcker, che disorientò più tardi gli storici [6].

Tra gli storici che ci appaiono disorientati c’è la Zuccotti, la quale sostiene addirittura che la libertà lasciata da Maglione a Weizsäcker di non riferire a Berlino del colloquio intercorso fra loro, oltre che essere altra prova di “silenzio” della Santa Sede e del suo desiderio di non rompere con la Germania, compromise l’azione di salvataggio degli ebrei romani. Maglione, sempre stando alla Zuccotti, avrebbe fatto questa scelta non avendo più un saldo controllo dei nervi, e pensando alle conseguenze di una protesta della Santa Sede, fra le quali avrebbe potuto esserci l’invasione della Città del Vaticano e la deportazione del papa [7].

La verità è a nostro avviso molto più semplice. Maglione si era rimesso al giudizio di Weizsäcker «di fare o non fare menzione della loro conversazione, che era stata tanto amichevole». Se ne deduce pertanto che la Santa Sede non temeva nemmeno l’eventualità che l’ambasciatore tedesco facesse un completo resoconto a Berlino della conversazione avuta con Maglione, il quale aveva anche detto che la Santa Sede si sarebbe affidata, «per le conseguenze, alla divina Provvidenza» [8].

Sarebbe bastato, invero, confrontare le fonti tedesche con quelle britanniche, e in particolare con il testo di un dispaccio del ministro in Vaticano Osborne al suo governo, datato 31 ottobre 1943, per convincersi che la protesta della Santa Sede contro la deportazione degli ebrei romani era stata abbastanza energica. Ecco quanto scriveva Osborne:

Non appena seppe degli arresti di ebrei a Roma, il Cardinale Segretario di Stato diresse e formulò all’Ambasciatore tedesco una [sorta?] di protesta. L’Ambasciatore si mosse immediatamente con il risultato che gran parte di loro fu rilasciata…L’intervento vaticano sembra dunque esser stato efficace nel salvare un certo numero di queste sfortunate persone. Ho chiesto di sapere se potessi io riferir questo e mi fu detto che avrei potuto ma solo per nostra conoscenza e non per darne pubblica ragione, poiché ogni pubblicazione d’informazioni condurrebbe probabilmente a nuove persecuzioni [9].

Ci è sembrato importante soffermarsi su questi due dispacci di Weizsäcker, perché essi costituiscono la principale fonte su cui si è basato Il Vicario, di Hochhuth; specialmente una frase, contenuta nel secondo dispaccio, è stata il pilastro accusatorio contro Pio XII.

Il fatto è – ha scritto Nobécourt – che la formulazione del diplomatico nascondeva completamente la verità, la quale era la seguente: Pio XII, avvertito fin dal primo momento dalla Principessa Pignatelli, aveva immediatamente agito, da un lato tramite due religiosi tedeschi, l’uno appartenente al suo entourage diretto, il padre Pfeiffer, l’altro rettore del seminario tedesco, monsignor Hudal.

D’altra parte, come abbiamo visto, anche Maglione aveva convocato Weizsäcker, il quale aveva chiesto di non far parola a Berlino del loro colloquio e delle rimostranze della Segreteria di Stato. E si è visto anche che la Santa Sede aveva pregato il Ministro britannico Osborne di non divulgare, onde evitare guai peggiori (presumibilmente la ripresa delle deportazioni), la notizia della protesta vaticana presso l’ambasciatore tedesco.

Due ore dopo, il rastrellamento fu sospeso e quattromila ebrei minacciati trovarono asilo in conventi e collegi ecclesiastici, e altri presso Italiani. Ma dei mille deportati ad Auschwitz, per due terzi donne e bambini, solo quindici tornarono. L’operazione sarebbe stata interrotta se il Cardinale Maglione non si fosse dichiarato d’accordo con la discrezione dell’ambasciatore, contando sul fatto che questi sarebbe intervenuto personalmente, cosa che verosimilmente fece? Stranamente, dopo la guerra Weizsäcker si attenne sempre alla versione del non intervento di Pio XII, persino nei confronti dei suoi diretti collaboratori. Tacque sempre la sua convocazione da parte del Segretario di Stato, probabilmente per non aggiungere l’accusa del proprio silenzio alle altre che gli venivano mosse [10].

Non ripeteremo qui quanto altri hanno già detto in merito alla gratitudine di molte comunità ebraiche nei confronti di Pio XII, del quale riconobbero il diuturno impegno per la loro causa, dispiegato indifferentemente per gli ebrei battezzati e no [11].

Lo stesso Rabbino Capo di Roma, Israel Zolli, riconobbe ciò e sentì molto vicino Papa Pio XII; specialmente quando, nel settembre 1943, si era trattato di racimolare cinquanta chili d’oro, richiesti dai nazisti per rinunciare alla deportazione degli ebrei romani [12]. Non solo la comunità ebraica romana, ma anche alcune comunità cattoliche, si erano impegnate nella ricerca dell’oro richiesto da Kappler per rinunciare (semmai costui avesse mai inteso rinunciare) al suo nefando piano di deportazione [13].

Il testo che è considerato la madre di tutte le battaglie “antipacelliane”, il dramma di Rolf Hochhuth intitolato Il Vicario, e che vede protagonisti anche degli ebrei romani deportati ad Auschwitz sotto gli occhi del Papa, si basa dunque su fonti quanto mai inaffidabili, come i predetti due dispacci di von Weizsäcker a Berlino (che sono anche il fulcro della tesi accusatoria di Friedländer nel suo libro del 1964). Troppo poco perché Il Vicario possa costituire «un piedistallo di credibilità» [14].

Per giunta – ha scritto il Nobécourt – Hochhuth fece del suo dramma un dossier che generalizzava l’accusa di passività della Santa Sede di fronte allo sterminio degli ebrei, evocando una Chiesa cattolica che deliberatamente ignorava i fatti per antisemitismo e desiderio di tener buono Hitler. Gli ADSS cancellarono quasi completamente queste imputazioni [15].

Nobécourt non è certamente uno storico ligio a Pio XII. Eppure la sua analisi è chiara e rigorosa. E, insieme ad altri documenti già citati, ci sembra demolisca del tutto la ricostruzione non documentata e superficiale fatta da Amos Luzzatto sul “Corriere della Sera” [16]. 

[1] Robert A. Graham S.I., L’uomo che tradì Ribbentrop, cit., pp. 241-244. 

[2] Cfr. ADSS, vol. 9, doc. 368. La protesta era stata annunciata dal Rettore del Collegio tedesco di Santa Maria dell’Anima, mons. Alois Hudal, in una lettera al generale tedesco Rainer Stahel, così concepita: «Ho appreso or ora da un alto funzionario del Vaticano, vicino al S. Padre, [si trattava di suo nipote, il principe Carlo Pacelli] che questa mattina hanno avuto inizio gli arresti degli ebrei di nazionalità italiana. Nell’interesse delle buone relazioni che sino ad ora intercorrono tra il Vaticano e l’alto comando militare tedesco, grazie innanzitutto all’intuito politico e alla magnanimità di Sua Eccellenza, che passerà un giorno alla storia di Roma, la prego di dare ordine di sospendere immediatamente tali arresti a Roma e nei dintorni. Altrimenti temo che il papa sarà costretto a prendere apertamente posizione contro queste azioni, il che servirà indubbiamente ai nemici della Germania da arma contro noialtri tedeschi». Citato in Saul Friedländer, Pio XII e il Terzo Reich, cit., pp. 185-186. La minuta di questo testo, con le correzioni apportate e in una versione più completa (in cui non c’è traccia di blandizie di Hudal nei confronti di Stahel), è stata pubblicata nell’originale tedesco in ADSS, vol. 9, doc. 373. Notizia della lettera di Hudal a Stahel si ha anche nel diario di Adolf Eichmann, par. 377/AE 57, visibile su Internet all’indirizzo
http://www.nizkor.org/ftp.cgi/people/e/eichmann.adolf/memoire/Eichmann.txt. Sulla precisa datazione della retata di Kappler, ivi, nota 1 a p. 505. Si veda anche: La razzia degli ebrei del 16 ottobre 1943 a Roma, in “Israel”, 29 ottobre 1959, citato in Renzo De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il Fascismo, cit., p. 478.

[3] Nota del Cardinal Maglione, 16 ottobre 1943, ADSS, vol. 9, doc. 368.

[4] Von Weizsäcker a von Ribbentrop, 17 ottobre 1943, cit. In Saul Friedländer, Pio XII e il Terzo Reich, cit., p. 186.

[5] Ivi, p. 187.

[6] Robert A. Graham S.I., L’uomo che tradì Ribbentrop, cit., p. 242. Cfr. dello stesso Graham: La strana condotta di Ernst von Weizsäcker, ambasciatore del Reich in Vaticano, in “La Civiltà Cattolica”, a. 121, 1970, vol. II, pp. 455-471. Così ha dichiarato all’ “Osservatore Romano” del 28 giugno 1944 (p. 33) Albert von Kessel, diplomatico in forze all’ambasciata tedesca presso la Santa Sede: «L’ambasciatore von Weizsäcker doveva lottare su due fronti: raccomandare alla Santa Sede, al Papa, quindi, di non intraprendere azioni inconsiderate, vale a dire azioni di cui, forse, non percepiva tutte le ultime catastrofiche conseguenze; d’altra parte, l’ambasciatore von Weizsäcker doveva cercare di persuadere i nazisti, attraverso rapporti diplomatici fatti ad arte, che il Vaticano dimostrava “buona volontà”». Giorgio Angelozzi Gariboldi, Pio XII, Hitler e Mussolini. Il Vaticano fra le dittature, Milano: Mursia, 1988, pp. 223-224 (si ha qui presente la ristampa del 1995). Abbiamo già visto (nel capitolo 1) che Graham ha giudicato i dispacci di Weizsäcker «tra i documenti più consapevolmente truccati nella storia della diplomazia moderna». Citato in Jacques Nobécourt, Il “Silenzio”di Pio XII, cit., p. 1188. Tutti questi elementi sono sottovalutati da Sergio Minerbi, Pio XII, il Vaticano e il «sabato nero». Le responsabilità nell’arresto e nella deportazione degli ebrei romani, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 3: maggio-giugno 2002, spec. p. 42. L’eminente studioso fa peraltro riferimento (a p. 38) alla testimonianza di von Kessel qui riportata, ma non al brano citato; e, in generale, ci appare piuttosto suscettibile nella difesa a oltranza della credibilità di von Weizsäcker.

[7] Susan Zuccotti, Under his very Windows. The Vatican and the Holocaust in Italy, New Haven-London: Yale University Press, 2000; trad. it.: Il Vaticano e l’Olocausto in Italia, Milano: Bruno Mondadori, 2001. Si ha qui presente l’edizione inglese, p. 160.

[8] ADSS, vol. 9, p. 506 (il corsivo è nostro).

[9] «As soon as he heard of the arrests of Jews in Rome Cardinal Secretary of State sent for the German Ambassador and formulated some [sort?] of protest. The Ambassador took immediate action, with the result that large numbers were released…Vatican intervention thus seems to have been effective in saving a number of these unfortunate people. I enquired whether I might report this and was told that I might do so but strictly for your information and on no account for publicity, since any publication of information would probably lead to renewed persecution». Osborne a FO, 31 ottobre 1943 tel. 400, FO 371/37255, citato in ADSS, vol. 9, nota 3 a p. 506.

[10] Jacques Nobécourt, Il “silenzio” di Pio XII, in Dizionario Storico del Papato, a cura di Philippe Levillain, Milano: Bompiani 1996 p. 1186; cfr. ADSS, vol. 9, doc. 506.

[11] Cfr. Pierre Blet S.I., Pio XII e la seconda guerra mondiale, cit., passim; Alessandro Duce, Pio XII e la Polonia (1939-1945), cit. . Per dare un’idea dell’opera di assistenza della Chiesa cattolica nei confronti degli ebrei, si vedano i documenti riprodotti dal De Felice in allegato al suo studio: Renzo De Felice, Storia degli Ebrei italiani sotto il Fascismo, cit., Appendice, documenti 40 e 41. 

[12] Come abbiamo già detto (cap. 2), dopo un personale cammino di riflessione teologica si convertì al cattolicesimo, battezzandosi con il nome di Eugenio in omaggio a Pacelli. Cfr. Israel Zolli, Before the dawn; autobiographical reflections. New York, Sheed and Ward, 1954. Niente di sostanziale e di nuovo aggiunge su questa figura il recente libro, scarsamente analitico e scopertamente apologetico, di Judith Cabaud, Il Rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Israel Zolli, Rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, Cinisello Balsamo: Piemme, 2002. Per l’operazione in favore degli ebrei romani, di cui fu incaricato il direttore dell’amministrazione della Santa Sede, Bernardino Nogara, cfr. ADSS, vol. 9, doc. 353.

[13] Accurato ci sembra il resoconto di Renzo De Felice (Storia degli Ebrei italiani sotto il Fascismo, Torino: Einaudi, 1993, p. 468), il quale parla di un prestito sollecitato da Renzo Levi a mo’ di sondaggio, nel caso in cui la comunità ebraica non riuscisse a racimolare l’oro richiesto alla scadenza stabilita. Tale sondaggio fu bene accolto dalla Santa Sede. La Zuccotti ha scritto che a trovare l’oro furono poi gli ebrei romani (prevalentemente ls piccola e media borghesia del vecchio ghetto o di Trastevere) insieme ad alcuni benevoli vicini non ebrei (Susan Zuccotti, Under his very Windows, cit., pp. 153-154). Il ruolo dei cattolici nella vicenda è dunque posto assai in ombra; anche perché per la Zuccotti (nota 18 a p. 365), «i contributi da parte di non ebrei provennero di fatto da individui piuttosto che da gruppi organizzati». Sennonché nella lettera di mons. Nogara al cardinal Maglione, del 29 settembre 1943, si legge quanto segue: «Il dr. Zolli ieri alle 14 è venuto a dirmi che avevano trovati i 15 Kg presso delle comunità cattoliche e che quindi non avevano bisogno del nostro concorso. Però pregava che non gli si chiudesse la porta per l’avvenire». ADSS, vol. 9, doc. 353 (già citato). Non si capisce su che basi il Minerbi ritenga inesatta questa informazione di Nogara. Sergio Minerbi, Pio XII, il Vaticano e il «sabato nero». Le responsabilità nell’arresto e nella deportazione degli ebrei romani, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 3: maggio-giugno 2002, p. 33. La Zuccotti dà notizia della lettera di Nogara nella nota 18 di p. 365, già citata; ma traduce impropriamente la frase «avevano trovati i 15 kg presso delle comunità cattoliche» con un più generico «found within the Catholic community». Martin Gilbert (The Holocaust. A History of the Jews of Europe during the second World War, New York: Henry Holt & Co., 1987, p. 622) scrive invece che «il Papa aiutò la comunità ebraica di Roma, in quel mese di settembre, offrendo qualsiasi ammontare d’oro fosse necessario a coprire i cinquanta chili richiesti dai nazisti, che la comunità non avesse potuto raccogliere da sola».

[14] La frase è di Carlo Bo, che firmava l’introduzione all’edizione italiana del dramma di Hochhuth.

[15] Jacques Nobécourt, Il “silenzio” di Pio XII, cit., p. 1186.

[16] Si vedano, a tal proposito, le illuminanti osservazioni di Pierre Blet S.I., La leggenda alla prova degli archivi. Le ricorrenti accuse contro Pio XII, in “La Civiltà Cattolica”, 21 marzo 1998, vol. I, n. 3546, pp. 531-541. “Prova d’intellighentsija” è l’articolo di Paolo Sylos-Labini, Quella miscela esplosiva che condannò gli Ebrei, in “Corriere della Sera”, 6 gennaio 1998. L’efficace confutazione delle tesi di Sylos-Labini, oltre che nell’articolo di Blet già citato, può trovarsi nell’altro dello stesso Autore: Myth vs. Historical Fact, in “L’Osservatore Romano” (edizione inglese), n. 17, 29 aprile 1998.

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Pio XII l’amico degli ebrei
 di Marco Roncalli

Carte inedite custodite dalla famiglia Pacelli, dispacci conservati nell’Archivio degli Affari Ecclesiastici Straordinari, testimonianze non pubbliche agli atti della causa di beatificazione iniziata da Paolo VI nel 1967. Sono queste alcune delle fonti su cui si basa l’ultimo libro del vaticanista Andrea Tornielli.

[Da «Avvenire», 20 maggio 2007]

«Pio XI era un mezzo ebreo, poiché sua madre era una giudea olandese, ma il cardinale Pacelli è interamente ebreo». Così scriveva il giornale nazista "Das Reich" poco dopo il conclave del ’39. E a ragione: fu Guido Mendes, ebreo romano amico del futuro Pontefice, a raccontare della vicinanza di Pio XII alla sua famiglia – «il primo Papa che ha condiviso, negli anni della sua giovinezza, una cena dello Shabbat in una casa ebraica» – la quale riuscì a sfuggire alla persecuzione grazie al suo aiuto

C’è Pio XII nel suo tempo e c’è il tempo di Pio XII. C’è l’alba della vocazione di un sacerdote che non ha conosciuto il seminario (senza disdegnare le lezioni private di monsignor Duchesne) e l’opera d’un nunzio allarmato da bolscevismo e nazionalsocialismo (inutilmente pronto a lasciare la diplomazia vaticana per la cura d’anime). C’è, soprattutto, la parabola umana e spirituale di un uomo finito sulla cattedra di Pietro dopo un cammino costellato di intralci e tanto lavoro. Nella cornice della grande storia, ma con il riflettore puntato su dettagli rivelatori, c’è questo ed altro nella nuova biografia che Andrea Tornielli dedica al vescovo di Roma eletto nel conclave del 1939, il più rapido del secolo. Due almeno i dati che saltano all’occhio, scorse le seicentosessanta pagine di Pio XII. Eugenio Pacelli. Un uomo sul trono di Pietro, in uscita martedì 22 (Mondadori, 24 euro). Il primo sta nel fatto che per sbalzare il profilo del protagonista, l’autore ha dovuto scontornarlo dentro l’istituzione da lui rappresentata, e nella quale - scrive Tornielli - si è annientato con senso del dovere sino a scomparire. Il secondo è palesato dalle fonti valorizzate: quelle a stampa disponibili, ma anche carte inedite custodite dalla famiglia Pacelli, insieme a dispacci presenti nell’Archivio degli Affari Ecclesiastici Straordinari e alle testimonianze non pubbliche agli atti della causa di beatificazione introdotta da Paolo VI nel 1967 (da ricordare il recente voto favorevole dei membri della Congregazione delle cause dei santi sull’eroicità delle virtù). Si tratta di materiale che aiuta a cogliere le tappe di questa vita complessa sbocciata la sera del 2 marzo 1876 e spentasi la notte dell’8 ottobre 1958. Dall’infanzia all’adolescenza sullo sfondo della Roma patrizia di fine ’800. Dall’ordinazione sacerdotale al lavoro in Segreteria di Stato su invito del cardinal Gasparri. Dall’elevazione all’episcopato sino all’attività diplomatica a Monaco e a Berlino (i capitoli più orig inali del volume grazie alle lettere al fratello Francesco). Dal ruolo di segretario di Stato a quello di successore di Pietro. Interessanti i documenti sulla situazione in Germania o l’assalto alla nunziatura bavarese nel 1919 che vide Pacelli minacciato dalle pistole degli spartachisti. Ed ecco poi lettere del 1924 con giudizi sul nascente partito nazista: «Il Concordato bavarese fu solennemente firmato il 29 marzo scorso. Rimane però l’approvazione del Landtag o Parlamento, la quale - dopo le nuove elezioni e visto il furioso vento anticattolico, che spira in questo momento da parte dei partiti nazionalisti, con violenti attacchi contro la S. Sede, contro il Cardinale Arcivescovo, ecc. dà le più gravi preoccupazioni. Tutta la situazione è in generale ora difficilissima ed assai preoccupante in Germania, a causa appunto dei progressi dei partiti nazionalisti fanaticamente anticattolici...». E, ancora, missive più personali, come quella del 1925 a palesarci il suo disinteresse per la porpora legata a certi ruoli: «Certo, dacché ho cominciato le trattative per i vari Concordati, non mi dispiacerebbe, possibilmente, di portarli a fine», scrive al fratello Francesco; e aggiunge: «Il motivo vero e principale, per cui vorrei dopo ritirarmi, è di potere dedicare l’ultimo periodo della mia vita al ministero, mentre invece non sento alcuna inclinazione per la vita e il lavoro delle Congregazioni, cui debbono precisamente attendere i Cardinali». Documenti questi - e altri - che danno spessore a un canovaccio biografico alleggerito in diversi punti da aneddoti narrati in presa diretta o nel ricordo di testimoni e collaboratori. I nomi? Si va da suor Pasqualina (Josephine Lehnert, al suo servizio dalla Baviera alle stanze papali per quattro decenni) alla cuoca madre Maria Konrada Grabmair, ai fratelli Galeazzi (l’architetto Enrico e l’archiatra Riccardo), da ambasciatori stranieri (come Ernst von Weizsäcker) a politici di casa nostra (De Gasperi, Andreotti, Gedda, Togliatti… ), a noti gesuiti (quali padre Lombardi o padre Rotondi), eccetera. Ampio spazio prima è riservato al rapporto con gli ebrei (tema sul quale Tornielli ha già scritto tre libri). E qui si rammentano diversi episodi. Ad esempio un’udienza papale documentata nel ’44 da un pezzo sul Palestine Post, nel quale l’articolista confida che Pio XII dopo un incontro l’aveva congedato dicendogli: «E ora, mio amico ebreo, vai con la protezione di Dio, e non dimenticare mai, tu devi sentirti fiero di essere un ebreo». Oppure la vicenda dell’amicizia del giovane Pacelli con Guido Mendes, un compagno di studi ebreo. Fu lui a sottolineare sul Jerusalem Post che Pio XII era stato «il primo Papa» ad aver condiviso «negli anni della sua giovinezza, una cena dello Shabbat in una casa ebraica» e ad aver discusso «informalmente di teologia ebraica con eminenti membri della comunità di Roma». Rivisitando il pontificato, Tornielli tiene poi presenti i due binari della fede e della politica, presentandoci quella che qualcuno ha definito l’«ossessione rossa» di Pio XII che guardava al comunismo anche come problema dottrinale e avrebbe fatto di tutto per fermare l’avanzata delle sinistre (compresa l’attivazione di canali riservati affidati anche al nipote Carlo Pacelli, del quale si riportano qui appunti inediti sul suo ruolo di tramite segreto tra il capo del governo italiano e l’appartamento papale ). Ma il biografo non dimentica neppure gesti del pontefice caduti nell’oblìo: la visita nel Natale ’44 a duemila bambini profughi radunati alla Gregoriana o il radiomessaggio del Natale ’51 a tutti i carcerati del mondo. Per raccontarci infine il Pastor angelicus ormai malato, pronto a considerare - nel ’57 - le dimissioni. Come aveva già immaginato durante l’occupazione di Roma: quando la sua intenzione - in caso di arresto o deportazione - era quella di far estrarre subito dal cassetto una lettera di dimissioni già firmata. Così i nazisti avrebbero avuto prigioniero il cardinale Pacelli, non il Papa. L’uomo che si annientava nell’istituzione era anche questo.

«Il Vicario»
L’opera di Hochhuth e il piano diffamatorio dell’Unione Sovietica


L’anziano regista tedesco, in Italia in questi giorni per fare da testimonial alla replica del suo lavoro teatrale più tristemente noto, ripete le stesse accuse di 50 anni fa. Indifferente a decenni di studi che hanno dissolto certi stereotipi

Quarant’anni dopo si replica. E per fare pubblicità al ritorno sulle scene italiane del dramma Il vicario di Rolf Hochhuth - frutto della propaganda sovietica e comunista contro la Santa Sede - è venuto il suo autore, ormai anziano, che ha rilanciato le sue tesi denigratorie nei confronti di Pio XII e del suo "silenzio" davanti alla Shoah. Proprio mentre si sta consolidando, grazie a documenti e studi nuovi, un’immagine meno prevenuta e storicamente più attendibile di papa Pacelli e del suo atteggiamento durante la seconda guerra mondiale.
Il dramma fu rappresentato a Berlino il 20 febbraio 1963, a Londra il 25 settembre, a New York il 26 febbraio 1964 e a Roma il 13 febbraio 1965. Per denunciare che il "silenzio" di Pio XII di fronte allo sterminio degli ebrei era stato un comportamento complice e criminale. Come poi ha ribadito nel 2002 il film Amen di Constantin Costa-Gavras. Ripetendo i motivi di un’incessante propaganda avviata dai sovietici già nel 1944.
Ad accorgersi della vicinanza delle tesi di Hochhuth ai temi della propaganda comunista furono subito alcuni critici tedeschi, che notarono la stretta dipendenza del drammaturgo da un volume sul Vaticano nella seconda guerra mondiale di Mikhail Marcovich Scheinmann, pubblicato in russo dall’istituto storico dell’Accademia sovietica delle scienze e tradotto in tedesco (1954) e inglese (1955). E mentre la polemica divampava, prima ancora che il dramma arrivasse a Londra, l’11 maggio 1963 l’autorevole The Tablet pubblicava un articolo in difesa di Pio XII.
A sostegno della rivista e contro le tesi del drammaturgo si schierò uno dei più stretti collaboratori di papa Pacelli, Giovanni Battista Montini, cardinale arcivescovo di Milano, e la sua lettera arrivò in redazione il 21 giugno 1963, proprio il giorno in cui il porporato, eletto Papa, assumeva il nome di Paolo VI: «Un atteggiamento di condanna e di protesta, quale costui rimprovera al Papa di non avere adottato, sarebbe stato, oltre che inutile, dannoso; questo è tutto».
«Non si gioca - continuava - con questi argomenti e con i personaggi storici che conosciamo con la fantasia creatrice di artisti di teatro, non abbastanza dotati di discernimento storico». Altrimenti, concludeva Montini, «il dramma vero sarebbe un altro: quello di colui che tenta di scaricare sopra un Papa, estremamente coscienzioso del proprio dovere e della realtà storica, e per di più d’un Amico, imparziale, sì, ma fedelissimo del popolo germanico, gli orribili crimini del Nazismo tedesco. Pio XII avrà egualmente il merito d’essere stato un "Vicario" di Cristo, che ha cercato di compiere coraggiosamente e integralmente, come poteva, la sua missione; ma si potrà ascrivere a merito della cultura e dell’arte una simile ingiustizia teatrale?».
E all’esordio italiano del dramma di Hochhuth, su Il Resto del Carlino del 18 febbraio 1965, Giovanni Spadolini lo definiva un libello «di diffamazione anticlericale e di autodifesa nazionalista» e denunciava i «sistematici attacchi del mondo comunista», con «qualche complicità anche nei cuori cattolici». Bisogna proprio sperare che quarant’anni dopo non si replichi. 

DOPO L’ELEZIONE A PONTEFICE
La stampa del Reich: «Da sempre ostile al nazismo»


(M.Ronc.)

Il conclave del ’39: visto dai nazisti. Come viene accolta, in Germania, l’elezione di Pio XII? La biografia di Tornielli non dimentica di rispondere a questo interrogativo ricorrendo ad articoli e documenti. Non senza sottolineare che subito dopo la morte di Papa Ratti, la stampa tedesca aveva imbastito una campagna anti-Pacelli, «il quale, evidentemente, non poteva essere considerato un "amico" dai maggiorenti del regime». Così se il giornale nazista Das Reich, pochi giorni prima del conclave, scrive: «Pio XI era un mezzo ebreo, poiché sua madre era una giudea olandese, ma il cardinale Pacelli è interamente ebreo», il 3 marzo1939 il Berliner Morgenpost osserva che «l’elezione di Pacelli non è accolta favorevolmente in Germania, perché egli è sempre stato ostile al nazionalsocialismo», mentre lo stesso giorno la Frankfurter Zeitung riporta che molti dei discorsi pacelliani «hanno mostrato chiaramente che egli non comprendeva appieno i motivi politici e ideologici che hanno iniziato la loro marcia vittoriosa in Germania».
Meno diplomatica la testata ufficiale delle SS Das Schwarze Korps («Il nunzio e cardinale Pacelli ci ha dimostrato scarsa comprensione, ed è la ragione per la quale noi gli accordiamo poca fiducia; Pio XII non seguirà certamente una strada diversa») o un altro foglio nazista, Danziger Vorposten, dove si legge: «Pio XII non è un Pastor Angelicus. [...] Pacelli non è mai stato un pastore d’anime, un sacerdote sul pulpito. Per quasi quarant’anni è stato un diplomatico, un ministro della politica temporale vaticana». Netto anche, in Austria, il giornale nazista Graz, che giudica il neopontefice «un servile perpetuatore della fallimentare politica di Pio XI». Sulla considerazione delle autorità tedesche verso il nuovo Papa rivelatorio è anche il rapporto riservato sull’elezione della Direzione generale della Sicurezza del Reich: «Pacelli si era già fatto notare per i suoi attacchi al nazionalsocialismo durante il periodo in cui ricopriva la carica di cardinale segretario di Stato», si legge, «che gli valsero la totale approvazione degli stati democratici durante le elezioni papali…». Quanto Pacelli fosse celebrato come alleato delle democrazie, è evidente nella stampa francese. Tornielli riporta brani da L’Humanité. In uno si legge: «Venti giorni dopo la morte di Pio XI, il nuovo Papa è eletto. È Pio XII. Adottandone il nome, non è possibile che egli non voglia riprendere anche l’opera dell’uomo di cui fu collaboratore come segretario di Stato in questi ultimi anni. Poiché sulle questioni della follia razziale, delle persecuzioni naziste e degli assalti del fascismo alla libertà di coscienza e alla dignità umana, nulla separava il Papa dal cardinale Pacelli. [...] Anche in Inghilterra si crede di vedere in Pacelli un alleato della politica democratica e si spera di ottenerne l’appoggio nella lotta ideologica contro le potenze fasciste».

la testimonianza
Il cameriere: così nascose gli ebrei nei conventi


(M.Ronc.)

Che Pio XII desiderasse l’impegno di tutti i cattolici per nascondere e salvare gli ebrei doveva essere chiaro soprattutto ai romani, ricorda Tornielli nella sua biografia. Pronto tuttavia a riconoscere posizioni diverse su questo tema anche dentro le mura vaticane. Lo conferma la testimonianza di Giovanni Stefanori, il cameriere di Pacelli, che Tornielli riporta nel libro attingendola al Summarium. Depositiones testium: «Durante la guerra, il Vaticano era pieno di ebrei e di antifascisti. Ricordo che una sera, alle ore ventidue, Mons. Beretti, parroco di S. Pietro, mi avvertì che era morto Mons. Ceccarelli, sagrista di S. Pietro, che il Card. Canali voleva mandar via quattro ebrei che detto reverendo aveva accolto in casa. Alle ore ventitré il Papa, da me informato, mi fece telefonare al Card. Canali per dirgli di soprassedere allo sfratto e che il giorno dopo gli avrebbe parlato Mons. Montini». Ecco - nel ricordo di un testimone - la volontà del Papa favorevole a ogni azione caritativa, ma anche un esempio di resistenze presenti persino in Vaticano. Tornielli rammenta che «lo stesso cardinale Canali farà temporaneamente prevalere le sue posizioni dopo le incursioni delle SS al Seminario Lombardo e nell’abbazia di San Paolo: i responsabili ricevono infatti la disposizione di non concedere l’uso dell’abito ecclesiastico ai non chierici (un espediente che aveva salvato non pochi ebrei in quelle tragiche settimane), e soprattutto viene impartito l’ordine al Lombardo e al Laterano di dimettere i non chierici. Il rettore del Laterano, però, resiste, e grazie al permesso del cardinale vicario Marchetti Selvaggiani (compagno di seminario e amico di Papa Pacelli) può continuare a ospitare gli ebrei». Altro caso di solidarietà, non impedita, bensì sostenuta dalle autorità superiori.

l’amico ebreo
«Primo Papa a condividere lo Shabbat»


(M.Ronc.)

Quasi tutte le biografie su Eugenio Pacelli ricordano spesso che, allievo del "Visconti", già alla fine della quinta ginnasio, nel 1890, dovette lasciare la scuola per un esaurimento, superando poi brillantemente gli esami come privatista. E di questo periodo si citano spesso anche i suoi insegnanti e i suoi compagni di studi. Ma è su un giovane poco conosciuto che si sofferma Tornielli nel suo libro: Guido Mendes, della comunità ebraica romana, discendente di una importante famiglia di studiosi di medicina. Il racconto di Mendes, uscito sul Jerusalem Post all’indomani della morte di Pio XII, narra la storia di un’antica amicizia. «Pacelli è stato il primo Papa che ha condiviso, negli anni della sua giovinezza, una cena dello Shabbat in una casa ebraica e che ha discusso informalmente di teologia ebraica con eminenti membri della comunità di Roma», scriveva l’amico, ricordando tante visite reciproche, scambi di idee, colloqui su interessi e ideali, e i prestiti dalla sua biblioteca (opere di rabbini). Terminato il liceo, le loro strade si divisero: Eugenio, avviato agli studi ecclesiastici, Guido a quelli di medicina. Si sarebbero reincontrati nel 1938: quando Pacelli, già Segretario di Stato, si prodigò per aiutare la famiglia Mendes colpita dalle leggi antisemite, favorendone l’espatrio in Svizzera (e da qui i Mendes raggiunsero la Palestina). Tornielli sottolinea poi i due ultimi incontri tra Mendes e Pacelli divenuto Pio XII. Incontri cordiali nei quali si parlò, tra l’altro, dello statuto della città di Gerusalemme. Scrive Tornielli: «Mendes ricorderà che Papa Pacelli, nel corso di un incontro con un gruppo di ebrei sopravvissuti dai campi di concentramento, aveva detto loro: "Fra breve tempo, voi avrete uno Stato d’Israele"».

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09/12/2008 20:04

I dossier segreti di Hitler che riabilitano Pio XII
 di Marco Ansaldo

Nelle carte del Führer i gerarchi scrivevano: "È nostro nemico".

[Da «la Repubblica», 29 marzo 2007]

«Il Papa, come tutti i nostri informatori riportano in modo concorde, ha un atteggiamento di grande simpatia nei confronti del popolo tedesco. Ciò che non si può dire invece del regime». «Pio XII aiuta la Polonia invasa». «Pacelli nasconde gli ebrei in fuga». «Il Pontefice si attende un cambiamento della situazione in Germania, al più tardi dopo la morte del Fuehrer».

Papa Pio XII non era dunque nella lista degli amici di Hitler. Le alte sfere del nazismo lo guardavano con diffidenza e perfino con preoccupazione. Questo pensavano e scrivevano i gerarchi del Terzo Reich, fino al più alto grado, nei rapporti segreti, nelle missive dei generali delle SS, nei telegrammi e nei dispacci inviati a Berlino dalle legazioni tedesche presso la Santa Sede («l´ambasciata nera», secondo la terminologia dell´epoca nazista) e il Quirinale («l´ambasciata bianca»).

Documenti finiti negli uffici di Erich Mielke e Markus Wolf, i capi della Stasi, il servizio segreto della ex Germania Est, pronti a essere usati in possibili operazioni contro il Vaticano. Pagine rimaste tuttavia sepolte negli archivi per decenni. Un vero e proprio dossier su Pio XII, di cui ora Repubblica è entrata in possesso. Il materiale dimostra come in fondo, sia le camicie brune, i nazisti, sia i "rossi" della Germania comunista avessero come obiettivo quello di ottenere il massimo delle informazioni dentro la Santa Sede, considerata da entrambi un governo tutt´altro che amico.

Leggendo le carte della dirigenza nazista, le stanze vaticane pullulavano di spie con la tonaca. «Il religioso tedesco Dr. Birkner - è scritto nel rapporto di un agente da Roma - impiegato presso gli archivi vaticani, si è rivelato la più valida fonte di informazioni. Padre Leiber (Robert Leiber, segretario privato di Pio XII, ndr) si è espresso nei confronti dell´informatore dicendo che la maggiore speranza della Chiesa è che il sistema nazionalsocialista nel prossimo futuro venga annientato da una guerra».

Ed è per l´appunto la diplomazia vaticana di Pio XII contro Hitler, sottile, non espressa ad alta voce, e perciò attentamente controllata dai nazisti, a preoccupare i gerarchi. I quali avevano impiantato una rete capillare capace di sapere, da una lettera intercettata del segretario di Stato cardinale Luigi Maglione che, sotto Città del Vaticano durante la guerra in previsione di un attacco, «il Papa si è fatto costruire un rifugio antiaereo a cui può accedere in ascensore».

Ma soprattutto inquieta il regime l´azione di Eugenio Pacelli a favore della Polonia occupata, come si evince da più dispacci. Il rapporto del capo della polizia di Berlino lancia un grido di allarme al ministro degli Esteri, Joachim von Ribbentrop. «In via riservata - si legge nel documento - è stato possibile ottenere le missive di Pio XII e del segretario di Stato cardinale Maglione all´arcivescovo di Cracovia Adam Sapicka. Dalle due lettere, che allego in copia, emerge chiaramente l´atteggiamento filo-polacco del Papa e del suo segretario di Stato: «La Santa Sede non si è limitata ad aiutare i polacchi profughi nei vari paesi, ma anche quelli rimasti in patria».

Protezione che il Terzo Reich imputa a Pacelli pure nei confronti degli ebrei. «Il Vaticano - si legge in un altro appunto dattiloscritto - appoggia in tutti i modi emigranti ebrei battezzati nel loro tentativo di andare all´estero. Il Vaticano sostiene queste persone anche finanziariamente». Dalla lettura di questi documenti la figura di Pio XII sembra dunque uscire in maniera nettamente diversa rispetto a quella tramandata. L´immagine qui è quella di un pontefice per nulla accondiscendente, anzi di un avversario abile e temuto, tutto il contrario del ritratto di un Pacelli timoroso e indeciso arrivato fino a oggi.

Come è possibile? «Già nell´ultimo anno di guerra, il 1945 - spiega padre Giovanni Sale, storico della rivista Civiltà cattolica, autore del volume «Hitler, la Santa Sede e gli ebrei», e studioso tra i più autorevoli delle tematiche legate a Chiesa e nazismo - era cominciata una campagna anti-pacelliana. In un recente articolo ho portato a riprova alcune registrazioni effettuate da Radio Mosca e i pezzi giornalistici scritti dalla Pravda tesi a influenzare l´opinione pubblica e a creare la cosiddetta «leggenda nera» su Pio XII. Fino alla pubblicazione del libro «I papi contro gli ebrei» di David Kertzer tutta una generazione è rimasta influenzata dalla propaganda.

Solo negli ultimi tempi i documenti usciti sia dal Foreign Office britannico sia dalla Cia stanno formulando critiche più moderate, abbattendo l´ignominia del giudizio contenuto anche in un altro testo, «Il Papa di Hitler» (di John Cornwell, fratello di John Le Carrè, ndr). Le novità contenute in queste carte inedite emerse in Germania trovano riscontro nella documentazione presente nell´Archivio vaticano. Lo scrivo da dieci anni: la Chiesa combattè il nazismo in tutti i modi». «Pio XII in realtà non era un amico, bensì uno strenuo avversario di Hitler - afferma Werner Kaltefleiter, già vaticanista della rete tv Zdf e profondo conoscitore della Curia, autore lo scorso anno (con Hanspeter Oschwald) del libro «Spione im Vatikan», e che di recente ha pubblicato su
www.kath.de un rigoroso studio sui carteggi riguardanti Pacelli - questo Papa non collaborava affatto con i nazisti, come alcune parti interessate hanno voluto far circolare dopo la guerra. No. Egli era invece il nemico numero uno del Fuehrer». Il prossimo anno decorrerà il cinquantesimo anniversario della morte di Pacelli. E il processo di beatificazione, giudicato in modo diverso da fautori e detrattori, è ormai nella fase decisiva.

Rivelazioni recenti sembrano aggiustare il tiro della critica sulla complessa figura di Pio XII. Alla fine dello scorso gennaio l´ex generale dei servizi segreti rumeni Ion Mihai Pacepa ha ammesso sulla rivista newyorchese National Review di aver manipolato per anni, su ordine del Kgb, l´immagine di Pacelli presso l´opinione pubblica internazionale. La campagna di disinformazione, nome in codice «Posizione 12», era stata approvata da Nikita Krusciov con l´intento di screditare moralmente il Papa, facendolo apparire come un gelido simpatizzante dei nazisti e un silenzioso testimone dell´Olocausto. L´apice dell´azione di propaganda sarebbe stata, secondo Pacepa, la rappresentazione nel 1963 della celebre opera teatrale «Il Vicario», scritta dal drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, che demolì la figura di Pacelli, e da cui il regista Costa-Gavras avrebbe tratto nel 2002 il suo film «Amen». Il testo si sarebbe però basato su documenti contraffatti dai sovietici, procurati da religiosi rumeni che avevano accesso all´Archivio segreto vaticano. Hochhuth ha respinto le accuse con sdegno, definendole calunnie. Ma ora la partita su Pio XII si riapre. 

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09/12/2008 20:05

 
Ripropongo quanto è scritto con caratteri rossi nel messaggio precedente: 
 Alla fine dello scorso gennaio l´ex generale dei servizi segreti rumeni Ion Mihai Pacepa ha ammesso sulla rivista newyorchese National Review di aver manipolato per anni, su ordine del Kgb, l´immagine di Pacelli presso l´opinione pubblica internazionale. La campagna di disinformazione, nome in codice «Posizione 12», era stata approvata da Nikita Krusciov con l´intento di screditare moralmente il Papa, facendolo apparire come un gelido simpatizzante dei nazisti e un silenzioso testimone dell´Olocausto. L´apice dell´azione di propaganda sarebbe stata, secondo Pacepa, la rappresentazione nel 1963 della celebre opera teatrale «Il Vicario», scritta dal drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, che demolì la figura di Pacelli, e da cui il regista Costa-Gavras avrebbe tratto nel 2002 il suo film «Amen». Il testo si sarebbe però basato su documenti contraffatti dai sovietici, procurati da religiosi rumeni che avevano accesso all´Archivio segreto vaticano. Hochhuth ha respinto le accuse con sdegno, definendole calunnie. Ma ora la partita su Pio XII si riapre. 


Questo ci fa comprendere che girano non pochi documenti fansificati ad arte!

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Ecco un altro articolo sullo stesso tema:
Stalin e Hitler contro Pacelli
 di Antonio Gaspari 

INTERVISTA. Dagli anni Trenta agli anni Sessanta, l’ideale staffetta tra nazismo e comunismo per screditare la Chiesa: il j’accuse dello storico americano Patrick J. Gallo. «La campagna di calunnie sul Papa fu istigata anche dall’Urss, che manovrò un revisionismo interessato» Prima della guerra rossi e neri vedevano il Vaticano come nemico comune.

[Da "Avvenire", 21 aprile 2006]

Nazismo e comunismo sono stati i regimi che hanno fomentato la campagna di odiose calunnie contro Pio XII. Lo sostiene Patrick J. Gallo, professore aggiunto di scienze politiche all’Università di New York. Il professor Gallo, che insegna per il semestre primaverile all’Istituto Loyola di Roma ed è autore di 10 libri, ha appena pubblicato il saggio Pius XII, the Holocaust and the Revisionists («Pio XII l’Olocausto e i revisionisti») edito da McFalland & Company. In esso Gallo affronta le ragioni che stanno dietro alla «leggenda nera» diffusa contro Papa Pacelli, ripercorrendo le tappe della propaganda nazista negli anni della guerra e di quella comunista dopo il 1960. Il libro del professore statunitense rappresenta un solido contributo alla biografia di Pio XII e smantella il lavoro dei «revisionisti», dimostrando falsa l’idea che Pio XII fosse in sintonia con i nazisti e non facesse resistenza alle loro atrocità. Alla domanda se è plausibile l’ipotesi di alcuni storici secondo cui la campagna di calunnie contro il Pio XII fu istigata negli anni Sessanta dal regime sovietico, Gallo ha risposto: «La campagna non fu istigata solo dall’Unione Sovietica. Calunnie erano già state lanciate dai nazisti ed erano condivise dai comunisti all’inizio della guerra. Pio XII indicò nazismo e comunismo come le maggiori minacce per la Chiesa, per le democrazie, per la civiltà occidentale, per l’umanità tutta. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, tutti hanno potuto constatare come i regimi di Hitler e di Stalin sono stati i più sanguinosi della storia dell’umanità». 

Professore, alcuni autori sostengono che Pacelli fosse debole e timoroso nei confronti dei nazisti. C’è chi ha scritto che Pio XII è stato «il Papa di Hitler». 

«Per i nazisti Pio XII era chiaramente un nemico. Lo storico ebreo Richard Breitman, che ha investigato i documenti dell’Oss recentemente declassificati, ha affermato che «i nazisti consideravano il papa un nemico», avevano addirittura pianificato di arrestarlo e portarlo al Nord. La propaganda nazista non ha mostrato scrupoli nell’attaccare il Papa e la Chiesa. Berlino odiava il Vaticano anche perché sapeva che nascondeva e proteggeva gli ebrei. Il cardinale Pacelli come segretario di Stato parlò contro il nazismo nel 1935 e nel 1937 e fu abbastanza chiaro nel manifestare che la Chiesa non avrebbe mai accettato la filosofia razzista dei nazisti. Fu Pacelli che contribuì in maniera determinante alla stesura dell’enciclica Mit Brennender Sorge, che condannò il regime e la filosofia del nazismo. Egli continuò a esporre le sue critiche con le encicliche Summi Pontificus Christi e Mystici Corporis Christi. I nazisti non si accontentarono di condurre una campagna di discredito contro il Papa, ma iniziarono una vera e propria persecuzione dei cattolici sia in Germania che nei territori occupati. I nazisti provarono in tutti i modi a demolire l’autorità morale di Pio XII e della Chiesa». 

E i comunisti come c’entrano? 

«Gli attacchi sovietici contro la Chiesa cattolica iniziarono negli anni Venti e aumentarono negli anni Trenta, quando Pio XI e Pio XII mostrarono la loro opposizione al comunismo. I comunisti prima e dopo la seconda guerra mondiale accusarono Pio XII di aver taciuto mentre i nazisti commettevano atrocità. Ovviamente non facevano nessuna menzione della brutalità del regime staliniano e dei suoi orrori. Pio XII indicò chiaramente entrambe le ideologie come inconciliabili con la dottrina cattolica. Nell’immediato dopoguerra l’Urss era assolutamente determinata a distruggere la presenza della Chiesa cattolica nei Paesi dell’Est. Solo distruggendo l’influenza della cultura cattolica e dell’insegnamento del papa, i comunisti pensavano di dominare l’Europa e di poter espandere il comunismo ovunque. La propaganda accusò Pio XII in maniera sistematica di una varietà di crimini. Dalla metà degli anni Sessanta emerse la scuola revision ista che adottò molte delle accuse che i nazisti muovevano al pontefice. In questo contesto fu decisivo il lavoro di Rolf Hochhuth, che con il dramma teatrale Il Vicario - tradotto in 20 lingue e promosso massicciamente dai mezzi di comunicazione - diffuse il luogo comune di Pio XII «silenzioso» codardo, apatico e antisemita. Nello stesso periodo anche il movimento della nuova sinistra inserì una critica velenosa contro Pio XII, cercando di utilizzarlo come mezzo per attaccare la posizione della Chiesa sull’aborto, sul divorzio e su altri temi di morale». 

Perché ha scritto questo libro? 

«Pio XII divenne papa nel marzo 1939, con il mondo alle soglie di una guerra di inimmaginabili proporzioni. Le democrazie occidentali e la Chiesa si confrontavano con i regimi totalitari del nazismo e del comunismo. L’Olocausto, che il mondo conobbe nella sua mostruosa atrocità solo alla fine della guerra, pose un dilemma morale per nazioni, Chiese, organizzazioni e individui. Durante questi anni turbolenti Pio XII rappresentò l’unica luce, e questa considerazione era universalmente condivisa da uomini di governo, storici, diplomatici, giornalisti. Il Papa non solo s’impegnò a fondo per prevenire la guerra, ma - una volta che il massacro ebbe inizio - fornì aiuto e conforto ai perseguitati. Questa immane opera umanitaria è solidamente provata da documenti e testimoni. Poi però quest’interpretazione venne ribaltata dai "revisionisti", che accusarono il Pontefice di non aver parlato e agito per prevenire e fermare l’Olocausto. Nonostante la vasta documentazione storica vecchia e nuova, questa tesi è ancora diffusa. Più recentemente è venuto alla ribalta un selezionato e radicale gruppo di "revisionisti", rilanciando una quantità enorme di accuse contro Pio XII. Costoro hanno sostenuto tesi preconcette e fabbricato accuse senza preoccuparsi di verificare i fatti, si sono comportati come accusatori e come giudici, eliminando dal dibattito tutte le voci che non er ano d’accordo con le accuse. I libri di questi "revisionisti" sono stati accettati acriticamente e hanno ricevuto grande pubblicità. Obiettivo del mio libro è presentare un’altra prospettiva, incoraggiando una ricerca storica vera e un ragionevole dialogo, cercando di comprendere le motivazioni del comportamento di Pio XII nel contesto degli eventi e non fuori dalla storia. Evitando la tentazione di applicare criteri moderni a fatti accaduti 60 anni fa. Una complessità storica che manca nelle opere dei "revisionisti"».

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Pio XII odiato dai nazisti e protettore degli ebrei

La Pave the Way Foundation ha pubblicato i ringraziamenti degli ebrei a Papa Pacelli

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 22 settembre 2008 (ZENIT.org).- A margine del Simposio Internazionale sul Pontificato di Pio XII, svoltosi a Roma dal 15 al 17 settembre, la Pave the Way Foundation (PTWF) di New York, ha pubblicato un volume in cui riporta le copie fotostatiche delle lettere e delle testimonianze, pubbliche e private, degli ebrei che si sono salvati dalla Shoah grazie all’intervento di Papa Pacelli.

Per rispondere agli scopi sociali di “eliminare l’uso distorto della religione per fini privati” e rinnovare l’impegno “per identificare gli ostacoli al dialogo tra le religioni” la Pave the Way Foundation ha finanziato un progetto per raccogliere documenti, filmati e racconti dalla viva voce degli ebrei salvati dalla Chiesa Cattolica.

Il volume “Examining the Papacy of Pope Pius XII” (Pave the Way, New York, 2008) riporta una documentazione impressionante di testimonianze ebraiche in favore di Pio XII. Molto ben documentata anche la lungimiranza di Papa Pacelli, che già negli anni Trenta aveva indicato in Adolf Hitler e nell’ideologia nazista una minaccia all’umanità.

Nonostante le voci critiche che ancora oggi tratteggiano il Cardinale Eugenio Pacelli come un simpatizzante per il regime, tutta la vita del già Nunzio di Monaco e Berlino fu spesa per denunciare e opporsi alla barbarie nazista prima e a quella comunista poi.

Le prime denunce di Pacelli dei seguaci di Hitler rilsagono al 1923. Tra il 1917 ed il 1929, il futuro Pontefice Pio XII, su 44 discorsi pubblici, ne dedica ben 40 contro l’ideologia nazionalsocialista ed il suo maggiore rappresentante.

In una lettera inviata nel 1935 al Cardinale Carl Joseph Sculte, Pacelli afferma che Hitler “è un falso profeta seguace di Lucifero”. Nel 1937 contribuisce in maniera decisiva all’enciclica di Pio XI Mit Brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione), in cui si denuncia il neopaganesimo nazista. Si tratta della più dura critica che la Santa Sede abbia mai espresso nei confronti di un regime politico.

Quando il 2 marzo del 1939 Eugenio Pacelli fu eletto Pontefice, il 3 di marzo il Berliner Morgenpost, organo del movimento nazista, scrisse che “l’elezione del Cardinale Pacelli non  è accettata con favore dalla Germania perché egli si è sempre opposto al nazismo”.

Il giornale nazista Voelkischer Beobachter, invece, già il 22 gennaio del 1939 aveva pubblicato una foto del Cardinale Pacelli e di alti dignitari della Chiesa cattolica, indicandoli come gli “agitatori in Vaticano contro il fascismo ed il nazionalsocialismo”.

Anche il settimanale ufficiale dell’Internazionale Comunista La Correspondance Internationale dedicò un articolo al nuovo Pontefice sottolineando che “l’eletto era persona non grata ai nazifascismi”. Secondo il giornale dell’Internazionale comunista, “chiamando a succedere a colui che aveva opposto un’energica resistenza alle concezioni totalitarie fasciste che tendono ad eliminare la chiesa cattolica, il più diretto collaboratore di Pio XI, i Cardinali avevano compiuto un ‘gesto dimostrativo’ ponendo a Capo della Chiesa ‘un rappresentante del movimento cattolico di resistenza'”.

Tutti i giornali ebraici presenti nelle nazioni libere salutarono con entusiasmo l’elezione di Pio XII, pubblicando ampi stralci degli interventi del Cardinale Pacelli e sottolineando il ruolo decisivo nella stesura della Mit Brennender Sorge.

Per aver un'idea di quanto fosse nota l’opposizione vaticana al nazismo, il volume della PTWF riporta la copia fotostatica di un articolo di Albert Einstein su Time Magazine del 23 dicembre 1940, nel quale il noto scienziato afferma che all’avvento del nazismo in Germania: “Solo la Chiesa rimase ferma in piedi a sbarrare la strada alle campagne di Hitler per sopprimere la verità”.

Allora, Einstein scrisse: “Io non ho mai provato nessun interesse particolare per la Chiesa prima, ma ora provo nei suoi confronti grande affetto e ammirazione, perché la Chiesa da sola ha avuto il coraggio e l’ostinazione per sostenere la verità intellettuale e la libertà morale. Devo confessare che ciò che io una volta disprezzavo, ora lodo incondizionatamente”.

Per quanto riguarda poi quanto Pio XII e la Chiesa fecero per nascondere e assistere gli ebrei perseguitati dai nazisti, il volume della PTWF riporta una enorme documentazione, in copia fotostatica, fatta di articoli, ritagli di giornale, lettere, documenti dell’OSS, dispacci della Segreteria di Stato vaticana.

In termini numerici secondo lo storico Emilio Pinchas Lapide, già Console generale di Israele a Milano: “La Santa Sede, i Nunzi e la Chiesa cattolica hanno salvato da morte certa tra i 700.000 e gli 850.000 ebrei”.

Tra le tante storie originali, il volume riporta anche quella del dottor Guido Mendes e della sua famiglia, che riuscì a fuggire prima in Svizzera e poi in Palestina, grazie all’aiuto diretto di Papa Pacelli, a cui era legato da amicizia personale. A raccontare l'intera vicenda è stato il Jerusalem Post, in un articolo del 10 ottobre del 1958.

L’amore e la cura di Pio XII per tutti i perseguitati e per gli ebrei in particolare era tale che, quando l’8 ottobre del 1958 morì, il Zionist Record, il Jewish Chronicle, il Canadian Jewish Chronicle, il Jewish Post, l’American Ebrew, insieme ai rabbini di Londra, Roma, Gerusalemme, Francia, Egitto, Argentina e alla quasi totalità delle associazioni ebraiche, piansero la scomparsa di quel Papa che Golda Meir definì “un grande servitore della pace”.


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Presentato «L'inverno più lungo» di Andrea Riccardi

Salvando Roma
salvò gli ebrei


di Raffaele Alessandrini

Èmolto probabile che anche Karl Rahner oggi plaudirebbe con trasporto di fronte al nuovo studio di Andrea Riccardi L'inverno più lungo 1943-44:  Pio xii, gli ebrei e i nazisti a Roma (Roma-Bari, Laterza, 2008, pagine 404, euro 18) presentato martedì 30 settembre presso la sede romana delle Edizioni Laterza. Il teologo di Friburgo, il 29 febbraio 1964 - e quindi un anno dopo la prima rappresentazione del dramma teatrale Der Stellvertreter di Rolf Hochhuth - in una conferenza all'Accademia Cattolica di Baviera ebbe a osservare come in ambito conciliare, in quel periodo, si stesse criticando un certo atteggiamento "trionfalistico clericale" per il quale la Chiesa è davvero tutto, e cioè "maestra di popoli nonché saggia e navigata madre degli uomini", sottacendo però come perfino il più pio dei cristiani, pur fedele alla Chiesa e ai suoi principi, possa a volte anche prendere decisioni sbagliate dalle conseguenze pesanti per la vita pubblica e privata. La stessa colpa però, all'inverso - notava Rahner - si riscontra altrettanto spesso tra i laicisti, o nel clero di mentalità laicale. Secondo questi ultimi, ad esempio, "la Chiesa avrebbe dovuto prevedere tutte le conseguenze della svolta impressa dall'editto costantiniano (...) avrebbe avuto la possibilità di evitare tutti gli errori e tutte le conclusioni teologiche precipitate che finirono per condurre poi alla persecuzione degli eretici, alle guerre di religione (...) insomma, a tutti gli eventi più neri della storia ecclesiastica. A loro parere nella difesa degli ebrei, Papa Pio xii avrebbe dovuto procedere in modo completamente diverso - e naturalmente così come la pensano essi oggi".
In effetti il lavoro di Riccardi si pone all'attenzione degli studiosi per una peculiarità di fondo più volte rilevata nel corso della presentazione. Sia il senatore Francesco Cossiga, sia il cardinale Camillo Ruini come pure gli storici Anna Foa e Lutz Klinkhammer, concordano con diversità di sfumature, nel ritenere il volume di Riccardi "opera ad ampio respiro storico intorno a vicende di una complessità drammatica", ove non risalta solo la vicenda degli ebrei e la loro tragica persecuzione, insieme a quella dei loro persecutori, dei collaborazionisti, dei testimoni silenziosi e terrorizzati, ma anche l'azione e la disponibilità dei coraggiosi e anche di una Chiesa che nelle sue diverse componenti - gerarchia, clero, religiosi, religiose e laici - si adopera in moltissimi modi e con evidenti risultati ad accogliere, proteggere, nascondere quanti si trovino in condizioni di pericolo. Gli ebrei innanzitutto; ma non solo gli ebrei. Realtà di fronte alle quali lo studioso ha inteso porsi non come apologeta, né come giudice bensì come idealmente partecipe. Sono situazioni da leggere e da capire ricordando vicende di persone singole, talune umili, altre più famose, alcune delle quali in parte già note e studiate da Riccardi - basti solo ricordare la figura di monsignor Roberto Ronca "alla testa del più grosso centro di asilo e di opera clandestina che era il Laterano extraterritoriale"  -  ma  altre  assolutamente nuove, e comunque viste con un ampiezza e una varietà di prospettive inusuali. Il lavoro di Riccardi è del resto un'opera matura, frutto di decenni di ricerche, di indagini, di confronti e di riflessioni significativamente dedicato dall'autore al maestro Pietro Scoppola.
Fu lui che negli anni Settanta, suggerì all'allora giovane borsista, di indagare sulla "resistenza" passiva di Roma. Entrare giorno dopo giorno nella realtà di quei nove mesi che vanno dal settembre 1943 al giugno 1944 peraltro non sarebbe stata impresa semplice, ammette lo stesso Riccardi. Il periodo in questione, dolorosamente segnato dalla funesta giornata del 16 ottobre con il rastrellamento del ghetto ebraico e le deportazioni nei lager, non può non riproporre del resto anche il tema dei "silenzi" di Papa Pio xii. Ma è il Papa per primo ad essere ben consapevole della difficoltà della sua scelta, come un giorno confida apertamente al delegato apostolico Angelo Giuseppe Roncalli.
La posizione del Papa - come ha sottolineato il cardinale Ruini - risulta chiarissima e si comprende alla luce di tre ordini diversi di considerazioni:  in primo luogo, una denuncia pubblica si mostra inefficace e controproducente e si volgerebbe a danno dei cattolici e degli stessi ebrei. Ecco allora l'opzione silente e operosa dell'etica della testimonianza. Far parlare i fatti piuttosto che lanciare proclami. Si tratta infine di preservare Roma dalla guerra guerreggiata. Anche la Chiesa del Vaticano ii, ricorda del resto il cardinale Ruini, adotterà un contegno non dissimile nei confronti delle persecuzioni condotte dai regimi comunisti dell'Est europeo richiamando la nota espressione del cardinale Agostino Casaroli "il martirio della pazienza". La Santa Sede aveva infatti sperimentato come nell'immediato dopoguerra, e negli anni Cinquanta, il mutato atteggiamento, di condanna aperta nei confronti delle persecuzioni, avesse sortito effetti devastanti nei Paesi sottoposti al giogo comunista.
Ora nei nove mesi che corrono dall'armistizio alla liberazione dell'Italia, solo una resistenza passiva come si apprende dalla voce stessa - viva e colorita - di alcuni dei più diretti collaboratori del Papa, quali monsignor Antonio Traglia, è l'unica plausibile e attuabile dai cristiani:  "Bisogna non rendere più difficile la situazione della popolazione, perché poi si può resistere quando c'è speranza di un risultato... se invece non c'è questa speranza sarebbe da sciocchi. Non se po' fa' la guerra con i manici di scopa contro i carri armati".
Eppure anche così c'è modo di mostrare coraggio, solidarietà e accoglienza. Istituti, case religiose e conventi aprono le porte; nascondono; arrivano perfino a costruire nuove identità agli ospiti. Basti pensare alla false carte d'identità fatte dalle suore benedettine di Priscilla, come ricorda Klinkhammer. Ma la stessa Città del Vaticano diviene rifugio di diversi clandestini più o meno illustri:  emblematici i casi di Eva Maria Jung o dello storico del concilio di Trento Hubert Jedin.
Osserva Anna Foa come sia incontestabile l'esistenza di un chiaro piano di coordinamento in tutta questa strategia di aiuti, di accoglienza e di protezione dei perseguitati. Una rete complessa e ben organizzata che peraltro viene a connettersi all'indomani del 16 ottobre. All'inizio il primo moto di solidarietà nei confronti degli ebrei è un fenomeno spontaneo tipico del popolo romano di allora.  È  questa  infatti  una Roma indicibilmente  diversa  rispetto  a quella odierna:  più piccola, più unita e familiare. E, come ricorda il cardinale Ruini, anche il Papa e la curia sono romani, non solo di nome ma anche di fatto.
Proprio Roma e la sua sicurezza sono la preoccupazione principale di Pio xii. Egli conosce a fondo e da vicino la Germania e il nazismo fin dagli anni in cui è stato nunzio a Berlino e in seguito, da segretario di Stato, primo e più fedele collaboratore di Pio xi, checché se ne dica. Egli soppesa i rischi per l'incolumità della Città aperta e per l'extraterritorialità dello stesso Stato vaticano derivanti da una condanna esplicita. Del resto Riccardi, ad alcuni rilievi sulle fonti d'archivio, sollevati da Klinkhammer ricorda l'esistenza di una lettera indirizzata a Pio xii da alcuni ebrei che dicono testualmente "Non sappiamo neppure suggerire che cosa fare". Alla fine della guerra duemila saranno i morti ebrei di Roma, e diecimila i salvati.
Non è però questione di numeri. Nel volume si ricorda quando il filosofo francese Emanuel Lévinas riferendosi alla tragedia della Shoah parla di sconfitta della cultura cristiana europea. Con analogo atteggiamento Riccardi conclude il suo libro ricordando le parole di una sopravvissuta del 16 ottobre, scampata allo sterminio:  "quanti anni sono andati in fumo nei forni crematori dei lager, nel più mostruoso furto della storia?". Non essere riusciti a impedire una simile mostruosità - dice Riccardi - è stata una sconfitta di tutti, tedeschi, italiani, cristiani europei soprattutto. "Per questo anche le storie dei coraggiosi o degli onesti si collocano nel clima cupo di una pagina oscura della storia, che non si presta all'enfasi o all'esaltazione di nessuno." Questo libro di storia su Roma occupata è un esortazione buona per l'uomo di oggi a considerare se stesso e gli altri in una prospettiva di comune e reciproca responsabilità - e compassione fraterna - al di là delle appartenenze e degli schieramenti. E nondimeno di fronte a tanto dolore ci aiuta pur sempre ricordare che il decorso delle vicende non è mai sempre uguale a se stesso. "Anche nelle ore più oscure la storia ha diversi colori".



(©L'Osservatore Romano - 2 ottobre 2008)
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In memoria di Pio XII


Nelle prime ore di giovedì 9 ottobre 1958, mezzo secolo fa, si spegneva Pio XII. La morte arrivò, dopo una malattia lunga e intermittente, quando stava per compiersi il ventesimo anno del suo pontificato, un pontificato difficile e grande che seppe attraversare il periodo più buio del Novecento - quello dell'affermazione dei totalitarismi, dello sterminio del popolo ebraico nel cuore dell'Europa, della più spaventosa tragedia bellica mai vissuta e della successiva divisione del mondo in campi duramente contrapposti durante la guerra fredda. Il Papa romano, la cui figura alta e ieratica era divenuta familiare al mondo grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, morì invece nella solitudine notturna della residenza pontificia di Castel Gandolfo, tradito dal suo medico che ignobilmente vendette le immagini dell'agonia.
Eugenio Pacelli era nato il 2 marzo 1876, nella Roma appena divenuta italiana, mentre si stava concludendo il lunghissimo pontificato di Pio XI, e giovane prete entrò al servizio, secondo la tradizione familiare, della Santa Sede. Da allora, la sua vita fu ancor più strettamente legata alla Chiesa di Roma, alla diplomazia pontificia e alla sua opera di pace:  negli organismi vaticani, poi nelle nunziature tedesche durante il tempo oscuro che - accanto a prove di rivoluzione comunista - vide nascere e maturare il nazionalsocialismo, e ancora una volta, definitivamente, a Roma. Qui fu cardinale segretario di Stato di Pio XI, qui fu eletto come suo successore in un conclave brevissimo, primo romano (e primo segretario di Stato) dopo  oltre  due  secoli  a  divenire Papa.
Uomo di pace, Pio XII fu costretto dal precipitare degli eventi a essere Pontefice in tempo di guerra, inerme vescovo di Roma. E affrontò la tragedia bellica come nessun leader del suo tempo fece. Anche di fronte alla mostruosa persecuzione degli ebrei, in un silenzio consapevole e sofferto che fu finalizzato all'efficacia di un'opera di carità e di soccorso indiscutibile. Come scrisse su "The Tablet" il cardinale Montini commentando l'ormai montante denigrazione del Pontefice rilanciata da un drammaturgo tedesco:  "Un atteggiamento di condanna e di protesta, quale costui rimprovera al Papa di non avere adottato, sarebbe stato, oltre che inutile, dannoso; questo è tutto". E il governo della Chiesa doveva continuare:  la Divino afflante Spiritu, l'enciclica che autorizzò il rinnovamento degli studi biblici, venne pubblicata - basti ricordare solo questo - in piena guerra.
L'opera di pace e di guida del cattolicesimo continuò instancabile dopo il conflitto, espressa simbolicamente dall'anno santo che cadde a metà del secolo - con la proclamazione del dogma dell'Assunzione di Maria - e dai due grandi concistori che avviarono l'internazionalizzazione di una Chiesa ormai sempre più mondiale, mentre importanti riforme procedevano in ambito dottrinale, liturgico, ecumenico. Parallelamente, il Papa sosteneva, da una parte, la democrazia e l'opposizione al totalitarismo comunista e, dall'altra, l'incipiente costruzione europea.
Il peso della guerra e il desiderio di  cancellarne  anche  il  ricordo gravarono presto sull'immagine di Pio XII, facilitando dopo la morte il diffondersi della leggenda nera di un Papa insensibile di fronte alla Shoah o addirittura filonazista, costruzione inconsistente dal punto di vista storico prima ancora che denigratoria. Analogamente, la diversità innegabile con il suo successore non autorizza - nemmeno dal punto di vista storico - la contrapposizione con Giovanni XXIII che venne costruita artificiosamente e che pesa tuttora sulla Chiesa, minandone la continuità. Quella Chiesa che Pio XII seppe servire fino all'ultimo e che ha il dovere di conservarne la memoria.

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 9 ottobre 2008)
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A cinquant'anni dalla morte di Eugenio Pacelli

Il Papa di un tempo drammatico


di Andrea Riccardi
Università di Roma Tre

Il pontificato di Pio XII abbraccia un periodo storico drammatico. La Chiesa cattolica è sconvolta dalla seconda guerra mondiale, provata dalla guerra fredda e dai regimi comunisti in Europa e in Asia. In quegli anni tragici, i responsabili vaticani si chiedevano che spazio restasse al cristianesimo, almeno in alcune parti del mondo. Durante la guerra, si aveva in Vaticano la netta sensazione che l'"ordine nuovo", portato dalle armate naziste, se vittorioso, si sarebbe risolto in un duro attacco alla Chiesa. Dopo la guerra, le comunità cattoliche nei Paesi comunisti erano languenti sotto la persecuzione. In Europa occidentale, le società, investite dalla crescita economica, mostravano qualche sintomo di crisi nell'adesione ai modelli proposti dalla Chiesa. Lo stesso cattolicesimo latino-americano manifestava segni di crisi endemica. Intanto la Chiesa nei Paesi coloniali richiedeva rapidi aggiornamenti per la decolonizzazione incipiente. Gli anni di Pio XII, nel cuore del Novecento (1939-1958), sono stati un tempo di rapide transizioni e di crisi.
Tutta la storia del XX secolo è segnata da profonde transizioni. Ma gli anni cerniera del Novecento, quelli di Papa Pacelli, sono un periodo particolare. Stagione della crisi dell'Europa e della sua funzione nel mondo. Quello che Benedetto XV chiamava il "giardino del mondo" è divenuto il suolo della guerra e la terra della Shoah. La divisione dell'Europa con la guerra fredda mutila un continente decisivo nella missione della Chiesa.
Affrontare gli anni, in cui fu Papa Eugenio Pacelli, è studiare la transizione più profonda del Novecento. Chi vuole ricordare quel periodo trova a disposizione un'abbondante saggistica e storiografia. Pio XII ha fatto molto discutere. In particolare sulla questione dei cosiddetti silenzi sullo sterminio degli ebrei e sulle atrocità naziste. Ne è emersa, anche al di là della storiografia, un'immagine di Pio XII come diplomatico, chiuso al dolore della storia, prigioniero di procedure ecclesiastiche, ossessionato dalla lotta al comunismo.
I suoi anni restano essenziali per capire il cattolicesimo novecentesco, senza lasciarsi imprigionare da una logica giustizialista o, al contrario, difensiva. Con il passare del tempo, anche se i drammi non sbiadiscono, si acquista maggiore capacità di comprendere, mentre si auspica il confronto con una più ampia documentazione fuori dalla "leggenda nera" o da ricordi aulici. Comprendere gli anni di Papa Pacelli è indispensabile per capire la storia della Chiesa nella profonda transizione del XX secolo e la seconda metà del Novecento.

Un romano di respiro internazionale

Romano, nato nella capitale dopo la fine del governo dei papi, nel 1876, Eugenio Pacelli si formò alla scuola ecclesiastica romana. Al Collegio Capranica, all'Università Gregoriana, all'Apollinare, è compagno di una generazione di ecclesiastici, che avrebbe governato la Chiesa nel cuore del Novecento. Nel 1901, entra agli Affari Ecclesiastici Straordinari e contemporaneamente è segretario della commissione per la codificazione del diritto canonico. Diplomatico e giurista, a trentotto anni, nel 1914, è già segretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari, quando si affronta la guerra mondiale.
Monsignor Pacelli è una personalità di levatura europea. Viaggia in Francia, Belgio, Gran Bretagna, Austria. Parla le maggiori lingue europee. Collabora con Benedetto XV che, con il conflitto, elabora e pratica la "dottrina" dell'imparzialità tra belligeranti. Un conflitto mondiale è terreno invivibile per la Chiesa, che raccoglie cattolici da popoli in lotta, tesa a comprendere i dolori di tutti, ma a non sposare le cause nazionali.
La scuola della guerra mondiale segna la maturità di Pacelli. La "dottrina"  elaborata  negli  anni  di Benedetto XV diventa un riferimento decisivo per gli orientamenti e le scelte durante il secondo conflitto mondiale. Eugenio Pacelli è un ecclesiastico di respiro europeo anche per la lunga condivisione della vicenda tedesca, dal 1917 al 1929. Benedetto xv lo invia nunzio in Baviera nel 1917 e poi lo accredita a Berlino nel 1920. È un nunzio amato dai tedeschi, specie cattolici, alla cui vita partecipa profondamente e le cui risorse e debolezze conosce da vicino. Il suo amore per la Germania gli varrà la sussurrata accusa di essere troppo sensibile alle esigenze tedesche. I dodici anni di esperienza tedesca ne fanno un conoscitore profondo della Germania. Negli anni Venti è coinvolto a Berlino nei negoziati (falliti) tra la Santa Sede e il nuovo governo sovietico.
L'elevazione al cardinalato, nel 1929, a cinquantadue anni, non è una sorpresa. Desta stupore che Pio XI lo scelga come segretario di Stato nel 1930 al posto dell'anziano ed esperto cardinale Gasparri. Del resto, tra i cardinali italiani, Eugenio Pacelli è una personalità che eccelle. S'impone per il suo spirito di servizio, la conoscenza della macchina amministrativa della Chiesa, la sua posizione di grande riserbo. L'azione come segretario di Stato si caratterizza per il supporto e la collaborazione che offre a un Papa che governa con decisione. Pio XI sente però l'esigenza che un esponente di rilievo della Santa Sede viaggi nel mondo, conosca e si faccia conoscere. Per questo, il cardinale compie numerosi viaggi, che lo portano due volte in Francia, in Argentina, in Ungheria. Nel 1936, fa un viaggio privato negli Stati Uniti - fatto sorprendente - che lo porta a incontrare la Chiesa nordamericana e il presidente Roosevelt. Pacelli assume un volto pubblico, noto non solo negli ambienti cattolici, ma anche tra i responsabili politici.
Le vicende della Germania nazista e dell'Austria dell'Anschluss lo vedono in primo piano. Il cardinale segue i rapporti con il fascismo dalla crisi del 1931, attraverso gli anni del consenso, sino alle difficoltà di fine anni Trenta. Grande diplomatico, è accanto al Papa, divenuto anziano, deluso dai risultati della politica di dialogo con gli Stati, specie autoritari, che volgono sempre più al totalitarismo.
Efficiente e dinamica, la Segreteria di Stato di Pacelli conta su due prelati italiani, diversi ma entrambi di rilievo:  Tardini per gli affari internazionali e Montini come Sostituto. I due ecclesiastici sono, dopo il 1939, i più stretti collaboratori di Pio XII. Il ruolo del segretario di Stato si colloca in una Chiesa, i cui quadri dirigenti si vanno internazionalizzando per evitare l'accaparramento nazionalista del cattolicesimo nella sensibilità dei fedeli, nella gestione delle missioni cattoliche, nel governo della Chiesa, tenendo vivo uno spirito di unità sopranazionale attorno al Papa. In questo quadro, Eugenio Pacelli si staglia come il primo collaboratore del Papa.
Non meraviglia che, alla morte di Pio XI, i cardinali lo eleggano suo successore. La prima grande transizione che il nuovo Papa deve affrontare è quella dello scenario turbinoso della incipiente guerra mondiale. La situazione è difficilissima per la Chiesa in Europa. Viene eletto il 2 marzo 1939 e il 15 marzo le truppe tedesche invadono la Cecoslovacchia. Tenta di evitare il conflitto. Con gli accordi Molotov-Ribbentrop, appare chiaro che non c'è modo di scongiurarlo; per questo il Papa si concentra sull'allontanare l'ingresso dell'Italia in guerra. Così compie una visita al re d'Italia al Quirinale alla fine del 1939:  è la prima volta che un Papa ritorna nell'antica dimora pontificia. Mussolini non partecipa all'evento ed è segno tangibile che il tentativo di Pio XII non ha effetto.

Il Papa della guerra

Il Papa affronta la guerra con un gruppo di collaboratori, formati alla scuola diplomatica ecclesiastica. Sceglie come segretario di Stato il cardinale Maglione, compagno al Capranica, già nunzio a Parigi. La stampa nazista aveva già considerato il Papa come filofrancese. Maglione fu l'unico segretario di Stato di Pio XII. Alla sua morte, nel 1944, il Papa decise di non dargli un successore, anche per evitare che un forte e vicino collaboratore influisse sulle sue decisioni.
Scrupoloso, riservato, delicato, finanche timido, Eugenio Pacelli era pervaso dal senso di responsabilità del suo ministero. Chi lo conosceva notò una profonda trasformazione nell'uomo con l'elezione al pontificato. Gravi responsabilità incombevano, mentre le più diverse pressioni si esercitavano sulla Santa Sede perché si schierasse nel conflitto. Il Papa lanciò un vibrante appello (al cui testo collaborò monsignor Montini) nell'agosto 1939:  "Niente è perduto con la pace; tutto è perduto con la guerra". Questa è la visione del Papa:  evitare che il conflitto si allarghi, favorire una pace negoziata, umanizzare la guerra e rappresentare, come Chiesa, uno spazio di asilo e di umanità tra la barbarie della lotta. Il Papa non cede alle pressioni da parte nazista per benedire la lotta dell'Asse come una crociata antibolscevica. Non intende, d'altra parte, assumere una posizione vicina agli Alleati. Con gli anni, affluiscono in Vaticano informazioni sulle atrocità naziste. Ma Pio XII si attenne alla "dottrina" dell'imparzialità tra i belligeranti, già elaborata da Benedetto xv.
È nota la polemica sui "silenzi" di Pio XII durante la guerra, in particolare sullo sterminio degli ebrei. Negli anni Sessanta, c'è un netto cambiamento del giudizio su Pio XII in senso negativo, anche se la propaganda sovietica, alcuni intellettuali francesi come Mauriac (che aveva parlato di un'attesa delusa, ma aveva esaltato il piuttosto silenzioso cardinale Suhard), settori polacchi, già avevano accusato Papa Pacelli di complicità o remissività verso il nazismo. Il fatto sorprendente è che Pio XII parlò, in qualche modo, di silenzio:  "Mi chiese - scrive l'allora monsignor Roncalli nei suoi diari nel 1941 - se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male". Infatti Pio XII, nei suoi interventi pubblici, richiamò alcuni principi generali, applicandoli alla situazione, ma non intese operare condanne. In un appunto di Tardini riguardo alla richiesta da parte dei vescovi polacchi in favore di una condanna dei nazisti, si fa stato del dibattito vaticano in proposito:  "Non già che manchi la materia; non già che non rientri, tale condanna, nei diritti e nei doveri della S. Sede (quale suprema tutrice anche della legge naturale); ma ragioni pratiche sembrano imporre di astenersi...". Esse sono:  una condanna sarebbe sfruttata politicamente, mentre il governo tedesco "inasprirebbe ancora la persecuzione contro il cattolicesimo" in Polonia.
Nel quadro di un'Europa, dominata dai tedeschi, Pio XII era consapevole della condizione del cattolicesimo a fronte della propaganda e della repressione:  "Nelle file stesse dei fedeli, erano fin troppo accecati dai loro pregiudizi o sedotti dalla speranza di vantaggi politici" afferma nel 1945. La condizione del cattolicesimo, da una parte, le pressioni sul Vaticano (sino alla minaccia di deportazione del Papa) dall'altra, ponevano seri dubbi sul fatto che Pio XII avrebbe potuto continuare liberamente il suo ministero di unità in una Chiesa e in un mondo che ne avevano bisogno come non mai. Il Papa, mantenendo riserbo tra i belligeranti, voleva che la Chiesa fosse uno spazio di umanità nel cuore della guerra. Qui si inserisce l'attività in soccorso delle popolazioni colpite dalla guerra, dei prigionieri e dei ricercati in particolare a Roma.
Il Papa sostenne gli episcopati nazionali nelle loro posizioni verso i governi ("noi lasciammo ai pastori in funzione sul posto la cura di apprezzare se, e in quale misura, il pericolo di rappresaglie e di pressioni... consiglino il riserbo - malgrado le ragioni di intervento - al fine di evitare dei mali più grandi" - disse Pio XII). E conclude:  "È uno dei motivi per i quali ci siamo imposti dei limiti nelle nostre dichiarazioni". Pio XII giudicò debole l'episcopato francese e volle onorare con la porpora cardinalizia i vescovi europei distintisi nella resistenza morale:  i tedeschi von Preysing e von Galen, l'olandese De Jong, il francese Saliège.

Uomini e popoli

Dopo la guerra Pio XII sente la necessità di porre le basi dell'ordine internazionale e soprattutto prospetta la democrazia come regime "migliore" per la società, già nei suoi radiomessaggi di guerra. Nel 1943, con l'enciclica Mystici corporis, il Papa presenta l'ecclesiologia del corpo mistico, lontano da un vago romanticismo spirituale, ma pure distaccata da una concezione solo giuridica. Questa Chiesa - Pio XII ne è convinto - deve compiere nel dopoguerra una funzione di "educatrice degli uomini e dei popoli", come dice nel concistoro del 1945, in base alla sua "lunga esperienza", costruendo "l'uomo completo". Il Papa scopre l'opinione pubblica e l'incontro con le masse. Fin dalla liberazione di Roma, il Vaticano diviene il centro di tanti e diversi incontri con visitatori di ogni tipo. Utilizza la radio e poi la televisione. Nel 1949, apparendo sugli schermi americani, esclama:  "Si è detto che il papato era morto, e si vedranno le folle debordare da tutte le parti dell'immensa piazza San Pietro per ricevere la benedizione del Papa e per sentire la sua parola".
Pio XII è un Papa popolare in quegli anni. Il suo contatto con le folle e il suo insegnamento vogliono essere all'origine del risveglio dei cattolici come nel 1950, quando l'Anno santo diviene la celebrazione giubilare più partecipata nella storia del cattolicesimo. È l'anno in cui il Papa proclama il dogma dell'Assunzione della Vergine Maria e invita al gran ritorno alla fede.
Il Papa sente l'esigenza di un rinnovamento nella Chiesa. Lo promuove nella formazione seminaristica e nella vita religiosa. Chiama i laici a un maggiore protagonismo, per combattere la "tendenza nefasta che regna anche tra i cattolici, che vorrebbe confinare la Chiesa nelle questioni dette "puramente spirituali"" - dice nel 1951 al congresso mondiale per l'apostolato dei laici. La liturgia registra gli interventi del Papa con la riforma dei riti della Settimana Santa e la concessione di celebrare la Messa vespertina.

A Est la persecuzione

La presenza cattolica registra una nuova vitalità anche sul piano politico con i partiti di ispirazione cristiana in Europa occidentale. Ma pesa sulla Chiesa la presenza sovietica nel cuore dell'Europa, con i regimi comunisti in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Albania, Romania e Bulgaria, oltre all'incorporazione dei Paesi Baltici nell'Urss. La persecuzione antireligiosa è pesante. La Santa Sede vorrebbe tenere aperte le rappresentanze diplomatiche nell'Est, ma non lo vogliono i regimi comunisti e i contatti con gli episcopati dell'Est sono difficili.
Pio XII, durante la guerra, aveva ammonito gli interlocutori americani sui rischi del controllo sovietico in Europa. Era stato da essi rassicurato sul fatto che l'Urss aveva iniziato un corso nuovo. Ma, poco dopo la fine del conflitto, il presidente Truman si ritrova sulle posizioni del Papa. In Vaticano si è convinti che i sovietici abbiano un disegno distruttivo del cattolicesimo, mirante prima di tutto a "nazionalizzare" le Chiese. Le prime comunità colpite sono quelle cattolico orientali:  nel marzo 1946 gli ucraini vengono forzatamente incorporati nel patriarcato di Mosca, nel 1948 la stessa operazione avviene con i romeni.
Nel giro di pochi anni, la situazione dei cattolici nell'Est è drammatica. I vescovi sono arrestati. Il primate ungherese Mindszenty, quello croato Stepinac, quello ceco Beran, sono agli arresti. Sembra che si voglia trasformare il cattolicesimo in Chiese nazionali sotto il controllo giurisdizionalista e poliziesco dei regimi comunisti. C'è una volontà generale di perseguitare il cattolicesimo e di controllarne la vita fino all'infiltrazione nelle sue strutture. In questo clima matura la scomunica dei comunisti nel luglio 1949, come un solenne ammonimento sul carattere inconciliabile del comunismo con il cristianesimo.
La situazione della "Chiesa del silenzio" è disperata. Nessuna transizione è possibile. A Roma mancano notizie sull'Est europeo. Ma il comunismo sembra esercitare una forte presa nel dopoguerra. In Cina, con la vittoria di Mao Zedong, in Vietnam e in Corea del Nord, la Chiesa si misura con regimi socialisti. La Chiesa polacca, da parte sua, pur sottoposta a dure misure repressive, può condurre una politica più articolata:  nel 1950 il primate Wyszynski firma un accordo con il governo (non rispettato da questo), mentre nel 1956 lo sostiene per evitare l'invasione sovietica. Queste posizioni (non ispirate certo a filocomunismo) lasciano tuttavia perplessi gli ambienti vaticani.
Sino alla fine del pontificato, la situazione dei cattolici nell'Est è in una condizione di glaciazione. Qualche segnale proveniente da Mosca, dopo la morte di Stalin, è giudicato fragile per motivare nuova attenzione da parte del Papa. Questi, alla fine del suo pontificato, incarica il cardinale Siri di una missione esplorativa. La percezione del Papa è che, con il dominio sovietico, si sia creata in Paesi di tradizione cristiana un'aggressione alla Chiesa, paragonabile solo a quella islamica dei secoli passati.

L'Occidente

Pio XII non manca di ammonire, in tante occasioni, l'Occidente sul pericolo comunista, registrando con preoccupazione lo sviluppo elettorale dei partiti comunisti (ed esprimendo contrarietà alla collaborazione governativa con essi). Il Papa, però, è attento a non confondere la causa della Chiesa con quella politica dell'Occidente. Da qui origina qualche sua perplessità sull'adesione dell'Italia all'Alleanza Atlantica. In Occidente, la Chiesa rappresenta una grande forza religiosa e sociale, che si esprime, oltre che attraverso i partiti cattolici, con un fascio di organizzazioni e movimenti.
Una delle posizioni politiche più originali di Pio XII è il suo impegno per l'unificazione europea. È consapevole che la nuova Europa non sarà solo cattolica, ma comprenderà evangelici e laici; ma è convinto che le ragioni della pace e della lotta al comunismo militino per unire i Paesi europei. Incoraggia i dirigenti cattolici a impegnarsi nel progetto europeo. Nel 1953 stimola all'azione per realizzare un'unione continentale. Dal 1955 si intensificano gli interventi del Papa sino ai Trattati di Roma del 1957, da lui salutati come un evento storico.
Pio XII mostra fiducia nella democrazia e nell'unità dei Paesi europei. Intende però evitare la marginalità della Spagna (con cui conclude un concordato nel 1953) e coltivare buone relazioni con il Portogallo di Salazar. Questi regimi non rappresentano un modello per il Papa, a differenza di alcuni settori della Curia. Nonostante le sue preoccupazioni per la forza comunista in Occidente, Pio XII sostiene la scelta democratica.
Tuttavia, proprio nel mondo occidentale, la Chiesa di Papa Pacelli registra segnali di una crisi legata alle trasformazioni sociali. Un elemento di difficoltà è la persistente forza del comunismo, rivelatrice della lontananza del mondo operaio dalla Chiesa. Si segnala anche qualche flessione nelle vocazioni sacerdotali e nella disciplina. L'enciclica Humani generis (1950) mette in guardia la teologia, soprattutto francese, su "manifestazioni che assomigliano a quelle del modernismo".
Pio XII guida la Chiesa dall'Europa degli anni Trenta al dopoguerra, attraverso il mondo comunista e quello occidentale, coeso attorno alla leadership americana. Ma il Papa, dopo la guerra, con la fine dell'impero britannico in India, si va convincendo che il mondo coloniale sta cambiando in profondità. Emergono mondi nuovi, dove si è concentrata tanta parte dell'azione missionaria del xx secolo. Il Papa è molto attento e introduce cambiamenti nelle Chiese del Sud. Nei radiomessaggi natalizi del 1954 e del 1955, dichiara il diritto dei popoli coloniali all'indipendenza. Dal 1952, si impegna nella creazione di gerarchie autoctone. Nel 1957, con l'enciclica Fidei donum, invita a maggiore coinvolgimento nella missione. Ne nasce un forte movimento verso il Sud del mondo, specie tra sacerdoti. Il Papa è consapevole della fragilità della Chiesa nel mondo coloniale di fronte ai nazionalismi, al comunismo e all'islam. Per questo intende "indigenizzare" le Chiese locali e rafforzare l'impegno missionario.
Un cattolicesimo con ben altra storia, quello dell'America Latina, mostra anch'esso le sue fragilità. Pio XII considera questo continente vitale per la Chiesa. Nel 1955 si tiene a Rio de Janeiro l'assemblea continentale dell'episcopato, da cui prendono le mosse un Consiglio episcopale latino-americano e un segretariato permanente. Nel 1958, il Papa istituisce in Curia una commissione per l'America Latina. C'è in lui la consapevolezza che i cattolici dell'America Latina sono sottoposti a nuove sfide sociali, ma anche politiche. Per questo insiste che il cattolicesimo del continente si attrezzi a tempi nuovi.
L'opera di governo di Pio XII è molto vasta e ampia. Si potrebbe dire, forse facendo torto alla complessità della sua azione, che la cifra del suo governo è proprio la missione:  quella in Occidente, in America Latina, nei Paesi del Sud. Il cattolicesimo, dal dopoguerra, è chiamato a farsi movimento nella società per comunicare il suo messaggio.
Questa "mobilitazione" è sorretta da un insegnamento articolato e imponente, costantemente ripreso dai documenti del Concilio Vaticano ii. Negli ultimi anni, la situazione dell'Est, il senso di crisi in Occidente, lo spingono a sottolineare con più forza come solo l'aiuto di Dio possa far uscire la Chiesa e il mondo dalle difficoltà del presente. Accanto all'esortazione alla missione e all'azione, si fa sempre più presente l'attesa del dono di un tempo nuovo, in un quadro che gli appare scuro. Nel messaggio per la Pasqua 1957, Pio XII paragona la notte del mondo a quella della resurrezione, e conclude con l'invocazione:  "L'umanità non ha la forza di rimuovere la pietra che essa stessa ha fabbricato, cercando di impedire il tuo ritorno. Manda il tuo angelo, o Signore, e fa' che la nostra notte s'illumini come il giorno".



(©L'Osservatore Romano - 9 ottobre 2008)
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09/12/2008 20:11

Intervista a Paolo Mieli, storico e direttore del «Corriere della Sera»

La storia renderà giustizia a Pio XII


«La comunità ebraica lo stimava e gli era riconoscente. Pacelli ha pagato per il suo anticomunismo»

di Maurizio Fontana

Qualche volta la storia può arrivare su un palcoscenico e da lì ripartire, assolutamente stravolta. Questo accadde il 20 febbraio 1963 quando, al Freie Volksbühne di Berlino, andò in scena il dramma di Rolf Hochhuth Der Stellvertreter ("Il vicario"). Da lì prese di fatto il via una "leggenda nera" che ha accompagnato la storiografia mondiale fino a oggi, alimentando una campagna di odio nei confronti di Pio XII additato addirittura come un "ignobile criminale" e tacciato di filonazismo per i suoi "silenzi" sulla Shoah. Anche all'interno del mondo cattolico.
A cinquant'anni dalla morte di Papa Pacelli la leggenda nera del "Papa di Hitler" è ancora viva sulle pagine dei giornali. A parlarne è uno storico autorevole, di origine ebraica, che dirige il più importante quotidiano italiano, il "Corriere della Sera", in un colloquio a tre con il direttore del nostro giornale e con chi scrive.

Si parla spesso del dramma di Hochhuth. In realtà perplessità sugli atteggiamenti di Papa Pacelli risalgono a molti anni prima. Quando nacque davvero il "problema Pio XII"?

Lo spartiacque è senz'altro la messa in scena del Vicario, ma alcune accuse, anche se non si configurarono come quelle di Hochhuth, furono addirittura precedenti l'inizio stesso della guerra. Il primo a parlare delle titubanze di Pio XII fu infatti Emmanuel Mounier che, nel maggio del 1939, rimproverò garbatamente un silenzio che metteva in imbarazzo migliaia di cuori:  quello di Pio XII in merito all'aggressione italiana all'Albania. Della stessa natura fu il secondo indice puntato da parte di un altro intellettuale cattolico francese, François Mauriac, che nel 1951 lamentò, nella prefazione a un libro di Léon Poliakov, che gli ebrei perseguitati non avessero avuto il conforto di sentire dal Papa condanne con parole nette e chiare per la "crocifissione di innumerevoli fratelli nel Signore". Va d'altra parte ricordato che lo stesso libro - uno dei primi testi importanti sull'antisemitismo - avanzava delle giustificazioni a quei silenzi. In sostanza, scriveva l'ebreo Poliakov, il Papa era stato silente per non compromettere la sicurezza degli ebrei in modo maggiore di quanto non fosse già compromessa.

Quindi il primo intervento di uno studioso ebreo sull'argomento fu molto cauto?

Direi di più. A parte Poliakov, le prime valutazioni di esponenti delle comunità ebraiche di tutto il mondo non furono solo caute, ma addirittura calde nei confronti di Pio XII.

Può essere intervenuto in questa cautela il fatto che le vere accuse al Papa comincino a venire, già durante la guerra, da parte sovietica?

Certamente Pio XII fu un Papa anche - e sottolineo "anche" - anticomunista. E durante questi decenni di polemiche gli è stato spesso rimproverato di essere stato turbato da questa visione. Ricordiamo, ad esempio, due suoi famosi discorsi pronunciati prima di diventare Papa, nel corso di due viaggi in Francia (1937) e in Ungheria (1938), in cui venivano sottolineate maggiormente le persecuzioni del regime comunista piuttosto che quelle del regime nazista. A questo riguardo va però fatta una premessa:  la tematizzazione della Shoah come noi oggi la recepiamo è di molti decenni successiva alla fine della seconda guerra mondiale. Io ricordo che negli anni Cinquanta e Sessanta si parlava ancora approssimativamente di deportati nei campi di concentramento. Si sapeva che agli ebrei era toccata la sorte peggiore, ma la piena consapevolezza della Shoah è qualcosa di successivo. Negli anni Trenta, pochissimi avevano l'idea di quello che poteva accadere agli ebrei. Certo, in Germania c'era stata la "notte dei cristalli". Ma è ovviamente molto più facile leggere e comprendere i fatti oggi, col senno del poi. E gli ebrei fuggiti dalla Germania non furono accolti a braccia aperte in nessuna parte del mondo, neanche negli Stati Uniti. Insomma, fu un problema complesso. Il mondo occidentale, il mondo civile, tranne alcune eccezioni, non capì, non si rese conto di quello che stava accadendo. Perciò quando noi parliamo di un Papa alla fine degli anni Trenta, possiamo comprendere che fosse più sensibile alle persecuzioni anticristiane in Unione Sovietica rispetto a quanto stava emergendo nel mondo nazista. Questo non vuol dire che fosse un nazista camuffato.

Anni Trenta:  la polemica spesso si sposta anche su Pio XI...

Uno dei rimproveri portati al cardinale Pacelli, segretario di Stato di Pio XI, è stato quello di averne attenuato le condanne del nazionalsocialismo. Tra le tante accuse - secondo me non del tutto giustificate - che ha ricevuto Pacelli c'è stata anche quella di aver smussato, di aver attenuato i toni di quell'enciclica. In realtà, esaminando sotto il profilo storico l'attività di Papa Pacelli, ricorderei alcuni particolari. Quando iniziò la guerra egli criticò l'apatia della Chiesa francese sotto la dominazione nazista nella Francia di Vichy; poi criticò l'antisemitismo, quello sì evidente, del monsignore slovacco Josef Tiso; diede - come ben raccontato in un libro di Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino - la propria disponibilità e addirittura una mano, con decisione rischiosissima, a dei complotti contro Hitler tra il 1939 e il 1940. Continuo:  quando nel giugno 1941 l'Unione Sovietica fu invasa dalla Germania, c'era una certa resistenza nel mondo occidentale a stringere accordi con chi fino a quel momento aveva combattuto la guerra dalla parte della Germania nazista. Pio XII invece si diede molto da fare per facilitare un'alleanza fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. E infine il capitolo più importante:  durante l'occupazione nazista di Roma - come raccontato ad esempio in due libri, quello famoso di Enzo Forcella (La resistenza in convento, Einaudi) e l'altro appena uscito di Andrea Riccardi (L'inverno più lungo, Laterza) - la Chiesa mise a disposizione tutta se stessa:  quasi ogni basilica, ogni chiesa, ogni seminario, ogni convento ospitò e diede una mano agli ebrei. Tant'è che a Roma, a fronte dei duemila ebrei deportati, diecimila riuscirono a salvarsi. Ora, non voglio dire che tutti quei diecimila li salvò la Chiesa di Pio XII, però senz'altro la Chiesa contribuì a salvarne la maggior parte. Ed è impossibile che il Papa non fosse a conoscenza di quello che facevano i suoi preti e le sue suore. Il risultato fu che per anni, anni e anni - ci sono decine di citazioni possibili - personalità importantissime del mondo ebraico hanno riconosciuto questo merito intestandolo esplicitamente a Pio XII. Di queste testimonianze si è persa ormai quasi traccia. Ne ha parlato, ad esempio, un bel libro di Andrea Tornielli (Pio XII il Papa degli ebrei, Piemme). È una letteratura molto vasta di cui vorrei fornire qualche scampolo. Nel 1944 il gran rabbino di Gerusalemme, Isaac Herzog, dichiara:  "Il popolo d'Israele non dimenticherà mai ciò che Pio XII e i suoi illustri delegati, ispirati dai principi eterni della religione che stanno alla base di un'autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sventurati fratelli e sorelle nell'ora più tragica della nostra storia. Una prova vivente della divina provvidenza in questo mondo". Nello stesso anno, il sergente maggiore Joseph Vancover scrive:  "Desidero raccontarvi della Roma ebraica, del gran miracolo di aver trovato qui migliaia di ebrei. Le chiesa, i conventi, i frati e le suore e soprattutto il Pontefice sono accorsi all'aiuto e al salvataggio degli ebrei sottraendoli agli artigli dei nazisti, e dei loro collaborazionisti fascisti italiani. Grandi sforzi non scevri da pericoli sono stati fatti per nascondere e nutrire gli ebrei durante i mesi dell'occupazione tedesca. Alcuni religiosi hanno pagato con la loro vita per quest'opera di salvataggio. Tutta la Chiesa è stata mobilitata allo scopo, operando con grande fedeltà. Il Vaticano è stato il centro di ogni attività di assistenza e salvataggio nelle condizioni della realtà e del dominio nazista". Cito poi da una lettera dal fronte italiano del soldato Eliyahu Lubisky, membro del kibbutz socialista Bet Alfa. Fu pubblicata sul settimanale "Hashavua" il 4 agosto 1944:  "Tutti i profughi raccontano il lodevole aiuto da parte del Vaticano. Sacerdoti hanno messo in pericolo le loro vite per nascondere e salvare gli ebrei. Lo stesso Pontefice ha partecipato all'opera di salvataggio degli ebrei". Ancora, 15 ottobre 1944. Registriamo la relazione del Commissario straordinario delle comunità israelitiche di Roma, Silvio Ottolenghi:  "Migliaia di nostri fratelli si sono salvati nei conventi, nelle chiese, negli extraterritoriali. In data 23 luglio ho avuto l'ordine di essere ricevuto da Sua Santità al quale ho portato il ringraziamento della comunità di Roma per l'assistenza eroica e affettuosa fattaci dal clero attraverso i conventi e i collegi (...) Ho riferito a Sua Santità il desiderio dei correligionari di Roma di andare in massa a ringraziarlo. Ma tale manifestazione non potrà essere fatta che alla fine della guerra per non pregiudicare tutti coloro che al nord hanno ancora bisogno di protezione".

Questo a guerra ancora in corso. Veniamo a oggi...

Oggi purtroppo l'attenzione su Pio XII è talmente forte che anche un normale dibattito storiografico s'incendia.

La questione scotta a tal punto che ancora c'è il problema della famosa fotografia a Yad Vashem e della sua didascalia. Nonostante la massa di testimonianze appena accennate. Cos'è successo?

È successo che nel corso degli anni si è diffusa la leggenda nera di Pio XII. Ricordiamo i libri di John Cornwell (Hitler's Pope, "Il Papa di Hitler") e di Daniel Goldhagen (Hitlers willige Vollstrecker, "I volenterosi carnefici di Hitler") dove queste accuse si fanno più esplicite. Si è formato un senso comune per cui Pio XII viene visto come un Pontefice addirittura complice del Führer nazista. Una cosa pazzesca! E pensare che al processo Eichmann nel 1961 fu espresso un giudizio sul Papa che vale la pena rileggere. A parlare è Gideon Hausner, procuratore generale di Stato a Gerusalemme:  "A Roma il 16 ottobre 1943 fu organizzata una vasta retata nel vecchio quartiere ebraico. Il clero italiano partecipò all'opera di salvataggio, i monasteri aprirono agli ebrei le loro porte. Il Pontefice intervenne personalmente a favore degli ebrei arrestati a Roma".

Solo due anni prima della rappresentazione del Vicario...

Ed è proprio dal 1963 che prende piede una revisione del ruolo di Pio XII di due tipi. Uno malizioso - interno alla Chiesa stessa - che contrapponeva a Pio XII la figura di Giovanni XXIII. Fu un'operazione devastante:  si è trattato Giovanni XXIII come un Papa che avrebbe avuto nel corso della seconda guerra mondiale quelle sensibilità che invece Pio XII non aveva avuto. Una tesi molto bizzarra. E tra le righe delle invettive contro Pacelli, sembra emergere che al Pontefice sia stato presentato il conto per il suo anticomunismo. In realtà Pio XII è stato un Papa in linea con la storia della Chiesa cattolica del Novecento. Se si legge quello che ha scritto o si ascoltano in registrazione i suoi discorsi ci si rende conto come espresse, ad esempio, anche critiche al liberalismo. Voglio dire che non era affatto un alfiere dell'atlantismo anticomunista.

Non era cioè il cappellano dell'occidente...

Assolutamente no. L'immagine di Pio XII come il cappellano della grande offensiva anticomunista nella guerra fredda è fuorviante. Anche se, naturalmente, era anticomunista. E di questo anticomunismo gli è stato presentato un conto salatissimo che ne ha deformato l'immagine attraverso rappresentazioni teatrali, pubblicazioni e film. Ma chiunque abbia un atteggiamento non pregiudiziale e provi a conoscere Pacelli attraverso i documenti, non può che rimanere stupito di questa leggenda nera che non ha alcun senso. Pio XII è stato un grande Papa, all'altezza della situazione. È come se oggi rinfacciassimo a Roosevelt di non aver detto parole più chiare nei confronti degli ebrei. Ma come si può sindacare all'interno di una guerra e in più per una personalità disarmata com'è un Papa? La speciosità di questa offensiva nei confronti di Pio XII appare davvero sospetta a qualsiasi persona in buona fede ed è una speciosità a cui è doveroso opporre resistenza. Prima o poi ci sarà pure qualcuno che rileggerà i fatti alla luce anche delle testimonianze cui accennavo prima.

Ci sono differenze fra la storiografia europea (in particolare quella italiana) e quella americana su Pio XII?

Secondo me sì. Non dobbiamo dimenticare che questa avversione nei confronti di Pio XII è nata nel mondo anglosassone e protestante. Non è nata nel mondo ebraico che, invece, si è adattato nel tempo per non essere preso in contropiede da una campagna internazionale. Ovvero:  se un Papa viene accusato di aver lasciato correre l'antisemitismo, ovviamente il mondo ebraico si sente impegnato a vederci chiaro. Si arriva così all'episodio della settima sala dello Yad Vashem dove è apparsa una fotografia del Papa con una didascalia che definisce "ambiguo" il suo comportamento. Oppure alla richiesta, nel 1998, da parte dell'allora ambasciatore d'Israele presso la Santa Sede, Aaron Lopez, di una moratoria nella beatificazione di Pio XII. Ora, in questa storia della moratoria io non entro perché non è un problema storiografico. Però c'è qualcosa di eccessivamente pervicace nei confronti di questo Papa e puzza di bruciato lontano non un miglio ma dieci metri. È dal 1963 che sono stati accesi i riflettori su Pio XII alla ricerca delle prove della sua colpevolezza e non è venuto fuori niente. Anzi, gli studi hanno portato alla luce una documentazione molto copiosa che attesta come la sua Chiesa diede agli ebrei un aiuto fondamentale. Mi ricordo a questo proposito un gesto molto bello:  nel giugno 1955 l'Orchestra Filarmonica d'Israele chiese di poter fare un concerto in onore di Pio XII in Vaticano per esprimere gratitudine a questo Papa e suonò alla presenza del Papa un tempo della settima sinfonia di Beethoven. Questo era il clima. E allorché il Papa morì, Golda Meir - ministro degli Esteri d'Israele e futuro premier - disse:  "Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata in favore delle vittime. Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace". La voce del Pontefice per qualcuno non si era levata, ma loro l'avevano udita. Capito? Golda Meir aveva udito la sua voce. E William Zuckermann, direttore della rivista "Jewish Newsletter", scrisse:  "Tutti gli ebrei d'America rendano omaggio ed esprimano il loro compianto perché probabilmente nessuno statista di quella generazione aveva dato agli ebrei più poderoso aiuto nell'ora della tragedia. Più di chiunque altro noi abbiamo avuto il modo di beneficiare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice durante gli anni della persecuzione e del terrore". Così è stato considerato Pio XII per anni, per decenni. Erano forse tutti pazzi? No, anzi, erano coloro che avevano subito le persecuzioni di cui Pio XII è incolpato come complice. Se noi lo prendiamo come un caso storiografico, quello della leggenda nera, è pazzesco. Però io penso che, a parte qualche polemista, ogni storico degno di questo nome si batterà - anche nel caso di persone come me che non sono cattolico - per ristabilire la verità.

Cosa è emerso fino a oggi dalla storiografia israeliana? C'è stata un'evoluzione nel giudizio degli storici? È ancora oggi acceso un dibattito su Pio XII?

Direi che la storiografia israeliana è molto trattenuta. In realtà il caso è ancora aperto per la pervicacia di un altro mondo che non è il mondo ebraico. Secondo me vanno considerati tre aspetti. Prima di tutto Pio XII paga il conto per il suo anticomunismo. Secondo:  questo Papa conosceva bene la Germania e aveva avuto un atteggiamento filotedesco - che, attenzione, non vuol dire filonazista. Infine va detto che le critiche a Pio XII provengono sempre da mondi nei confronti dei quali le critiche potrebbero essere dieci volte tanto. Mondi che nel corso della Shoah non seppero dare una presenza neanche lontanamente vicina a quella che loro rimproverano a Pio XII di non avere avuto.

Vuole farci qualche esempio?

Penso a quanto è accaduto in Francia, in Polonia, ma anche negli stessi Stati Uniti. Ragioniamo:  la tesi di coloro che accusano Pio XII è che tutti sapevano e che comunque si poteva sapere. Io allora vi chiedo:  chi ricordiamo, durante la seconda guerra mondiale tra le personalità di questi mondi che abbiano levato la sua voce nella maniera in cui si rimprovera al Papa di non averlo fatto? Io non ne conosco.

Fa riferimento anche agli antifascisti italiani?

Assolutamente sì. Ma insomma:  chi può essere indicato come qualcuno che ha fatto per gli ebrei qualcosa che il Papa non ha fatto? Io non ne conosco. Ci saranno casi singoli, come ci sono stati casi singoli di alti prelati della Chiesa. Almeno questo Papa tutto ciò che era nelle sue possibilità lo ha fatto. Ha consentito a diecimila ebrei che stavano a Roma - ma è successo anche in altre parti d'Italia - di salvarsi rispetto ai duemila che invece sono stati uccisi. Non capisco quale dovrebbe essere il termine di paragone. Allora credo si possa ipotizzare che queste critiche, queste invettive partano da mondi che non hanno la coscienza in ordine rispetto a questo problema.

La leggenda nera è quindi un caso di cattiva coscienza?

Direi di sì. Non si spiega altrimenti. La verità è che l'odio per Pio XII nacque in un contesto preciso, quello dell'inizio della guerra fredda. Ricordiamo che fu il Papa che rese possibile la vittoria della Democrazia cristiana nel 1948. Io sono convinto che le accuse nei suoi confronti siano lo spurgo di un odio nato nella seconda metà degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta. La letteratura ostile a Pio XII è successiva alla fine della guerra. In Italia, parte dopo la rottura dell'unità nazionale del 1947 e matura durante tutti gli anni Cinquanta in modo più acceso. Tutto questo deposito di odio o di forte avversione è emerso in anni successivi. Del resto, se fosse venuto alla luce immediatamente, gli ebrei che avevano avuto la vita salva per merito di questa Chiesa, non avrebbero consentito che si dicesse e si scrivesse quanto è stato detto e scritto. Essendo venuto fuori venti o trent'anni dopo, tutti i testimoni, tutti coloro che erano stati salvati - stiamo parlando di migliaia di persone - non c'erano più e il mondo nuovo dei loro figli assorbì quelle accuse. E infatti chi ha fatto e fa resistenza a queste accuse? Gli storici.

Per di più si sono poi aggiunte le voci dei cattolici che hanno contrapposto a Pio XII il suo successore, Giovanni XXIII.

Infatti credo che l'avvio delle cause di beatificazione dei due Papi sia stato annunciato contemporaneamente non certo per caso. Del resto quando Paolo vi andò in Terra Santa nel 1964 e parlò in termini molto caldi di Pio XII, non ci furono grandi proteste. Nessuno protestò. Ed era già partita l'operazione Vicario. Le accuse sembravano incredibili. Successivamente la valanga è venuta crescendo a mano a mano che scompariva la generazione dei testimoni diretti. Io comunque penso che a Pio XII sarà resa giustizia dagli storici.

Abbiamo accennato ai cattolici. "La Civiltà Cattolica" ha scritto che Pio XII non ebbe voce di profeta. Non si tratta di un giudizio un po' anacronistico? Forse il Pontefice sarebbe dovuto andare il 16 ottobre in ghetto come era andato a San Lorenzo poche settimane prima?

Sinceramente, quella parte di sangue ebraico che corre nelle mie vene mi fa preferire un Papa che aiuta i miei correligionari a sopravvivere, piuttosto di uno che compie un gesto dimostrativo. Un Papa che va in un quartiere bombardato è un Papa che piange sulle vittime, compie un gesto di calore e affetto per la città, mentre controversa poteva essere la sua presenza nel ghetto. Certo, col senno di poi si può dire di tutto, anche - come è stato scritto - che sarebbe stato giusto che si fosse buttato sulle rotaie per impedire ai treni di partire. Io penso però che si tratti di giudizi espressi alla leggera. E poi, sinceramente, su questi argomenti, rimproverare un altro di non aver fatto ciò che nessuno dei tuoi ha fatto, è un po' azzardato. A me infatti non risulta che esponenti della Resistenza romana siano andati al ghetto o si siano buttati sulle rotaie. Sono discorsi veramente poco sereni.

Sulla polemica all'interno del cattolicesimo il rabbino David Dalin è arrivato a scrivere che Pio XII è il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre per usarlo come arma contro i tradizionalisti...

L'aspetto più sconveniente, ma a me evidente (anche se lo giudico dal di fuori), è che questa battaglia nel mondo cattolico che contrappone le figure di Giovanni XXIII e di Pio XII non è molto coraggiosa, perché nessuno la fa a volto scoperto. Non c'è un libro o un articolo di un rappresentante autorevole del mondo cattolico che dica chiaramente Giovanni XXIII sì e Pio XII no. È una battaglia condotta tra le righe, fatta di sottigliezze. Il discorso per me è semplice:  o si è davvero convinti che Pio XII sia stato un Papa complice del nazismo, oppure se le cose stanno nei termini discussi in questa intervista, allora certa gente dovrebbe rendersi conto che questi argomenti contribuiscono solo alla persistenza della leggenda nera su questo Papa. Si noti bene:  io credo che questa leggenda nera abbia i tempi contati. Pio XII non sarà un Papa segnato da una damnatio memoriae.

Perché dice questo?

Proprio dal punto di vista storico le evidenze a favore sono tali e tante, e la mancanza di evidenze contro è così ampia che questa offensiva contro Pio XII è destinata a esaurirsi.

Un'ultima domanda sull'atteggiamento di Pio XII. Come si possono ricostruire i caratteri del suo silenzio operoso nei confronti della Shoah?

Io ho pensato molto spesso a Pio XII provando a immaginare che tipo di personalità fosse. È stato paragonato a Benedetto xv, il Papa della prima guerra mondiale. Ma la seconda guerra mondiale è stata molto diversa. Sicuramente Pacelli è stato una persona tormentata, che ha avuto dei dubbi. Lui stesso si soffermò nel 1941 sul proprio "silenzio". Si è trovato in un crocevia terribile che ha messo in discussione alcuni suoi convincimenti. Poi ha avuto un periodo successivo alla guerra molto lungo, fino al 1958, in cui ha continuato a essere un Papa forte, presente, importante, decisivo per la ricostruzione dell'Italia nel dopoguerra. Forse è stato il Papa più importante del Novecento. Fu sicuramente tormentato da dubbi. Sulla questione del silenzio, come ho detto, si è interrogato. Ma proprio questo mi dà l'idea di una sua grandezza. Tra l'altro mi ha molto colpito un fatto. Una volta finita la guerra, se Pio XII avesse avuto la coscienza sporca, si sarebbe vantato dell'opera di salvezza degli ebrei. Lui invece non l'ha mai fatto. Non ha mai detto una parola. Poteva farlo. Poteva farlo scrivere, farlo dire. Non lo ha fatto. Questa è per me la prova di quale fosse lo spessore della sua personalità. Non era un Papa che sentiva il bisogno di difendersi. Per quanto riguarda il giudizio su Pio XII, devo dire che mi è rimasto nel cuore quanto scrisse nel 1964 Robert Kempner, un magistrato ebreo di origini tedesche, numero due della pubblica accusa al processo di Norimberga:  "Qualsiasi presa di posizione propagandistica della Chiesa contro il governo di Hitler sarebbe stata non solamente un suicidio premeditato, ma avrebbe accelerato l'assassinio di un numero ben maggiore di ebrei e sacerdoti". Concludo:  per vent'anni i giudizi su Pio XII sono stati unanimemente condivisi. Secondo me, allora, nell'offensiva contro di lui i conti non tornano. E chiunque si accinge a studiarlo con onestà intellettuale deve partire proprio da questo. Dai conti che non tornano.



(©L'Osservatore Romano - 9 ottobre 2008)
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Ebrei testimoniano di essere stati salvati da Pio XII

Tra loro il figlio del rabbino di Genova durante la guerra

CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 9 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Alcuni ebrei italiani hanno testimoniato davanti alle telecamere di essere stati salvati durante la persecuzione nazista da membri della Chiesa con l'appoggio di Papa Pio XII.

Tra loro c'è Emanuele Pacifici, figlio di Riccardo, che nella Seconda Guerra Mondiale era rabbino capo di Genova, che assieme ad altri sopravvissuti lo rivela in un reportage video prodotto dal mensile Inside the Vatican e dall'agenzia H2onews.org.

Pacifici, che durante la guerra era un bambino, ricorda il momento in cui i nazisti chiesero alla comunità ebraica di Roma 50 chili d'oro.

"Era impossibile riunire 50 chili d'oro nelle poche ora che avevamo. Senza averne fatto pubblicità con nessuno, la città di Roma collaborò in tutti i modi che poté: con denti d'oro - perché prima si portavano denti d'oro -, con un anello, con quello che avevano... Si raccolsero i 50 chili d'oro", ha ricordato.

"Ma la promessa di sicurezza non si mantenne - ha aggiunto - e gli ebrei si videro obbligati a nascondersi per cercare di scappare da una morte sicura. L'azione del Papa Pio XII fu fondamentale in quei momenti difficili".

Un altro dei sopravvissuti, Settimio Di Porto, ha ricordato: "Avevamo perso i diritti civili. Non potevamo fare nulla. Non avevamo neanche tessere per il razionamento".

"Il 16 ottobre fu una mattinata tremenda. Sto ancora vedendo quella scena. Se li portavano via tutti nei camion, fu una gran razzia, entravano nelle case e si portavano via le famiglie: donne, vecchi, bambini, malati...".

"Qui a Roma aprirono le porte tutti i conventi", ha sottolineato Di Porto.

E Pacifici ha aggiunto: "Il Vaticano era pieno. C'era gente che dormiva anche nei corridoi".

Claudio Della Sera ha ricordato di essere stato salvato dai Fratelli Maristi del Collegio di San Leone Magno.

Per questo motivo nello Yad Vashem, il museo e archivio dell'Olocausto a Gerusalemme, si ricordano alcuni di questi uomini e donne che strapparono alla morte tanti ebrei e li si onora con il titolo di "Giusti tra le Nazioni".

Il giornalista del quotidiano "Il Giornale" Andrea Tornielli sottolinea che "agirono per salvare gli ebrei in un momento in cui non si sapeva quale sarebbe stato l'esito della guerra, e pertanto come un atto totalmente disinteressato".

Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia all'Università del Molise, testimonia che "i documenti dei servizi segreti statunitensi ci dicono anche il motivo per il quale Hitler odiava il Papa: perché stava nascondendo ebrei. Poiché dava ordini ai conventi, ai santuari e nascondendoli nello stesso Vaticano".

Le religiose, ricorda Emanuele Pacifici, cercarono di salvare le donne ebree nascondendole nei conventi.

"I tedeschi entrarono dentro e deportarono da questo convento 33 donne, tra le quali c'era anche mia madre. Capisci? La Madre Superiora, suor Ester Busnelli, venne arrestata perché aveva fatto qualcosa che non doveva fare".

"Bisogna capire il rischio che era... Il rischio che corse Pio XII salvando 8.000 persone", ha concluso.

Il reportage "Pio XII e l'Olocausto" è disponibile su www.h2onews.org


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Omelia del Papa nella Messa per i 50 anni dalla morte di Pio XII





* * *

Signori Cardinali,

venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

Il brano del libro del Siracide ed il prologo della Prima Lettera di san Pietro, proclamati come prima e seconda lettura, ci offrono significativi spunti di riflessione in questa celebrazione eucaristica, durante la quale facciamo memoria del mio venerato predecessore, il Servo di Dio Pio XII. Sono passati esattamente cinquant’anni dalla sua morte, avvenuta nelle prime ore del 9 ottobre 1958. Il Siracide, come abbiamo ascoltato, ha ricordato a quanti intendono seguire il Signore che devono prepararsi ad affrontare prove, difficoltà e sofferenze. Per non soccombere ad esse – egli ammonisce - occorre un cuore retto e costante, occorre fedeltà a Dio e pazienza unite a inflessibile determinazione nel proseguire nella via del bene. La sofferenza affina il cuore del discepolo del Signore, come l’oro viene purificato nella fornace. "Accetta quanto ti capita - scrive l’autore sacro – e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiolo del dolore" (2,4-5).

San Pietro, per parte sua, nella pericope che ci è stata proposta, rivolgendosi ai cristiani delle comunità dell’Asia Minore che erano "afflitti da varie prove", va anche oltre: chiede loro di essere, ciò nonostante, "ricolmi di gioia" (1 Pt 1,6). La prova è infatti necessaria, egli osserva, "affinché il valore della vostra fede, assai più preziosa dell’oro - destinato a perire e tuttavia purificato col fuoco -, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà" (1 Pt 1,7). E poi, per la seconda volta, li esorta ad essere lieti, anzi ad esultare "di gioia indicibile e gloriosa" (v. 8). La ragione profonda di questo gaudio spirituale sta nell’amore per Gesù e nella certezza della sua invisibile presenza. E’ Lui a rendere incrollabile la fede e la speranza dei credenti anche nelle fasi più complicate e dure dell’esistenza.

Alla luce di questi testi biblici possiamo leggere la vicenda terrena di Papa Pacelli e il suo lungo servizio alla Chiesa iniziato nel 1901 sotto Leone XIII, e proseguito con san Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Questi testi biblici ci aiutano soprattutto a comprendere quale sia stata la sorgente da cui egli ha attinto coraggio e pazienza nel suo ministero pontificale, svoltosi negli anni travagliati del secondo conflitto mondiale e nel periodo susseguente, non meno complesso, della ricostruzione e dei difficili rapporti internazionali passati alla storia con la qualifica significativa di "guerra fredda".

"Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam": con questa invocazione del Salmo 50/51 Pio XII iniziava il suo testamento. E continuava: "Queste parole, che, conscio di essere immeritevole e impari, pronunciai nel momento in cui diedi, tremando, la mia accettazione alla elezione a Sommo Pontefice, con tanto maggior fondamento le ripeto ora". Mancavano allora due anni alla sua morte. Abbandonarsi nelle mani misericordiose di Dio: fu questo l’atteggiamento che coltivò costantemente questo mio venerato Predecessore, ultimo dei Papi nati a Roma ed appartenente ad una famiglia legata da molti anni alla Santa Sede. In Germania, dove svolse il compito di Nunzio Apostolico, prima a Monaco di Baviera e poi a Berlino sino al 1929, lasciò dietro di sé una grata memoria, soprattutto per aver collaborato con Benedetto XV al tentativo di fermare "l’inutile strage" della Grande Guerra, e per aver colto fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica. Creato Cardinale nel dicembre 1929, e divenuto poco dopo Segretario di Stato, per nove anni fu fedele collaboratore di Pio XI, in un’epoca contrassegnata dai totalitarismi: quello fascista, quello nazista e quello comunista sovietico, condannati rispettivamente dalle Encicliche Non abbiamo bisogno, Mit Brennender Sorge e Divini Redemptoris.

"Chi ascolta la mia parola e crede… ha la vita eterna" (Gv 5,24). Questa assicurazione di Gesù, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci fa pensare ai momenti più duri del pontificato di Pio XII quando, avvertendo il venir meno di ogni umana sicurezza, sentiva forte il bisogno, anche attraverso un costante sforzo ascetico, di aderire a Cristo, unica certezza che non tramonta. La Parola di Dio diventava così luce al suo cammino, un cammino nel quale Papa Pacelli ebbe a consolare sfollati e perseguitati, dovette asciugare lacrime di dolore e piangere le innumerevoli vittime della guerra. Soltanto Cristo è vera speranza dell’uomo; solo fidando in Lui il cuore umano può aprirsi all’amore che vince l’odio. Questa consapevolezza accompagnò Pio XII nel suo ministero di Successore di Pietro, ministero iniziato proprio quando si addensavano sull’Europa e sul resto del mondo le nubi minacciose di un nuovo conflitto mondiale, che egli cercò di evitare in tutti i modi: "Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra", aveva gridato nel suo radiomessaggio del 24 agosto 1939 (AAS, XXXI, 1939, p. 334).

La guerra mise in evidenza l’amore che nutriva per la sua "diletta Roma", amore testimoniato dall’intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, di etnia, di nazionalità, di appartenenza politica. Quando, occupata la città, gli fu ripetutamente consigliato di lasciare il Vaticano per mettersi in salvo, identica e decisa fu sempre la sua risposta: "Non lascerò Roma e il mio posto, anche se dovessi morire" (cfr Summarium, p.186). I familiari ed altri testimoni riferirono inoltre delle privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra (cfr A. Tornielli, Pio XII, Un uomo sul trono di Pietro). E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle "centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento" (AAS, XXXV, 1943, p. 23), con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei. Agì spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir, che così scrisse: "Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime", concludendo con commozione: "Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace".

Purtroppo il dibattito storico sulla figura del Servo di Dio Pio XII, non sempre sereno, ha tralasciato di porre in luce tutti gli aspetti del suo poliedrico pontificato. Tantissimi furono i discorsi, le allocuzioni e i messaggi che tenne a scienziati, medici, esponenti delle categorie lavorative più diverse, alcuni dei quali conservano ancora oggi una straordinaria attualità e continuano ad essere punto di riferimento sicuro. Paolo VI, che fu suo fedele collaboratore per molti anni, lo descrisse come un erudito, un attento studioso, aperto alle moderne vie della ricerca e della cultura, con sempre ferma e coerente fedeltà sia ai principi della razionalità umana, sia all’intangibile deposito delle verità della fede. Lo considerava come un precursore del Concilio Vaticano II (cfr Angelus del 10 marzo 1974). In questa prospettiva, molti suoi documenti meriterebbero di essere ricordati, ma mi limito a citarne alcuni. Con l’Enciclica Mystici Corporis, pubblicata il 29 giugno 1943 mentre ancora infuriava la guerra, egli descriveva i rapporti spirituali e visibili che uniscono gli uomini al Verbo incarnato e proponeva di integrare in questa prospettiva tutti i principali temi dell’ecclesiologia, offrendo per la prima volta una sintesi dogmatica e teologica che sarebbe stata la base per la Costituzione dogmatica conciliare Lumen gentium.

Pochi mesi dopo, il 20 settembre 1943, con l’Enciclica Divino afflante Spiritu stabiliva le norme dottrinali per lo studio della Sacra Scrittura, mettendone in rilievo l’importanza e il ruolo nella vita cristiana. Si tratta di un documento che testimonia una grande apertura alla ricerca scientifica sui testi biblici. Come non ricordare quest’Enciclica, mentre sono in svolgimento i lavori del Sinodo che ha come tema proprio "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa"? Si deve all’intuizione profetica di Pio XII l’avvio di un serio studio delle caratteristiche della storiografia antica, per meglio comprendere la natura dei libri sacri, senza indebolirne o negarne il valore storico. L’approfondimento dei "generi letterari", che intendeva comprendere meglio quanto l’autore sacro aveva voluto dire, fino al 1943 era stato visto con qualche sospetto, anche per gli abusi che si erano verificati. L’Enciclica ne riconosceva la giusta applicazione, dichiarandone legittimo l’uso per lo studio non solo dell’Antico Testamento, ma anche del Nuovo. "Oggi poi quest’arte - spiegò il Papa - che suol chiamarsi critica testuale e nelle edizioni degli autori profani s’impiega con grande lode e pari frutto, con pieno diritto si applica ai Sacri Libri appunto per la riverenza dovuta alla parola di Dio". Ed aggiunse: "Scopo di essa infatti è restituire con tutta la possibile precisione il sacro testo al suo primitivo tenore, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, dalle trasposizioni di parole, dalle ripetizioni e da simili difetti d’ogni genere, che negli scritti tramandati a mano pei molti secoli usano infiltrarsi" (AAS, XXXV, 1943, p. 336).

La terza Enciclica che vorrei menzionare è la Mediator Dei, dedicata alla liturgia, pubblicata il 20 novembre 1947. Con questo Documento il Servo di Dio dette impulso al movimento liturgico, insistendo sull’"elemento essenziale del culto", che "deve essere quello interno: è necessario, difatti, - egli scrisse - vivere sempre in Cristo, tutto a Lui dedicarsi, affinché in Lui, con Lui e per Lui si dia gloria al Padre. La sacra Liturgia richiede che questi due elementi siano intimamente congiunti… Diversamente, la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto". Non possiamo poi non accennare all’ impulso notevole che questo Pontefice impresse all’attività missionaria della Chiesa con le Encicliche Evangelii praecones (1951) e Fidei donum (1957), ponendo in rilievo il dovere di ogni comunità di annunciare il Vangelo alle genti, come il Concilio Vaticano II farà con coraggioso vigore. L’amore per le missioni, peraltro, Papa Pacelli lo aveva dimostrato sin dall’inizio del pontificato quando nell’ottobre 1939 aveva voluto consacrare personalmente dodici Vescovi di Paesi di missione, tra i quali un indiano, un cinese, un giapponese, il primo Vescovo africano e il primo Vescovo del Madagascar. Una delle sue costanti preoccupazioni pastorali fu infine la promozione del ruolo dei laici, perché la comunità ecclesiale potesse avvalersi di tutte le energie e le risorse disponibili. Anche per questo la Chiesa e il mondo gli sono grati.

Cari fratelli e sorelle, mentre preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del Servo di Dio Pio XII, è bello ricordare che la santità fu il suo ideale, un ideale che non mancò di proporre a tutti. Per questo dette impulso alle cause di beatificazione e canonizzazione di persone appartenenti a popoli diversi, rappresentanti di tutti gli stati di vita, funzioni e professioni, riservando ampio spazio alle donne. Proprio Maria, la Donna della salvezza, egli additò all’umanità quale segno di sicura speranza proclamando il dogma dell’Assunzione durante l’Anno Santo del 1950. In questo nostro mondo che, come allora, è assillato da preoccupazioni e angosce per il suo avvenire; in questo mondo, dove, forse più di allora, l’allontanamento di molti dalla verità e dalla virtù lascia intravedere scenari privi di speranza, Pio XII ci invita a volgere lo sguardo verso Maria assunta nella gloria celeste. Ci invita ad invocarla fiduciosi, perchè ci faccia apprezzare sempre più il valore della vita sulla terra e ci aiuti a volgere lo sguardo verso la meta vera a cui siamo tutti destinati: quella vita eterna che, come assicura Gesù, possiede già chi ascolta e segue la sua parola. Amen!


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La carità di Pio XII che salvò gli ebrei

Incontro a Milano per discutere delle virtù eroiche di Papa Pacelli

ROMA, giovedì, 16 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Organizzato dai Circoli Culturali Giovanni Paolo II, si è svolto a Milano il 13 ottobre un incontro sul tema “Pio XII e il silenzio sulla Shoah”.

In una grande sala dell’Istituto S. Cuore, presentati da padre Luca Maria Gallizia, LC, Andrea Tornielli e Antonio Gaspari hanno raccontato le tante storie di carità portate avanti direttamente dal Pontefice e dalla Chiesa cattolica tutta per salvare i perseguitati dal Nazismo e alleviare i dolori e le sofferenze delle vittime del secondo conflitto mondiale.

Andrea Tornielli, giornalista e scrittore, vaticanista de “Il Giornale”, autore di diversi libri su Papa Pacelli l’ultimo dei quali dal titolo “Pio XII. Un uomo sul trono di Pietro” (Mondatori) citato da Benedetto XVI durante l’omelia per il cinquantesimo anniversario della morte di Pio XII, ha illustrato la figura di colui che venne definito “Defensor Civitatis” e “Pastor Angelicus”.

Parlando del periodo storico in cui è vissuto Pio XII, Tornielli ha affermato: “Ha conosciuto da vicino i grandi mali del ventesimo secolo, è stato ostaggio dei rivoluzionari bolscevichi, ha visto nascere il nazismo”.

“È stato il fedele collaboratore di Pio XI, condividendone l’avversione per le ideologie totalitarie ma anche il tentativo di trovare un modus vivendi con gli Stati più ostili che garantisse un minimo di libertà per i cristiani”, ha continuato.

“È diventato Papa alla vigilia di una guerra che avrebbe contato oltre cinquanta milioni di morti, culminata nell’abisso della Shoah, il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti – ha spiegato –. È stato esaltato e amato mentre era in vita, è stato proclamato defensor civitatis, protagonista di una grande opera di carità in favore di tutti i perseguitati”.

“Ha regnato negli anni difficili del dopoguerra indicando la via per ricostruire attraverso la democrazia tutto ciò che era stato spazzato via dal conflitto – ha sottolineato – . È stato protagonista nelle cruciali vicende politiche italiane. Durante la Guerra Fredda ha attualizzato proprio nei confronti del comunismo la tradizionale distinzione tra errore ed errante”.

“Ha proclamato un nuovo dogma mariano, ha scritto documenti dottrinali importantissimi, ha contribuito agli sviluppi consacrati dal Concilio Vaticano II, ha aperto al metodo storico-critico per lo studio della Bibbia, ha sostenuto il movimento liturgico, ha preso in considerazione l’ipotesi evoluzionista, ha internazionalizzato il collegio cardinalizio e ha canonizzato, in percentuale, il maggior numero di donne, più di tutti i suoi predecessori e successori”.

“Eppure, nonostante un pontificato così straordinario – ha sottolineato Tornielli – Eugenio Pacelli, oggi è conosciuto soltanto come ‘il Papa dei silenzi’. Lo accusano ingiustamente di non aver urlato abbastanza contro lo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti”.

Secondo il vaticanista de “Il Giornale” ciò che impedisce a molti di riconoscere la verità dei fatti è “un atteggiamento pregiudiziale, ideologico, ingiusto e in contrasto con la realtà storica”.

Antonio Gaspari, autore di più volumi come “Los Judios, Pio XII y la legenda Negra” (Planeta 1998), “Nascosti in convento” (Ancora 1999), “Gli ebrei salvati da Pio XII” (Logos Press 2001) e di un filmato “L’Albero dei Giusti” per il programma storico di Rai 3, ha raccontato le tante storie di ebrei salvati dalla Chiesa cattolica.

Gaspari ha spiegato come Pio XII e la Chiesa cattolica organizzarono una vera armata della carità “Inter Arma Caritas”.

Già durante la guerra del 1914-18 i Pontefici Benedetto XV e Pio XI organizzarono in Segreteria di Stato una rete di assistenza per tutte le vittime dirette e indirette della guerra. E il giovane monsignor Pacelli fu coinvolto direttamente in questa rete di assistenza.

Nel 1939, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, da Pontefice, Pio XII organizzò subito nella Segreteria di Stato, sezione affari ordinari, un Ufficio informazioni per tutte le vittime di guerra.

L’ufficio era presieduto da monsignor Alexander Evreinoff, di origine russa coadiuvato da don Emilio Rossi, già Vicepresidente nazionale della Gioventù dell’Azione Cattolica, sotto la supervisione del Sostituto degli Affari Ordinari della Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI).

All’inizio della guerra nell’ufficio lavoravano due persone, ma già dopo pochi mesi erano 16 e le domande di informazione erano più di cento al giorno.

All’inizio la “Radio Vaticana”, che lavorava strettamente con l’Ufficio informazioni, dedicava all’assistenza delle vittime di guerra una o due trasmissioni a settimana. Nel 1944 erano 63 le trasmissioni settimanali con un traffico di messaggi che arrivava a circa 27.000 al mese.

Per facilitare i messaggi si cominciò a utilizzare i numeri: tre significava “sto bene”; undici, “aspetto vostre notizie”; tredici, “il mio indirizzo è il seguente”.

Nel 1941 gli addetti diventarono 100, le richieste erano 2000 al giorno. Insieme alle richieste pubbliche, all’Ufficio informazioni arrivavano le richieste del Pontefice, informato quotidianamente dai Nunzi apostolici e da alcuni emissari.

Erano così tane le richieste che il 6 dicembre del 1941 “L’Osservatore Romano” pubblicò le norme per la compilazione dei moduli di richiesta

Nella seconda metà del 1942 per divulgare la vasta opera di assistenza umanitaria e caritatevole promossa da Papa Pacelli in favore delle vittime di guerra l’Ufficio informazioni curò la stampa della rivista periodica “Ecclesia” il cui Direttore fu Montini

La rivista riportava gli appelli del Pontefice per la pace, le preghiere per i sofferenti, le testimonianze di coloro che venivano aiutati dalla Santa Sede a ritrovare i loro cari.

Nel 1943 il lavoro era così grande che i dipendenti fissi e volontari dell’Uffico diventarono 600. Alla fine della Guerra quello che fu chiamato “Archivio della carità” contava più di 4 milioni di schede.

Per dare un'idea di quanto questo lavoro fu di aiuto per le vittime della guerra, in particolare degli ebrei, il 26 gennaio del 1940, il “Canadian Jewish Chronicle” pubblicò la testimonianza di Jacob Freedman, un sarto di Boston.

Il signor Fredman era preoccupato del destino di sua sorella e del nipote che si trovavano nella Polonia occupata dai nazisti. Scrisse al Dipartimento di Stato e alla Croce Rossa, ma entrambi non furono capaci di fornire alcuna informazione al riguardo.

Scrisse quindi al Papa Pio XII. Diversi mesi dopo l'allora Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Luigi Maglione, informò il signor Freedman che i suoi familiari erano vivi e si trovavano a Varsavia.

Sul “Canadian Jewish Chronicle” Freedman ha scritto: “Non trovo parole per esprimere ciò che provo, sono colpito dal fatto che voi vi interessiate al mio caso, con tutte le altre cose importanti di cui dovete preoccuparvi. Questa è la più buona, fantastica e bella cosa che poteva accadermi”.

“La Seconda Guerra Mondiale è stata teatro di un'immane tragedia – ha concluso Gaspari – ma la testimonianza di carità offerta dal Pontefice Pio XII e dai tanti che hanno aperto le porte delle loro case, conventi, chiese, istituti, mostra che a fronte di tanto male ci fu tanto bene e che l’amore, il coraggio e la carità di molti hanno vinto il male con il bene”.


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Il cardinale Tarcisio Bertone a Montefiascone

Pio XII
architetto di pace


Pio XII è stato un grande Papa, vissuto in un periodo particolarmente difficile e "giustamente definito architetto di pace" per avere "costantemente invocato la pace" e dato rifugio agli ebrei che fuggivano dalla furia nazista. Oggi invece è ingiustamente vilipeso. Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, ha voluto ricordare così Papa Pacelli "sincero amico dell'umanità e fedele servitore della Chiesa". L'occasione gli è stata offerta dall'invito a celebrare, domenica scorsa 21 dicembre, la messa nella concattedrale di Montefiascone a conclusione delle manifestazioni celebrative organizzate dalla diocesi per il cinquantesimo della morte di Pio XII.
Facendo riferimento alla prossimità delle feste natalizie, foriere di quel messaggio di pace "dono prezioso del Natale", che si identifica in Cristo, che è la nostra "vera pace", ha ricordato come proprio Papa Pacelli non cessò mai "di invocare la pace negli anni travagliati del suo lungo pontificato. Come non richiamare, ad esempio, il suo accorato radiomessaggio del Natale 1942? In esso indicò al mondo i cinque punti essenziali per costruire la pace su solidi fondamenti di una nuova società:  riconoscimento e tutela della dignità e dei diritti della persona umana; centralità della famiglia, fondamento della società; dignità del lavoro e salari giusti per le necessità dei lavoratori e delle loro famiglie; sicurezza giuridica, mediante un giusto ordinamento giuridico; la concezione dello Stato e del potere come servizio alla persona". E della pace Pio XII non si limitò a proclamare solo la necessità con ripetuti appelli, ma volle in modo concreto testimoniare la sua ansia per essa con una ben nota e intensa attività caritativa in favore delle famiglie più colpite dai tragici eventi bellici. "E quando si scatenò la persecuzione contro gli Ebrei - ha ricordato il cardinale -, volle impartire urgenti e precise disposizioni alle istituzioni cattoliche di Roma affinché aprissero le porte a uomini, donne e bambini anche a rischio della vita; così che potettero salvarsi proprio grazie al coraggio e alla sensibilità del Papa e della Chiesa".
Il segretario di Stato ha poi voluto ricordare il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riaffermando l'inalienabilità e l'universalità dei diritti umani, oggi a rischio a causa dell' "individualismo e del relativismo culturale ed etico che caratterizza ampiamente il nostro tempo".
Nel pomeriggio il cardinale segretario di Stato ha presenziato, nella rocca dei papi sempre a Montefiascone, alla presentazione del libro di monsignor Fabio Fabene intitolato Un buon pastore. Il volume, edito in elegante veste tipografica dalla Libreria Editrice Vaticana, è interamente dedicata al vescovo di Viterbo monsignor Luigi Boccadoro (1911-1998), la cui figura - grazie alla conoscenza e all'abilità descrittiva dell'autore - si staglia sulla scena di un momento storico di notevoli cambiamento sociali ed ecclesiali". "Monsignor Fabene - ha detto il cardinale Bertone presentando l'opera - conduce il lettore nel cuore stesso del prete e del vescovo Boccadoro", mostrandone l'aspetto "dell'instancabile lavoratore", costantemente al servizio della sua Chiesa e dei suoi figli.
Il pregio del lavoro di monsignor Fabio Fabene sta nell'essere riuscito a far emergere la figura di un pastore legato ai suoi più saldi principi ma straordinariamente aperto al futuro e - come nota il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi, nella prefazione - "con il cuore aperto a tutti".



(©L'Osservatore Romano - 22-23 dicembre 2008)
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