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IRC e TAR

Ultimo Aggiornamento: 10/09/2009 07:00
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13/08/2009 16:25

Forse qualcuno ha seguito meglio di me le notizie relative alla presenza degli IRC agli scrutini e il problema dei crediti.
Mi pare che le premesse della sentenza siano di notevole importanza. Bisogna però conoscerne bene i termini prima di partire con giudizi e pregiudizi.Cerchiamo di segnalare siti seri da cui magari ricavare i passi più significativi, passando poi a fare considerazioni motivate.
Interessanti alcuni articoli di Avvenire


www.avvenire.it/

da cui ho tratto questo passaggio dall'intervista a Monsignor Coletti


Il risultato della sentenza è che il 91% degli studenti italiani si trova a frequentare una materia considerata di serie B. Non è anche questa discriminazione?
«L’errore è pensare, sia in un caso (i non avvalentesi) sia nell’altro (chi la frequenta), che vi sia discriminazione. In questo caso nessuno è discriminato, perché coloro che non si avvalgono dell’ora di religione possono svolgere altre attività educative che comportano crediti scolastici.

che ridimensiona la valutazione sulla discriminazione dei crediti
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13/08/2009 16:43

Ottimo argomento Pavel.
Copio qui un argomentazione che ho letto da poco sul blog di Sandro Magister e che condivido pienamente:

Il TAR contro l’ora di religione. L’arringa difensiva di Pietro De Marco

1. La sentenza del TAR del Lazio n.7076/2009 del 17 luglio afferma (preferisco dire ‘afferma’, e non ‘stabilisce’, poiché nessun giudice può ‘stabilire’ alcunché contro ragionate evidenze in senso contrario, come vedremo) che “un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”. La sentenza tratta, inoltre, l’opzione degli avvalentisi dell’insegnamento di religione cattolica (IRC) alla stregua di “una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori” (come prima comunione o cresima, suppongo), cui conseguentemente non potrebbero essere attribuiti crediti formativi.

Che il patrimonio vivente di fede e di dottrina (di consistenza razionale e sociale, irriducibile a decisioni o emozioni soggettive) del cristianesimo, nella sua costante cattolica, non possa essere insegnato in forma positiva e “misurato come una materia di insegnamento” è davvero una pretesa controevidente. L’adulterazione in senso privatistico di una ‘religio’ nei secoli sempre personale e pubblica ad un tempo, fa intravedere nei formulanti, che siano i giudici o i ricorrenti, un vuoto di sapere o un più preoccupante (perché deliberato) oblio della presenza delle istituzioni cristiane nel corpo della cultura europea e mondiale.

La lotta contro il magistero cristiano pubblico della Chiesa cattolica, lotta che vede alleati da decenni (parlando solo della storia repubblicana) “atei e agnostici razionalisti” e le comunità evangeliche ed ebraiche italiane, in un’alleanza suicida per gli uomini di fede biblica, è uno scandalo doloroso che non merita altri commenti. Ma esige una severa critica l’argomento che prende avvio e forza dall’arbitraria, e tutta politica, riduzione privatistica della fede cristiana. Una riduzione contraria ai fatti e ai fondamenti e che si vuole, di conseguenza, da anni ‘realizzare’ imperativamente attraverso i tribunali. Così un ragionamento erroneo si trasforma in un ordine di esecuzione: il tribunale “ordina che la presente sentenza [che risale all’11 febbraio u.s.] sia eseguita dall’autorità amministrativa”.

Corresponsabili della cattiva logica e buona coscienza di tale uso decisionistico dei poteri giurisdizionali contro la ragione storica sono, sia ripetuto per l’ennesima volta, anche quei cattolici che dalla cancellazione della rivelazione cristiana dall’ethos comune dell’Occidente si attendono delle palingenesi religiose e civili. Una follia di cui sono succubi e che li vede anche in prima fila nella denuncia dell’insegnamento di religione cattolica nella scuola come tale, non solo pubblica. E poiché non è meno insidiosa, e squisitamente nichilistica, la diffusa richiesta non di azzeramento ma di trasformazione dell’IRC in un insegnamento formale di storia delle religioni, è opportuno estendere il nostro ragionamento.

2. Non dovrebbe sfuggire che IRC e insegnamento della storia delle religioni sono cose diverse, se guardate in profondità. Che l’insegnante, e molti estensori di manuali e sussidiari di IRC usino di fatto la materia storico-religiosa non cambia le cose, perché la ratio dell’insegnamento di religione cattolica resta altra da quella di una disciplina descrittiva secondo una variabile empiricità.

L’IRC ha infatti lo statuto proprio degli insegnamenti istituzionali, come potrebbe essere quello, praticabile ma poco praticato nonostante le chiacchiere, di educazione civica. E come nessuno accetterebbe che un insegnante medio di educazione civica presentasse la Costituzione per alterarne il disegno o distruggerne la legittimità, così l’IRC esige oltre alla competenza una conformità al piano di saperi e principi cristiano-cattolici. Altra cosa sarà la grande varietà di modi per dire tali saperi e principi.

Senza coinvolgere qui l’epistemologia, si può sostenere pianamente che, come l’insegnamento di una lingua o della matematica non è la storia di quella lingua o della matematica, così l’IRC non è la storia della religione cattolica. Vecchio dibattito, certamente: un insegnante di matematica molto capace, e che disponesse di molte ore, potrebbe dare conto di alcuni teoremi alla maniera di Lakatos, attraverso una storia ‘tipica’ della loro genesi; e, certo (ma non tutti sono d’accordo) si capiscono meglio le strutture di una lingua attraverso la sua storia. È un criterio che ha prevalso nell’insegnamento della filosofia e anche della letteratura (dall’insegnamento di retorica alla storia della letteratura e della critica), ma cui si oppongono oggi più che ieri molte buone ragioni. Resta che storia e istituzioni sono ovunque distinte e tanto meglio comunicanti se in un primo momento analiticamente distinte. E che, comunque, non è davvero a questo livello sofisticato che si pone da decenni il dibattito sull’insegnamento della religione.

La formalità di un insegnamento basico di cristianesimo è dottrinale (la tedesca Glaubenslehre, dottrina della fede), è un insegnamento condotto nelle sue linee essenziali per ‘dogmata’, nel senso tecnico e profondo dei termini. Nella sua natura essenziale l’IRC è ordinato a trasmettere istituzioni di cristianesimo cattolico. Ed è, in questo senso, prescrittivo, come ogni altro insegnamento, ossia ordinato a far acquisire conoscenze conformi al proprio oggetto. Non certo le opinioni approssimative di un docente sprovveduto o ostile; basta a questo l’opera pasticciata dei media.

Tale insegnamento, realizzato seriamente, non è ‘catechistico’ poiché richiede dal discente un onesto e corretto apprendimento intellettuale, non adesione di fede e conformità di opere.

Se, dunque, la riforma dell’IRC non deve essere una sua abolizione mascherata (in realtà, quasi tutti, dal clero ‘spiritualista’ ai cattolici ‘democratici’ ai ‘laici’ anticattolici, si attendono da decenni questo), la formalità, cioè la struttura essenziale, dell’insegnamento deve continuare ad avere le caratteristiche originarie. Deve implicare cioè la responsabilità di una trasmissione (dialettica e dialogica quanto si voglia) dei dati formanti, costitutivi, del cattolicesimo storico e comune.

Ogni intelligenza in buona fede capisce, allora, che apprendere l’esistenza di una concezione del mondo, di un complesso di verità con soglie Vero/Falso, di prassi che implicano soglie Bene/Male (complesse quanto si voglia, ma non inesistenti) e di istituti che garantiscono la trasmissione autentica di tutto questo, insomma: apprendere la forma cattolica, è per se stesso un grande momento formativo per giovani, e per adulti. Molto diversamente dall’insegnamento marginale e improvvisato di una cattedra di storia delle religioni invariabilmente affidata ad insegnanti del settore umanistico in parcheggio, o in attesa di passaggio ad altro.

3. Quanto alla storia delle religioni come tale nell’insegnamento medio, sostengo che dovrebbe essere fecondamene incorporata negli ordinari programmi di storia, filosofia, letterature (e analoghi a seconda degli indirizzi), poiché tale è, anzitutto, la sua posizione, nel cuore delle civiltà. Questo innesto indurrebbe negli insegnanti e nella strumentazione didattica una attenzione più estesa e rigorosa alle religioni e alle chiese, anche per l’età moderna e contemporanea, quindi nel curriculum delle medie superiori.

Infatti il pochissimo di storia religiosa che si fa attiene alla storia antica e medievale e viene impartito (sempre meno e sempre peggio, mi dicono) a livello poco più che adolescenziale. Non avrei difficoltà a suggerire al competente ministero un modello almeno sperimentale di programma. Basta, d’altronde, avere in mente la struttura di una introduzione storico-comparatistica alla religione, e distribuire strategicamente le sue parti nel quadro del curriculum storico-filosofico-letterario di un quinquennio superiore. Gli esempi sono ovvi e paralleli nelle diverse aree: fai Dante o Milton o Leibniz o Mazzini? Farai anche, funzionalmente, quel capitolo di storia o di fenomenologia religiosa con cui capirai meglio gli autori e molto altro. Immagino le reazioni degli insegnanti di storia e filosofia e letteratura: “non abbiamo le competenze” (ma si guadagnano), “non abbiamo le ore” (dovrebbero essere chieste). Di più: letteratura o filosofia, magari anche storia generale, sono altra cosa dalla storia religiosa!

Ma la previsione di scandalo non è mero divertimento; lo considererei una cartina di tornasole della coperta intenzione distruttiva che sottende tutta la querelle sull’IRC. A pochi, anche per ignoranza indotta dai curricula universitari, interessano veramente le istituzioni (le conoscenze) di storia di dottrine e pratiche religiose nell’economia formativa. A troppi interessa solo la battaglia contro l’IRC in sé stesso. La storia delle religioni è un pretesto. È inoltre un pesante sintomo di deriva ‘laica’ che anche uomini religiosi sembrino preferire il pasticcio nichilistico, o il niente, a un insegnamento che, come quello cristiano-cattolico, già per se stesso abbraccia tanto della comune fede.

La ragione cattolica è attrezzata in maniera unica a una funzione religiosa universalistica, e in termini alti di contenuto, non di ’spiritualities’ o di curiosità etniche, che vanno lasciate ai festival e alle attività di quartiere. Partire da questo, invece di perseguire una vuota distruzione dell’esistente, sarebbe un bene per le religioni e per la società civile in Italia.

(Di Pietro De Marco, da “L’Occidentale“).

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13/08/2009 16:50

Per quanto ne sò ci sarà un consiglio dei ministri che valuterà il tutto e che sicuramente procederà in linea con il provvedimento dell'ex ministro Fioroni, l'importante è che facciano chiarezza prima di Settembre.
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13/08/2009 18:02

si potrebbe sinteticamente affermare che

1)l’ art. 9 del Concordato che, prevedendo l’ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche, ne motiva la ragione in termini esclusivamente culturali.

2)Non si tratta di un insegnamento catechetico, diretto cioè a sostenere un cammino di fede, ma di un insegnamento culturale di ciò che oggettivamente è il cristianesimo, così come trasmesso da quella tradizione cattolica che tanta parte ha avuto nel formare l’identità degli italiani e che ancora significa tanto, della sua presenza, la nostra società. Non è una scelta riservata ai soli cattolici ai quali spetta comunque.

3)la diffusa richiesta di trasformare l’IRC in un insegnamento formale di storia delle religioni cambia nella sua natura essenziale l’IRC la cui specificità è quella di trasmettere istituzioni di cristianesimo cattolico.

Ed i programmi sono, in questo senso, prescrittivi, come ogni altro insegnamento, ossia ordinati a far acquisire conoscenze conformi al proprio oggetto.

Come cattolici auspichiamo comunque che soluzioni relative alle altre minoranze religiose, agnostici e atei vadano comunque valutate senza rinunce da parte di nessuno della propria identità.
E questo mi sembra rispettoso della laicità dello stato
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10/09/2009 07:00

Lettera vaticana sull'insegnamento della religione nella scuola


Della Congregazione per l'Educazione Cattolica


CITTA' DEL VATICANO, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la lettera circolare sull'insegnamento della religione nella scuola inviata dalla Congregazione vaticana per l'Educazione Cattolica ai Presidenti delle Conferenze episcopali e datata 5 maggio 2009.

* * *

Eminenza/Eccellenza Reverendissima,

la natura e il ruolo dell’insegnamento della religione nella scuola è divenuto oggetto di dibattito e in alcuni casi di nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo con un insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove generazioni.

Pertanto, con la presente Lettera Circolare, indirizzata ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, questa Congregazione per l’Educazione Cattolica, ritiene necessario richiamare alcuni principi, che sono approfonditi nell’insegnamento della Chiesa, a chiarificazione e norma circa il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni; la natura e l’identità della scuola cattolica; l’insegnamento della religione nella scuola; la libertà di scelta della scuola e dell’insegnamento religioso confessionale.

I. Il ruolo della scuola nella formazione cattolica delle nuove generazioni

1. L’educazione si presenta oggi come un compito complesso, sfidata da rapidi mutamenti sociali, economici e culturali. La sua missione specifica rimane la formazione integrale della persona umana. Ai fanciulli e ai giovani va garantita la possibilità di sviluppare armonicamente le proprie doti fisiche, morali, intellettuali e spirituali; ed essi vanno anche aiutati a perfezionare il senso di responsabilità, ad imparare il retto uso della libertà, e a partecipare attivamente alla vita sociale (cfr c. 795 Codice di Diritto Canonico [CIC]; c. 629 Codice dei Canoni delle Chiese Orientali [CCEO]). Un insegnamento che disconoscesse o emarginasse la dimensione morale e religiosa della persona costituirebbe un ostacolo per un’educazione completa, perché «i fanciulli e i giovani hanno il diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia a conoscere e ad amare Dio più perfettamente». Perciò, il Concilio Vaticano II ha chiesto e raccomandato «a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione di preoccuparsi perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto» (Dichiarazione Gravissimum educationis [GE ],1).

2. Una tale educazione richiede il contributo di molti soggetti educativi. I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, sono i primi e principali educatori (cfr GE 3; Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio [FC], 22 novembre 1981, 36; c. 793 CIC; c. 627 CCEO). Per tale ragione, spetta ai genitori cattolici, curare l’educazione cristiana dei loro figli (c. 226 CIC; c. 627 CCEO). In questo compito primario i genitori hanno bisogno dell’aiuto sussidiario della società civile e d’altre istituzioni, infatti: «la famiglia è la prima, ma non l’unica ed esclusiva comunità educante» (FC 40; cfr GE 3).

3. «Tra tutti gli strumenti educativi, un’importanza particolare riveste la scuola» (GE 5), che è «di precipuo aiuto ai genitori nell’adempiere la loro funzione educativa» (c. 796 §1 CIC), particolarmente per favorire la trasmissione della cultura e l’educazione al vivere insieme. In questi ambiti, in conformità anche alla legislazione internazionale e ai diritti dell’uomo, «deve essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un’educazione conforme alla loro fede religiosa» (FC 40). I genitori cattolici «affidino i figli a quelle scuole nelle quali si provvede all’educazione cattolica» (c. 798 CIC) e, quando ciò non è possibile, devono supplirne la mancanza (cfr ibidem).

4. Il Concilio Vaticano II ricorda «il grave dovere, che incombe sui genitori, di tutto predisporre o anche di esigere», perché i loro figli possano ricevere un’educazione morale e religiosa «e in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l’educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie» (GE 7).

In sintesi:

- L’educazione si presenta oggi come compito complesso, vasto ed urgente. La complessità odierna rischia di far perdere l’essenziale, cioè la formazione della persona umana nella sua integralità, in particolare per quanto riguarda la dimensione religiosa e spirituale.

- L’opera educativa pur compiuta da più soggetti ha nei genitori i primi responsabili dell’educazione.

- Tale responsabilità si esercita anche nel diritto di scegliere la scuola che garantisca una educazione conforme ai propri principi religiosi e morali.

II. Natura e identità della scuola cattolica: diritto ad un’educazione cattolica per le famiglie e per gli alunni. Sussidiarietà e collaborazione educativa

5. Nell’educazione e nella formazione un ruolo particolare riveste la scuola cattolica. Nel servizio educativo scolastico si sono distinte e continuano a dedicarsi lodevolmente molte comunità e congregazioni religiose, ma tutta la comunità cristiana e, in particolare, l’Ordinario diocesano hanno la responsabilità di «disporre ogni cosa, perché tutti i fedeli possano fruire dell’educazione cattolica» (c. 794 §2 CIC) e, più precisamente, per avere «scuole nelle quali venga trasmessa un’educazione impregnata di spirito cristiano» (c. 802 CIC; cfr c. 635 CCEO).
 

6. Una scuola cattolica si caratterizza dal vincolo istituzionale che mantiene con la gerarchia della Chiesa, la quale garantisce che l’insegnamento e l’educazione siano fondati sui principi della fede cattolica e impartiti da maestri di dottrina retta e vita onesta (cfr c. 803 CIC; cc. 632 e 639 CCEO). In questi centri educativi, aperti a tutti coloro i quali ne condividano e rispettino il progetto educativo, deve essere raggiunto un ambiente scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, che favorisca uno sviluppo armonico della personalità di ciascuno. In quest’ambiente viene coordinato l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dal Vangelo (cfr GE 8; c. 634 §1 CCEO).

7. In questo modo, è assicurato il diritto delle famiglie e degli alunni ad un’educazione autenticamente cattolica e, allo stesso tempo, si attuano gli altri fini culturali e di formazione umana e accademica dei giovani, che sono propri di qualsiasi scuola (cfr c. 634 §3 CCEO; c. 806 §2 CIC).

8. Pur sapendo quanto ciò oggi sia problematico è auspicabile che, per la formazione della persona, esista una grande sintonia educativa fra scuola e famiglia, così da evitare tensioni o fratture nel progetto educativo. È quindi necessario che esista una stretta e attiva collaborazione fra genitori, insegnanti e dirigenti delle scuole, ed è opportuno incoraggiare gli strumenti di partecipazione dei genitori nella vita scolastica: associazioni, riunioni, ecc. (cfr. c. 796 §2 CIC; c. 639 CCEO).

9. La libertà dei genitori, delle associazioni e istituzioni intermedie e della stessa gerarchia della Chiesa di promuovere scuole d’identità cattolica costituiscono un esercizio del principio di sussidiarietà. Questo principio esclude «ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana e anche allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini, nonché a quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società» (GE 6).

In sintesi:

- La scuola cattolica è vero e proprio soggetto ecclesiale in ragione della sua azione scolastica, in cui si fondano in armonia la fede, la cultura e la vita.

- Essa è aperta a tutti coloro che ne vogliano condividere il progetto educativo ispirato dai principi cristiani.

- La scuola cattolica è espressione della comunità ecclesiale e la sua cattolicità è garantita dalle competenti autorità (Ordinario del luogo).

- Assicura la libertà di scelta dei genitori cattolici ed è espressione di pluralismo scolastico.

- Il principio di sussidiarietà regola la collaborazione tra la famiglia e le varie istituzioni deputate all’educazione.


III. L’insegnamento della religione nella scuola

a) Natura e finalità

10. L’insegnamento della religione nella scuola costituisce un’esigenza della concezione antropologica aperta alla dimensione trascendente dell’essere umano: è un aspetto del diritto all’educazione (cfr c. 799 CIC). Senza questa materia, gli alunni sarebbero privati di un elemento essenziale per la loro formazione e per il loro sviluppo personale, che li aiuta a raggiungere un’armonia vitale fra fede e cultura. La formazione morale e l’educazione religiosa favoriscono anche lo sviluppo della responsabilità personale e sociale e le altre virtù civiche, e costituiscono dunque un rilevante contributo al bene comune della società.

11. In questo settore, in una società pluralista, il diritto alla libertà religiosa esige sia l’assicurazione della presenza dell’insegnamento della religione nella scuola, sia la garanzia che tale insegnamento sia conforme alle convinzioni dei genitori. Il Concilio Vaticano II ricorda: «[Ai genitori] spetta pure il diritto di determinare la forma di educazione religiosa da impartirsi ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa (...). I diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori o se viene imposta un’unica forma di educazione dalla quale sia completamente esclusa la formazione religiosa» (Dichiarazione Dignitatis humanae [DH] 5; cfr c. 799 CIC; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, 24 novembre 1983, art. 5, c-d). Questa affermazione trova riscontro nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 26) e in molte altre dichiarazioni e convenzioni della comunità internazionale.

12. La marginalizzazione dell’insegnamento della religione nella scuola equivale, almeno in pratica, ad assumere una posizione ideologica che può indurre all’errore o produrre un danno agli alunni. Inoltre, si potrebbe anche creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso se l’insegnamento della religione fosse limitato ad un’esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e “neutro”. A questo riguardo, Giovanni Paolo II spiegava: «La questione dell’educazione cattolica comprende (...) l’insegnamento religioso nell’ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica – proprio perché aperta a tutti – non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato insegnamento religioso, la loro formazione integrale. Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico che, in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose» (Discorso ai Cardinali e ai collaboratori della Curia Romana, 28 giugno1984).

13. Con questi presupposti, si comprende che l’insegnamento della religione cattolica ha una sua specificità riguardo alle altre materie scolastiche. In effetti, come spiega il Concilio Vaticano II: «il potere civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente riconoscere la vita religiosa dei cittadini e favorirla; ma dobbiamo affermare che esce dai limiti della sua competenza se presumesse di dirigere o di impedire gli atti religiosi» (DH 3). Per questi motivi spetta alla Chiesa stabilire i contenuti autentici dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola, che garantisce, di fronte ai genitori e agli stessi alunni l’autenticità dell’insegnamento che si trasmette come cattolico.

14. La Chiesa riconosce questo compito come suo ratione materiae e lo rivendica come di propria competenza, indipendentemente della natura della scuola (statale o non statale, cattolica o non cattolica) in cui è impartita. Perciò: «all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (...); spetta alla Conferenza Episcopale emanare norme generali su questo campo d’azione, e spetta al Vescovo diocesano regolarlo e vigilare su di esso» (c. 804 §1 CIC; cfr, inoltre, c. 636 CCEO).

b) L’insegnamento della religione nella scuola cattolica

15. L’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche identifica il loro progetto educativo, infatti, «il carattere proprio e la ragione profonda della scuola cattolica, per cui appunto i genitori cattolici dovrebbero preferirla, consistono precisamente nella qualità dell’insegnamento religioso integrato nell’educazione degli alunni» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae, 16 ottobre 1979, 69).

16. Anche nelle scuole cattoliche, va rispettata, come altrove, la libertà religiosa degli alunni non cattolici e dei loro genitori. Questo non impedisce, com’è chiaro, il diritto-dovere della Chiesa «di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede a voce e per iscritto», tenendo conto che «nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri una coercizione o una sollecitazione disonesta o scorretta» (DH 4).

c) Insegnamento della religione cattolica sotto il profilo culturale e rapporto con la catechesi

17. L’insegnamento scolastico della religione s’inquadra nella missione evangelizzatrice della Chiesa. È differente e complementare alla catechesi in parrocchia e ad altre attività, quale l’educazione cristiana familiare o le iniziative di formazione permanente dei fedeli. Oltre al diverso ambito in cui ognuna è impartita, sono differenti le finalità che si prefiggono: la catechesi si propone di promuovere l’adesione personale a Cristo e la maturazione della vita cristiana nei suoi diversi aspetti (cfr Congregazione per il Clero, Direttorio generale per la catechesi [DGC], 15 agosto1997, nn. 80-87); l’insegnamento scolastico della religione trasmette agli alunni le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, il Papa Benedetto XVI, parlando agli insegnanti di religione, ha indicato l’esigenza «di allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza della loro intrinseca unità che le tiene insieme. La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita». A tal fine concorre l’insegnamento della religione cattolica, con il quale «la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro» (Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009).

18. La specificità di quest’insegnamento non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica; al contrario, il mantenimento di quello status è una condizione d’efficacia: «è necessario, perciò, che l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline. Deve presentare il messaggio e l’evento cristiano con la stessa serietà e profondità con cui le altre discipline presentano i loro saperi. Accanto a queste, tuttavia, esso non si colloca come cosa accessoria, ma in un necessario dialogo interdisciplinare» (DGC 73).

In sintesi:

- La libertà religiosa è il fondamento e la garanzia della presenza dell’insegnamento della religione nello spazio pubblico scolastico.

- Una concezione antropologica aperta alla dimensione trascendentale ne è la condizione culturale.

- Nella scuola cattolica l’insegnamento della religione è caratteristica irrinunciabile del progetto educativo.

- L’insegnamento della religione è differente e complementare alla catechesi, in quanto è insegnamento scolastico che non richiede l’adesione di fede, ma trasmette le conoscenze sull’identità del cristianesimo e della vita cristiana. Inoltre, esso arricchisce la Chiesa e l’umanità di laboratori di cultura e umanità.

IV. Libertà educativa, libertà religiosa ed educazione cattolica

19. In conclusione, il diritto all’educazione e la libertà religiosa dei genitori e degli alunni si esercitano concretamente attraverso:

a) la libertà di scelta della scuola. «I genitori, avendo il dovere e il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza». (GE 6; cfr DH 5; c. 797 CIC; c. 627 §3 CCEO).
 

b) La libertà di ricevere, nei centri scolastici, un insegnamento religioso confessionale che integri la propria tradizione religiosa nella formazione culturale e accademica propria della scuola. «I fedeli facciano di tutto perché nella società civile le leggi, che ordinano la formazione dei giovani, contemplino nelle scuole stesse anche la loro educazione religiosa e morale, secondo la coscienza dei genitori» (c. 799 CIC; cfr GE 7, DH 5). Infatti, all’autorità della Chiesa è sottoposta l’istruzione e l’educazione religiosa cattolica che viene impartita in qualunque scuola (cfr c. 804 §1 CIC; c. 636 CCEO).

20. La Chiesa è consapevole che in molti luoghi, adesso come in epoche passate, la libertà religiosa non è pienamente effettiva, nelle leggi e nella pratica (cfr DH 13). In queste condizioni, la Chiesa fa il possibile per offrire ai fedeli la formazione di cui hanno bisogno (cfr GE 7; c. 798 CIC; c. 637 CCEO). Nello stesso tempo, d’accordo con la propria missione (cfr Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 76), non smette di denunciare l’ingiustizia che si compie quando gli alunni cattolici e le loro famiglie vengono privati dei propri diritti educativi ed è ferita la loro libertà religiosa, ed esorta tutti i fedeli ad impegnarsi perché quei diritti siano effettivi (cfr c. 799 CIC).

Questa Congregazione per l’Educazione Cattolica è certa che i principi sopra richiamati possono contribuire a trovare una sempre più ampia consonanza tra il compito educativo, che è parte integrante della missione della Chiesa, e l’aspirazione delle Nazioni a sviluppare una società giusta e rispettosa della dignità di ogni uomo.

Da parte sua la Chiesa, esercitando la diakonia della verità in mezzo all’umanità, offre ad ogni generazione la rivelazione di Dio dalla quale si può imparare la verità ultima sulla vita e sul fine della storia. Questo compito non è facile in un mondo secolarizzato, abitato dalla frammentazione della conoscenza e dalla confusione morale, coinvolge tutta la comunità cristiana e costituisce una sfida per gli educatori. Ci sostiene, comunque, la certezza -come afferma Benedetto XVI- che « i nobili scopi […] dell’educazione, fondati sull’unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale potente strumento di speranza» (Discorso agli educatori cattolici, 17 aprile 2008).

Mentre preghiamo l’Eminenza/Eccellenza Vostra di voler portare a conoscenza di quanti sono interessati al servizio e alla missione educativa della Chiesa i contenuti della presente Lettera Circolare, La ringraziamo della cortese attenzione ed in comunione di preghiere a Maria, Madre e Maestra degli educatori, ci valiamo volentieri della circostanza per porgere i sensi della nostra considerazione, confermandoci

dell’Eminenza/Eccellenza Vostra Reverendissima
dev.mi nel Signore

Zenon Card. GROCHOLEWSKI, Prefetto

+Jean-Louis BRUGUÈS, O.P., Segretario

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