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Benedetto XVI a Viterbo

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2009 06:52
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01/08/2009 07:05

Reso noto il programma della visita del 6 settembre

Benedetto XVI a Viterbo




Reso noto il programma della visita che Benedetto XVI compirà domenica 6 settembre a Viterbo e a Bagnoregio.
Partirà in elicottero da Castel Gandolfo. L'arrivo è previsto per le ore 9.30 nel campo sportivo comunale "Rocchi" dove ad attenderlo ci sarà il vescovo diocesano Lorenzo Chiarinelli. Nei giorni scorsi il vescovo ha avuto modo di sottolineare la dimensione storica dell'evento "poiché si tratta - ha detto - dell'incontro con una città definita "la città dei Papi"". In effetti Viterbo ha un'antica confidenza con i Pontefici. Cinquanta Papi hanno infatti trovato ospitalità tra le mura del borgo medioevale e diciotto vi hanno risieduto per alcuni mesi. Ancora oggi tra i monumenti da visitare c'è lo storico Palazzo dei Papi dove i Pontefici hanno abitato per 24 anni, dal 1257 al 1281.

Quasi naturale è dunque il fatto che Benedetto XVI inizi la sua visita proprio dal Palazzo dei Papi. Entrerà in città da Porta Romana, sormontata dalla statua di santa Rosa, raffigurata nell'atto di raccogliere nel grembiale le bombe lanciate contro la città dalle artiglierie di Federico ii. In macchina raggiungerà il Palazzo in piazza San Lorenzo, dove saranno ad attenderlo numerosi fedeli per un primo saluto. All'interno del Palazzo Benedetto XVI visiterà la sala del Conclave, dove furono eletti ben cinque Pontefici.
L'appuntamento con la popolazione viterbese sarà nella spianata Valle Faul. Il Papa presiederà la concelebrazione eucaristica alla quale parteciperanno i sacerdoti del viterbese. Conclusa la celebrazione della messa il Papa proporrà la sua riflessione per l'Angelus domenicale.

Lasciata piazza Faul il corteo papale si dirigerà verso il santuario della Quercia dove, nell'attiguo convento, Benedetto XVI sosterà per il pranzo e per un breve riposo. Lungo il tragitto il Papa si fermerà per ammirare la singolare Macchina di Santa Rosa, una torre altissima che, nella notte tra il 3 e il 4 settembre, festa della patrona viterbese, attraversa le principali strade della città antica, tra due ali di folla, portata a spalle da centocinquanta "facchini", rigorosamente selezionati e in genere discendenti da famiglie che hanno sempre dato "facchini" a santa Rosa.

Nel primo pomeriggio Benedetto XVI compirà una visita privata al santuario. Quello della Madonna della Quercia è il santuario principale della diocesi. Il nome deriva dall'immagine mariana miracolosa, conservata incastonata nel tronco di una quercia, attorno alla quale, nel 1469, è stata eretta la chiesa. Il 27 maggio del 1984 l'immagine mariana fu incoronata da Giovanni Paolo II durante la visita pastorale compiuta nella diocesi viterbese.

Alle 17 il Papa, in elicottero, raggiungerà Bagnoregio. L'arrivo è previsto al campo sportivo "Alessandro Pompei". In macchina raggiungerà poi la cattedrale di San Nicola per venerare la reliquia di san Bonaventura, un santo al quale Papa Ratzinger è particolarmente legato. In piazza Sant'Agostino avverrà poi l'incontro con la popolazione, al termine del quale il Papa lascerà in elicottero la diocesi e rientrerà a Castel Gandolfo.

Il vescovo Chiarinelli, presentando nei giorni scorsi in Comune la visita, ne sottolineava il significato "in un momento particolarmente importante per la città e per la stessa diocesi che si prepara all'appuntamento con il Papa per la prima volta da quando le è stata data l'attuale configurazione" (dal 1986).

Dal momento in cui è stato dato l'annuncio della visita - era l'8 dicembre dello scorso anno - in diocesi si sono moltiplicate le iniziative spirituali e culturali in preparazione all'evento. Nella lettera alla diocesi il vescovo ha voluto ricordare che "il Papa viene per confermarci nella fede e per edificarci come Chiesa che testimonia il suo amore". Che egli "trovi menti aperte - è stato il suo auspicio - cuori vibranti, volontà decise".

Tra le iniziative culturali da segnalare la pubblicazione di un volume, curato da monsignor Salvatore Del Ciuco, dal titolo "Viterbo e i Papi". 150 pagine con illustrazioni particolari che raccontano naturalmente la storia del rapporto tra la città e i Pontefici. Nella presentazione monsignor Chiarinelli ricorda che "unanime è stata all'annuncio, la gioiosa esplosione dell'accoglienza da parte della comunità ecclesiale, delle istituzioni ai diversi livelli e ambiti, del popolo nella genuinità dei suoi sentimenti. Pregiudizi ideologici sono sulla via del tramonto e arroccamenti psicologici fanno parte di stagioni che tutti sanno pregresse. Come accogliere il Papa? L'ho scritto nel manifesto "Padre Santo benvenuto. L'accogliamo con affetto sincero, gratitudine viva e fedeltà filiale"".



(©L'Osservatore Romano - 1 agosto 2009)
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14/08/2009 19:02

La visita di Benedetto XVI a venticinque anni da quella di Giovanni Paolo II

Viterbo la «città dei Papi»


di Mario Ponzi



Viterbo, la "Città dei Papi", si appresta a ricevere di nuovo un Successore di Pietro tra le sue vetuste mura. Come annunciato Benedetto XVI sarà nella cittadina dell'alto Lazio domenica 6 settembre prossimo. Per i viterbesi sarà anche l'occasione per rivisitare tutta la loro millenaria e antichissima storia etrusca, romana e cristiana. E di rivisitazione si tratterà perché in realtà Viterbo ha, sino a oggi, vissuto più intrisa del suo passato, che le dà in un certo senso equilibrio, che non protesa verso un futuro, poco roseo e attraente come può esserlo quello delle zone agricole a piccola proprietà contadina.

L'agro viterbese si estende tra l'Amiata e il Cimino, le due grandi montagne che gli etruschi consideravano come divinità che impedivano i rovesci atmosferici da nord a sud. Si allarga poi dal Tevere al Tirreno, formando un canalone in cui penetra il sole tutto il giorno, assicurando fertilità al terreno e sano equilibrio alla gente. È il motivo per cui gli Etruschi si fermarono su queste terre, i romani ne fecero una garanzia per l'erario e i Papi vi cercarono rifugio quando Roma divenne per loro incerta e ostile. Hanno tutti lasciato simboli evidenti del passaggio. Ma ciò che rappresenta la sintesi più verace delle tre civiltà è, e rimane l'uomo, l'aborigeno, il viterbese puro sangue. Egli assomma in sé le caratteristiche delle tre culture:  l'umanesimo etrusco, la stabilità romana e l'equilibrio cristiano tra virtù naturali e divine.
I tesori più belli della sua umanità il viterbese li custodisce dentro di sé e li conserva gelosamente. Bisogna scavare in profondità, ma con attenzione, nell'anima di ciascuno di loro, foss'anche un pastore dell'alta Maremma ed i tesori saltano fuori. Sono quegli stessi che hanno trovato risonanza nelle opere latine di Virgilio, di Cicerone, di Orazio.

Parlando con i viterbesi ancora oggi sembra di sentir parlare i loro padri, la cui dottrina hanno tradotto in proverbi che sono custoditi come un testo sacro e un sicuro punto di riferimento. Quel che è certo è che la gente dell'alto Lazio ha una grande ricchezza interiore. Forse sarà per questo che di tutti i signori che hanno attraversato la loro storia, ricordano solo i Papi come padri, come benefattori, come pastori attenti e generosi. Tanto che la definizione di Viterbo "Città dei Papi" la si deve non tanto al fatto che ci sia il Palazzo dei Papi, quanto piuttosto al fatto che il viterbese è papalino nell'anima e al Papa ha sempre riservato e manifestato fedeltà in quanto successore di Pietro, qualunque fosse il suo nome. Testimonianza convincente fu l'accoglienza riservata, nel maggio del 1984, a Giovanni Paolo II, primo Pontefice a tornare in città dopo centoventisette anni.

Le cronache del tempo parlano di una visita di un solo giorno ma di eccezionale durata, ben tredici ore "la più lunga tra quelle sino a quel momento effettuate in altre città". Più di dieci incontri, tutti segnati da una grande vitalità. Era il 27, l'ultima domenica di maggio. Il Papa era accompagnato dal cardinale Sergio Guerri, nativo di Tarquinia. La visita iniziò dalle carceri di Santa Maria in Gradi e si concluse con la comunità dei giovani tossicodipendenti intitolata a san Crispino.

Tre momenti di preghiera sono rimasti impressi in quanti hanno vissuto quell'evento, pur tra le innumerevoli fasi di una visita storica. Al mattino davanti all'urna che raccoglie i resti mortali di santa Rosa, poi in Duomo presso le reliquie dei santi Valentino e Ilario i fondatori della Chiesa viterbese, venuti dall'oriente, e al pomeriggio nella basilica di San Francesco, presso i sepolcri di due Papi, Celestino iv e Adriano v, il cui pontificato durò solo trentotto giorni, poco più cioè di quello di Papa Luciani. "A ogni passo - si legge nelle cronache - Giovanni Paolo II si imbatteva in documenti e testimonianze di grande interesse:  nella cattedrale di san Lorenzo per esempio si è soffermato dinanzi al sepolcro di Giovanni XXI, Pontefice di origine portoghese che perì nel 1277 per un crollo che si verificò nel Palazzo Papale, oppure nel chiostro degli agostiniani dove incontrò i malati e dove ogni pietra parla di un'antica e gloriosa tradizione scientifica di cui Mendel non è che il simbolo principale. O ancora a Santa Maria della Quercia il santuario dell'antico borgo... L'elenco potrebbe continuare ancora a lungo e senza dubbio gli occhi del Santo Padre a sera erano veramente colmi di grandi suggestioni visive".



Con particolare enfasi vennero riferiti gli incontri con i giovani e con i tossicodipendenti della comunità terapeutica di san Crispino. Anzi fu proprio questo il momento socialmente più rilevante e significativo dell'intera giornata. Il Papa volle ricevere i giovani ospiti del centro, insieme ai loro genitori, nella storica Sala del Conclave nel Palazzo dei Papi. Tralasciò di leggere il discorso preparato e riferendo agli sforzi compiuti da questi giovani per uscire dal tunnel della droga disse tra l'altro:  "Il successo essenziale è sempre l'uomo, l'uomo ritrovato nella sua umanità, nel suo senso di essere umano, nella sua prospettiva futura. Tutto questo è un grande successo". E ancora "La droga non si vince con la droga ma con un serio impegno da parte di tutta la comunità" e le " droghe sostitutive non sono una terapia sufficiente, ma piuttosto costituiscono un modo velato per arrendersi al fenomeno". La via per ottenere "un ritorno dal mondo allucinante degli stupefacenti è la mobilitazione di tutti" per formare "una società nuova, a misura d'uomo:  l'educazione a essere uomini". La speranza è il dono più bello che Wojtyla lasciò a una città che gli aprì porte e cuore.

Ora, a distanza di venticinque anni, quella stessa città, certamente diversa, cresciuta e alle prese con vecchie e nuove problematiche ma sempre fedele alla sua antica anima, si prepara ad  accogliere  nuovamente  un  Papa,  Benedetto XVI. Il logo che il vescovo ha preparato per accoglierlo dice anche cosa in fondo oggi la Viterbo fedele si attende:  essere confermata proprio in questa sua fede, per resistere alle sfide di un secolarismo sempre più invadente e più difficilmente contrastabile.



(©L'Osservatore Romano - 15 agosto 2009)
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05/09/2009 19:26

La visita del Papa alla diocesi di Viterbo

Da Agostino a Bonaventura


Il desiderio di visitare Viterbo e Bagnoregio - è il sedicesimo incontro con una diocesi italiana - Benedetto XVI l'ha portato sempre con sé. Per via di san Bonaventura, il Dottore serafico, figura capitale nella sua formazione culturale. Quando nel 2007 Papa Ratzinger si inginocchiò a Pavia ai piedi delle spoglie mortali di sant'Agostino, un altro dei suoi fari nel personale itinerario teologico, era facile prevedere che, presto o tardi, sarebbe andato a visitare Bagnoregio, patria di Bonaventura, eminente seguace di Agostino. Il grande Padre africano, il teologo francescano e Tommaso d'Aquino formano tre direttori di orchestra che interpretano con diversa sensibilità la stessa sinfonia. Sommi maestri che hanno cercato di capire il rapporto tra fede e ragione, tra fede e storia; in altri termini, quale rapporto ci possa essere tra Dio e l'uomo, tra la realtà invisibile e quella visibile e come cambi il senso della vita personale e sociale aprendo la propria anima e il proprio intelletto alla contemplazione di Dio.



La filosofia - scriveva san Bonaventura - è una via per arrivare alle altre scienze, ma chi si vuole fermare cade nelle tenebre. Andare oltre la conoscenza di ragione aprendosi, almeno come interrogativo plausibile, alla conoscenza della fede ha rappresentato un filo costante nella riflessione dei Padri della Chiesa. E per san Bonaventura Cristo rimane la via di tutte le scienze.
Sprazzi di vita di Joseph Ratzinger, prima che diventasse Papa, aiutano a capire la genesi lontana dell'odierna visita pastorale a Viterbo e Bagnoregio. Il 13 novembre 2000 il cardinale Ratzinger si presentò alla Pontificia Accademia delle scienze di cui era divenuto membro, richiamando brevemente la sua formazione teologica, determinata dal movimento biblico, liturgico ed ecumenico. E mise a fuoco due figure eminenti, Agostino e Bonaventura, sulle quali si era concentrato negli studi prima della "meravigliosa opportunità di presenziare al concilio Vaticano ii come esperto". Un tempo "molto gratificante della mia vita - ricordava Ratzinger - nel quale mi fu possibile essere parte di tale riunione, non solo tra vescovi e teologi, ma anche tra continenti, culture diverse e distinte scuole di pensiero e di spiritualità nella Chiesa".
È sotto gli occhi di tutti come i temi cari ai Padri della Chiesa siano quelli prediletti dal magistero ordinario di Benedetto XVI e come egli, proprio passando attraverso la scuola del concilio, sappia dare eco al linguaggio patristico rivitalizzandolo nel mondo globalizzato e ipertecnico di oggi.
Una direzione di marcia che, dal primo incontro con Agostino e Bonaventura, ha poi sempre mantenuto. Non arroccandosi, ma dialogando con le scienze moderne, convinto che la ricerca della verità senza pregiudizi porti a una maggiore comprensione umana e a un'apertura alla trascendenza.
Sulla scia dei Padri, Benedetto XVI non tiene per sé l'elaborazione teologica e l'esperienza cristiana conseguente, ma le condivide con i fedeli e anche con quanti semplicemente si interrogano sul senso del vivere e del morire, amare e sperare. Il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, ha invitato il Papa in una città - che in tempi ormai remoti fu sede pontificia - per confermare la Chiesa diocesana nella fede. E questo significa dare più spazio nella vita quotidiana allo Spirito, leggere la storia con gli occhi di Dio, cominciando cioè dalla fine, quando tutte le cose si ritroveranno purificate e pacificate.
La sensibilità del Papa per la spiritualità - vista come primario impegno della Chiesa, concretata nell'anno di riflessione sulla Parola di Dio nell'anniversario paolino e, ora, con un anno sacerdotale per tornare alle radici del ministero pastorale - non è un'espressione di timore della vita che ferve nella città secolare, ma mostra la sua convinzione che solo una vita animata dalle ragioni e dall'esperienza della fede cristiana possa dare credibilità alla Chiesa e alla sua predicazione su Dio. Di Lui non si può fare a meno perché egli è più intimo a noi di quanto non lo siamo a noi stessi. Difficile, pure volendo, accantonarlo e isolarlo, dal momento che Dio non è avversario dell'uomo. Come insegna Bonaventura e come ripete in molti modi Benedetto XVI.

c. d. c.


(©L'Osservatore Romano - 6 settembre 2009)
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05/09/2009 19:32

A colloquio con il vescovo di Viterbo Lorenzo Chiarinelli alla vigilia della visita di Benedetto XVI

Per la Tuscia una pietra miliare


di Mario Ponzi

Non si è ancora spenta l'eco dei solenni festeggiamenti dedicati alla patrona, santa Rosa, che già la città di Viterbo e l'intera diocesi, si ritrovano a vivere la vigilia e l'arrivo di Benedetto XVI. In questi giorni la memoria del passato si fa esperienza viva nell'oggi e diventa, come dice il vescovo diocesano Lorenzo Chiarinelli nell'intervista rilasciata per l'occasione a "L'Osservatore Romano " "profezia per camminare ancora nella verità dell'amore e nell'amore della verità". Il vescovo offre spunti di riflessione che fanno capire un po' più a fondo la realtà che Benedetto XVI si troverà di fronte domenica 6 settembre. 

La presenza della Chiesa e dei Papi ha segnato secoli di storia della città. Cosa è rimasta oggi di questa presenza, al di là dei segni esteriori?

Ogni città è segnata dalla sua storia:  la raccontano le pietre, le istituzioni, gli scritti, l'arte, il tessuto socio-culturale, l'eredità religiosa, le tradizioni, il folklore. Viterbo - al di là di riferimenti indubbi alla civiltà etrusca, greca, romana e, soprattutto, medievale - è città dell'antico "Patrimonium Sancti Petri". E su questo fronte è intimamente legata a Roma:  legame robusto e felice per quanto concerne l'esperienza religiosa:  legame dialettico e variabile per l'intreccio di interessi, ambiti e competenze. La sua architettura testimonia questa storia; l'oggi porta l'humus di quella coltivazione.

La fede dei viterbesi oggi è frutto più della tradizionale religiosità popolare o una scelta personale?

Valutare la fede di un popolo richiede criteri di giudizio singolari, non ovvi né univoci. Anche per Viterbo può valere l'osservazione crociana "perché non possiamo non dirci cristiani". Ecco gli edifici istituzionali, le molte chiese; ecco le tradizioni e le espressioni datate sia culturali che di consuetudini locali. Ed è qui che si registra il "passaggio cruciale" da ieri a oggi. Questa è la grande sfida; questo è il cammino intrapreso:  lo abbiamo chiamato il cammino di Emmaus. Da una fede demotivata, solo rituale, senza concretezza di responsabilità a una fede consapevole, tradotta in scelte di vita, lievito del tessuto sociale. "Cristiani si diventa" è il titolo della collana che sussidia i passi di così impegnativo cammino che si qualifica come "iniziazione cristiana".

Come educare questa fede?

Oltre alle scelte di contenuto e di pedagogia, è necessaria richiamare la responsabilità degli educatori nella fede (genitori, insegnanti, catechisti, famiglie, associazioni, parrocchie). Partiamo dalle esperienze acquisite (tradizioni, confraternite, devozioni...) per operare una "conversione":  dalla religiosità naturale alla fede biblica; dalla ritualità alla vita cristiana; dall'individualismo alla ecclesialità. Una autentica soggettività ecclesiale si sostanzia di ascolto della Parola di Dio e dell'Eucaristia, in una esperienza di comunione per la vita del mondo.

Un fenomeno che riguarda anche i giovani?

I giovani costituiscono un universo in evoluzione. C'è una "frattura valoriale" tra le generazioni:  resta, è vero, il ponte della relazione affettiva, tra passato e futuro generazionale, ma esso non veicola più ideali, mentalità, costume, anche sotto il profilo religioso. Da questa consapevolezza nasce il nostro progetto che ha come "nodo" educativo la "confermazione" che si traduce in chiamata alla consapevolezza (attenzione all'età, al grado scolastico, alle situazioni esistenziali...) e alla responsabilità. Il cammino "verso l'Horeb" è un percorso impegnativo e soprattutto incentrato su alcuni punti fermi:  il sì a Cristo; la globalità della vita cristiana (liturgia-catechesi-carità); l'unità della persona. Qui va colto oggi lo "snodo" prioritario dell'azione pastorale:  non è questione di formule, di aggiustamenti, o di verniciature. Si tratta di "vita nuova in Cristo", nel pensare, nel giudicare, nell'amare, nell'agire, nello sperare. Questa è la nostra sfida pastorale per una nuova generazione di cristiani. E qui gioca un ruolo fondamentale l'esercizio della carità e la coerenza della testimonianza. Ecco l'azione nelle parrocchie e nelle istituzioni educative. Si tratta di ricostituzione del tessuto relazionale della esperienza religiosa, che deve andare oltre la episodicità e la ripetitività sociologica.

E come si inserisce in questo quadro la visita di Benedetto XVI?

Il "logo" della visita non a caso è:  "Conferma i tuoi fratelli". Ecco, allora, il dono, il compito:  viene il Papa come successore di Pietro, come maestro, pastore, padre ed è la fede da confermare la finalità globale di questo evento di grazia:  fede sicura, fede ferma, una fede operosa. Il grido di Pietro, ieri e oggi, è:  "Tu sei il Cristo"! Essere cristiani è la grande emergenza educativa della nostra comunità, chiamata non alla sterilità, ma alla generazione di credenti, di vocazioni ministeriali, di testimoni coerenti. Il nuovo istituto teologico "San Pietro", che aggregato al "Sant'Anselmo" a Roma conferisce la licenza in teologia, ne è segno e strumento qualificato, come istituzione voluta e gestita dalla diocesi, dai padri Giuseppini del Murialdo, e dai padri Cappuccini. A questo proposito vorrei sottolineare la grande urgenza della preparazione teologica del giovane clero e il ruolo - necessario e alto - dei teologi per la maturazione della fede e per la vita ecclesiale.

Quali le attese?

Abbiamo bisogno innanzitutto di essere "confermati" nella fede, tutti. C'è bisogno di una fede da credere, da vivere, da celebrare, da testimoniare. C'è bisogno di una fede che sappia investire in cultura, come mentalità, come modo di essere, come saper camminare nella storia. Ecco il collegamento con la visita del Papa a Bagnoregio. Nel 1957 il giovane teologo Ratzinger con "La Teologia della storia in San Bonaventura" (la nuova edizione in lingua italiana è del 2008) otteneva a Monaco la libera docenza. Quella ricerca, al teologo già studioso di sant'Agostino, dischiudeva orizzonti nuovi circa il concetto di rivelazione, il rapporto storia ed escatologia, fede e metafisica e consentiva di cogliere - tra l'altro - la dinamicità dell'esperienza credente come Bonaventura l'aveva intuita nel secolo XIII tra le vicende culturali di quella stagione. "La Chiesa - soleva dire Giovanni XXIII - non è un museo da custodire, ma un giardino da coltivare"!

Come legare il passato ereditato e il futuro che già è alle porte?

È una questione delicata, che riguarda tutto il tessuto viterbese sia ecclesiale, che sociale, civile e culturale. La città non si esaurisce nella sua eredità architettonica, non può camminare guardando indietro. Il patrimonio storico, come i talenti della parabola evangelica, richiede investimento che produce "sintesi nuove"; le radici sono vitali per la crescita dell'albero, ma l'albero non è riducibile alle radici. L'albero, del resto, si riconosce dai frutti. Così è per le persone, così per le città, così per le istituzioni. L'appiattimento, la inerte conservazione, la pura ripetitività non bastano a dare volto ad una comunità che cammina verso la pienezza di un Regno che sta dinanzi e che chiama. Forse è proprio qui il "balzo innanzi" che il contesto viterbese è chiamato a fare. La categoria biblica del cammino e le energie della speranza indicano mete impegnative e doverose. Proprio questa del resto è la lezione della santità iscritta nella storia viterbese:  santa Rosa nel secolo XIII viveva la situazione cittadina del suo tempo; santa Giacinta Marescotti promuove un'intensa attività caritativa; santa Lucia Filippini e santa Rosa Venerini pioniere e modelli di inedite esperienze educative; Mario Fani, promotore della grande avventura della Gioventù Cattolica italiana eccetera. La fede viene "da" e porta lontano, ma germoglia nel tempo e fiorisce nella storia. Questa Chiesa viterbese, nella nuova configurazione assunta nel 1986 e che abbiamo voluto raffigurata in splendida veste artistica nel trittico della "Porta della luce" della Chiesa Cattedrale (opera del maestro Ioppolo), qui e in questa nuova stagione è chiamata a essere segno del mistero di Dio, annunciatrice del Vangelo, testimone di carità. La Tuscia ha bisogno di rinnovato slancio e speranza di futuro. La visita del Papa è passaggio di grazia e sarà pietra miliare nel nostro cammino pastorale. Per questo diciamo:  benvenuto e grazie a Benedetto XVI.


(©L'Osservatore Romano - 6 settembre 2009)
[Modificato da Cattolico_Romano 05/09/2009 19:32]
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05/09/2009 19:33

Il programma degli incontri

Tra memorie e futuro


Inizio nel passato per la visita del Papa a Viterbo domenica mattina, 6 settembre. Il primo omaggio della città Benedetto XVI lo riceverà infatti in piazza San Lorenzo, dinanzi allo storico Palazzo dei Papi, per lunghi anni simbolo concreto del minacciato trasferimento della sede Petrina da Roma - città per i Pontefici del tempo incerta e ostile - divenuto negli anni espressione dell'orgoglio di una città che oggi cerca di ritrovarsi.

Per i viterbesi l'incontro con Benedetto XVI sarà anche l'occasione per rivisitare la loro storia ultramillenaria, forgiata da straordinari culture, da quella etrusca, a quella romana a quella dell'era pontificia, segnata dal martirio dei primi evangelizzatori:  Valentino e Ilario, Dionisio, Anselmo, Vivenzio, Flaviano, Ermete, Bernardo solo per citarne alcuni, e percorsa dalle testimonianze di numerosi santi dei quali è ancora vivo il ricordo. Su tutti quello della patrona santa Rosa, pur senza dimenticare altre grandi figure, come san Bonaventura, santa Lucia Filippini, san Crispino, santa Rosa Venerini, tanto per citarne alcuni.


 
Farà gli onori di casa il sindaco della "Città dei Papi", un titolo del quale i viterbesi sono fieri quanto gelosi. O almeno lo sono quei cittadini che ancora oggi non esitano a riconoscere le loro origini, radicate nei primordi dell'evangelizzazione, successiva solo a quella di Roma.

Possedimento degli Etruschi, poi inglobata nell'impero romano, questa zona dell'alto Lazio si presenta come uno dei paesaggi più pittoreschi dell'Italia. Abitata da una popolazione che riflette il retaggio delle culture che ne hanno scandito la storia, si mostra al visitatore come lo specchio delle tante contraddizioni che ne segnano i grandi passaggi epocali. Quello che sta vivendo Viterbo è, come tutto il corso della sua storia, lento ma costante. L'antica città medioevale, gelosa custode delle sue nobili origini e tradizioni, sta via via cedendo il passo alla città che guarda con preoccupazione al futuro. Il signorotto, proprietario di fruttuosi poderi, il mezzadro capace di far rifiorire terre lasciate un po' a se stesse, o il piccolo coltivatore diretto, in grado di cavar di che vivere da castagneti (i cui frutti sono la celebri castagne "marroni"), da nocchieti (famose le nocciole del sorianese), o dalla coltivazione delle note "patate a terra secca", stanno cedendo via via il posto a commercianti, a ditte, per lo più familiari, legate principalmente al settore edile, e al terziario.

L'arrivo di investitori "di fuori città" alla fine degli anni Ottanta e, non ultima l'apertura, anche se ormai datata, del grande ospedale del Buon cammino, poco fuori il borgo, hanno dato il via ad un imperioso ripopolamento. Ed è cresciuta una città nuova tutt'intorno alla città antica. Difficile capire quanto, e fino a che punto, queste due realtà riescano a riconoscersi in un'unica identità. Compassata e legata alle sue antiche origini l'una, frenetica e alla ricerca di un ruolo da coprotagonista nel futuro della regione l'altra, camminano comunque fianco a fianco per affrontare le stesse sfide. Realtà diverse quanto si vuole dunque, ma pur sempre destinate a condividere successi e crisi, gioie e dolori. Possibilmente in spirito di solidarietà e cooperazione.

Una situazione questa che non può non riflettersi nel tessuto religioso cittadino. Uniti si presenteranno al Papa a fine mattinata, sullo spiazzo di Valle Faul, alla periferia della città. Il vescovo rivolgerà a Benedetto XVI il suo e il loro saluto. Poi pregheranno insieme durante la celebrazione della messa e, al termine, reciteranno insieme a lui l'Angelus. Ci saranno i rappresentanti di tutte le diocesi che ebbero vita autonoma sino al 1986, quando cioè confluirono tutte nella nuova diocesi di Viterbo:  Tuscania, Montefiascone, Acquapendente e Bagnoregio. Attualmente la diocesi conta circa 180 mila fedeli, suddivisi in 98 parrocchie diffuse in 35 comuni. 115 sono i sacerdoti diocesani; numerosi i religiosi (19 case), e le religiose (50 case). Il territorio diocesano comprende poi undici monasteri e un eremo.

L'immagine che offriranno al Papa sarà dunque quella di una comunità eterogenea, nella quale permane però una fondamentale adesione alla fede cristiana, ricca di quelle forme mutuate da una preziosa religiosità popolare. Negli ultimi decenni il mutamento sociale ha indotto anche tra i fedeli una profonda trasformazione ed oggi, come avverte il vescovo, c'è bisogno di una nuova evangelizzazione che consenta di tornare a incarnare nel vissuto quotidiano, la fede originaria.
Il Papa, concluso l'incontro, raggiungerà il santuario della Madonna della Quercia, per un breve periodo di riposo. Lungo il percorso sosterà presso il santuario di santa Rosa per un omaggio alla patrona. All'uscita ammirerà la famosa "macchina di santa Rosa", l'altissima colonna luminosa portata a spalla da cento "facchini di santa Rosa", sino al santuario la sera del 3 settembre scorso, al termine di una spettacolare processione.

Nel pomeriggio raggiungerà Bagnoregio, per la prima visita di un Papa alla caratteristica cittadina. La sosta nella concattedrale di san Nicola sarà per Benedetto XVI un momento di particolare intensità. Si fermerà a pregare dinanzi alla reliquia di san Bonaventura, il bimbo originario di Civita di Bagnoregio, guarito da san Francesco. Si racconta anzi che il suo nome da religioso (al secolo si chiamava Giovanni Fidanza) in realtà derivasse proprio dall'esclamazione del poverello d'Assisi dinnanzi alla improvvisa guarigione:  "Oh bona ventura". E fu per la Chiesa veramente una "buona ventura". Divenne francescano. Si dedicò allo studio. La sua teologia, agostiniana di mente e di spirito, e fortemente cristocentrica, lo rese capace di capire profondamente la teologia orientale. Ma san Bonaventura era soprattutto "un uomo di azione e di governo, pratico e speculativo, ricco di equilibrato sentimento e simpaticamente umano". Vedeva un fondamentale accordo tra le arti, le scienze, la filosofia, la teologia e la storia. È stato onorato del titolo di dottore serafico perché "raramente scienza e fede s'erano viste tanto armonizzate in un uomo e soprattutto così animate dall'amore; era un grande contemplativo, un mistico". La sua opera più importante rimane Itinerario della mente in Dio. Benedetto XVI lo conosce profondamente. Non a caso La Teologia della storia in san Bonaventura è il titolo della tesi con la quale nel 1957 il giovane teologo Josef Ratzinger otteneva, a Monaco, la libera docenza. (mario ponzi)


(©L'Osservatore Romano - 6 settembre 2009)
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05/09/2009 19:35

  A Bagnoregio per venerare il Dottore della Chiesa cui il giovane teologo Joseph Ratzinger dedicò studi e passione

Nel paese di san Bonaventura


di Claudio Gentili

Papa Ratzinger sarà a Bagnoregio. Un fatto straordinario. Altrettanto straordinario è il rapporto tra il teologo Joseph Ratzinger (oggi Papa) e san Bonaventura da Bagnoregio. Nel 1957 il giovane teologo Ratzinger scrive la sua tesi per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento e la dedica a san Bonaventura e alla sua teologia della storia (Joseph Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, ed. Porziuncola, 2008). Il tema è quello della storia della salvezza. È sant'Agostino a porlo con radicalità e san Bonaventura ad approfondirlo nell'interpretazione ortodossa di un pensiero, quello dell'abate calabrese Gioacchino Da Fiore (1130-1202), il quale proiettava la fede cristiana nella Trinità della storia e si aspettava una linea storica ascendente dall'epoca del Padre (Antico Testamento) oltre il tempo del Figlio (Nuovo Testamento) fino all'epoca dello Spirito Santo. Passando per Hegel e poi per Marx la prospettiva dell'abate calabrese è diventata un modo per interpretare la storia.

Viviamo in un'epoca di profonde trasformazioni, in una società frammentata dove i punti di riferimento tradizionali sono venuti meno, una società fatta più di individui che di persone, dove domina il relativismo sotto la spinta di una cultura decadente che si esprime nella povertà culturale dei mezzi di comunicazione sociale.


 
Nella interpretazione della storia che Ratzinger deriva da san Bonaventura, vi è il senso del peccato originale. Noi cristiani sappiamo che non è possibile costruire una società perfetta. Una società definitivamente salva dentro la storia non esiste. L'idea di progresso nasce con il cristianesimo. Ma l'idea di una salvezza collettiva e programmabile non è cristiana ed è propria di quei sogni ideologici che in nome della giustizia e della società perfetta chiudono nei lager o deportano in Siberia. Naturalmente il cristiano non è neppure l'uomo dell'accettazione dell'ingiustizia.

Cosa fare? Da dove ricominciare? In alcuni casi ci viene spontaneo rispondere che ci conviene continuare a vivere in mezzo alle rovine e ai ruderi. È questa la più grande tentazione che si presenta oggi di fronte ai cristiani.
Paura e ricerca di sicurezza sembrano la cifra del tempo che viviamo, un tempo lambito da una vera e propria crisi di speranza. E al tema della speranza Papa Ratzinger ha dedicato la sua seconda Enciclica, la Spe salvi.

Mai come oggi dobbiamo dire che cambiare il mondo significa toglier agli uomini le loro paure, ridurre le aggressività, dare una patria in cui ci si senta sicuri, a tutti ma soprattutto a bambini, stranieri, moribondi, malati, ridurre il divario tra il Nord e il Sud.

In questo senso mettere il bavaglio alla Dottrina Sociale della Chiesa sarebbe un gesto contro i poveri. Se poi sono i cattolici a privilegiare una presenza pubblica low profile, in cui il silenzio sui temi politicamente più sensibili sia ritenuto saggio e opportuno, allora siamo all'autogoal. Ma un'agorà senza lo spirito del Vangelo è più povera per tutti. Ecco è questo il punto più interessante della riflessione di Ratzinger sul pensiero di san Bonaventura. Mettere insieme ragione e fede. Non rinunciare al ruolo pubblico della fede. La fede in Dio d'altro canto non ci rende tranquilli, non ha come scopo di farci dimenticare i problemi sociali del nostro tempo. Cristo, con le beatitudini, turba la nostra tranquillità. La Dottrina sociale della Chiesa ci offre le coordinate per essere fermento di ecologia umana. La signoria di Dio non ci permette di offrire l'incenso ad alcun altro assoluto, ideologico, politico, scientifico. La riserva escatologica ci impedisce di identificare una qualche realizzazione storica con il Regno di Dio. La memoria dell'incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, ci incalza e mette in questione il nostro presente.

Benedetto XVI, nel suo straordinario discorso agli intellettuali, a Parigi, al collegio dei Bernardini, il 12 settembre 2008, ci ha ricordato la profonda relazione che esiste tra desiderio di Dio e sviluppo umano. Con il loro quaerere Deum i monaci benedettini hanno fatto cultura e sviluppato ricerca, hanno dato dignità al lavoro umano, coltivato le lettere. Con la musica traducevano l'adesione dell'uomo al mistero di Dio. Con il lavoro partecipavano alla creazione. L'esempio dei monaci, vale anche per noi. Nella confusione dei tempi che viviamo, piuttosto che diventare "cattoconfusi", cercare, custodire, tramandare ciò che vale. Dietro le cose provvisorie cercare le cose definitive. È un messaggio che vale anche per noi e per il nostro tempo e che ci invita alla serietà e alla fatica dello studio e del discernimento. Uno studio e un discernimento che è faticoso ma inevitabile se non vogliamo ridurci a spettatori del "Grande Fratello". Essere nati a Bagnoregio significa in qualche modo essere segnati da questo grande santo che ha voluto mettere insieme, fin dagli anni del suo insegnamento a Parigi, una acuta percezione dell'intelligenza con un altrettanto forte senso mistico. E in questo senso Papa Ratzinger assomiglia molto a san Bonaventura. C'è una sproporzione tra la povertà culturale dell'era delle veline e la grandezza culturale del Pontefice che lo Spirito Santo ha suggerito per il nostro tempo. E se lo Spirito ha portato alla elezione di un Papa professore, forse l'invito che ci viene è quello di rimetterci a studiare. A studiare prima di tutto la Parola di Dio e i grandi padri della Chiesa che ce l'hanno così bene illustrata. E poi a studiare i maestri sconosciuti del cristianesimo moderno. Ad alcuni di questi maestri ha attinto anche Papa Ratzinger, da Romano Guardini a Henry De Lubac, a Balthasar.

Prepararsi a una visita del Papa a Bagnoregio, dunque, significa innanzitutto porsi in un atteggiamento di preghiera. E significa anche studiare il percorso culturale del Pontefice e i suoi testi più recenti. Consiglio in particolare per la semplicità e la chiarezza, le catechesi che il Papa ha dedicato ai padri della Chiesa.
Benedetto XVI, la sua storia culturale e il suo magistero, costituiscono per tutto il popolo bagnorese una grande occasione di rigenerazione e rinnovamento culturale. La cultura positivista oggi, vuole rimuovere nel campo soggettivo, come non scientifica la domanda su Dio. Ma questa sarebbe la capitolazione della ragione e il tracollo dell'umanesimo.


(©L'Osservatore Romano - 6 settembre 2009)
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Immagini da Viterbo








 
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CELEBRAZIONE EUCARISTICA SULLA SPIANATA DI VALLE FAUL A VITERBO

Lasciato il Palazzo dei Papi, il Santo Padre Benedetto XVI raggiunge in auto la spianata di Valle Faul, dove alle 10.15 presiede la Celebrazione eucaristica.
Nel corso della Santa Messa, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa tiene la seguente omelia
:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Davvero inedito e suggestivo è lo scenario nel quale celebriamo la Santa Messa: ci troviamo nella "Valle" prospiciente l’antica Porta denominata FAUL, che con le sue quattro lettere richiama i quattro colli dell’antica Viterbium, e cioè Fanum-Arbanum-Vetulonia-Longula. Da un lato, si erge imponente il Palazzo, un tempo residenza dei Papi, che – come ha ricordato il vostro Vescovo - nel sec. XIII ha visto ben 5 conclavi; intorno ci circondano edifici e spazi, testimoni di molteplici vicende del passato, ed oggi tessuto di vita della vostra Città e Provincia. In questo contesto, che rievoca secoli di storia civile e religiosa, si trova ora idealmente raccolta, con il Successore di Pietro, l’intera vostra Comunità diocesana, per essere da lui confermata nella fedeltà a Cristo e al suo Vangelo.

A voi tutti, cari fratelli e sorelle, rivolgo con affetto il mio grato pensiero per la calorosa accoglienza riservatami. Saluto in primo luogo il vostro amato Pastore, Mons. Lorenzo Chiarinelli, che ringrazio per le parole di benvenuto. Saluto gli altri Vescovi, in particolare quelli del Lazio con il Cardinale Vicario di Roma, i cari sacerdoti diocesani, i diaconi, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i giovani e i bambini, ed estendo il mio ricordo a tutte le componenti della Diocesi, che nel recente passato, ha visto unirsi a Viterbo, con l’abbazia di San Martino al Monte Cimino, le diocesi di Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone e Tuscania. Questa nuova configurazione è ora artisticamente scolpita nelle "Porte di bronzo" della Chiesa Cattedrale che, iniziando questa mia visita da Piazza San Lorenzo, ho potuto benedire e ammirare. Con deferenza mi rivolgo alle Autorità civili e militari, ai rappresentanti del Parlamento, del Governo, della Regione e della Provincia, ed in modo speciale al Sindaco della Città, che si è fatto interprete dei cordiali sentimenti della popolazione viterbese. Ringrazio le Forze dell’ordine e saluto i numerosi militari presenti in questa Città, come pure quelli impegnati nelle missioni di pace nel mondo. Saluto e ringrazio i volontari e quanti hanno dato il loro contributo alla realizzazione della mia visita. Riservo un saluto tutto particolare agli anziani e alle persone sole, ai malati, ai carcerati e a quanti non hanno potuto prendere parte a questo nostro incontro di preghiera e di amicizia.

Cari fratelli e sorelle, ogni assemblea liturgica è spazio della presenza di Dio. Riuniti per la Santa Eucaristia, i discepoli del Signore proclamano che Egli è risorto, è vivo e datore di vita, e testimoniano che la sua presenza è grazia, è compito, è gioia. Apriamo il cuore alla sua parola ed accogliamo il dono della sua presenza!
Nella prima lettura, il profeta Isaia (35,4-7) incoraggia gli "smarriti di cuore" e annuncia questa stupenda novità, che l’esperienza conferma: quando il Signore è presente si riaprono gli occhi del cieco, si schiudono gli orecchi del sordo, lo zoppo "salta" come un cervo.
Tutto rinasce e tutto rivive perché acque benefiche irrigano il deserto.
Il "deserto", nel suo linguaggio simbolico, può evocare gli eventi drammatici, le situazioni difficili e la solitudine che segna non raramente la vita; il deserto più profondo è il cuore umano, quando perde la capacità di ascoltare, di parlare, di comunicare con Dio e con gli altri. Si diventa allora ciechi perché incapaci di vedere la realtà; si chiudono gli orecchi per non ascoltare il grido di chi implora aiuto; si indurisce il cuore nell’indifferenza e nell’egoismo.
Ma ora – annuncia il Profeta – tutto è destinato a cambiare; questa "terra arida" di un cuore chiuso sarà irrigata da una nuova linfa divina. E quando il Signore viene, agli smarriti di cuore di ogni epoca dice con autorità: "Coraggio, non temete"! ( v. 4)
Si aggancia qui perfettamente l’episodio evangelico, narrato da san Marco (7,31-37): Gesù guarisce in terra pagana un sordomuto. Prima lo accoglie e si prende cura di lui con il linguaggio dei gesti, più immediati delle parole; e poi con un’espressione in lingua aramaica gli dice: "Effatà", cioè "apriti", ridonando a quell’uomo udito e lingua. Piena di stupore, la folla esclama: "Ha fatto bene ogni cosa!" (v. 37). Possiamo vedere in questo "segno" l’ardente desiderio di Gesù di vincere nell’uomo la solitudine e l’incomunicabilità create dall’egoismo, per dare volto ad una "nuova umanità", l’umanità dell’ascolto e della parola, del dialogo, della comunicazione, della comunione con Dio. Una umanità "buona", come buona è tutta la creazione di Dio; una umanità senza discriminazioni, senza esclusioni – come ammonisce l’apostolo Giacomo nella sua Lettera (2,1-5) – così che il mondo sia veramente e per tutti "campo di genuina fraternità" (Gaudium et spes, 37), nell’apertura dell’amore per il Padre comune che ci ha creato e ci ha fatto suoi figli e sue figlie.

Cara Chiesa di Viterbo, il Cristo, che nel Vangelo vediamo aprire gli orecchi e sciogliere il nodo della lingua al sordomuto, dischiuda il tuo cuore, e ti dia sempre la gioia dell’ascolto della sua Parola, il coraggio dell’annuncio del Suo Vangelo, la capacità di parlare con Dio e di parlare così con i tuoi fratelli e sorelle, e finalmente il coraggio della scoperta del suo Volto e della sua Bellezza!

Ma, perché questo possa avvenire – ricorda San Bonaventura da Bagnoregio, dove mi recherò questo pomeriggio – la mente deve "andare al di là di tutto con la contemplazione e andare al di là non solo del mondo sensibile, ma anche al di là di se stessa" (Itinerarium mentis in Deum VII,1). E’ questo l’itinerario di salvezza, illuminato dalla luce della Parola di Dio e nutrito dai sacramenti, che accomuna tutti i cristiani.

Di questo cammino che anche tu, amata Chiesa che vive in questa terra sei chiamata a percorrere, vorrei ora riprendere alcune linee spirituali e pastorali. Una priorità che tanto sta a cuore al tuo Vescovo, è l’educazione alla fede, come ricerca, come iniziazione cristiana, come vita in Cristo.
È il "diventare cristiani" che consiste in quell’ "imparare Cristo" che san Paolo esprime con la formula: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). In questa esperienza sono coinvolte le parrocchie, le famiglie e le varie realtà associative. Sono chiamati ad impegnarsi i catechisti e tutti gli educatori; è chiamata ad offrire il proprio apporto la scuola, dalle primarie all’Università della Tuscia, sempre più importante e prestigiosa, ed, in particolare, la scuola cattolica, con l’Istituto filosofico-teologico "San Pietro". Ci sono modelli sempre attuali, autentici pionieri dell’educazione alla fede a cui ispirarsi. Mi piace menzionare, tra gli altri, santa Rosa Venerini (1656-1728) – che ho avuto la gioia di canonizzare tre anni or sono – vera antesignana delle scuole femminili in Italia, proprio "nel secolo dei Lumi"; santa Lucia Filippini (1672-1732) che, con l’aiuto del Venerabile Cardinale Marco Antonio Barbarigo (1640-1706), ha fondato le benemerite "Maestre Pie". Da queste sorgenti spirituali si potrà felicemente attingere ancora per affrontare, con lucidità e coerenza, l’attuale, ineludibile e prioritaria, "emergenza educativa", grande sfida per ogni comunità cristiana e per l’intera società che è proprio un processo di "Effatà", di aprire gli orecchi, il nodo della lingua e anche gli occhi.

Insieme all’educazione, la testimonianza della fede. "La fede – scrive san Paolo – si rende operosa per mezzo della carità" (Gal 5,6). È in questa prospettiva che prende volto l’azione caritativa della Chiesa: le sue iniziative, le sue opere sono segni della fede e dell’amore di Dio, che è Amore – come ho ricordato ampiamente nelle Encicliche
Deus caritas est e Caritas in veritate. Qui fiorisce e va sempre più incrementata la presenza del volontariato, sia sul piano personale, sia su quello associativo, che trova nella Caritas il suo organismo propulsore ed educativo.
La giovane santa Rosa (1233-1251), co-patrona della Diocesi e la cui festa cade proprio in questi giorni, è fulgido esempio di fede e di generosità verso i poveri. Come non ricordare inoltre che santa Giacinta Marescotti (1585-1640) promosse in città l’adorazione eucaristica dal suo Monastero, e dette vita a istituzioni ed iniziative per i carcerati e gli emarginati? Né possiamo dimenticare la francescana testimonianza di san Crispino, cappuccino (1668-1759), che tuttora ispira benemerite presenze assistenziali. E’ significativo che in questo clima di fervore evangelico siano nate molte case di vita consacrata, maschili e femminili, ed in particolare monasteri di clausura, che costituiscono un visibile richiamo al primato di Dio nella nostra esistenza e ci ricordano che la prima forma di carità è proprio la preghiera. Emblematico al riguardo, l’esempio della beata Gabriella Sagheddu (1914-1939), trappista: nel monastero di Vitorchiano, dove è sepolta, continua ad essere proposto quell’ecumenismo spirituale, alimentato da incessante preghiera, vivamente sollecitato dal Concilio Vaticano II (cfr Unitatis redintegratio, 8). Ricordo anche il viterbese beato Domenico Bàrberi (1792-1849), passionista, che nel 1845 accolse nella Chiesa cattolica John Henry Newman, divenuto poi Cardinale, figura di alto profilo intellettuale e di luminosa spiritualità.

Vorrei infine accennare ad una terza linea del vostro piano pastorale: l’attenzione ai segni di Dio. Come ha fatto Gesù con il sordomuto, allo stesso modo Dio continua a rivelarci il suo progetto mediante "eventi e parole". Ascoltare la sua parola e discernere i suoi segni deve essere pertanto l’impegno di ogni cristiano e di ciascuna comunità. Il più immediato dei segni di Dio è certamente l’attenzione al prossimo, secondo quanto Gesù ha detto: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40). Inoltre, come afferma il Concilio Vaticano II, il cristiano è chiamato ad essere "davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo" (Lumen gentium, 38). Deve esserlo in primo luogo il sacerdote che Cristo ha scelto tutto per sé.
Durante questo
Anno Sacerdotale, pregate con maggiore intensità per i sacerdoti, per i seminaristi e per le vocazioni, perché siano fedeli a questa loro vocazione! Segno del Dio vivo deve esserlo, altresì, ogni persona consacrata e ogni battezzato.

Fedeli laici, giovani e famiglie, non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana!

Viterbo ha espresso anche al riguardo figure prestigiose. In questa occasione è dovere e gioia far memoria del giovane Mario Fani di Viterbo, iniziatore del "Circolo Santa Rosa", che accese, insieme a Giovanni Acquaderni, di Bologna, quella prima luce che sarebbe poi diventata l’esperienza storica del laicato in Italia: l’Azione Cattolica. Si succedono le stagioni della storia, cambiano i contesti sociali, ma non muta e non passa di moda la vocazione dei cristiani a vivere il Vangelo in solidarietà con la famiglia umana, al passo con i tempi. Ecco l’impegno sociale, ecco il servizio proprio dell’azione politica, ecco lo sviluppo umano integrale.

Cari fratelli e sorelle! Quando il cuore si smarrisce nel deserto della vita, non abbiate paura, affidatevi a Cristo, il primogenito dell’umanità nuova: una famiglia di fratelli costruita nella libertà e nella giustizia, nella verità e nella carità dei figli di Dio. Di questa grande famiglia fanno parte Santi a voi cari: Lorenzo, Valentino, Ilario, Rosa, Lucia, Bonaventura e molti altri. Nostra comune Madre è Maria che venerate, col titolo di Madonna della Quercia, quale Patrona dell’intera Diocesi nella sua nuova configurazione. Siano essi a custodirvi sempre uniti e ad alimentare in ciascuno il desiderio di proclamare, con le parole e con le opere, la presenza e l’amore di Cristo! Amen.

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[Modificato da Cattolico_Romano 06/09/2009 14:28]
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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A VITERBO E BAGNOREGIO (6 SETTEMBRE 2009), 06.09.2009

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS


Al termine della Santa Messa celebrata sulla spianata di Valle Faul a Viterbo, il Papa guida la recita dell’Angelus. Queste le parole del Santo Padre nell’introdurre la preghiera mariana:

PRIMA DELL’ANGELUS

Cari fratelli e sorelle!

Al termine di
questa solenne Celebrazione eucaristica, ringrazio ancora una volta il Signore per avermi dato la gioia di compiere questa visita pastorale alla vostra comunità diocesana.
Sono venuto tra voi per incoraggiarvi e per confermarvi nella fedeltà a Cristo, come ben indica anche il tema che avete scelto: "Conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31). Queste parole Gesù le ha rivolte all’apostolo Pietro durante l’Ultima Cena, affidandogli il compito di essere qui in terra Pastore di tutta la sua Chiesa.

Da molti secoli la vostra Diocesi si contraddistingue per un singolare vincolo di affetto e di comunione con il Successore di Pietro. Ho potuto rendermene conto visitando il Palazzo dei Papi e, in particolare, la sala del "Conclave". Nel vasto territorio dell’antica Tuscia nacque san Leone Magno, che rese un grande servizio alla verità nella carità, attraverso un assiduo esercizio della parola, testimoniato dai suoi Sermoni e dalle sue Lettere. A Blera ebbe i natali il Papa Sabiniano, successore di san Gregorio Magno; a Canino nacque Paolo III. Viterbo fu scelta per tutta la seconda parte del XIII secolo quale residenza dei Pontefici Romani; qui furono eletti cinque miei predecessori, e quattro di essi vi sono sepolti; ben cinquanta l’hanno visitata – ultimo il Servo di Dio Giovanni Paolo II, 25 anni or sono. Queste cifre rivestono un significato storico, ma di esse, in questo momento, vorrei accentuare soprattutto il valore spirituale. Viterbo viene giustamente chiamata "Città dei Papi", e questo costituisce per voi uno stimolo ulteriore a vivere e testimoniare la fede cristiana, la stessa fede per la quale hanno dato la vita i santi martiri Valentino e Ilario, custoditi nella Chiesa Cattedrale, primi di una lunga scia di Santi, Martiri e Beati della vostra terra.

"Conferma i tuoi fratelli": quest’invito del Signore l’avverto oggi indirizzato a me con una intensità singolare. Pregate, cari fratelli e sorelle, perché possa svolgere sempre con fedeltà e amore la missione di Pastore di tutto il gregge di Cristo (cfr Gv 21,15 ss).

Da parte mia, assicuro un costante ricordo al Signore per la vostra comunità diocesana, perché le diverse sue articolazioni – di cui ho potuto ammirare una simbolica rappresentazione nelle nuove porte del Duomo - tendano ad una sempre più piena unità e fraterna comunione, condizioni indispensabili per offrire al mondo un’efficace testimonianza evangelica. Affiderò queste intenzioni nel pomeriggio alla Vergine Maria, visitando il Santuario della Madonna della Quercia. Ora, con la preghiera che ricorda il suo "sì" all’annuncio dell’Angelo, Le chiediamo di mantenere la nostra fede sempre forte e gioiosa.

Angelus Domini…

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Discorso del Papa nell'incontro in piazza Sant'Agostino a Bagnoregio

BAGNOREGIO, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questa domenica da Benedetto XVI durante l'incontro in piazza Sant’Agostino con la cittadinanza di Bagnoregio.




* * *

Cari fratelli e sorelle!

La solenne celebrazione eucaristica di questa mattina a Viterbo ha aperto la mia visita pastorale alla vostra Comunità diocesana, e questo nostro incontro qui a Bagnoregio, praticamente la chiude. Vi saluto tutti con affetto: Autorità religiose, civili e militari, sacerdoti, religiosi e religiose, operatori pastorali, giovani e famiglie, e vi ringrazio per la cordialità con cui mi avete accolto. Rinnovo il mio ringraziamento in primo luogo al vostro Vescovo per le sue affettuose parole che hanno richiamato il mio legame con san Bonaventura. E saluto con deferenza il Sindaco di Bagnoregio, grato per il cortese benvenuto che mi ha indirizzato a nome di tutta la Città.

Giovanni Fidanza, che divenne poi fra’ Bonaventura, unisce il suo nome a quello di Bagnoregio nella nota presentazione che di se stesso fa nella Divina Commedia. Dicendo: "Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi offici sempre posposi la sinistra cura" (Dante, Paradiso XII,127-129), sottolinea come negli importanti compiti che ebbe a svolgere nella Chiesa, pospose sempre la cura delle realtà temporali ("la sinistra cura") al bene spirituale delle anime. Qui, a Bagnoregio, egli trascorse la sua infanzia e l’adolescenza; seguì poi san Francesco, verso il quale nutriva speciale gratitudine perché, come ebbe a scrivere, quando era bambino lo aveva "strappato dalle fauci della morte" (Legenda Maior, Prologus, 3,3) e gli aveva predetto "Buona ventura", come ha ricordato poc’anzi il vostro Sindaco. Con il Poverello di Assisi seppe stabilire un legame profondo e duraturo, traendo da lui ispirazione ascetica e genio ecclesiale. Di questo vostro illustre concittadino voi custodite gelosamente l’insigne reliquia del "Santo Braccio", mantenete viva la memoria e approfondite la dottrina, specialmente mediante il Centro di Studi Bonaventuriani fondato da Bonaventura Tecchi, che con cadenza annuale promuove qualificati convegni di studio a lui dedicati.

Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura. In questo Anno Sacerdotale vorrei invitare specialmente i sacerdoti a mettersi alla scuola di questo grande Dottore della Chiesa per approfondirne l’insegnamento di sapienza radicata in Cristo. Alla sapienza, che fiorisce in santità, egli orienta ogni passo della sua speculazione e tensione mistica, passando per i gradi che vanno da quella che chiama "sapienza uniforme" concernente i principi fondamentali della conoscenza, alla "sapienza multiforme", che consiste nel misterioso linguaggio della Bibbia, e poi alla "sapienza onniforme", che riconosce in ogni realtà creata il riflesso del Creatore, sino alla "sapienza informe", l’esperienza cioè dell’intimo contatto mistico con Dio, allorché l’intelletto dell’uomo sfiora in silenzio il Mistero infinito (cfr J. Ratzinger, San Bonaventura e la teologia della storia, Ed. Porziuncola, 2006, pp. 92ss). Nel ricordo di questo profondo ricercatore ed amante della sapienza, vorrei inoltre esprimere incoraggiamento e stima per il servizio che, nella Comunità ecclesiale, i teologi sono chiamati a rendere a quella fede che cerca l’intelletto, quella fede che è anima dell’intelligenza e che diventa vita nuova secondo il progetto di Dio.

Dal ricco patrimonio dottrinale e mistico di san Bonaventura mi limito questa sera a trarre qualche "pista" di riflessione, che potrebbe risultare utile per il cammino pastorale della vostra Comunità diocesana. Egli fu, in primo luogo, un instancabile cercatore di Dio sin da quando frequentava gli studi a Parigi, e continuò ad esserlo sino alla morte. Nei suoi scritti indica l’itinerario da percorrere. "Poiché Dio è in alto – egli scrive - è necessario che la mente si innalzi a Lui con tutte le forze" (De reductione artium ad theologiam, n. 25). Traccia così un percorso di fede impegnativo, nel quale non basta "la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata" (Itinerarium mentis in Deum, prol. 4). Questo cammino di purificazione coinvolge tutta la persona per arrivare, attraverso Cristo, all’amore trasformante della Trinità. E dato che Cristo, da sempre Dio e per sempre uomo, opera nei fedeli una creazione nuova con la sua grazia, l’esplorazione della presenza divina diventa contemplazione di Lui nell’anima "dove Egli abita con i doni del suo incontenibile amore" (ibid. IV,4), per essere alla fine trasportati in Lui.
 
La fede è pertanto perfezionamento delle nostre capacità conoscitive e partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso e del mondo; la speranza l’avvertiamo come preparazione all’incontro con il Signore, che segnerà il pieno compimento di quell’amicizia che fin d’ora ci lega a Lui. E la carità ci introduce nella vita divina, facendoci considerare fratelli tutti gli uomini, secondo la volontà del comune Padre celeste.

Oltre che cercatore di Dio, san Bonaventura fu serafico cantore del creato, che, alla sequela di san Francesco, apprese a "lodare Dio in tutte e per mezzo di tutte le creature", nelle quali "risplendono l’onnipotenza, la sapienza e la bontà del Creatore" (ibid. I,10). San Bonaventura presenta del mondo, dono d’amore di Dio agli uomini, una visione positiva: riconosce nel mondo il riflesso della somma Bontà e Bellezza che, sulla scia di sant’Agostino e san Francesco, afferma essere Dio stesso. Tutto ci è stato dato da Dio. Da Lui, come da fonte originaria, scaturisce il vero, il bene e il bello. Verso Dio, come attraverso i gradini di una scala, si sale sino a raggiungere e quasi afferrare il Sommo Bene e in Lui trovare la nostra felicità e la nostra pace. Quanto sarebbe utile che anche oggi si riscoprisse la bellezza e il valore del creato alla luce della bontà e della bellezza divine! In Cristo, l’universo stesso, nota san Bonaventura, può tornare ad essere voce che parla di Dio e ci spinge ad esplorarne la presenza; ci esorta ad onorarlo e glorificarlo in tutte le cose (cfr ibid. I,15). Si avverte qui l’animo di san Francesco, di cui il nostro Santo condivise l’amore per tutte le creature.

E finalmente San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare. Sperare è volare, dice san Bonaventura. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere, verso le promesse di Dio. Chi spera – dice Bonaventura - "deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio" (Sermo XVI, Dominica I Adv., Opera omnia, IX, 40a).

Il Signor Sindaco nel suo discorso ha posto la domanda: "Che cosa sarà Bagnoregio domani?". In verità tutti ci interroghiamo circa l’avvenire nostro e del mondo e quest’interrogativo ha molto a vedere con la speranza, di cui ogni cuore umano ha sete. Nell’Enciclica Spe salvi ho notato che non basta però una qualsiasi speranza per affrontare e superare le difficoltà del presente; è indispensabile una "speranza affidabile", che, dandoci la certezza di giungere ad una meta "grande", giustifichi "la fatica del cammino" (cfr n.1). Solo questa "grande speranza-certezza" ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il "potere indistruttibile dell’Amore". Quando allora a sorreggerci è tale speranza non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell’umanità, aprendo "noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, del bene" (cfr n. 35). Ci aiuti san Bonaventura a "dispiegare le ali" della speranza che ci spinge ad essere, come lui, incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell’Amore e di quella Bellezza che "tutto muove".

Grazie, cari amici, ancora una volta per la vostra accoglienza. Mentre vi assicuro un ricordo nella preghiera imparto, per intercessione di san Bonaventura e specialmente di Maria, Vergine fedele e Stella della speranza, una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti gli abitanti di questa Terra bella e ricca di santi. Grazie per la vostra attenzione.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana. Con aggiunte a braccio a cura di ZENIT]

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Saluto alle claustrali nel Santuario della Madonna della Quercia

E testo della preghiera alla Vergine

VITERBO, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il saluto che Benedetto XVI ha rivolto questa domenica alle monache di clausura riunitesi nel Santuario della Madonna della Quercia di Viterbo e il testo della preghiera rivolta alla Vergine.





* * *

Care sorelle!

È per me una vera gioia potervi incontrare in questo luogo caro alla pietà popolare. Voi, monache di vita contemplativa, avete la missione nella Chiesa di essere fiaccole che, nel silenzio dei monasteri, ardono di preghiera e di amore a Dio. A voi affido le mie intenzioni, le intenzioni del Pastore di questa Diocesi e le necessità di quanti vivono in questa terra. A voi affido, in quest’Anno Sacerdotale, soprattutto i sacerdoti, i seminaristi e le vocazioni. Siate con il vostro silenzio orante il loro sostegno "a distanza" ed esercitate verso di loro la vostra maternità spirituale, offrendo al Signore il sacrificio della vostra vita per la loro santificazione e per il bene delle anime. Vi ringrazio per la vostra presenza e di cuore vi benedico; recate anche alle vostre consorelle, che non sono potute venire, il saluto e la benedizione del Papa. Vi chiedo ora di unirvi a me nell’invocare la materna protezione di Maria su questa comunità diocesana e sugli abitanti di questa terra ricca di tradizioni religiose e culturali.

Vergine Santa, Madonna della Quercia,

Patrona della Diocesi di Viterbo,

raccolti in questo santuario a Te consacrato,

Ti rivolgiamo una supplice e confidente preghiera:

vigila sul Successore di Pietro e sulla Chiesa affidata alle sue cure;

vigila su questa comunità diocesana e sui suoi pastori,

sull’Italia, sull’Europa e sugli altri continenti.

Regina della pace, ottieni il dono della concordia e della pace

per i popoli e per l’intera umanità.

Vergine obbediente, Madre di Cristo,

che, con il tuo docile "si" all’annuncio dell’Angelo,

sei diventata Madre dell’Onnipotente,

aiuta tutti i tuoi figli ad assecondare

i disegni che il Padre celeste ha su ciascuno,

per cooperare all’universale progetto di redenzione,

che Cristo ha compiuto morendo sulla croce.

Vergine di Nazareth, Regina della famiglia,

rendi le nostre famiglie cristiane fucine di vita evangelica,

arricchite dal dono di molte vocazioni

al sacerdozio e alla vita consacrata.

Mantieni salda l’unità delle nostre famiglie,

oggi tanto minacciata da ogni parte,

e rendile focolari di serenità e di concordia,

dove il dialogo paziente dissipi le difficoltà e i contrasti.

Veglia soprattutto su quelle divise e in crisi,

Madre di perdono e di riconciliazione.

Vergine Immacolata, Madre della Chiesa,

alimenta l’entusiasmo di tutte le componenti

della nostra Diocesi: delle parrocchie e dei gruppi ecclesiali,

delle associazioni e delle nuove forme di impegno apostolico

che il Signore va suscitando con il suo Santo Spirito;

rendi ferma e decisa la volontà di quanti

il Padrone della messe continua a chiamare

come operai nella sua vigna, perché,

resistendo a ogni lusinga ed insidia mondana,

perseverino generosamente nel seguire il cammino intrapreso,

e, con il tuo materno soccorso, diventino testimoni di Cristo

attratti dal fulgore del suo Amore, sorgente di gioia.

Vergine Clemente, Madre dell’umanità,

volgi il tuo sguardo sugli uomini e le donne del nostro tempo,

sui popoli e i loro governanti, sulle nazioni e i continenti;

consola chi piange, chi soffre, chi pena per l’umana ingiustizia,

sostieni chi vacilla sotto il peso della fatica

e guarda al futuro senza speranza;

incoraggia chi lavora per costruire un mondo migliore

dove trionfi la giustizia e regni la fraternità,

dove cessino l’egoismo e l’odio, e la violenza.

Ogni forma e manifestazione di violenza

sia vinta dalla forza pacificatrice di Cristo!

Vergine dell’ascolto, Stella della speranza,

Madre della Misericordia,

sorgente attraverso la quale è venuto nel mondo Gesù,

nostra vita e nostra gioia,

noi Ti ringraziamo e Ti rinnoviamo l’offerta della vita,

certi che non ci abbandoni mai,

specialmente nei momenti bui e difficili dell’esistenza.

Accompagnaci sempre: ora e nell’ora della nostra morte.

Amen!

Viterbo, 6 Settembre 2009

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]

[Modificato da Cattolico_Romano 07/09/2009 09:51]
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07/09/2009 09:35

Il Papa sottolinea l'importanza dell'azione sociale cristiana

In special modo in ambito educativo e assistenziale

VITERBO, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).-

I cristiani devono dare testimonianza attraverso l'azione sociale e caritativa della Chiesa, in special modo nel campo dell'educazione. Lo ha detto questa domenica Benedetto XVI nell'omelia pronunciata durante la Messa celebratra sulla spianata della Valle Faul di Viterbo.

Nell'impegno educativo portato avanti dalla diocesi di Viterbo e definito dal Papa come “prioritario”, devono essere coinvolte “le parrocchie, le famiglie e le varie realtà associative”, così come “i catechisti e tutti gli educatori”, ma in particolare “la scuola cattolica, con l’Istituto filosofico-teologico 'San Pietro'”.

Per questo ha invitato i presenti a trarre ispirazione da quei “modelli sempre attuali, autentici pionieri dell’educazione alla fede”, come santa Rosa Venerini (1656-1728) – che Benedetto XVI ha canonizzato tre anni fa – “vera antesignana delle scuole femminili in Italia” e santa Lucia Filippini (1672-1732), fondatrice delle "Maestre Pie".

“Da queste sorgenti spirituali – ha aggiunto – si potrà felicemente attingere ancora per affrontare, con lucidità e coerenza, l’attuale, ineludibile e prioritaria, 'emergenza educativa', grande sfida per ogni comunità cristiana e per l’intera società, che è proprio un processo di effatà: di aprire gli orecchi, il nodo della lingua e anche gli occhi”.

Il Papa ha poi chiesto un maggiore impegno anche nell'azione caritativa della Chiesa alla luce delle due Encicliche “Deus caritas est” e “Caritas in veritate”.

“È in questa prospettiva che prende volto l’azione caritativa della Chiesa: le sue iniziative, le sue opere sono segni della fede e dell’amore di Dio, che è Amore”, ha spiegato.

Ricordando l'esempio di numerosi santi della diocesi, tra cui la copratrona di Viterbo, santa Rosa, il cui corpo incorrotto viene venerato nella Chiesa di Santa Maria delle Rose, il Papa ha esortato a promuovere il volontariato cristiano, “sia sul piano personale, sia su quello associativo”, in modo speciale attraverso la Caritas.

“Si succedono le stagioni della storia, cambiano i contesti sociali, ma non muta e non passa di moda la vocazione dei cristiani a vivere il Vangelo in solidarietà con la famiglia umana, al passo con i tempi”, ha osservato il Papa.

Questo, ha spiegato, è “l’impegno sociale”, “il servizio proprio dell’azione politica”, “lo sviluppo umano integrale”.

Rivolgendosi infine ai laici Benedetto XVI ha quindi detto: “non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell’esistenza umana”.

“Come afferma il Concilio Vaticano II, il cristiano è chiamato ad essere 'davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo'”, ha aggiunto ricordando la figura di Mario Fani, che fu uno dei precursori di quell'esperienza del laicato in Italia da cui nascerà l’Azione Cattolica.

“Come ha fatto Gesù con il sordomuto, allo stesso modo Dio continua a rivelarci il suo progetto mediante 'eventi e parole' – ha concluso –. Ascoltare la sua parola e discernere i suoi segni deve essere pertanto l’impegno di ogni cristiano e di ciascuna comunità”.


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07/09/2009 09:37

Il Papa: il cuore dell'uomo senza Dio è il "deserto più profondo"


Gesù vuole "vincere nell'uomo la solitudine e l'incomunicabilità create dall'egoismo"

VITERBO, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Benedetto XVI ha affermato questa domenica che “il deserto più profondo” è il cuore umano quando non si relaziona con Dio e con il prossimo.

“Si diventa allora ciechi perché incapaci di vedere la realtà – ha detto il Papa durante la Messa sulla spianata di Valle Faul a Viterbo –; si chiudono gli orecchi per non ascoltare il grido di chi implora aiuto; si indurisce il cuore nell’indifferenza e nell’egoismo”.

Il "deserto", ha spiegato il Pontefice, “può evocare gli eventi drammatici, le situazioni difficili e la solitudine che segna non raramente la vita; il deserto più profondo è il cuore umano, quando perde la capacità di ascoltare, di parlare, di comunicare con Dio e con gli altri”.

Benedetto XVI ha quindi fatto riferimento al brano evangelico di San Marco letto durante la messa di questa domenica e che narra della guarigione del sordomuto, per spiegare che “l’ardente desiderio di Gesù” è quello “di vincere nell’uomo la solitudine e l’incomunicabilità create dall’egoismo, per dare volto ad una 'nuova umanità', l’umanità dell’ascolto e della parola, del dialogo, della comunicazione, della comunione con Dio”.

Questa “umanità buona”, ha concluso, è “una umanità senza discriminazioni, senza esclusioni così che il mondo sia veramente e per tutti 'campo di genuina fraternità' nell'apertura e nell'amore per il Padre comune che ci ha creato e ci ha fatto i suoi figli e le sue figlie”.

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07/09/2009 09:38

Il Papa: la II° Guerra Mondiale, un monito per l'umanità

Occorre lottare contro la violenza, il razzismo, il totalitarismo e l'estremismo

VITERBO, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Questa domenica, dopo la preghiera dell'Angelus recitata sulla spianata della Valle Faul di Viterbo, Benedetto XVI ha affermato che la Seconda Guerra Mondiale deve essere un “monito per tutti a non ripetere tali barbarie”.

“Non possiamo non ricordare i drammatici fatti che diedero inizio ad uno dei più terribili conflitti della storia, che ha causato decine di milioni di morti e ha provocato tante sofferenze all’amato popolo polacco”, ha sottolineato.

“Un conflitto – ha aggiunto – che ha visto la tragedia dell’Olocausto e lo sterminio di altre schiere di innocenti”.

In questo modo il Papa ha voluto far giungere il suo pensiero ai partecipanti al Congresso internazionale “Uomini e Religioni”, che riunisce a Cracovia da 6 all'8 settembre sul tema: “Fedi e culture in dialogo” numerose personalità e rappresentanti di varie religioni per riflettere e pregare in favore della pace, a 70 anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

L'incontro è frutto dell'iniziativa dell'Arcivescovo di Cracovia, mons. Stanislaw Dziwisz, che fu per molti anni Segretario particolare di Giovanni Paolo II, e della Comunità di Sant’Egidio.

Nel suo saluto, il Papa ha quindi incoraggiato i partecipanti a “intensificare gli sforzi per costruire nel nostro tempo, segnato ancora da conflitti e contrapposizioni, una pace duratura”.

Il Pontefice li ha poi invitati a trasmettere, “soprattutto alle nuove generazioni, una cultura e uno stile di vita improntati all’amore, alla solidarietà e alla stima per l’altro”.

In questa prospettiva, ha sottolineato, “è particolarmente importante l’apporto che le Religioni possono e devono dare nel promuovere il perdono e la riconciliazione contro la violenza, il razzismo, il totalitarismo e l’estremismo che deturpano l’immagine del Creatore nell’uomo, cancellano l’orizzonte di Dio e, di conseguenza, conducono al disprezzo dell’uomo stesso”.

“Il Signore ci aiuti a costruire la pace, partendo dall’amore e dalla comprensione reciproca”, ha continuato.

“La memoria di questi eventi - ha quindi concluso - ci spinga a pregare per le vittime e per coloro che ancora ne portano ferite nel corpo e nel cuore”.

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Il Papa alle contemplative: siate "fiaccole" di preghiera e di amore a Dio

Nel visitare il Santuario della Madonna della Quercia

VITERBO, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).-

Nell'incontrarsi questa domenica con le monache di clausura dei dodici monasteri presenti nella diocesi di Viterbo, il Papa ha ricordato loro l'impegno della preghiera come compito essenziale di ogni vita consacrata.

“Voi, monache di vita contemplativa – ha detto il Papa nel breve discorso pronunciato nel Santuario della Madonna della Quercia a Viterbo – , avete la missione nella Chiesa di essere fiaccole che, nel silenzio dei monasteri, ardono di preghiera e di amore a Dio”.

Il santuario, situato a più di due chilometri dal centro cittadino e sorto prima come chiesetta, nella seconda metà del 1400, conserva un'immagine sacra dipinta su una tegola e rimasta per almeno 50 anni attaccata ad una quercia, che ha esercitato nel tempo un enorme fascino e un'attrazione devozionale in numerosi santi e Papi.

Da Cardinale, Joseph Ratzinger – quasi un anno prima era stato chiamato alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede – aveva visitato l'ultima volta il Santuario della Madonna della Quercia il 18 novembre 1982. Qui aveva celerbato la Santa Messa e poi tenuta una conferenza per 150 sacerdoti diocesani nel teatro parrocchiale.

Alcuni fatti straordinari sono legati alla devozione dei fedeli per la Madonna della Quercia, come in occasione della terribile peste del 1467, che cessò improvvisamente, o durante il bombardamento di Viterbo, del gennaio del 1944, quando il paese rimase miracolosamente illeso.

“A voi affido le mie intenzioni, le intenzioni del Pastore di questa Diocesi e le necessità di quanti vivono in questa terra”, ha detto Benedetto XVI rivolgendosi alle monache di clausura.

“A voi affido, in quest’Anno Sacerdotale, soprattutto i sacerdoti, i seminaristi e le vocazioni – ha aggiunto –. Siate con il vostro silenzio orante il loro sostegno 'a distanza' ed esercitate verso di loro la vostra maternità spirituale, offrendo al Signore il sacrificio della vostra vita per la loro santificazione e per il bene delle anime”.

Successivamente il Papa ha rivolto un'invocazione a Maria, affidandole le sorti della comunità diocesana di Viterbo, e chiedendole di vigilare sul Successore di Pietro e sulla Chiesa universale e di ottenere “il dono della concordia e della pace per i popoli e per l’intera umanità”.

“Rendi le nostre famiglie cristiane fucine di vita evangelica, arricchite dal dono di molte vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata – ha aggiunto – . Mantieni salda l’unità delle nostre famiglie, oggi tanto minacciata da ogni parte”.

“Volgi il tuo sguardo sugli uomini e le donne del nostro tempo, sui popoli e i loro governanti, sulle nazioni e i continenti – ha poi continuato –; consola chi piange, chi soffre, chi pena per l’umana ingiustizia, sostieni chi vacilla sotto il peso della fatica e guarda al futuro senza speranza”.

“Incoraggia chi lavora per costruire un mondo migliore dove trionfi la giustizia e regni la fraternità, dove cessino l’egoismo e l’odio, e la violenza”, ha detto infine il Santo Padre.

Poco prima di giungere al Santuario della Madonna della Quercia, Benedetto XVI aveva compiuto lungo il tragitto una sosta al Santuario dedicato alla copatrona di Viterbo, Santa Rosa, morta all’età di 18 anni (1233-1251), e la cui tomba divenne subito meta di pellegrinaggi e luogo di guarigioni.

Il 3 settembre è il giorno in cui si ricorda la traslazione della salma di santa Rosa.

Si racconta che dopo averla sognata per ben tre volte, Alessandro IV ordinò che il corpo della ragazza fosse trasferito dalla modesta sepoltura della fossa comune di S. Maria in Poggio nel vicino Monastero delle Clarisse, dove la ragazza aveva tentato di entrare senza successo.

Durante l'ispezione canonica il corpo di Rosa si rivelò incorrotto e perfino le rose con le quali era stata inghirlandata alla sua morte, apparirono fresche e profumate.

Il 4 settembre 1258, il Pontefice in persona, prese parte alla processione della traslazione.

Nella Piazza antistante il Santuario, Benedetto XVI si è incontrato con i "Facchini di Santa Rosa", vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita, che hanno mostrato al Papa l’artistica "Macchina di Santa Rosa", trasportata per le vie della città ogni anno nella sera del 3 settembre.

Da oltre 750 anni i viterbesi ricordano infatti la prima traslazione trasportando una statua della santa, su un baldacchino, che assunse nei secoli dimensioni sempre più colossali. Il modello attuale della “macchina”, progettato quest'anno, si chiama "Fiore del Cielo".

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