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Il Padre nostro - spiegato da San Tommazo D'Aquino

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2009 19:51
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03/09/2009 19:51

San Tommaso espone il Padre nostro.
 
Per intendere il primo paragrafo conviene tener presente che il fine ultimo ed assoluto della vita cristiana è la gloria di Dio, e il fine secondario o relativo è la nostra perfezione e felicità.

Dice ancora San Tommaso: “Certo, la prima cosa che bisogna desiderare è il fine, e dopo i mezzi per raggiungerlo.
Il nostro fine è Dio.
I nostri affetti tendono a Lui in due maniere:
la prima, in quanto vogliamo la gloria di Dio;

la seconda, in quanto vogliamo godere di essa.

La prima spetta all’amore con cui amiamo Dio in se stesso; l
a seconda spetta all’amore con cui amiamo noi stessi in Dio.


Per questo la prima petizione del Padre nostro è:
sia santificato il Tuo nome, con cui chiediamo la gloria di Dio;
la seconda è:
venga il Tuo regno, con cui chiediamo di giungere alla gloria del suo regno, cioè, di conseguire la vita eterna”.

Come si vede, le due prime petizioni del Padre nostro non possono essere più sublimi.
Nella prima chiediamo la gloria di Dio, ossia che tutte le creature riconoscano e glorificano, cioè santificano, il nome di Dio.
Tal’è il fine ultimo della creazione: la gloria di Dio; oppure, in modo più esato e teologico, Dio stesso glorificato dalle sue creature.
Questa gloria di Dio costituisce l’assillo di tutti i santi.
Però Dio ha voluto trovare la sua gloria nella nostra stessa felicità:
quindi non soltanto non ci è proibito, ma ci è imposto di desiderare la nostra felicità in Dio, sia pure in secondo luogo, in perfetta subordinazione alla gloria di Dio, nella misura e grado del suo beneplacito divino:
“Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose, vi saranno date per giunta” .
Chiedendo a Dio l’avvento del suo regno su di noi, gli chiediamo in realtà la grazia e la gloria per noi; ossia, la cosa più grande e sublime che possiamo chiedere dopo la gloria di Dio.
Dopo il fine principale e secondario bisogna desiderare, logicamente, i mezzi per raggiungerlo. Continua perciò a dire San Tommaso:
“Una cosa ci può ordinare al fine in modo diretto o in modo indiretto (Il santo usa la forma scolastica per se e per accidens, che nel nostro caso si può tradurre benissimo per direttamente e indirettamente).

Il bene utile al fine, ci ordina ad esso direttamente (per se);
cosa che – riguardo al fine dell’eterna beatitudine – è compiuta dal merito principalmente, col quale meritiamo la felicità eterna obbedendo a Dio, e per questo si chiede:
sia fatta la Tua volontà come in cielo, così in terra”;
e secondariamente da tutto ciò che ci può aiutare a meritare la vita eterna, e per questo si dice:
“dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
E ciò è vero sia che si intenda il pane sacramentale, il cui uso quotidiano è molto utile all’uomo…,
sia che si intenda il pane materiale, comprendendo in questa parola tutto quanto è necessario alla vita;
l’Eucarestia, infatti, è il principale Sacramento ed il pane è il principale alimento”.

Dopo aver chiesto ciò che riguarda il fine principale e secondario, si chiede ciò che si riferisce ai mezzi; ed anche qui si procede ordinatamente, poiché si chiede in primo luogo il compimento della volontà di Dio in una maniera tanto perfetta quanto – se fosse possibile – quella con cui viene compiuta in cielo.
Ora il compimento della volontà di Dio è l’unico mezzo diretto ed immediato per glorificare Dio e santificare le anime nostre.

Nessuno potrà realizzare questi fini se non compiendo esattamente quanto Dio vuole da lui.
Se il Signore ci chiede oscurità e silenzio, infermità ed impotenza, vita nascosta e sconosciuta, è inutile che cerchiamo di glorificarlo e di santificarci sognando grandi attività apostoliche; saremmo completamente fuori strada.

Inoltre abbiamo bisogno di mezzi secondari simbolizzati nella parola pane, l’alimento per eccellenza. Chiediamo il pane, ossia, quanto è indispensabile alla vita, e unicamente per oggi
“allo scopo di essere obbligati a chiederlo anche domani e di correggere la nostra cupidigia”
e per abituarci a riposare fiduciosi e tranquilli nelle braccia della Provvidenza divina che nutre gli uccelli dell’aria e veste i fiori del campo.
“Indirettamente (per accidens) ci ordiniamo alla beatitudine togliendo gli ostacoli che potrebbero impedirci di raggiungerla.
Questi ostacoli sono tre:
il primo e il principale è il peccato, che ci esclude direttamente dal regno dei cieli, e per questo diciamo: rimetti a noi i nostri debiti”.
Il secondo è la tentazione, che è come l’anticamera del peccato e ci può impedire di compiere la volontà divina, e per questo aggiungiamo:
“non c’indurre in tentazione”.
Il terzo infine è costituito da tutte le altre calamità della vita che possono perturbare la nostra anima, e per questo diciamo: “liberaci dal male”.

Da questa esposizione si desume chiaramente che è impossibile chiedere a Dio cose migliori, in modo più ordinato, con un numero minore di parole, con una maggior semplicità e fiducia che mediante lo sublime orazione del Padre nostro.
I santi trovano una vera “manna nascosta” nell’orazione domenicale, poiché alimentano la loro orazione con le sue divine petizioni.
S. Teresina giunse a non trovare gusto spirituale se non nel Padre nostro e nell’Ave Maria.
S. Teresa lo commenta magistralmente nel suo Cammino di perfezione.
Molte anime semplici e umili trovano in esso abbondante pascolo per la loro orazione e persino per salire alle più alte vette della contemplazione e dell’unione con Dio.
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