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Benedetto XVI a Viterbo

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2009 06:52
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Benedetto XVI a Viterbo per confermare nella fedeltà a Cristo

Ricorda il "vincolo di affetto e di comunione" di questa città con i Papi


di Mirko Testa


ROMA, domenica, 6 settembre 2009 (ZENIT.org).-

“Sono venuto tra voi per incoraggiarvi e per confermarvi nella fedeltà a Cristo”.

E' quanto ha detto questa domenica Benedetto XVI rivolgendosi ai fedeli viterbesi, prima della preghiera dell'Angelus recitata sulla spianata di Valle Faul.

Il Santo Padre, partito in elicottero da Castel Gandolfo alle prime ore del mattino, è atterrato nel campo sportivo comunale “Enrico Rocchi”, dove è stato accolto dal Vescovo di Viterbo, mons. Lorenzo Chiarinelli, dall’on. Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, insieme ad altre autorità politiche, civili ed ecclesiastiche.

Successivamente, il Papa ha quindi raggiunto in auto la Cattedrale di S. Lorenzo dove ha benedetto le nuove porte di bronzo, opera dell’artista Roberto Ioppolo, in particolare le due laterali che completano un lavoro artistico dedicato alla creazione nel settembre del 1986, per volere di Giovanni Paolo II, della nuova diocesi di Viterbo che ora riunisce in sé Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone, Tuscania e l’Abbazia di San Martino al Cimino.

La porta centrale del Duomo è infatti chiamata “Porta della luce” perché vi sono rappresentati i nuovi “Misteri Luminosi” che Giovanni Paolo II inserì nella recita del Santo Rosario.

Qui, ha detto mons. Lorenzo Chiarinelli nell'indirizzo di saluto al Santo Padre sulla Loggia del Palazzo dei Papi – dove nel secolo XIII furono eletti 5 Papi e dove ebbe luogo il travagliato Conclave durato 33 mesi nel quale venne eletto Papa Gregorio X –, “c’è la Chiesa di oggi che è dinanzi a Lei con due volti”.

“L’uno simbolico, frutto del genio artistico che sollecita alla contemplazione di una Chiesa tutta santa e immacolata segno e strumento di unità”, ha detto il presule.

“L’altro – ha aggiunto – un volto vivo, appassionato, variopinto che cammina nella storia, tra tentazioni e speranze, tra tribolazioni e grazie, tra lacrime e consolazioni e è porzione del popolo di Dio in terra di Tuscia che avanza verso la pienezza del Regno”.

Il primo volto, scolpito nelle tre porte di bronzo – ha proseguito mons. Chiarinelli – , vorrebbe ripetere a tutti “la parola di Colui che ha detto 'Io sono la porta', affinché nessuno debba vagare errabondo, senza meta, o vivere da straniero, senza casa” e vorrebbe “essere stile di incontro, di dialogo, di solidarietà sul territorio mediante la testimonianza cristiana coerente e l’annuncio del Vangelo”

Il secondo volto, ha continuato, è quello “vivo della Chiesa d’oggi”, che chiede di essere confermata nella fede ed essere “sempre più Chiesa santa, Chiesa di comunione, Chiesa di donazione che canta la gloria di Dio e annuncia pace nelle vicende umane in particolare in questa terra di Tuscia”.

Gli onori di casa sono poi toccati al Sindaco della città, Giulio Marini, il quale ha sottolineato il “momento particolarmente significativo ed emozionante” della visita papale che si colloca nei giorni della celebrazione di San Rosa, copatrona di Viterbo.

Quella di Viterbo, ha detto subito dopo Marini, è una terra “che non sfugge purtroppo ai segni dell'inquietudine contemporanea, alla domanda di certezze e stabilità per il futuro che vuole vedere protagonisti soprattutto i giovani. Ed è a loro che rivolgiamo particolare attenzione, poiché loro è il futuro”.

Il Sindaco di Viterbo ha quindi espresso l'impegno assunto da tutti gli amministratori a lavorare per “un servizio esigente alla collettività, rafforzando la nostra azione per aiutare le giovani generazioni a rendere reali quei sogni e progetti”, sulla scorta anche degli insegnamenti racchiusi nella recente enciclica “Caritas in veritate”, che offrono “risorse spirituali di fiducioso cammino”.

Nel suo discorso prima dell'Angelus, il Papa ha riconosciuto il “singolare vincolo di affetto e di comunione” che lega Viterbo ai Successori di Pietro. Questa cittadina laziale è stata infatti la sede del Papato per 24 anni, periodo in cui si sono succeduti 8 Papi: da Alessandro IV (1254-1261) a Martino IV (1281-1285). Ben quattro dei Pontefici eletti a Viterbo sono qui seppelliti.

Nel corso dei secoli, circa 50 Papi hanno inoltre visitato Viterbo. L'ultimo è stato Giovanni Paolo II il 27 maggio 1984. Tra questi, almeno 16 Pontefici vissero per lunghi o brevi periodi a Viterbo, e in alcuni casi anche più di una volta.

“Viterbo – ha detto il Santo Padre – viene giustamente chiamata 'Città dei Papi', e questo costituisce per voi uno stimolo ulteriore a vivere e testimoniare la fede cristiana, la stessa fede per la quale hanno dato la vita i santi martiri Valentino e Ilario, custoditi nella Chiesa Cattedrale, primi di una lunga scia di santi, martiri e beati della vostra terra”.

“'Conferma i tuoi fratelli': quest’invito del Signore l’avverto oggi indirizzato a me con una intensità singolare”, ha quindi sottolineato.

“Pregate, cari fratelli e sorelle, perché possa svolgere sempre con fedeltà e amore la missione di Pastore di tutto il gregge di Cristo”, ha infine concluso.

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07/09/2009 18:08



A Viterbo e a Bagnoregio il Papa chiede di costruire sul dialogo e sull'ascolto una nuova umanità

Una fede amica dell'intelligenza


Una fede amica dell'intelligenza per costruire una "nuova umanità" fondata sull'ascolto e sul dialogo, libera da egoismi, esclusioni, discriminazioni. È questo il centro del messaggio che Benedetto XVI ha lasciato domenica 6 settembre ai fedeli di Viterbo e Bagnoregio, al termine di una intensa giornata vissuta tra le genti dell'alto Lazio.

Una visita, quella del Pontefice, tra passato e futuro, iniziatasi nel duecentesco Palazzo dei Papi a Viterbo, dalla cui loggia ha dato il primo saluto alla città. Migliaia le persone che hanno partecipato alla celebrazione eucaristica presieduta subito dopo nella spianata della valle Faul. Il Papa nella sua omelia ha messo in guardia dalla tentazione di trasformare il cuore umano in un "deserto profondo", privo della "capacità di ascoltare, di parlare, di comunicare con Dio e con gli altri". Si diventa "allora ciechi - ha ammonito - perché incapaci di vedere la realtà; si chiudono gli orecchi per non ascoltare il grido di chi implora aiuto; si indurisce il cuore nell'indifferenza e nell'egoismo".

Per questo Benedetto XVI ha richiamato la Chiesa a un nuovo impegno nel rispondere all'emergenza educativa, chiedendo ai credenti una più forte testimonianza di fede e una maggiore attenzione ai segni di Dio. "Fedeli laici, giovani e famiglie - è stato il suo appello - non abbiate paura di vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società, nelle molteplici situazioni dell'esistenza umana". Anche se si succedono le stagioni della storia e cambiano i contesti sociali - ha aggiunto - "non muta e non passa di moda la vocazione dei cristiani a vivere il Vangelo in solidarietà con la famiglia umana, al passo con i tempi". Ecco - ha spiegato - "l'impegno sociale, ecco il servizio proprio dell'azione politica, ecco lo sviluppo umano integrale". Durante l'Angelus, recitato successivamente al termine della celebrazione eucaristica, il Pontefice è tornato a proporre una riflessione sulla Seconda guerra mondiale, la cui memoria - ha avvertito - "sia monito per tutti a non ripetere tali barbarie e a intensificare gli sforzi per costruire nel nostro tempo, segnato ancora da conflitti e contrapposizioni, una pace duratura, trasmettendo, soprattutto alla nuove generazioni, una cultura e uno stile di vita improntati all'amore, alla solidarietà e alla stima per l'altro".

In questa prospettiva Benedetto XVI ha sottolineato in particolare "l'apporto che le religioni possono e devono dare nel promuovere il perdono e la riconciliazione contro la violenza, il razzismo, il totalitarismo e l'estremismo che deturpano l'immagine del Creatore nell'uomo, cancellano l'orizzonte di Dio e, di conseguenza, conducono al disprezzo dell'uomo stesso". Un auspicio, questo, che ha trovato eco nella preghiera dinnanzi alla Madonna della Quercia, alla presenza delle monache di clausura della diocesi viterbese.

Nel pomeriggio a Bagnoregio, dove è viva la spiritualità ereditata da san Bonaventura, il Papa ha poi gettato lo sguardo verso il futuro, indicando la necessità di riscoprire la "grande speranza-certezza" già suggerita nella Spe salvi. La quale - ha spiegato - "ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il "potere indistruttibile dell'Amore"". Quando a sorreggerci è questa speranza - ha assicurato - "non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell'umanità, aprendo noi stessi e il mondo all'ingresso di Dio:  della verità, dell'amore, della luce".



(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
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07/09/2009 18:09

Il compito di Pietro


Per la sedicesima volta Benedetto XVI ha visitato una diocesi d'Italia, la nazione di cui il vescovo di Roma è primate. Con uno scopo semplice e limpido, sottolineato dal motto scelto per la visita:  confermare i fedeli, come disse Gesù a Pietro durante l'ultima cena, secondo il racconto dell'evangelista Luca. E il Romano Pontefice lo ha fatto con la sua presenza e la sua parola, accolto con un affetto espresso in modo emblematico nella carezza che un'anziana religiosa ha fatto alla mano convalescente del Papa prima di baciarla, un gesto di devozione e cura femminili tanto toccante quanto spontaneo e imprevisto.

Come è abituale, durante la celebrazione liturgica svoltasi a Viterbo con un raccoglimento davvero impressionante, Benedetto XVI ha spiegato le Scritture e, partendo dall'immagine del deserto del cuore umano chiuso a Dio e al prossimo, ha mostrato come Gesù sia passato, anche in terre pagane, risanando e indicando la via per una nuova umanità, buona e senza discriminazioni, che offra al mondo di oggi un esempio di autentica fraternità. Sullo sfondo, la figura di Bonaventura che cercò la "sapienza radicata in Cristo" e al quale si appassionò il giovane ricercatore Ratzinger al punto da dedicare al grande teologo francescano la sua tesi di abilitazione alla docenza.

Ai fedeli della diocesi di Viterbo il Papa ha parlato rivolgendosi a tutti i cattolici italiani, circondato dal suo cardinale vicario con i vescovi del Lazio e accolto con cordialità dalle autorità civili in un quadro di evidente serenità istituzionale. Riprendendo le linee spirituali e pastorali del vescovo dell'antica città già sede pontificia, Benedetto XVI ha sottolineato l'importanza dell'educazione - priorità tanto delle comunità cristiane quanto di tutta la società - e l'urgenza di "vivere e testimoniare la fede nei vari ambiti della società", indicandone esplicitamente alcuni:  l'impegno sociale, l'azione politica, lo sviluppo umano integrale, che è al centro dell'enciclica Caritas in veritate, testo che ha suscitato un larghissimo interesse, anche al di là dei confini visibili della Chiesa cattolica.

Il Papa è naturalmente ben consapevole del cambiamento delle stagioni storiche e dei contesti sociali, così come delle difficoltà che si presentano in ogni tempo. Ma altrettanto chiara è la sua convinzione che resta immutata l'esigenza di "vivere il Vangelo in solidarietà" con tutti. Per questo chiede ai cattolici italiani - a ogni componente della Chiesa ma in particolare al laicato - di sapere essere all'altezza della loro storia al servizio della dignità di ogni persona umana e per il bene comune del Paese.

E ai cattolici di una terra singolarmente legata alla sede romana, come a ogni fedele in Italia e nel mondo, Benedetto XVI ha chiesto di pregare per lui. Per potere "svolgere sempre con fedeltà e amore la missione di Pastore di tutto il gregge di Cristo". Come i suoi predecessori, tra i quali il Papa ha ricordato - e certo non per caso - l'esempio di san Leone Magno, originario della Tuscia, "che rese un grande servizio alla verità nella carità, attraverso un assiduo esercizio della parola".

g. m. v.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
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07/09/2009 18:19

I saluti del sindaco Marini e del vescovo Chiarinelli


"Le indicazioni della recente enciclica Caritas in veritate e la sintonia ideale nel promuovere il bene sociale con le esperienze ecclesiali viterbesi sono per noi risorse spirituali di fiducioso cammino":  con queste parole il sindaco di Viterbo, Giulio Marini, ha dato il benvenuto a Benedetto XVI domenica mattina, 6 settembre, accogliendolo in piazza San Lorenzo. "La città - ha aggiunto - vive oggi un momento esaltante della sua storia, con la attesa presenza" del Papa. Viterbo, del resto "nutre un legame antico e forte con la Chiesa:  è qui che maturò il termine "conclave" come spazio impegnativo teso alla elezione del pontefice. È qui che furono eletti cinque Papi e qui molti altri lasciarono la loro impronta indelebile, come testimoniano chiese, monumenti e palazzi cittadini". Dopo aver ricordato che anche la terra viterbese "non sfugge ai segni dell'inquietudine contemporanea, alla domanda di certezze e stabilità per il futuro che vuole vedere protagonisti soprattutto i giovani", il primo cittadino ha evidenziato come sia proprio alle nuove generazioni che viene rivolta "particolare attenzione, poiché loro è il futuro. Dobbiamo e vogliamo - ha assicurato - lavorare e profondere tutto il nostro impegno in un servizio esigente alla collettività, rafforzando la nostra azione per aiutare le giovani generazioni a rendere reali quei sogni e progetti, a maturare quelle scelte affinché Viterbo e la Tuscia continuino a crescere, forti delle preziose energie e delle capacità umane e professionali dei giovani, in nome del raggiungimento di quel bene collettivo che è nostra volontà vedere realizzato pienamente".
Successivamente è stato il vescovo Lorenzo Chiarinelli a salutare il Papa a nome della comunità cristiana di tutto il territorio. "Il luogo in cui siamo - ha detto - ci racconta quella che è stata in Viterbo la Chiesa di ieri. Questa loggia ha ospitato circa cinquanta Pontefici Romani. E nell'attigua sala del Conclave nel secolo xiii ne furono eletti cinque. Qui ebbe luogo anche quel lungo e travagliato Conclave che, con la partecipazione di 17 cardinali, si protrasse per 33 mesi. Incomprensioni, rivalità, dissidi, interessi di fazioni, di regni, calcoli meramente umani sembravano dovessero sommergere la barca di Pietro e spegnere il fuoco della Pentecoste. Eppure da quel Conclave fu chiamato a essere Papa Gregorio x, Pontefice dall'alto profilo umano, spirituale, pastorale che la Chiesa venera come beato". "Queste pietre - ha proseguito il vescovo - gridano alla storia che "Dio scrive dritto anche su righe storte". E noi impariamo la incrollabile fedeltà di Dio, nella verità e nell'amore, così come è sancito nella croce di Cristo". Il presule ha poi mostrato a Benedetto XVI due volti della Chiesa viterbese di oggi:  il primo, artistico, scolpito nelle tre nuove porte di bronzo della cattedrale, opera del maestro Roberto Ioppolo, che esprime la nuova configurazione della Chiesa di Viterbo, alla quale nel 1986 sono state unite le antiche diocesi di Acquapendente, Bagnoregio, Montefiascone, Tuscania e l'Abbazia di San Martino al Cimino; il secondo, quello vivo del popolo di Dio che cammina nella storia tra tentazioni e speranze. Per quest'ultimo, il vescovo ha chiesto al Papa ciò che Cristo chiese a Pietro:  "La conferma nella fede".


(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
[Modificato da Cattolico_Romano 07/09/2009 18:20]
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07/09/2009 18:22

La gente di Viterbo è scesa in massa lungo le vie della città per stringersi attorno a Benedetto XVI

La compostezza di una concreta manifestazione d'affetto


dal nostro inviato Mario Ponzi

Tra passato e futuro. Dalla citazione dei versi dedicati da Dante, nella Divina Commedia, a san Bonaventura "che ne' grandi offici sempre pospuose la sinistra cura" - le realtà temporali rispetto a quelle spirituali -, dall'esortazione rivolta ai cristiani alla testimonianza "senza paura" all'impegno sociale nell'azione politica per lo sviluppo integrale dell'uomo e per ridare "ali alla speranza".

Forse mai come nel caso della visita di Benedetto XVI a Viterbo prende valore questo raffronto tra la storia di ieri e quella ancora da scrivere, per esprimerne la sintesi. Eppure ieri, domenica 6 settembre, mentre la Vetus urbs, secondo una diffusa etimologia, ha aperto per il Papa, pellegrino tra le sue antiche contrade, il suo cospicuo passato - che è anche e soprattutto pontificio - la Viterbo nuova, quella che cerca un posto nella società dell'era della tecnologia digitale, ha mostrato il volto timoroso delle nuove generazioni di fronte al futuro.

Ha anche mostrato i segni di un cammino affrettato, che non consente ancora un reciproco riconoscimento tra la città vecchia e quella nuova. Due anime  di  una  città che si sono ritrovate  unite  per  consegnare a Benedetto XVI il ricordo di una giornata trascorsa tra gente festosa e composta. E festa è stata sin dal primo istante della visita.

A ricevere il Papa, giunto alle 9.30 in elicottero, al campo sportivo Rocchi, erano il vescovo monsignor Lorenzo Chiarinelli, il nunzio apostolico in Italia, arcivescovo Giuseppe Bertello, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta, in rappresentanza del Governo italiano; l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede Antonio Zanardi Landi, Piero Marrazzo, presidente della regione Lazio, Alessandro Mazzoli, presidente della Provincia, e Giulio Marini, sindaco di Viterbo. Un benvenuto informale e poi tragitto veloce sino a piazza San Lorenzo. La prima accoglienza nella città vecchia. Il corteo è passato attraverso i vicoli stretti del centro storico, rasentando palazzi medievali pavesati a festa che sembravano poggiare sulla marea di gente scesa in massa per le strade. Ha raggiunto così, tra due ali di folla, il Palazzo dei Papi, la prima meta della visita. E si è rivisto così un Papa affacciarsi alla loggia del duecentesco Palazzo, e salutare la folla. I discorsi del sindaco e del vescovo, lo scambio di doni, poi la benedizione, da lontano, delle nuove porte della cattedrale di San Lorenzo che resteranno a futura memoria della giornata di fede trascorsa con lui. E non poteva non entrare nell'antico possedimento pontificio. Erano venticinque anni che un Pontefice non posava piede su quelle pietre. L'ultimo a farlo era stato Giovanni Paolo II, nel 1984.

Benedetto XVI è entrato nella famosa Sala dove, nel xiii secolo, nacque la consuetudine del conclave, così come è stata tramandata ai nostri giorni. Il Papa ha compiuto con evidente soddisfazione quel percorso costellato di ricordi, legati al passaggio di grandi santi:  Rosa, Crispino, Giacinta. Ma anche di altre eminenti figure di Papi, di cardinali, di laici come Mario Fani, precursore dell'apostolato modernamente inteso, che proprio nella città e nel santuario di santa Rosa venne spesso a ispirarsi.
Ancora un giro tra la folla e poi, dall'altare eretto al centro di Valle Faul, ha presieduto la celebrazione della messa.

Circa trentamila le persone che avevano trovato posto nell'ampio piazzale. Qui Viterbo ha mostrato al Papa il suo volto nuovo. C'erano tanti giovani davanti all'altare, così come tanti erano saliti sulle collinette tutt'intorno alla valle. Non c'erano striscioni; né ci s0no stati sventolii di bandiere. Lo stesso famoso corteo storico viterbese, nell'antico costume è rimasto ai bordi della Valle, per le vie della città. Un applauso composto ha salutato il giro in papamobile tra la folla. Si è voluto che la partecipazione all'eucaristia fosse vissuta in modo che "le realtà materiali" fossero posposte "alle realtà spirituali".

Il Papa ha concelebrato con il cardinale Agostino Vallini, vicario per la diocesi di Roma con i vescovi del Lazio, il vescovo diocesano Chiarinelli; gli arcivescovi Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, conoscitore tra l'altro della realtà viterbese avendo trascorso un periodo di studi alla Quercia; James Michael Harvey, prefetto della Casa Pontificia, il vescovo Paolo De Nicolò, reggente della Prefettura, monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Pontefice, monsignor Fortunato Frezza, sotto-segretario del Sinodo dei vescovi. E poi tanti, tantissimi sacerdoti, tra i quali alcuni officiali della curia romana, di orgini viterbesi, come monsignor Fabio Fabene, della Congregazione per i Vescovi.

All'offertorio i doni sono stati recati all'altare dai rappresentanti delle antiche diocesi di Tuscania, Montefiascone, Bagnoregio e Acquapendente. Tra gli offerenti spiccavano le bianche figure, con fascia rossa, di una coppia di "facchini di santa Rosa", due cosiddetti "ciuffi" che nello schieramento dei cento trasportatori occupano una posizione chiave per l'equilibrio dell'alta torre.

La comunione è stata distribuita dal cardinale Vallini "poiché - come ha spiegato il medico personale del Papa, Patrizio Polisca - il pieno recupero funzionale del braccio infortunato per l'incidente a Les Combes, richiede tempi variabili. Nonostante il programma fisioterapico abbia già raggiunto risultati molto soddisfacenti sul piano del recupero funzionale - ha precisato Polisca - non si è però ancora concluso nella sua interezza. E l'atto di prelevare l'ostia consacrata e porgerla a chi si comunica, è un atto complesso e fine che richiede invece una perfetta funzionalità motoria, altrimenti esporrebbe al rischio di far cadere l'ostia consacrata".

Dopo la preghiera dell'Angelus il Papa ha lasciato Viterbo e si è recato presso il santuario della Quercia dove, dopo un breve periodo di riposo, ha pregato con le suore di clausura, dinnanzi all'immagine mariana.

Cosa sia rimasto delle poche ore vissute accanto al Papa lo diranno i giorni a venire. Quello che è parso di cogliere dalla prime impressioni scambiate frettolosamente con quanti sciamavano dalla piazza, al termine della messa si è avuta l'impressione di una Chiesa diocesana che ha voluto mostrare al Papa un saldo ancoraggio alle radici umane di un popolo che, seppure geloso custode delle proprie tradizioni, si sente proiettato verso il futuro. Il cammino è veloce ma si avverte urgente bisogno di un bilancio per capire dove si sta andando. Il Papa è venuto dunque in un momento particolare del percorso pastorale della diocesi. È venuto - come il vescovo aveva chiesto - per confermare tutti nella fede, ma è venuto anche per invitare ciascuno a fermarsi per un momento di riflessione e di confronto con le grandi crisi del nostro tempo e capire quali valori seguire.


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Il pomeriggio trascorso nei luoghi di san Bonaventura

Una popolazione che vive di storia


dal nostro inviato Mario Ponzi


Una fede amica dell'intelligenza per restituire ali  alla  speranza. È  il  messaggio che Benedetto XVI ha lasciato ai fedeli di Bagnoregio, al termine di una giornata vissuta tra le genti dell'Alto Lazio, per trovare un nuovo slancio verso il futuro.

Il Papa ne ha parlato nella terra natale di san Bonaventura. A una comunità che si specchia in quello scrigno di storia, di arte, di cultura e di tradizioni, rappresentato da quel ciuffo di abitazioni sulla rocca che domina un territorio in cui il tempo sembra quasi essersi fermato. Civita di Bagnoregio, patrimonio dell'umanità, esempio di una meraviglia unica nel suo genere, oggi è nota come "la città che muore". Si sta lentamente, ma inesorabilmente, sgretolando lo sperone tufaceo che poggia sul sottostante terreno argilloso; dunque un terreno, instabile e per sua natura esposto all'azione erosiva degli agenti atmosferici che lo modellano nelle tipiche forme dei calanchi.



Gli abitanti si sono via via trasferiti nel più recente insediamento di Bagnoregio, dove hanno portato con sé tutte le loro più care memorie.

Quasi superfluo soffermarsi sull'entusiasmo con il quale i cittadini di questo antico borgo medioevale hanno accolto il Papa. Un evento eccezionale e vissuto con comprensibile soddisfazione. Nonostante, infatti, i suoi illustri trascorsi di territorio dello Stato pontificio, Bagnoregio come ha ricordato il sindaco Bigiotti salutando il Papa, fu solo sfiorata da Papa Pio ix durante una visita nelle province settentrionali dello Stato
Festa grande dunque per la visita di Benedetto XVI. Emozionante il passaggio del corteo papale attraverso i vicoli stretti del paese, tra centinaia di bandiere con i colori vaticani, appese ai balconi e alle finestre di tutti i palazzi affacciati sul percorso. Numerosi anche i manifesti affissi un po' dovunque per dare il benvenuto al Papa. Alcuni addirittura erano scritti in latino.

Dopo una breve sosta in cattedrale, per venerare la reliquia del braccio di san Bonaventura e ammirare la Bibbia detta di san Bonaventura, un manoscritto risalente alla metà del Duecento, il Papa è giunto in piazza Sant'Agostino dove, davanti alla grande statua marmorea di san Bonaventura, era stato allestito il palco per l'incontro con la popolazione. Una "comunità viva - come l'ha descritta il sindaco salutando il Papa - che sa di essere immersa in una corrente di vita che viene da tempi remoti, portando con sé caratteri propri di storia, di cultura, di operosità, di qualità spirituali, morali e civili che la distinguono" e ne disegnano l'identità mite "come i calanchi che la stringono a oriente e cedono al trascorrere del tempo mostrando tutto intero il loro arrendevole lacerato chiarore", ma allo stesso tempo tenace "come il basalto che porta in sé la durezza di quanti come noi, sentono da secoli la sua rasserenante solidità". "Cosa sarà - si è chiesto il sindaco - Bagnoregio domani?" e qui è tornato a riecheggiare l'insegnamento del patrono:  "Se la vita è un itinerario vuol dire che è necessario sollecitare i nostri passi verso un domani da costruire oggi".

E Benedetto XVI prima di lasciarli si è inserito proprio su questo cammino verso il futuro. "In verità - ha detto - tutti ci interroghiamo circa l'avvenire nostro e del mondo e questo interrogativo ha molto a che vedere con la speranza". Ma quello che serve è una speranza che sia necessariamente "affidabile", capace di dare "la certezza di giungere ad una meta grande" tale da giustificare "la fatica del cammino". Dunque, come aveva scritto nella Spe salvi, ha ripetuto che "solo questa grande speranza-certezza ci assicura che, nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il potere indistruttibile della speranza". L'esemplarità di san Bonaventura deve servire proprio per aiutarci oggi a "dispiegare le ali della speranza" e a essere come lui "incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell'amore e di quella bellezza "che tutto muove"". Un saluto alle autorità, un abbraccio ad alcuni malati e poi in macchina verso l'improvvisato eliporto.

Da qui il Papa è rientrato direttamente a Castel Gandolfo.


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I saluti rivolti al Papa dal vescovo e dal sindaco



 
"San Bonaventura morì in Concilio, a Lione ricomponendo l'unità tra i cristiani:  ci aiuti a vivere la comunione; ad essere Chiesa del sì; a fare del territorio il campo della fraternità vera". Lo ha auspicato il vescovo di Viterbo, monsignor Lorenzo Chiarinelli, accogliendo Benedetto XVI a Bagnoregio. Nel pomeriggio di domenica 6 settembre, in piazza sant'Agostino, il presule ha dato il benvenuto al Papa con un ricordo che rimandava a Parigi, quando nel 1243 un giovane ventiseienne di Bagnoregio, nel convento di S. Germain, indossava il saio di Francesco d'Assisi. "Nel 1953 - a 710 anni di distanza - a Monaco-Frisinga un giovane teologo incontrava in forma sistematica il dottore serafico di Bagnoregio".

"Con grande gioia - scrisse l'allora candidato alla libera docenza Joseph Ratzinger - mi misi diligentemente al lavoro. Anche se avevo già qualche conoscenza di Bonaventura e avevo già letto alcuni dei suoi scritti più brevi, nel prosieguo del lavoro mi si dischiudevano nuovi mondi". "Oggi quel giovane teologo - ha aggiunto Chiarinelli - è Benedetto XVI ed è qui ad incontrare la vita di Bonaventura da Bagnoregio e a farci partecipi della gioia di quel primo incontro, come a toccare le radici che hanno sostenuto Bonaventura nei grandi offici e dalle quali è germogliato un messaggio di filosofo, di teologo, di francescano, antico e sempre nuovo; messaggio di sapienza, concentrato su Cristo, centro e cuore dell'universo; senso e compimento della storia".

Successivamente il presule ha chiesto al Papa di benedire "i teologi nel prezioso servizio dell'intelletto che cerca la fede e della fede amica dell'intelligenza; e i cercatori della verità come scoperta affascinante del volto del Dio vivente".

Quindi è stato il sindaco di Bagnoregio, Francesco Bigiotti, a rivolgersi al Pontefice. "Ai piedi del monumento di san Bonaventura, la "civica" di Bagnoregio, comunità civile e religiosa di questa terra antica, segnata in profondità dal tempo come dai suoi uomini illustri e dai comuni protagonisti della sua storia quotidiana, saluta lei, Successore di Pietro, pastore universale della Chiesa, conoscitore raffinato di Bonaventura, il Santo che continua a rappresentare nella cultura il nome e il genio di questo suo luogo di origine".

Il primo cittadino ha sottolineato come Papa Benedetto porti nel suo stesso nome "un invito al rispetto e all'onore che i cittadini del mondo" gli riconoscono, e ha quindi fatto riferimento al "Centro studi bonaventuriani" che, fondato nel 1952 da un altro illustre concittadino, Bonaventura Tecchi, dedica annualmente lavori di alta qualità scientifica e culturale, filosofica e teologica al "dottore serafico". E alla vicenda umana e letteraria del Tecchi il sindaco Bigiotti ha voluto dedicare il pensiero conclusivo del suo saluto.

"Come prigioniero di guerra nel secondo conflitto mondiale - ha concluso - inviato nella Germania settentrionale, non imparò l'odio ma la lingua tedesca, che lo trasformò in un profondo conoscitore della cultura e del genio germanici".


(©L'Osservatore Romano - 7-8 settembre 2009)
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10/09/2009 06:52

Ad ali spiegate. Benedetto XVI a Bagnoregio

di Robert Moynihan*



ROMA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).-

A volte pensiamo che i problemi fisici e materiali siano i più importanti, perché sono molto evidenti: piove, abbiamo bisogno di un riparo; arriva l'inverno, dobbiamo fare scorta di cibo; il bambino ha la febbre, servono medicine per curarlo.

Se guardiamo ai Vangeli e consideriamo la nostra vita, però, iniziamo a riconoscere che i nostri problemi più seri sono quelli spirituali.E' per questo che Gesù va al di là della guarigione fisica, non si limita a guarire il cielo e il sordo – cosa che abbiamo letto nel Vangelo domenicale (Mc 7,34), quando ha pronunciato la parola aramaica “Effatà” (“Apriti”) e gli orecchi del sordo si sono aperti. (Ci sono solo tre occasioni in cui Marco riporta Gesù che parla in aramaico: in questo caso, quando dice “Talità kum” - “Fanciulla, io ti dico, alzati” - in Mc 5,41 e al momento della crocifissione (Mc 15,34), quando grida “Eloì, Eloì, lemà sabactàni? - “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”).

E' per questa ragione che Gesù perdona i peccati. Perché cadere nel peccato porta alla disperazione e alla morte. Il peccato è il pesante fardello che Gesù vuole rimuovere dalle spalle degli uomini, dal loro cuore.

E' il suo perdono dei peccati a indignare i capi religiosi del suo tempo – perché solo Dio può perdonare i peccati.Gesù ha portato la speranza. L'ha portata ai ciechi, ai sordi, ai morenti, ha perfino risuscitato i morti. Ha portato speranza anche ai peccatori, a quanti erano spiritualmente morti. Ha portato la speranza di una nuova vita a quanti non speravano più ed erano in preda alla disperazione.Benedetto XVI è il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro.

In quanto tale, la sua missione, nel suo senso più profondo, è semplicemente quella di portare speranza.Il Papa concepisce la propria missione in questo modo: deve portare speranza a un mondo che, nonostante tanta ricchezza e tanto potere apparenti, è spiritualmente impoverito.

E' la missione di portare significato ai tanti che possono essere arrivati a pensare che la vita non ha più senso.E' questo il contributo di Benedetto XVI nella battaglia tra la “cultura della vita” e la “cultura della morte”. Si batte in favore del significato, del vero “Logos” che è il significato stesso, e facendo questo porta speranza a chi l'ha persa.

Domenica pomeriggio, il Papa si è recato a Bagnoregio, il paese natale di San Bonaventura, per continuare la sua missione.Nella sua omelia, ha fatto un riferimento alla speranza incredibilmente bello e che vale la pena di ricordare.Bonaventura visse nel 1200, il cosiddetto Medioevo, quando l'Europa stava costruendo le grandi cattedrali e istituendo le università, di cui beneficiamo ancora oggi.

Bonaventura nacque nel 1221 e morì nel 1274. Anche se non visse a lungo, divenne uno dei maggiori teologi cattolici di tutti i tempi.Domenica, Benedetto XVI ha celebrato Bonaventura come messaggero di speranza.

Il Santo Padre ha parlato di come Giovanni Fidanza – il nome di battesimo di Bonaventura – sia divenuto “Fra Bonaventura”, un frate francescano, e poi Ministro Generale dell'Ordine francescano, che tentava di rinnovare la fede cristiana dell'epoca con un impegno alla totale povertà.“Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura”, ha detto il Pontefice, ma ha aggiunto che se dovesse scegliere un elemento sottolineerebbe la “sapienza radicata in Cristo”.

Bonaventura ha orientato ogni passo del suo pensiero “alla sapienza che fiorisce in santità”.Il santo, ha ricordato il Papa, “fu, in primo luogo, un instancabile cercatore di Dio sin da quando frequentava gli studi a Parigi, e continuò ad esserlo sino alla morte”, e i suoi scritti indicavano la strada che doveva prendere questa ricerca.

“Poiché Dio è in alto”, scrisse nel suo “De reductione artium ad theologiam”, “è necessario che la mente si innalzi a Lui con tutte le forze”.Ma come può farlo la mente umana? La nostra mente, con lo studio e la riflessione, può davvero arrivare vicino a Dio?Bonaventura, ha spiegato il Papa, credeva che lo studio e la riflessione non fossero di per sé sufficienti. Lo studio deve essere accompagnato dalla grazia, insegnava, la scienza dall'amore, l'intelligenza dall'umiltà (“Itinerarium mentis in Deum”, prol. 4).

“Questo cammino di purificazione coinvolge tutta la persona per arrivare, attraverso Cristo, all’amore trasformante della Trinità”, ha commentato Benedetto XVI. “La fede è pertanto perfezionamento delle nostre capacità conoscitive e partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso e del mondo; la speranza l’avvertiamo come preparazione all’incontro con il Signore, che segnerà il pieno compimento di quell’amicizia che fin d’ora ci lega a Lui. E la carità ci introduce nella vita divina, facendoci considerare fratelli tutti gli uomini”.

Il Pontefice ha quindi parlato specificamente della speranza.“San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare”.

“Sperare è volare, dice san Bonaventura. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere, verso le promesse di Dio. Chi spera - egli afferma - 'deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio' (Sermo XVI, Dominica I Adv., Opera omnia, IX, 40a)”.

Ogni cuore umano ha sete di speranza, ha proseguito il Vescovo di Roma avviandosi alla conclusione del suo intervento. “Nell’Enciclica Spe salvi ho notato che non basta però una qualsiasi speranza per affrontare e superare le difficoltà del presente; è indispensabile una 'speranza affidabile', che, dandoci la certezza di giungere ad una meta 'grande', giustifichi 'la fatica del cammino'”.

“Solo questa 'grande speranza-certezza' ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il 'potere indistruttibile dell’Amore'”.

“Quando allora a sorreggerci è tale speranza non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell’umanità, aprendo noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, della luce” (cfr. Spe salvi, n. 35). “Ci aiuti san Bonaventura a 'dispiegare le ali' della speranza che ci spinge ad essere, come lui, incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell’Amore e di quella Bellezza che 'tutto muove'”, ha concluso.

Se seguiamo gli insegnamenti di Papa Benedetto, e quelli di Bonaventura, e ci concentriamo sulla ricerca della “speranza affidabile” annunciata da Gesù Cristo, possiamo anche noi dare alla nostra anima le ali di cui ha bisogno per volare, nonostante tutte le prove di questo mondo che ci affliggono. Allora anche noi potremo elevarci come gli uccelli mettendo in moto tutto il nostro essere e diventando, in qualche modo, quella speranza autentica che tanto desideriamo.

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Robert Moynihan è fondatore ed editore del mensile “Inside the Vatican” e autore del libro “Let God's Light Shine Forth: the Spiritual Vision of Pope Benedict XVI” (2005, Doubleday). Si può consultare il suo blog su www.insidethevatican.com. Il suo indirizzo di posta elettronica è: editor@insidethevatican.com.


[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]
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