Lettere
a cura di Paola Bergamini
«Sei del movimento o nel movimento?»
Caro don Julián, questi Esercizi mi hanno stroncata. Sono partita con molto entusiasmo, desiderosa di vivere questo momento come un’occasione di grande ricarica. Te lo dico fuori dai denti: in vent’anni di Esercizi, questa è la prima volta che mi capita di tornare con una sensazione di angoscia profonda. Ma come? Dopo trent’anni di movimento arrivi tu a sbalestrarmi in questo modo? Sono proprio arrabbiata e sai perché? Ti racconto un episodio. Era il 25 settembre 1988, mio figlio aveva un mese. Mi telefona il mio direttore (sono anestesista) e mi dice: «Questa notte c’è bisogno di fare assistenza ad un paziente terminale, uno della tua setta e c’è qui anche un prete, sempre della tua setta. Vieni!». Il paziente era il papà di Cilla e il prete era don Giussani. Saluto tutti e poi mi rivolgo con aria francamente imbecille a don Giussani e gli dico: «Io sono del movimento». Lui, bofonchiando con la sua voce roca, guardandomi negli occhi, mi dice: «Ma sei del movimento o sei nel movimento?». Non risposi e mi portai quella domanda per anni e anni. La risposta vera mi parve di trovarla un anno fa, accompagnando passo passo il “Donda”, ossia don Danilo Muzzin, nel concreto di una compagnia fatta di veglie silenziose, ma permeate della Presenza del Mistero che si faceva tangibile, palpabile in quel corpo trasformato e sofferente e in quelle sue scarne parole capaci di testimoniare un modo diverso di morire perché, per Grazia di una storia incontrata, c’era stato un modo diverso di vivere. Ecco, lì mi sono detta: sì, questa è l’eloquenza silenziosa di un’umanità vera, anch’io voglio vivere così e questa storia che ci accomuna (fu proprio il “Donda” a catapultarmi nel movimento nel 1978) è la risposta alle mie domande più profonde. Mi ero dunque finalmente pacificata, mi sentivo “a” posto e “al” mio posto. E ora arrivi tu a dirmi che «al fondo anche noi ci rendiamo conto che spesso l’imponenza di un’esperienza fatta tende a svanire il giorno dopo...» e mi parli di fede ridotta a sentimento, a etica o cultura, eccetera, eccetera. Sai qual è il problema? È che io so che tu hai ragione, perché se è vero che nella mia storia mi sono stati dati da vivere avvenimenti imponenti, è anche vero che essi non hanno ancora cambiato radicalmente la mia vita, le mie scelte, le mie decisioni. In poche parole, attraverso questi Esercizi mi hai detto che ho tutto da rifare. Ti chiederai allora perché ti ho scritto: semplice, perché mi sono cadute le braccia, perché quando uno esce da un’anestesia avverte un dolore sordo misto a nausea e a confusione mentale e ha bisogno di qualcuno che si faccia carico del suo disagio. Questo qualcuno è solo Lui, il Signore, ma il tuo abbraccio, segno di una storia trentennale che mi ha portata fin qui e veicolo dell’abbraccio del Signore Gesù, mi è indispensabile, in questo momento, per poter ripartire.
Laura, Milano
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